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giovedì 23 giugno 2022

Saper Fotografare (parte decima): La fotografia naturalistica e di architettura – di Mauro Ragosta

 

         Può apparire banale intrattenersi sulla cosiddetta fotografia naturalistica e di architetture, soprattutto oggi, in presenza della disponibilità di una tecnologia che con poche mosse e poche conoscenze dell’Arte consente di raggiungere risultati insperati non appena trent’anni fa, ma così ovviamente non è. È vero che negli anni della fotografia analogica si avevano grandi problemi circa la latitudine di posa, la gestione delle dominanti, le cosiddette linee cadenti, la capacità di trovare i giusti equilibri tra microcontrasti e contrasto generale, senza entrare nelle problematiche del B&N, ma oggi come allora, in merito alla fotografia oggetto della nostra attenzione, le categorie di pensiero rimangono solo due.

         Prima di addentrarci nella disamina di questo ambito dell’Arte fotografica, va evidenziato che quasi sempre il percorso di sviluppo del fotografo presenta sovente le stesse caratteristiche nelle varie fasi, avendo ognuna di queste, tempi di maturazione ed elaborazione connessi solo al soggetto fotografante.

         In linea generale, le prime inquadrature del fotografo principiante sono il sole e da qui il tramonto, via via poi tutto quello che la Natura, sia essa selvaggia sia essa modificata, propone. Nella foto d’architettura, spesso, poi, il contesto ritratto è privo dell’elemento antropomorfo, molto vicino alla cartolina postale classica. In definitiva, si tratta di una mera riproduzione della realtà visibile, priva tuttavia di quella carica “sanguigna”, emotiva e, si potrebbe giungere ad arguire, erotica. Molti si sforzano di conferire una certa vibrazione alle proprie immagini, utilizzando gli obiettivi più disparati, dai fisheye ai tele più spinti. Tuttavia, queste immagini spesso “mancano del fotografo”.

Ad ogni modo qui interviene il grande problema o la grande bipartizione della fotografia naturalistica e di architettura.

         Va da sé che al nostro sistema capitalistico basato sul consumismo, interessa il consumo in sé e solo in maniera marginale il cosa si consuma. E anche per la fotografia a pochi interessa il come si fotografa. Qui quello che è decisivo attiene al quantitativo di “scatti”, che si “scatti” ad ogni piè sospinto, insomma. Pratica questa ovviamente necessaria per alimentare il consumo, e da qui sostenere il reddito e l’occupazione. Il tutto, ovviamente, come è facile arguire, sovente sfocia nella fotografia compulsiva, che spesso si manifesta nella ripetizione ossessiva di un oggetto fotografato.

         Al di là di questi aspetti socio-economici, e ritornando sulla via maestra tracciata, è possibile affermare che esiste, in ambito naturalistico e di architettura, una fotografia che descrive e induce al ricordo delle fattezze materiali e immanenti delle circostanze oggetto d’attenzione. È la tipica fotografia dei cataloghi di ogni specie, volti a documentare agli interessati, spesso i turisti, ma non solo, anche studiosi e curiosi, sulle fattezze di strutture architettoniche e paesaggistiche.

         Esiste tuttavia un’altra fotografia, naturalistica e architettonica, che ugualmente descrive, ma induce ad evocare le atmosfere, i respiri, le energie di un luogo. È una fotografia che tende ad esaltare gli elementi immateriali della circostanza, le situazioni trascendenti delle architetture e degli scenari.

         Nel primo caso è sufficiente fotocopiare ciò che si vede, ed oggi la tecnologia rende piuttosto agevole tale tipo di fotografia. Nel secondo caso, ovvero quello che tende a produrre un’immagine evocativa, il contesto va interpretato. Ma non basta, va sentito, vissuto, respirato… Qui l’odierna tecnologia aiuta sul piano della rapidità di esecuzione di certi processi, sia in fase di scatto sia nella postproduzione, senza tuttavia essere decisiva. In assenza di una capacità di leggersi in profondità, nei recessi più oscuri della propria anima e del proprio sentire, i risultati il più delle volte sono magri. Ovvio che, in questo caso, tra soggetto fotografante e oggetto fotografato si deve realizzare, attraverso un processo osmotico, una piena fusione sino alla confusione, in un tutt’uno che deve trasparire dall’immagine realizzata.

Ed ecco che, alcune immagine instillano distacco e un certo mentalismo, mentre altre, prendendo a prestito le parole di Rossella Maggio, sono più “erotiche”, sanguigne… contundenti! Da qui, le prime replicabili, le seconde uniche!

 

Mauro Ragosta

 

2 commenti:

  1. Davvero interessante e chiaramente condivido appieno il tuo pensiero. Ritengo le tue parole stimolanti per me, che sono alla continua ricerca di un modo per uscire dallordinario, grazie ancora

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