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mercoledì 23 dicembre 2020

La Grande Crisi del 2020 (parte sesta): un possibile Bilancio – di Mauro Ragosta

            Veramente poche le novità nel 2020, quello che si ricorderà come l’anno attraversato da una crisi mai vista in precedenza, almeno nella morfologia. Nella sostanza, però questa può chiamarsi crisi, oppure una grande operazione di change management?

            In effetti, poi, la politica non ha mostrato alcun elemento di novità muovendosi indifferente e disinvolta con metodi, prassi e tecniche antiche. È facile anche ad una persona di cultura media capire che rispetto alla Prima, alla Seconda e alla Terza Repubblica, in Italia non è cambiato alcunché: l’incedere di fondo è sempre lo stesso, ma centrato sulla mascherina e sui comunicati Covid. E modificandosi lo scenario in alcune determinanti chiave, questa volta, però, il mondo della politica ha mostrato troppo il suo vero volto, in una visione che per certi aspetti rasenta il comico. La vera e grande novità, invece, viene dalla Chiesa di Roma, dove il Papa celebra le principali ricorrenze cristiane in San Pietro senza i fedeli. Lo Stato dunque in ritardo rispetto alla sua “consorella”? Il potere spirituale realizza uno scatto, in termini di sviluppo, che il potere temporale non riesce a realizzare?

            Gli anni ’90 del secolo scorso si ricordano poco per la questione connessa alla Pecora Dolly, ma quello, nel 1996, fu il momento in cui emerse la potenza della Biogenetica, che da allora, ma nel silenzio, si è affermata in tutti i campi delle principali attività umane. Oggi, il 2020, segnerà l’avvio di uno sviluppo massiccio e massificato della Robotica, dove anche questo si muoverà in futuro nel totale silenzio. Di fatto sia l’una sia l’altra hanno mutato alla radice le condizioni di vita e di produzione della società e ci porteranno ad una Nuova Civiltà. Va da sé che, il sistema fondato sul consumo e sul consumismo, col pilastro reggente della classe media, verrà lentamente meno, dando posto a nuovi alfieri sociali, con connotazioni e peculiarità differenti. Insomma, l’Era inaugurata dalla Ford T nera è entrata nella sua fase finale.

            L’altra più importante novità del 2020, anche se di secondo piano, riguarda il pianeta donna, che è stato costretto a comunicare con elementi e strumenti più razionali e ad abbandonare quelli meno evoluti basati sulla sensualità e il corpo. La mascherina infatti ha imposto alle donne uno sforzo comunicativo più importante, non fondandosi sulle strutture tradizionali e consumistiche, centrate sull’uso intensivo del corpo. Ed ecco che, col 2020, si aprono nuovi scenari per la donna, che realmente si avvicina all’uomo dovendo usare prevalentemente gli elementi razionali nelle relazioni anziché quelli emotivi.

          Il 2020 verrà considerato anche come l’anno in cui si compie forse la grande operazione di creare un sistema eremitico di massa, avviata con forza agli inizi del Novecento con Einstein e Popper. Ed ecco che se il relativismo ha portato all’isolamento psicologico dell’individuo medio, la sanitocrazia, oggi, ha imposto anche l’isolamento fisico. Ci si sta avviando verso un sistema conventuale “a cielo aperto”? Forse, anche se non è disdicevole dal momento che la nostra società è troppo rumorosa ed “agitata”.

        Sul piano strettamente economico sono saltate molte delle leggi fondamentali tracciate dalla teoria. E così, di fronte ad una riduzione importante del PIL, ovvero del reddito, si riduce il tasso di disoccupazione e balza in avanti il livello dei depositi. La gente non cerca più lavoro e di fatto si pone a carico del sistema produttivo, che oggi, fortemente efficiente può mantenere un numero di attori sociali inattivi altissimo.

In tutto questo, prosegue ininterrotta l’operazione di indebitamento dello Stato, mentre il sistema degli scambi e del lavoro mutano le loro dinamiche, dando spazio all’informatizzazione di tutti i processi produttivi. Una nota va fatta per il mercato delle cripto valute, che mostra sistemi di affermazione tipici delle aziende commerciali degli anni ’50 e ’60, quando molte delle operazioni innovative si avvalevano della “vendita porta a porta”. Ecco il managment commerciale delle cripto valute si muove con quegli schemi, assolutamente desueti, ritardando l’affermarsi del Mondo Valutario Virtuale tout court.

Per concludere, il crollo del sistema, se di crollo si può parlare, più che nel turismo e nelle attività di intrattenimento centrate sui consumi alimentari, si è avuto netto nel comparto dell’Arte, dello Spettacolo della Cultura, il quale muovendosi da sempre con ingredienti più mondani e di sociabilità non ha retto al lookdown e alla mascherina. Gli sforzi di riprodurre questo Mondo nel sistema web e on line è risultato fallimentare, non consentendo, infatti, lo sviluppo principale e specifico delle attività connesse alla cultura negli ultimi trent’anni. E così, mancando il momento mondano, si è avuto una contrazione drammatica del numero dei titoli stampati, delle rappresentazioni teatrali e dei concerti di vario tipo e genere, soprattutto perché l’impatto sociale di questi nella versione informatica non è stato di rilievo e rilevante.

 

Mauro Ragosta

 

Nota: chi fosse interessato alla mia produzione di saggi, può cliccare qui di seguito:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 

giovedì 17 dicembre 2020

Saperi e Sapori (parte prima): le premesse e....il pane – di Mauro Ragosta

 

 Lungamente pensata, peraltro da più studiosi ed intellettuali, prende qui il via una nuova rubrica di Maison Ragosta, Saperi e Sapori per l’appunto, mirata a guardare, osservare e scandagliare i significati, le caratteristiche, le peculiarità, tra storia, presente e futuro, degli alimenti, e non solo, come ovvio, nelle prospettive più spiccatamente legate al cibo e alla sua biologia tout court, ma anche a tutte le declinazioni culturali, sociologiche - e perché no?- sino a sconfinare in ambiti esoterici e religiosi.

            Questa prima parte è dedicata al pane, un alimento che oggi assume una valenza minima rispetto al passato. In tale direzione, va considerato che noi viviamo in una società opulenta, consumistica, dove la differenziazione e la diversificazione dei prodotti rappresentano i motivi a se stanti e autoreferenziali del consumo, sebbene si cerchi con forza, ma senza riuscirvi pienamente, di collegare il prodotto a questo tramite metafore, valenze ideali ed ideologiche, simbologiche di vario genere. Siamo in una fase della curiosità infantile del consumo, che impara a conoscere le partizioni e le varianti dei prodotti, che quasi mai acquisiscono valori altri rispetto al consumo in sé, assistito ovviamente da un significato minimo, elementare, comunque non sufficiente.

