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martedì 30 marzo 2021

Saperi & Sapori (parte quarta): il vino – di Antonella Ventura

 

In questo tempo, profondamente toccato da gravi sconvolgimenti sociali ed economici a livello mondiale, teatro di desolazione, frustrazione, cadute fisiche e lavorative per molti, e soprattutto di paura per un futuro che sembra sempre più incerto, tinto di colori che inquietano, vorrei soffermare l’attenzione dei lettori di Maison Ragosta, solo per il tempo necessario alla disamina di queste poche righe, su un’antica quanto importante bevanda: il vino. Perché vino oggi? Inutile dissertare su una bevanda che perde le sue origini nella notte dei tempi? Il Mondo in questo momento difficile da attraversare, lento e monotono, pieno di vuoti, ha bisogno di poetica, di astrazioni accattivanti, di anima, per ritrovarsi, per in qualche modo riconciliarsi e per quel che è possibile ricucire il proprio rapporto con la Realtà e le sue illusioni, che rendono la vita sopportabile, dove proprio il calice antico di nettare e sangue degli dei ne è il simbolo. Il vino è infatti, in tutte le declinazioni simbolico-religiose è vita, vita pulsante ai massimi livelli. È la follia(?) dell’ubriaco e dei suoi baccanali.

            A volte l’uomo se è sobrio ha bisogno di maschere per sentirsi libero di tirare fuori se stesso. Ma non così col Vino, grande ispiratore di arte, amico dell’eros, della buona compagnia e dell’amicizia, bevanda che anima da sempre le più importanti tradizioni, fonte di attività e sviluppo economico. Calice che rallegra, nutre, sia i meno abbienti, mettendo a disposizione preziose calorie, sia gli amanti della buona tavola, che attraverso l’accostamento con il cibo ne esaltano gusto e sapore.

Questa bevanda, il vino appunto, ottenuta dal processo di fermentazione del mosto dopo la pigiatura dell’uva, si differenzia in vino rosso con la fermentazione a cappello galleggiante e a cappello sommerso, finito di invecchiare, a volte in botti di legno o barrique, e vino bianco che dopo la pigiatura perde la parte solida e ottiene la sua fermentazione in vasche a basse temperature o refrigeranti. Un discorso a parte va fatto per i rosati, inventati e messi a punto proprio qui nel Salento. Noto è che l’inventore e il primo commercializzatore di vino rosato (Five Roses!) fu Leone de Castris di Salice Salentino, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale. Alle origini il vino rosato era il risultato della mescolanza di vari tipi di uva; oggi, invece, è ottenuto da un tipo di uva naturalmente povera di materia colorante, varietà meno numerose delle altre due, e solitamente vinificate in purezza per non perderne la tipicità.

Ma quando si beve un calice di vino, non si sta compiendo una semplice attività di alimentazione o degustazione. Il vino, in particolari frangenti, è anche uno strumento liberatorio delle forze originarie dell’uomo e, in tale prospettiva, è un simbolo esoterico-religioso. Un mezzo che paradossalmente consente all’Uomo di conservare e mantenere la sua umanità.

Nella Civiltà classica, la forza, la guerra ed il sesso racchiudevano valenze centrali per la vita dell’individuo. E il vino era strumento e , allo stesso tempo, simbolo, che liberava le forze sessuali. I baccanali e i riti dionisiaci, ma anche i riti eleusini erano volti a far ritrovare all’uomo la sua dimensione originaria, furiosa e selvaggia, dove il caos era principe di tutte le cose.