          Il pane oggi è, d’altra parte, una delle tante possibilità di alimentazione e se ne spinge il consumo, e si cerca di rinnovarlo e dargli forza commerciale soprattutto attraverso la diversificazione delle specie e delle qualità. Sicché, nei grandi supermercati, come nelle panetterie specializzate, se ne trova in abbondanza di forme, ma anche di composizioni della pasta da cui esso si trae, attraverso combinazioni di farine diverse. E non solo. Moltissimi sono gli espedienti commerciali volti ad arricchire il pane di elementi aggiuntivi, come olive, capperi, verdure di vario genere, elementi piccanti e spezie, e spesso con farciture singolari e di fantasia.

Ecco, dunque che per il consumatore v’è, al momento, la possibilità di fare esperienza di tutta questa gamma di tipi e di qualità, che tuttavia non presentano un preciso senso, tutte queste “pagnotte, pagnottine e panelle”, se non nella prospettiva della curiosità consumistica. È questo appunto il consumismo alimentare: provare sapori diversi, per un fatto, al momento fine a sé stesso, e nell’ipotesi migliore, in una prospettiva conoscitiva ed esperienziale.

            Non così sino all’avvento del consumismo, che in Italia ha mostrato i primi segni negli anni ‘30 del Novecento, ma che si è pienamente affermato, con sempre maggiore forza a partire dagli anni ’80. Sino a cinquanta, sessant’anni fa, infatti, il pane aveva valenza diversa. Innanzitutto era uno dei principali alimenti nelle case degli italiani. E ancor prima, il pane rappresentava proprio la possibilità di sopravvivenza. Fino a metà Ottocento, quando l’Uomo ha cominciato a dominare e gestire la Natura, il pane era simbolo di vita, la cui scarsità decretava la morte fisica delle persone. Note sono le conseguenze delle carestie, dove mancando il pane la gente moriva. Il pane dunque, simbolo di vita, innanzitutto. E non solo, ma simbolo primario a cui molti aspetti dell’esistenza, i più significativi, veniva correlato e riferito.

      Nella Pasqua ebraica, infatti, il simbolo del pane è decisivo, rappresentando la vita in sé nella sua schiettezza e brutalità. Ed in effetti il pane della fuga del popolo ebraico dall’Egitto è sorretto da un rito, la Pasqua appunto, in cui assieme ad erbe amare, l’ebreo degustava il pane azzimo, ovvero non lievitato né salato, ovvero un semplice impasto di farina ed acqua non molto cotto. Un pane essenziale, simboleggiando la vita, che deve essere ridotta all’essenziale e nelle sue verità più elementari per “liberarsi” del Faraone.

            Anche Gesù, il Cristo, adotta il pane nella sua ultima cena, ma questa volta con valenza diversa, ovvero in una prospettiva “deicida”. E qui va ricordato che egli abolisce il tempio costruito in pietra, che infatti mai più verrà ricostruito, e diventando egli stesso tempio, tempio vivo e vivente, che il Padre sacrifica per gli uomini.

Nell’ultima cena, dunque, il pane rappresenta sé stesso, è lui il viatico per la Vita Eterna, piena ed appagante, concesso dal Padre. Il pane dunque simbolo di Gesù, che dona sé stesso “in remissione dei peccati degli uomini”, quale appunto nutrimento fondante, ricordando infatti che proprio il pane simboleggia negli uomini dell’antichità e del passato in genere, proprio la vita. Gesù il Cristo, pane di vita, colui che il Padre sacrifica per gli uomini, i quali accogliendolo o "cibandosi di lui" gustano la Vita Eterna.  

Ecco, dunque che l'assunzione del pane benedetto esprime simbolicamente quanto evidenziato. Ovviamente, senza le praticità e le concretezze del caso, si ridurrebbe il rito dell’eucaristia ad un culto senza senso, evocativo, e dunque fortemente idealizzato e privo di qualsiasi utilità ed efficacia, insufficiente dunque sul piano strettamente esistenziale. Va da sé che …così non è, costituendo la Santa Messa uno dei potenti motori sociali.

         Certamente, l’ebraismo, come il cristianesimo sussistono tutt’oggi, ma si è in presenza di un forte allontanamento dalla ritualità. Noto è il fenomeno dello svuotamento progressivo dei templi deputati al culto. Tutto ciò probabilmente dovuto al fatto che le religioni stanno ritirandosi dallo scenario popolare, per rimanere una questione d'élite, destinata a pochi...

        Ma non finisce qui. Il pane essendo metafora della vita, nella storia viene posto anche come “marchio” delle diverse vite. Sicché nel medioevo vi erano panificazioni e pani diversi a seconda dello status sociale. Il pane del popolo era panificato in maniera diversa rispetto a quello della classe nobiliare, che a sua volta era ancora diverso rispetto a quello della classe clericale e persino militare. Vi era anche un pane e una panificazione, persino per i boia, che si nutrivano di specifiche qualità e cotture.

          Il pane dunque, nel passato è elemento centrale nella vita dell’Uomo in genere, ma che trasborda, proprio per questo, nella dimensione simbolica, rituale e metaforica, acquisendo quindi nella vita sia di un popolo sia di un singolo individuo un elemento centrale e decisivo della propria esistenza, sia sul piano strettamente fisico sia sul piano più eminentemente spirituale. Cose che, come è facile riscontrare, non si ritrovano oggi, sbilanciandosi i significati sul gusto, sulla forma e sul fatto che esso è uno dei tantissimi alimenti di sostentamento dell’Uomo, il quale peraltro non soffre più di carestie e può produrre pane e farina a suo piacimento, senza limiti temporali e spaziali.

        Molto altro v’è da dire, ma ci si ferma qui, sicuri di aver stimolato la curiosità e l’interesse per approfondire questa tematica, che offre veramente moltissimi spunti di riflessione. D’altro canto Maison Ragosta vuole sì offrire delle informazioni e delle considerazioni, ma nell’ottica dello stimolo alle speculazioni di vario genere. In tale prospettiva, Maison Ragosta vuole costituire un punto di partenza per la propria crescita, la cui direzione, si sa, si decide in assoluta solitudine e autonomia.