 Sin dall’origine, il vino ha permesso all’uomo di riscoprirsi nella sua interezza, tant’è che dagli antichi greci, gli verrà attribuito il dio Dionisio come protettore, fanciullo dall’aspetto bello e innocente, ma anche satiro, il dio della contraddizione, in nome del quale, le sacerdotesse celebravano riti orgiastici “per fare a pezzi l’uomo” il maschio, il detentore del potere, colui che vuole stabilire la legge togliendo il potere agli dei, a ristabilire l’equilibrio naturale delle cose, ben percependo che, lì dove sussiste una società prettamente patricentrica e basata sul visibile e l’oggettivo, a morire è il femmineo, la luna, la zona d’ombra, l’anima, la poetica. L’ebbrezza, il vino, quindi, per sentire concretamente e non astrattamente l’anima, filosofia intesa come conoscenza di un tutto, che non distingue e separa le cose, per perdere, dunque, il senso univoco dato dagli Uomini, e attribuire valenza distinta, ma non separata al non visibile.

Nella nostra Civiltà, quella cristiana, il vino simboleggia il sangue di Cristo, il sangue dell’innocente e dell’innocenza, che vengono sacrificati per riacquistare quella dimensione selvaggia, antica e originaria, necessaria, paradossalmente, allo sviluppo dell’Uomo. Le dimensioni del razionale e della Ragione, della matematica, nella nostra Civiltà da sole non bastano per reggerla e sopportarla: ci vuole il sangue dell’innocente, di Cristo dunque. Una Civiltà che ha bisogno e deve negare la Verità, Cristo appunto, per sopravvivere e svilupparsi nelle direzioni tracciate dai suoi fondatori. Bere al calice del sacerdote è dunque azione che tutela e conserva la nostra Civiltà, oltre che proiettarla verso il futuro.

Al di là di ciò, oggi, il vino sul piano strettamente alimentare, non è più visto come un’abitudine casereccia della tavola quotidiana, ma una vera e propria scienza, una specifica cultura enologica, che attraverso la figura proprio dell’enologo, si arricchisce di dettagli che parlano del territorio di appartenenza, che parlano di chi li propone, e che si rispecchiano nella personalità, nelle aspettative e nella cultura di chi lo gusta.

L’attenzione, qui si ferma sui vigneti pugliesi ed in particolare salentini, dominati in maniera incontrastata dai vitigni a bacca rossa, che ricoprono più dell’ottanta per cento del territorio: Negroamaro e Primitivo, seguiti dal Malvasia e dal Susumaniello, dal Bombino, che può anche avere bacca bianca. E non più esclusivamente vino sfuso da tavola, quindi ma vino di alta qualità (V.Q.P.R.D.), con indicazione geografica tipica, di denominazione di origine controllata(D.O.C.) o di origine controllata garantita (D.O.C.G.), che esprimono con la loro vite, l’incontro diretto con la terra e con chi si prende cura di lei da sempre (il viticoltore) e negli ultimi anni vino ispirato, reinventato e rivalutato attraverso la nuova figura dell’enologo.

Bottiglie ricercate con sensazioni di sapidità che raccontano della terra, attraverso il contenuto delle sostanze minerali disciolte e molto più apprezzabili in assenza di tannini che ne sovrasterebbero il gusto. Ecco che a seconda dell’ambiente pedoclimatico (terreno freddo, caldo, vicinanza al mare, terreni salmastri, ecc) assumono corposità, sensazioni e aromi, dando armonia non solo gustativa ma anche olfattiva con fragranze fruttate o floreali uniche. Vini su larga scelta molto importanti se si vuole creare un’affinità di profumi e sapori a ogni piatto. Carte dei vini che girano intorno al brand al ristorante e che raccontano del territorio e della cultura che lo rappresenta, perché la storia di una bottiglia possa sapere affascinare e conquistare prima con le parole poi con il gusto e l’olfatto.

Vino-filosofia quindi, immagine tradizione, storia, anima che oggi più che mai, deve fare della comunicazione la sua forza, da lasciare ai posteri come ricchezza di una bella storia di umanità e cuore.