 

Mauro Ragosta

 

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sabato 5 dicembre 2020

Tempi Nuovi, Nuovo Turismo – di Mauro Ragosta


            Il Tempo del Covid-affaire comincia oggi a stravolgere e rendere visibile la riqualificazione dell’intera economia nazionale e presto sarà anche la volta dell’economia internazionale, mentre più in là toccherà anche all’economia globale. Ça va sans dire che di certo pure il settore turistico subirà dei mutamenti profondi per effetto delle trasformazioni nello stile di vita del turista, pur non mancando nel processo di cambiamento delle sacche di resistenza sia tra le componenti della domanda sia in quelle dell’offerta, le quali avranno tempi decisamente più lunghi di allineamento alle nuove tendenze.

            La vera novità sta nell’avvento del Nuovo Turismo, che si basa sul cambiamento del paradigma originario. Al riguardo, notissimo è il testo della Battilani, ovvero "Vacanze di pochi, vacanze di tutti", nel quale, sia pur brevemente tratta del fenomeno in questione dalle origini ai nostri giorni, nella prospettiva borghese-aristocratica. Qui, il turismo nasce, infatti, intorno a metà del XVI col viaggio in Italia del rampollo dello scozzese Lord Garbonne e fino al 2019, nelle sue varie e successive declinazioni, è rimasto sostanzialmente immutato negli elementi essenziali. Peraltro, l’ultima forma di turismo, ovvero quello esperienziale, non rappresenta e non costituisce alcuna novità di rilievo rispetto al viaggio del figlio di Lord Garbonne, del 1556.

            Ed in effetti, il turismo, nelle sue varie forme si configura come uno spostamento dalla propria abituale residenza per esperire attività non abituali, non legate al ménage quotidiano. Insomma, è il contrario di stabilità e routine, ovvero uno spostamento fisico per un’esperienza non di routine. E proprio qui è il cambiamento o l’assottigliamento del paradigma, che il Tempo del Covid sta producendo, quale anticipazione dei tempi che verranno. E così, il turismo si sta lentamente trasformando in esperienza non legata alla quotidianità, senza alcuno spostamento. E se dunque nell’accezione tradizionale per il turismo lo spostamento e il viaggio dunque, costituivano la conditio sine qua non, oggi tali perni attorno ai quali ruotavano tutte le costruzioni di questa attività dell’Uomo Moderno e Contemporaneo, si stanno progressivamente riducendo per giungere ad un unico fattore ovvero quello legato al non-quotidiano, ovviamente in ambito prevalentemente informatico, che consente sì spostamenti ma solo virtuali.

            Partendo da questi presupposti, il turismo che verrà sarà basato su tutto ciò che attiene l’informatica -quale mezzo e struttura, che consente i collegamenti relazionali e con altre realtà- e il non-quotidiano, appunto. E proprio sul non-quotidiano, vissuto tramite rete informatica, è la vera novità, di cui un’impresa leccese si sta facendo promotrice in una prospettiva di tutto rilievo. Si potrebbe definire quanto proposto dall’imprenditore salentino come turismo emo-intellettuale, giocandosi tutta la sua offerta su pacchetti fortemente intellettualizzati e di cultura, al momento, di alto livello. Il suo ufficio studi, peraltro, sta mettendo a pronto sulla scorta delle prime esperienze, ulteriori prodotti e servizi turistici, sempre in linea con quanto qui esposto, ma con delle componenti di novità e capaci di soddisfare una gamma più ampia di utenza.

            Ma veniamo al dunque. Questa, che è tra le prime forme di turismo emo-intellettuale, si basa sull’offerta di quattro tipi di conversazioni su skipe, con operatori di alta cultura, non solo sotto il profilo della dotazione culturale tout court, ma anche nella prospettiva oratoria, essendo studiosi con grandi capacità affabulatorie e dal linguaggio sempre all’altezza dell’interlocutore di turno. Pare, infatti, che abbiano un’estensione sociale di interlocuzione veramente significativa, potendo soddisfare anche le menti più esigenti dell’upper class italiana.

Ed ecco che l’ipotesi di viaggio, avanzata dal nostro salentino, diventa esperienza emotiva, intellettiva, che si sostituisce bene all’impatto emozionale tradizionale che si sviluppava ed era centrata sui cinque sensi, dove l’operatore, pur essendo molto preparato, non aveva grandissime capacità culturali, come si richiede, invece, in questa nuova forma di turismo.

            Di certo, come tutti i prodotti sperimentali, questi sono destinati nelle fasi di lancio ad un pubblico molto ristretto, evoluto e particolarmente esigente, anche se nel caso dell’offerta del nostro imprenditore leccese i prezzi si presentano veramente abbordabili e la forma di approccio e fruizione grandemente esemplificati, prevedendosi tuttavia anche formule con spiccate personalizzazioni.

 

Mauro Ragosta


 


martedì 20 ottobre 2020

Riflessioni sparse sulla filosofia e sulla prassi del consumo – di Mauro Ragosta

 

          Non è improbabile che oggi sia superfluo riflettere e discutere sul consumo, con riferimento alla filosofia e alla prassi corrente, dal momento che molti sono gli indizi che lasciano intravedere che la cosiddetta Civiltà dei Consumi, avviatasi col fordismo agli inizi del Novecento, sia giunta a pieno compimento e dunque a conclusione. Da una parte il progressivo affermarsi della robotica, dell’intelligenza artificiale, delle immense possibilità della genetica e dall’altro la fortissima concentrazione delle leve del controllo sociale, ma anche, e non è fuorviante, le dimissioni di Ratzinger, lasciano intravedere che il consumismo come sistema di gestione della società sia al capolinea. Pur tuttavia riflettere su questo Mondo aiuta a comprendere quali possano essere gli sviluppi futuri della nostra società.

            Ora, lasciando da parte i consumi strettamente necessari ad una dignitosa esistenza, il consumo di beni, ma anche di servizi, presenta diverse valenze, come diversi sono i motivi per cui si effettuano gli acquisti, quelli che ovviamente vanno al di là dello stretto indispensabile. Da tali motivi vanno esclusi quelli commerciali o che travestono quelli reali. Ad esempio, è oramai un classico che un soggetto acquisti una automotrice tedesca di taglio alto, perché è più sicura, confortevole e affidabile, mentre i motivi sottostanti sono legati a questioni e logiche eminentemente di status, identità, propaganda e spesso di “scena”.