 

Antonella Ventura

 


mercoledì 24 marzo 2021

La Scienza e la Medicina? Solo opinioni e nulla più? - di Mauro Ragosta

  

            E così anche la Scienza e la Medicina sono state palesemente ridotte ad opinione, come è giusto che sia, dal momento che ambedue rappresentano delle possibilità di interpretazione e gestione della Realtà. Proprio la questione Coronavirus ha disvelato con forza che esistono una Scienza e una Medicina di Regime ed una Scienza ed una Medicina non di Regime. Insomma, due possibilità, due proiezioni, dove la prima è imposta e l’altra è relegata, per così dire, o come al solito, al ruolo di “opposizione”. Certamente, molti studiosi si stanno impegnando per formulare un’accettabile “Teoria del Tutto”, ma rimaniamo pur sempre a livello di teoria: la Realtà e la pratica, come l’implementazione sono, ovviamente, altre cose.

            Partendo da ciò, è più che evidente che siamo in un Sistema che impone una delle possibili interpretazioni della Realtà e dunque del Coronavirus, tracimando ogni principio democratico, che rimane, forse come sempre lo è stato, un fatto puramente amministrativo-contabile: insomma una pratica fatta solo di carte e parole, per il resto….come del resto ben messo in evidenza in tutta la manualistica accademica.

            La questione veramente strana, se non comica, è che fino all’altro ieri il Capitalismo brandeggiava tutte le teorie e le opinioni legate alle famose determinazioni del “grande” Einstein, che ora pare essere caduto in disgrazia. E così dal Relativismo in tutte le salse siamo passati all’Assolutismo, e da qui al poliziesco.

            Le poche persone libere che pensano, lasciando da parte la visione popolare che vive di certezze e possibilità di perfezioni, sanno che ogni azione comporta delle controindicazioni, degli effetti indesiderati. Ora, qui ci si chiede, ed è lecito: il “Governo” ha avvertito e declinato i danni che derivano dallo stato d’emergenza e dalla sua applicazione? Quali le controindicazioni? Non certo saranno tutti benefici! Ma su questo si tace e si dà spazio agli strilloni professionisti (probabilmente anche ben pagati) che incutono terrore. A ciò si aggiunga il “Coro della Chiesa” per il quale su qualsiasi Media ci si sintonizzi non v’è pace, dovendo subire le statistiche del Coronavirus.

            In tutto questo, il “Governo” ha pensato di indagare ed illustrare che tipo di dinamica hanno avuto le malattie mentali, il consumo degli psicofarmaci in questo periodo, Tempo del Coronavirus? Al riguardo, su Internet pare veramente eroico riuscire a trovare uno straccio di statistica, in una prospettiva storica. Motivo per il quale, nulla si sa quanto stia reggendo il popolo italiano allo stress del bombardamento da Coronavirus. E in tale direzione, si chiede ancora al “Governo”: come dovremmo considerare l’ammontare delle multe, che sfiorano il guadagno di un mese di un lavoratore? Che tipo di punizione si vuole infierire? Ridurre alla fame il trasgressore? Ecco, diamogli pure qualche frustata, e così stiamo veramente a posto.

            Essendo, dunque, la grande questione del Coronavirus un argomento legato eminentemente al mondo delle opinioni, qualcuno si aspetterà che illustriamo gli interessi legati all’uso di una o l’altra prospettiva, ovviamente opinabile. Non sarà così. Sappiamo solo che la grande intuizione di Einstein ha condotto al Relativismo, e che declinata in tutte le salse si pone alla base del Consumismo e dunque di un certo Sistema, il quale ha governato sino ad oggi. Oggi si cambia. Se prima era tutto relativo, oggi viviamo nel mondo delle certezze che il “Governo” ha imposto.

            Ora dove tutto ciò porterà, pochi lo sanno. E però tutto quello che si vede è che in Italia vi è stata un’accelerazione importante nell’uso dell’informatica in tutti gli aspetti dell’esistenza del cittadino comune. E così il “Governo” ha prodotto, in breve termine, un popolo fortemente informatizzato. In altre parole, siamo stati violentemente strappati dalla Realtà per accedere in una dimensione lontana da questa, e che peraltro non conosciamo, nella quale siamo, come si dice a Lecce “li ciucci a 'mienzu li sueni”, tra le altre con delle possibilità di difesa e resistenza ai soprusi quasi inesistente…….  