            Ed in effetti, diffuso si presenta il consumo nella prospettiva identitaria, dove il bene ha una natura di feticcio. Il soggetto in tale prospettiva si identifica col bene acquistato, crede di avere la stessa valenza che gli esperti di marketing e i veditori hanno attribuito al bene ceduto. Tipico è il consumo di super car da parte di soggetti che a malapena sanno guidare, i quali credono che possedere il bolide equivalga ad essere esperti piloti, di grande potenza espressiva nella guida. Sulla stessa lunghezza d’onda sta il consumo dei profumi, che si modulano sui significati attribuiti dai produttori. Molte sono le donne che si sentono un po’ parigine, acquistando i rinomati profumi francesi. Anche sul piano musicale, spesso i brani vengono ascoltati in maniera tale che il soggetto si immedesimi nel brano, sia l’elemento vivente del brano, insomma.

            Sotto altro aspetto il consumo di beni materiali serve solo a segnare la propria superiorità. Di fatto certi acquisti sono del tutto inutili, servendo solo a porre e marcare le distanze sociali. È il caso dell’alta moda, che viene seguita in maniera assidua e con forte puntualità da certi soggetti. Non poche sono le donne che non indossano mai lo stesso abito e quello che indossano è all’ultima moda, o come si sul dire, à la page. Prassi questa inaccessibile ed impraticabile per un cittadino medio, anche di buon livello, ma posta in essere da certe persone solo per segnale le distanze a volta sociali, a volta di potenza economica, a volte tutte e due assieme.

            Ma non finisce qui. L’acquisto di beni spesso è legato prevalentemente ad esigenze comunicative, le quali possono muovere in varie direzioni. Sovente si creano dei veri e propri set cinematografici o scenografie di vario tipo per comunicare proprie richieste o offerte, ma anche per creare dei veri e propri bluff. Tipico è il caso delle diverse fattispecie di prostitute e trans, che usano abbigliarsi a seconda del tipo d’offerta o di richiesta effettuata dagli “avventori”. In linea a ciò è l’arredamento della propria casa, che esprime, in molti casi, il taglio delle relazioni che ama avere chi la abita. Attenzione, però, non v’è da trascurare il caso in cui il soggetto sottodimensiona il proprio status sociale o intellettuale, facendo apparire tramite i suoi beni e relativi accessori quello che non è.

            Tralasciando l’uso prettamente simbolico-esoterico dei beni materiali, che verrà trattato eventualmente in altra sede, la carrellata può concludersi con l’uso del consumo a fini propagandistici. Un tempo i regnanti costruivano le regge per motivi legati alla gestione del popolo, che in queste vedeva la potenza del regnante e di riflesso la propria “piccolezza” e da qui ancora la necessità di affidarsi al suo volere e dissipare ogni intento di ribellione. In tale direzione, vanno collocati anche i Testimonial, i quali hanno la funzione di inoculare nelle masse certi costumi mentali e di consumo.

            Si comprenderà facilmente che il consumismo si sostanzia in un complesso sistema di dialogo sociale e relazionale, che tuttavia pare non abbia più quelle qualità per supportare un ulteriore sviluppo dell’umanità, quantomeno nella parte più evoluta. In tale direzione, lo sviluppo dell’informatica rimodulerà il sistema delle relazioni sociali ed individuali, nel cui quadro è grandemente probabile che il consumo di beni e servizi giocherà un ruolo, se non a margine, sicuramente di minor rilievo. Nel breve volgere di qualche lustro cambieranno, infatti, il valore ed il significato del lavoro e da qui tutte le strutture ad esso connesse, ovvero l’intera società, nei suoi aspetti economici, politici, culturali, religiosi…..antropologici.

 

Mauro Ragosta

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sabato 17 ottobre 2020

Saper comunicare (parte ottava): la pausa e…il silenzio – di Mauro Ragosta

 

            Si sa, la comunicazione è cosa alquanto complessa e capace, se utilizzata con professionalità ed esperienza, di gestire con destrezza il dialogo, e non solo. Qui tratteremo, si pur in maniera succinta, sinottica, quali sono le portanze della pausa all’interno di un dialogo, ma anche nella lettura di brani e poesie, fino a giungere al silenzio, che non verrà ovviamente trattato quale ultimo stadio della Ragione né come momento d’attesa dell’intuizione, e cioè come ultima fase nei processi di crescita personale, rientrando ciò in pratiche e ménage esoterici. Accenneremo, invece, al silenzio solo come strumento comportamentale.

            Ad ogni buon conto, va subito sottolineato che chi non usa le pause in una relazione verbale ha in genere una visione indifferenziata della Realtà e processi cognitivi alquanto alterati e, proprio per questo, occorre interfacciarsi più che con strumenti verbali, con strumenti emozionali. Ci si è in presenza di un soggetto, infatti, che non ascolta o ha reazioni spropositate rispetto a quanto gli viene comunicato. Inoltre, per lo più va per luoghi comuni, emozionali, che si distribuiscono in un chiaro scuro tra il tragico e l’esaltante.

            Ed ecco che, escluso il caso del logorroico, ma anche di chi è affetto da alti gradi di autismo, la pausa è uno strumento che produce una serie di effetti sull’interlocutore, di cui qui tratteremo solo i principali. In ogni caso, un dialogo o una conversazione nella quale non si fa uso delle pause, diventano un “botta e risposta”, che attiene più al confronto, al muro contro muro, anziché ad una meravigliosa disputa a punta di fioretto.

            All’interno di questo quadro, il primo effetto che produce una pausa è quello di sottolineare con forza quanto si è detto ed offrire all’interlocutore la possibilità di ben riflettere e meditare un’eventuale risposta. La durata della pausa, in questo caso, varia sulla base delle peculiarità di chi conversa o discute. Se questi molto forti emotivamente ed intellettualmente, solitamente si concedono momenti moto lunghi di silenzio, spesso rassomigliando a degli scacchisti. Un’asserzione, infatti, presenta, sovente, più risposte e più possibilità di orientamento del dialogo e pertanto richiede una riflessione sia nel momento affermativo, sia nel momento della risposta. Emotività salda e buona cultura consentono all’interlocutore un utilizzo frequente di pause, soprattutto nei momenti topici del dire e da qui una relazione verbale chiara e allo stesso tempo complessa ed articolata.

            La pausa, tuttavia, molte volte viene utilizzata come mezzo di compressione emotiva da parte dell’interlocutore; una compressione tale da indurlo ad una reazione, che spesso si presenta spiazzante per chi cede alla pressione. Il silenzio, il più delle volte “pesa” come un macigno e non sono molti quelli che riescono a reggerlo a lungo. La pausa ed il silenzio in questi casi sono “armi” aggressive, che tendono a far aprire tutte le difese di chi ci è di fronte.

            Da possibilità di ascolto e riflessione a momento aggressivo, nella lettura ad alta voce di un brano o di una poesia, come in un discorso, la pausa si trasforma, invece, in tecnica che tende a sottolineare quanto si dice, a far imprimere con forza il proprio dire nell’ascoltatore. In altre circostanze è strumento che crea suspense, mentre all’inizio di un discorso una pausa più o meno lunga serve ad attirare l’attenzione su di sé e a far predisporre il pubblico all’ascolto.

            Cambiando prospettiva, invece, la pausa e il silenzio all’interno di una relazione, che possono avere durata variabile, ma sempre significativa, assurgono a strumenti che se da un lato sono utilizzati sempre per comprimere l’interlocutore, mettendo in risalto la propria assenza, dall’altro equivalgono ad attrezzature comportamentali volte a prendere “le distanze” dalla relazione stessa ed avere di questa una visione più lucida, e da qui la possibilità di intercettare un’azione più efficace.

            E per concludere, pause e silenzi ripetuti e sempre più lunghi nella durata rappresentano una tecnica per abbandonare una relazione senza creare tensioni rilevanti, abituando l’interlocutore, infatti, alla propria assenza in maniera progressiva e che alla fine diventa definitiva.

            Va da sé che, l’argomento qui trattato è estremamente vasto, ma l’intenzione alla base di quanto si è messo in luce è solo quella di stimolare una riflessione e magari un approfondimento attraverso la consultazione di specifici testi a ciò dedicati.

 

Mauro Ragosta

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martedì 13 ottobre 2020

Cultura e mondanità nel leccese: dallo sviluppo naturale allo star sistem, dall’improvvisazione al caporalato culturale - di Mauro Ragosta

 

         Quasi nessuno ha coscienza che, durante gli ultimi lustri, il comparto dell’arte, dello spettacolo e della cultura (ASC) nel leccese ha assunto proporzioni di tutto rilievo nello scenario economico, diventandone uno dei pilastri fondamentali, paragonabile peraltro, a quelli dell’industria e delle costruzioni. Sebbene sottostimato, il PIL attribuibile all’ASC è, infatti, di poco inferiore al 7% di quello complessivo della provincia. Ma c’è di più. Il settore ha assunto tutti i caratteri del distretto. E non come quello barese, creato dallo Stato, ma spontaneo. A Lecce ed in provincia, parafrasando Marshall e Becattini, si respira la tensione culturale, si percepiscono nettamente le atmosfere artistiche, vivacissime sono le interrelazioni tra gli addetti ai lavori. Da qui è facile intuire che il settore sta diventando sempre più momento attrattivo per investitori e politici, per uomini d’affari e avventurieri.

         Particolarmente interessanti si presentano le recenti evoluzioni del mondo della cultura leccese nelle sue componenti della poesia e della narrativa, con le sue specializzazioni della giallistica, del romanzo storico, nonché delle propaggini della filosofia non accademica. Un mondo, che sviluppatosi, in virtù del contributo soprattutto di uomini di sinistra non accademici, nella metà degli anni ’90, dopo il 2010 ha registrato una forte accelerazione grazie all’entrata in campo della destra, che ha condotto ad una vera e propria “industrializzazione” del momento letterario. Non è azzardato, infatti, parlare di fordismo intellettuale e massificazione della produzione e del consumo di libri e annessi eventi legati al momento commerciale. Le recenti tendenze di questo mondo si materializzano nella serialità e nella spettacolarizzazione, con una certa propensione all’export culturale. Va da sé che nell’ultimo anno tali dinamiche sono state smorzate dalla questione legata al covid, ma a giudicare dalle ultime attività culturali, questo non impedirà il suo naturale corso al settore, una volta esauritasi l’emergenza.

         I protagonisti in tutto questo sono gli scrittori, il cui ruolo oggi si presenta fortemente indifferenziato: scrivono, presentano, moderano, creano e conducono eventi ed associazioni. Il loro fermento, quasi esclusivamente dettato da motivazioni legate al prestigio e alla vita sociale, è stato assecondato dalle amministrazioni comunali, che hanno colto le dinamiche del fenomeno e si sono affiancate predisponendo spazi per lo sviluppo dell’azione culturale di tali soggetti.

         Nel complesso, pare che si stia venendo a creare una vera e per propria organizzazione sistemica. Non a caso cominciano ad emergere episodi di star sistem, possibili solo dove si può organizzare una carriera. Qui, soggetti con forte potere relazionale, a livello istituzionale sia privato sia pubblico e dotati anche di un certo potere economico, cominciano a programmare il lancio di alcuni degli operatori di base del settore, quali gli scrittori e i poeti appunto. Ma la novità dove sta? Mentre infatti solitamente lo scrittore leccese si autoproponeva, oggi, comincia ad essere proposto e quasi imposto, dove soggetti terzi programmano per lui una serie di eventi e supportandolo nelle pubblicazioni, ma anche nelle pubbliche relazioni.

         La conseguenza di tutto ciò è che si sta passando da un incedere individualistico e spontaneo, disordinato, ad uno organizzato, meno caotico. Pare però che l’incipiente star sistem leccese, che ne è il risvolto principale, non sia pilotato dagli scrittori, ma da agenzie estranee, che si pongono come veri e propri caporalati, approfittando dell’abbondanza di offerta, quasi senza costi. Eh sì, perché il costo di uno scrittore leccese è vicino allo zero. Non si registrano al momento casi di scrittori –tranne qualche millantatore- che dalla produzione traggano un sostentamento economico significativo.

         Ma il sollievo economico per uno scrittore leccese è irrilevante! Egli vive, infatti, in una società opulenta, che non manca del necessario per la sussistenza. E da qui, il prestigio, il successo, l’essere rinomati hanno una valenza superiore a quella economica. In tale direzione, molti acquisiscono anche dottorati di ricerca presso l’Università, dando più slancio, così, al proprio prestigio, obiettivo ultimo ed esclusivo. E stranamente tali ambizioni, muovono uno fra i settori economici emergenti e più di spicco del panorama leccese. Sull’ambizione, dunque, è imperniato un sistema di produzione complesso e articolato, di cui il caso leccese forse costituisce un esempio raro. Se infatti lo scrittore base leccese si ciba di gloria, questo suo incedere muove tuttavia un complesso di attività che generano ricchezza.

E così, se a livello nazionale si privilegia lo stesso sistema, ma con funzioni pedagogiche e soprattutto politiche, di orientamento del popolo e della coscienza popolare, nel leccese la questione attiene solo a logiche di prestigio, sebbene sul piano sociale abbia un rilievo di non poco conto, in termini di confronto e supremazia individuale e di gruppo e solo di rimando si traduce in ricchezza economica, ma mai per gli operatori di base, sostanziansodi il tutto e in definitva in una sorta di "Barocco Culturale".