Mauro Ragosta

Chi fosse interessato alla mia produzione di letteratura economica può cliccare sul seguente link:
https://youtu.be/t1mKnYGyVC8 

 

 

lunedì 22 marzo 2021

Dantedì - Lettura della Divina Commedia non stop, in live streaming, il 25 marzo 2021

 


    Il tributo al Sommo Poeta, quest’anno nel 700° della sua morte, è onorato anche dall’iniziativa di San Giuliano Milanese con il coinvolgimento di semplici cittadini, associazioni e la collaborazione del Comune. 100 lettori per cento canti, dalle 10,30 alle 22,30. Ogni lettore e lettrice dovrà leggere in una staffetta non stop un Canto della Divina Commedia in 8 minuti. La maratona prevede una conferenza letteraria introduttiva il 20 marzo alle ore 18,00 con la relazione del prof. Giorgio Battistella sulla figura di Dante e sui significati didascalici e allegorici della Divina Commedia con lettura e commento del I Canto, a cura della Associazione Regionale Pugliesi di Milano, che collabora per la riuscita dell’iniziativa di grande valore poetico con l’Associazione Culturale Orizzonte e il Comune di San Giuliano Milanese, il quale ha predisposto la piattaforma online per la lunga diretta di 12 ore del 25 marzo, il Dantedì, giorno a lui dedicato dal Ministero della Cultura. L’evento, che vede coinvolti in primo luogo i cittadini di San Giuliano Milanese, si estende fino a coinvolgere tutta Italia e anche la nostra comunità di italiani emigrati in Canada con la partecipazione di una nostra connazionale 90enne, arcidantista sfegatata. Partecipano cittadini, associazioni e compagnie teatrali amatoriali locali e di altre zone fra cui gli Arciallegri di Segrate (Mi) e il Laboratorio Teatrale dell’Università Popolare Aldo Vallone di Galatina (Le). La conferenza del prof. Giorgio Battistella su Dante e sulla Divina Commedia e la lettura con commento del I Canto di sabato 20 marzo ore 18:00 è su ZOOM al link:

 https://us02web.zoom.us/j/85279934569?pwd=WjFJdkp2V3h2ZFh1NE9ibkY2Qm9iQT09

 

    Diretta sul gruppo "Terre di Puglia" https://www.facebook.com/groups/86335590281, da pagina Terre di Puglia   https://www.facebook.com/terre.puglia Nei prossimi giorni verrà comunicato il link per assistere alla diretta in live streaming del 25 marzo. Info: associazione.orizzonte2014@gmail.com, tel. 334 3774168 e Comune di San Giuliano Milanese, Ufficio Cultura, tel. 02 98207362, https://sangiulianonline.it/

 

San Giuliano Milanese, 16/03/2021

                                                                                                         Paolo Rausa

                                                                                              

 

 

giovedì 18 marzo 2021

Recensione n°17 - “Il tempo e l’acqua”.... i miti e la saggezza con Andri Sanaer Magnason - di Paolo Rausa

 

Andri Snaer Magnason, classe 1973, è narratore, poeta e drammaturgo islandese. E soprattutto figlio della Terra, come lo siamo tutti noi, ma premuroso e consapevole dei rischi che sta correndo il nostro pianeta per le conseguenze del riscaldamento globale. Laureato in lettere all’Università d’Islanda nel 1977 e subito dopo impiegato all’Istituto di studi medievali della facoltà, viene qui a contatto con il patrimonio della tradizione manoscritta del popolo islandese e con i miti e le leggende dei popoli del nord. Una cultura elaborata in un habitat naturale specifico che ha costituito l’essenza di un rapporto con la vita e l’ambiente circostante: il mare innanzitutto, i ghiacciai, gli animali e gli uccelli. Proprio questa visione ora si sta decomponendo sotto i colpi delle attività umane che hanno degradato l’ambiente naturale, con lo scioglimento dei ghiacciai e l’acidificazione dei mari.