 

Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla mia produzione di saggi, può cliccare qui:
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Chi fosse interessato, invece, alla mia produzione di letteratura economica può cliccare sul seguente link:
https://youtu.be/t1mKnYGyVC8 
 

 


venerdì 9 ottobre 2020

Recensione n°14: piccolo e prezioso il primo lavoro di Roberto Lupo – di Mauro Ragosta

 

            Poche settimane fa, sulla piazza culturale leccese, si è palesato il primo lavoro di Roberto Lupo, medico, a volte anche di prima linea, originario di Salve. Si tratta di un saggio tanto breve quanto prezioso, per noi Meridionali e salentini soprattutto, perché centrato sul fenomeno del tarantismo, che costituisce nelle sue forme originarie una questione passata, anche se, forse, non è da escludersi che ancora oggi sopravviva con vesti culturali e rituali diversi, attuali, che nascondono l’arcaicità di alcuni comportamenti, sulla cui natura con difficolta si riesce ad intravederne le funzioni.

            Al di là di ciò, il nostro Roberto non è un neofita nella produzione letteraria, questa volta, però, il suo sforzo s’è perfezionato e compiuto in una bella pubblicazione targata Museo Pietro Cavoti – Galatina, il cui titolo presenta una rara limpidezza: Tarantolismo, complicanze ed esiti. È un volume che fa parte di una collana, promossa proprio dal Museo Pietro Cavoti di Galatina e diretta dal professor Salvatore Luperto, che, designata con l’affascinante parola francese Chaier, si sostanzia in strumento di crescita e dibattitto, partendo dalle ampie attività e dalle non poche ramificazioni museali e non solo, del Cavoti, appunto, di Galatina.

 


            Come s’è marcato nell’incipit di questa recensione, il saggio del dottor Lupo, dunque, è breve, non andando oltre le trenta pagine. Tuttavia, non è azzardato affermare che in esso vengono toccati quasi tutti i punti nodali del fenomeno, o forse sarebbe meglio dire, della questione, legata al tarantismo o al tarantulismo. E ciò, non solo sotto il profilo disciplinare, ma anche nella proiezione spazio-temporale. E così, attraverso una prospettiva storica, giungendo sino ai mostri giorni, il nostro Lupo sintetizza, sovente con specifiche osservazioni personali, i cardini del fenomeno inquadrati dalle diverse discipline e dai più noti studiosi che si sono occupati del tarantismo.

            Si tratta di un’esaustiva ed entusiasmante carrellata di quasi tutte le ipotesi con le quali i diversi uomini di scienza e di cultura in qualche modo hanno cercato di spiegare le origini e, quando necessario, le funzioni del tarantismo. Tra queste non poche presentano tratti suggestivi ed intriganti, altre un po’ meno, perché troppo tecniche e palesemente incapaci di com-prendere un fenomeno complesso come quello che fino a qualche decennio addietro, nelle piazze salentine, muoveva ed agitava freneticamente le donne “morse” dal famosissimo ragno.

            E così tracciando le diverse prospettive d’analisi, Roberto Lupo illustra le determinazioni che nel tempo si sono formulate in campo medico, psichiatrico, psicologico, biologico, psicosociologico, antropologico e sociologico. Se ne illustrano i vari aspetti, dove tuttavia Lupo sembra sottolineare che si tratti di un fenomeno che ha radici, origini e dinamiche composite, e nel quale non pochi elementi di carattere rituale e simbolico, forse anche esoterico, si producono in qualcosa la cui valenza sembra duplice, ovvero bivalente, producendosi e proiettandosi, infatti, nella prospettiva individuale, da una parte, e nella prospettiva collettiva, dall’altra. In definitiva, si spinge a guardare al di là della tarantata in sé, quasi a voler suggerire una prospettiva in qualche modo collettiva, fino ad una dimensione “olistica”.

            Roberto Lupo, peraltro, fa capire che forse il tarantolismo non è mai scomparso e che trova una chiave moderna di espressione, in noti fenomeni di massa, che solo apparentemente si presentano scollegati rispetto a pratiche e prassi antiche, originarie…senza tempo.

            A corredo della sezione letteraria del bel volume di Lupo, quale appunto Tarantolismo, complicanze ed esiti, presentato già varie volte in provincia di Lecce, a partire dallo scorso agosto, numerose sono le fotografie d’epoca di Giovanni Valentini, che illustrano le ultime realtà pubbliche legate al tarantismo nel centro galatinese, in una prospettiva storica, in quella che, in definitiva, conosciamo, in una consapevolezza, insomma, ordinaria, che apparentemente manca di molti elementi di non poco rilievo.

 

Mauro Ragosta

           

martedì 29 settembre 2020

Punto Nave: settembre 2020 – di Mauro Ragosta

 

 
           

            Ed eccoci qui al consueto appuntamento di fine mese col bilancio di Maison Ragosta. Settembre, si sa, è un mese di passaggio: lentamente vengono dismesse le attività vacanziere e, con sempre maggior forza, si prendono gli attrezzi da lavoro. È  dunque, settembre, un mese che non presenta connotazioni unidirezionali e monolitiche, soprattutto se si considera che non più di due settimane fa si è tenuta un’importante tornata elettorale.

              La chiamata alle urne del 20 e 21 settembre è stata piuttosto tranquilla, anche perché la campagna elettorale che l’ha preceduta non ha assunto connotazioni particolarmente veementi. Pochi i colpi di scena, insomma, e la partecipazione dell’elettorato (attivo) si è mossa in schemi alquanto ordinari, quasi fosse una routine quotidiana. Forse il popolo è stanco di essere chiamato in causa ogni anno, dopo essere stato sollecitato per mesi in direzione del momento elettorale. Insomma, la prova delle urne, in Italia, da questione apicale, straordinaria e decisiva è diventata il déjà vu, l’incedere monotono di ogni anno……quasi noiosa.

            Da noi, in Puglia, ha vinto la sinistra, che pare oramai essere il luogo delle migrazioni. All’attento osservatore appare chiaro che, oggi il punto di forza della sinistra in Puglia, siano infatti i migranti di tutti i tipi, da quelli che vengono dai paesi extracomunitari a quelli che vengono dalla destra politica. La sinistra, dunque? Il luogo dell’accoglienza, potrebbe dirsi. D’altro canto, il capitano con i sergenti ed i caporali, riescono sempre a predisporre luoghi comodi e “pasti caldi” per tutti.