Dalla letteratura alla scienza: Magnason è rigoroso  nel percorrere tutti gli aspetti di questa morte annunciata, se non fermiamo il treno del progresso “inarrestabile”. Il profitto prima di tutto, mentre tutti gli elementi che gli scienziati continuano a servire sulla nostra tavola sono sottovalutati, se non trascurati del tutto. Sa bene l’autore che la storia dell’umanità è stata un glorioso incedere verso il superamento delle condizioni non facili che ha dovuto affrontare nel corso del tempo per le difficoltà a reperire cibo bastevole, a disporre dell’acqua o a combattere le malattie che rendono l’esistenza precaria e fragile. Molte guerre per il predominio hanno insanguinato le lande di ogni area geografica e l’uomo si è imposto su tutti gli altri esseri della terra, oltre a sottomettere popoli di culture diverse, che potevano a prima vista sembrare più deboli. A che prezzo! “Siamo l’ultima generazione che può salvare la Terra dalla distruzione irreversibile.”, la sua preoccupazione. Una situazione che richiede scelte coraggiose da parte di ciascuno di noi, ma soprattutto decisioni urgenti da parte del consesso delle nazioni, una collaborazione per raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi ed evitare che il riscaldamento globale superi gli 1,5 gradi centigradi e azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050. “Il tempo e l’acqua” diventano il termine di paragone per saggiare la temperatura della terra e i suoi limiti. Il tempo non è più infinito e l’acqua non fluisce limpida ma si surriscalda e si acidifica con grande danno per tutti gli esseri viventi, animali e vegetali, dal momento che gli oceani hanno la funzione vitale di trasformare per il 60% la CO2 in ossigeno e così le zone umide che ci affrettiamo a ricoprire e a drenare. Abbiamo quasi distrutto le barriere coralline e non si sentono in giro grida di peana per le misere condizioni in cui abbiamo ridotto la terra.

L’autore parte dal passato della sua terra e dei suoi progenitori, valorizzando il lascito culturale equilibrato rispetto alle risorse che l’ambiente forniva e guarda al futuro, ai suoi figli, ai nipoti e pronipoti che verranno. Non possiamo consegnare la terra così malridotta a chi verrà dopo di noi. “Abbiamo ricevuto un paradiso e lo stiamo distruggendo.” è il suo grido di dolore. Cerca conforto e lo trova nelle parole nobili del Dalai Lama che intervista due volte, in Islanda e in India. Lo colpiscono le sue parole sagge, sulla necessità di insegnare la bontà d’animo come presupposto per fare pace con il pianeta e gli esseri viventi, animali e vegetali. “Tutti gli esseri viventi hanno il diritto alla vita. Le piante sono parte della natura e in senso più ampio anche noi siamo parte di loro. Senza le piante non possiamo vivere. E poi ci sono uccelli e animali che, secondo il buddhismo, sono esseri senzienti, e a loro dobbiamo estendere affetto e amore.” Il messaggio del Dalai lama, a lui affidato, è universale e oramai irresistibile. Abbiamo molte alternative al consumo di petrolio e alla fame di cemento e asfalto, utilizziamole: l’energia eolica, quella termica e solare. Abbiamo compiuto molti passi in avanti. Gli ultimi trenta anni sono stati l’epoca dei computer, dei telefoni, di internet e dell’intrattenimento di massa, scrive Magnason. Facciamo in modo di non sprecarli e porre fine a questo meraviglioso libro che è la storia dell’umanità. In che modo? Rivedendo quasi tutta l’eredità che ci ha lascato il XX secolo e riconsiderando “i nostri regimi alimentari, la moda, la tecnologia, i mezzi di trasporto, tutta la produzione e i consumi.”