            Non è azzardato affermare che la sinistra sia di fatto un grande calderone etnico-politico ed economico. Sul piano più strettamente politico, tuttavia, sbaglia chi afferma che si tratti di trasformismo. Siamo, in effetti, in presenza di un vero e proprio esodo dalle posizioni di destra verso quelle di sinistra. E, solo una è la direzione! Un esodo che oramai si sta strutturando, anzi cronicizzando, a tal punto che la bicentenaria diade, destra-sinistra, comincia, in maniera vistosa, a perdere di significato, costituendo sempre meno un momento identitario o un sicuro punto di riferimento sociale, e, in definitiva, sta così dissolvendo la sua qualità di strumento di lettura della Realtà.

            E la destra? Perde pezzi o fa finta di perdere pezzi?

            Sul piano culturale, in settembre molte sono state le attività che hanno ripreso velocità nel Mondo dell’intrattenimento e della felice distrazione. Il Lecce, seppur con risultati non sorprendenti, ha ricominciato ad animare le grandi discussioni dei salentini. Su altro versante, il mondo del libro e del teatro, ma anche quello della musica e della poesia stanno registrando una vivacità tipica dei tempi preCovid.

            V’è da notare, tuttavia, che il mondo degli eventi mostra dinamiche diverse sul piano territoriale. E ciò nel senso che, mentre a Lecce città questo non ha mutato gli schemi qualitativi, nella provincia invece, in tale direzione si respirano atmosfere superiori, più evolute e raffinate. È ipotizzabile che la provincia nella rincorsa imitativa del capoluogo, lo abbia abbondantemente superato, sebbene non sia fuor di luogo ipotizzare che, questa non se ne sia accorta. Ciò possibile perché mentre a Lecce si sono cristallizzate alcune posizioni monopolistiche, nelle quali si pone attenzione solo a gestire e conservare il potere di cui godono, posizioni che di fatto impediscono una crescita veloce, o comunque una crescita, nella provincia, invece, si sceglie il meglio e si opera con estrema attenzione ed impegno, si esce dagli schemi tradizionali.

            Venendo al piano economico e del lavoro, lo shock-covid non mostra chiari ancora i suoi effetti, che forse si evidenzieranno nella loro effettiva portata solo nel prossimo mese. Al momento, si sanno solo poche cose e cioè che si è in presenza di una contrazione del numero degli occupati, circostanza questa che tuttavia non si traduce in un aumento della disoccupazione. La vera novità della Grande Crisi del 2020 è il forte incremento di gente che ha gettato la spugna e non cerca più lavoro. Insomma, sempre maggiore è la quantità di persone che hanno abbandonato il mondo del lavoro, un lavoro, tra le altre, che sta cambiando anche di significato, oltre che di modalità. Stiamo forse entrando in un’altra civiltà? Stiamo forse cambiando il paradigma tradizionale con cui ci approcciamo alla vita?

 

Mauro Ragosta

 

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui:https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 


sabato 26 settembre 2020

Ritratto foto-letteraio n°11: Patrizia Chiriacò - di Mauro Ragosta

Patrizia Chiriacò, donna tanto dolce e soave quanto energica e determinata, una leccese adottata da Gallipoli, che negli ultimi anni si sta affermando come pittrice, non solo nel Salento, e in una progressione spiccatamente geometrica. Colori tenui e forme sfumate ciò che imprime nei suoi quadri, ma allo stesso tempo, opere queste con una carica energetica ed emotiva, che irrompono nell’animo dell’osservatore, senza dargli la possibilità di capirne i perché di tale forza, di una siffatta possanza e consistenza da rimanere indelebili nell’animo e negli occhi. Di tanto è capace Patrizia Chiriacò.


La conobbi circa due anni fa, in primavera, ai tavolini del bar White a Lecce, per un caffé, e nonostante il mio essere irruento, largo, che tutto richiede, questo rimase inseminato dalle specifiche della sua carica di vita, che nel tempo sono cresciute nel mio animo e nel mio intelletto, sino ai nostri giorni quando le ho chiesto di ritrarla col mio piccolo attrezzo fotografico. Forte è stata la necessità di fissarla in alcuni scatti, di fermarla in alcuni fotogrammi, i quali da sempre sono un punto d’arrivo e un punto di partenza per chi fotografa e per chi viene fotografato. E così, procedendo a passo d’uomo, sono riuscito a realizzare il materiale che qui propongo ai lettori di Maison Ragosta, nella speranza che in qualche maniera questo rilasci le essenze, gli effluvi e le atmosfere della nostra Chiriacò.

Parafrasando Robert Musil, Patrizia è donna “senza qualità”, completa dunque: è moglie, madre, figlia, nonna e, allo stesso tempo, pittrice, frequentatrice di eventi culturali e mondani, attenta operatrice sociale, amica con spiccate capacità relazionali, nelle quali trova sempre le giuste misure e le giuste parole, i giusti sguardi, la migliore postura per ogni occasione.


La nostra Chiriacò è approdata con i suoi pennelli, alle attuali forme espressive, dopo lunghi anni di esercizi, prove, riflessioni, studi. Insomma, un percorso che non sempre è stato facile, soprattutto sotto il profilo intellettivo e negli aspetti esistenziali. Nel suo percorso formativo decisive sono state le influenze di eminenti artisti leccesi, quali Giancarlo Moscara e Oronzo Castelluccio. Molto importante è stata anche la vicinanza ad Ilderosa Laudisa, di cui, negli anni ’80, è stata allieva attenta e sagace.

Sul finire degli anni ’90, Patrizia inizia il suo percorso di docente, lasciando impronte profonde nei suoi allievi e nelle sue allieve, che oggi si cominciano a vedere chiare in certe espressioni artistiche. Ad ogni modo, realizza la sua prima mostra a Gallipoli nel 2006 e nel 2010 espone nella bellissima Galleria dei Due Mari, sempre di Gallipoli. Negli ultimi lustri, in ogni caso, diverse sono state le sue personali, non disdegnando le collettive.

Quest’anno Patrizia ha anche aperto un suo studio a Lecce, dove tra le altre, lavora anche come interior designer. Una vita la sua, in definitiva, che va componendosi in un articolatissimo puzzle, in tutte le prospettive, ovvero quella presente, ma anche quelle passate e future. Ecco, Patrizia è una pittrice che oggi, di certo sa esprimere bene i suoi senti-menti sulla tela, ma è donna che ha anche tanto da raccontare e molto interessanti sono i suoi sogni, le sue proiezioni in avanti, che sempre si producono in qualcosa di luminoso, sebbene in maniera magicamente discreta.

Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui:https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 

 


giovedì 24 settembre 2020

Pensatori Contemporanei (parte sesta): Gianteresio Vattimo – di Grazia Renis e Mauro Ragosta

Da tempo, ormai, abbiamo introdotto la rubrica sui pensatori contemporanei, in uno scenario proteso ad avere una visione e una significativa comprensione del Relativismo, come negazione di verità assolute.  Ed oggi, dopo aver dissertato sul pensiero di Karl Popper, Ralf Dahrendorf, Norberto Bobbio e Zygmunt Bauman, prenderemo in esame il pensiero di uno dei più importanti filosofi italiani del nostro tempo, ovvero Gianteresio Vattimo, detto Gianni. Si tratta, quest’ultimo, di uno studioso che ha operato un’accelerazione e una sterzata decisa in senso cristiano-cattolica su orientamenti oramai secolari, con riferimento al relativismo, ovviamente. Vattimo, infatti, giunge ad affermare il “non essere e non esserci” come vera evoluzione dell’individuo, che tradotto in termini catechistici vede “l’amore al nemico” come un autentico atto di libertà e di liberazione, dove il perdono è lo strumento principe. E qui va subito sottolineato che per Vattimo il messaggio cristiano si innesta sul pensiero relativista, risultando ovviamente vicino a Bergoglio e distante, molto distante, da Ratzinger. Ma andiamo per ordine.

            Vattimo, secondo di due figli, nasce a Torino il 4 gennaio del 1936. Il padre è un poliziotto di origini calabresi, mentre la madre è una sarta. Durante il periodo giovanile studia al Classico presso il Vincenzo Gioberti ed è un attivista della Gioventù Studentesca di Azione cattolica. In un’intervista del 2016 si definì come un cattolico militante, che, influenzato dalla lettura di Jacques Maritain, Emmanuel Mounier e George Bernanos, è giunto alla Fede e ad un completo disinteresse per il razionalismo storico, l’Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx.

            Studioso di Friedrich Nietzsche e di Martin Heidegger, fu allievo di Luigi Pareyson, e assieme ad Umberto Eco, con cui ha condiviso l’amicizia e molti interessi, si è laureato in Filosofia nel 1959 a Torino. Già negli anni Cinquanta, appunto, lavora a diversi programmi culturali della RAI. Nel 1964 diventa Professore Incaricato e nel 1969 Ordinario di Estetica presso l’Università di Torino, nella quale è stato, negli anni ’70, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Dal 2008 è Professore Emerito. Durante la sua carriera, poi, ha insegnato e tenuto seminari negli Stati Uniti e in diversi Paesi del Mondo.

            In ambito giornalistico, Vattimo è stato editorialista per La Stampa, La Repubblica e L’Espresso, mentre in ambito scientifico è stato direttore della Rivista di Estetica, nonché membro di comitati scientifici di non poche riviste italiane e straniere. In più è Socio Corrispondente dell’Accademia delle Scienza di Torino. Attualmente, dirige la rivista Tropos. Per le sue opere ha ricevuto honoris causa la laurea dalle Università di Palermo, Madrid, La Plata e Lima.

            Sotto il profilo più strettamente politico è stato attivista del Partito radicale e successivamente, dopo il 1999, dei Democratici di Sinistra. Da qui è entrato nel Partito dei Comunisti Italiani. E rivendicando proprio le sue origini comuniste, il 30 marzo del 2009 si è candidato al Parlamento Europeo nelle liste dell’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest.

            Il suo ideale politico-religioso si riassume in una forma da lui definita “comunismo cristiano” e “comunismo ermeneutico”. Un ideale, quello di Vattimo, antidogmatico di “comunismo debole” nel pensiero e nell’essere, che si ispira alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone alla violenza dell’industrializzazione forzata e dello stalinismo in genere, così come non condivide le tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza.

Gianni Vattimo è tra i massimi esponenti della corrente postmoderna, termine coniato da Jean-Francois Lyotard negli anni ’70, e ritiene che il passaggio dal moderno al postmoderno si configuri come un passaggio da un “pensiero forte” ad un “pensiero debole”. Questo mutamento, foriero dell’indebolimento dell’Essere, è legato in modo consustanziale al tempo in cui viviamo, ed è, secondo Vattimo, la cifra della modernità, il prezzo ultimo da pagare in termini esistenziali, dove si assiste a una frammentazione dell’identità e all’incapacità dell’individuo di interiorizzare norme etiche. In questo degrado esistenziale vi è la scomparsa del soggetto umano, che tuttavia ritrova paradossalmente la sua libertà.

In altra prospettiva, Vattimo ritiene che la nostra cultura considera l’ESSERE come oggettività, di conseguenza un involucro, una forma vuota. Ne consegue una carenza di progettualità e distacco dai valori dove, l’individuo è coinvolto in un’accelerazione senza direzione, manipolato dal pensiero tecno-indotto, che inibisce sempre di più la sua azione, la sua curiosità, la memoria e lo spirito critico, e da qui, si conclude in un senso di isolamento e solitudine nonché alla compulsione nell’utilizzo di mezzi tecnologici. Inoltre, il venir meno della Scuola come agente di socializzazione e orientamento di valori, ha fatto sì che i giovani non abbiano più né i grandi maestri del passato, né i punti di riferimento nel presente. “Un mondo”, scrive Vattimo, “che sfugge sempre di più alla nostra possibilità di controllo e comprensione”, dove i mass-media la fanno da padrone sul radicamento, l’esplosione e la moltiplicazione di Weltanschaungen, ovvero di visioni del mondo.

Ed ecco che il “pensiero debole” si presenta esplicitamente come una forma di nichilismo, in una società fatta di "mezze verità". La perdita di centro e l'erosione del principio di realtà pongono le premesse sia per un tipo di uomo che non ha più bisogno di recuperare nevroticamente le figure rassicuranti dell'infanzia, sia per quella liberazione delle differenze che è propria del post-moderno. Soprattutto nella raccolta di saggi "Nichilismo ed emancipazione" (2003), Vattimo mette così in luce che, proprio nella società postmoderna, l'emancipazione è resa possibile dal nichilismo, ovvero questa si realizza nella misura in cui il mondo vero diviene favola e gli assoluti vengono meno, dandosi quindi la possibilità di una reale emancipazione, quel salto verso la libertà e la liberazione, dunque, che né il marxismo né il cristianesimo dogmatico, sono stati in grado di realizzare.

 

 

Mauro Ragosta e Grazia Renis

 

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui:https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q