In questo programma Magnason condensa la missione della nostra generazione: riduzione degli spechi alimentari; incremento dell’energia solare ed eolica; tutela dei boschi, rimboschimento e rispristino delle zone umide e delle foreste pluviali; empowerment femminile con la parità dei diritti, definita “una delle soluzioni principali per i problemi ambientali”. Se c’è qualcosa che possiamo apprendere dalla pandemia è la necessità di far tesoro dell’esperienza e dell’immensa sofferenza che ha causato. Dobbiamo applicarla al futuro del nostro pianeta, per proteggere il fondamento della vita e consegnarlo ai nostri cari, perché sia tramandato e non inesorabilmente interrotto. Il tempo e l’acqua, Iperborea editore, Milano 2020, pp. 333.

 

San Giuliano Milanese, marzo 2021

                                                                                              PAOLO RAUSA   

 



lunedì 15 marzo 2021

Collaborare con Maison Ragosta

        


           Con la presente comunicazione si informa, a chi fosse interessato, che Maison Ragosta -rivista on line bisettimanale, di cultura e intrattenimento, attiva da gennaio 2019- valuta candidature per la selezione di un collaboratore da inserire nel suo attuale gruppo di lavoro, a partire dal 1°giugno 2021.
 
            Si precisa che, per i candidati sono indispensabili una buona conoscenza della lingua italiana, una soddisfacente cultura interdisciplinare e una significativa propensione alla ricerca, nell’ambito delle scienze molli. Per la selezione non avranno valore determinante né i titoli di studio né i titoli accademici e neppure il curriculum, attinente agli studi e ai pregressi professionali, di lavoro e letterari. Particolarmente graditi saranno i candidati di età compresa tra 20 e massimo 30 anni o tra 50 e massimo 65 anni, residenti in provincia di Lecce o in provincia di Brindisi.
            I candidati, inoltre, dovranno essere disponibili a frequentare, con precisione e puntualità, un corso specializzato e personalizzato, che insisterà su temi di stile e politica della comunicazione, attraverso alcune full immersion (minimo 2, massimo 4) le quali verranno sviluppate nell’arco di 50 giorni e che, ad ogni modo, non si protrarranno oltre il 30 maggio 2021.
            A tal proposito, gli interessati possono utilizzare il canale comunicativo che reputano più adeguato ed opportuno per le procedure di primo contatto, tenendo in considerazione anche dell’opportunità di poter ricorrere ad un approccio telefonico, utilizzando -preferibilmente dalle ore 10:00 alle ore 12:00 e dal lunedì al venerdì- il seguente numero: 340-5230725.

Mauro Ragosta

 

sabato 13 marzo 2021

Pensatori Contemporanei (Parte settima): Massimo Recalcati – di Grazia Renis e Mauro Ragosta

 

            Nelle parti precedenti di questa rubrica, i Pensatori Contemporanei appunto, si è centrata l’attenzione su coloro che hanno avuto un ruolo di primo piano per l’insediamento e lo sviluppo del pensiero relativista, o del pensiero debole, volendo usare la terminologia cara a Gianteresio Vattino, posto sotto la nostra “lente di ingrandimento” nella parte a questa precedente. E tutto ciò, mettendo in luce le principali caratteristiche delle conseguenze del relativismo, ovvero la libertà di pensiero, la libertà d’azione e la libertà di parola, i cui risvolti salienti sono il disorientamento esistenziale e la trasformazione dell’individuo in soggetto prevalentemente consumistico. Un pensiero quello relativista, tutto funzionale non solo allo sviluppo, ma anche alla piena affermazione del capitalismo, il quale, proprio e soprattutto a causa di questo pensiero, è stato condotto, forse, al suo stesso superamento.

            Qui, in questa parte, se ne analizzerà una declinazione che ha distrutto la relazione tra i giovani e gli adulti e che ha sostanzialmente portato ad una generale e generalizzata solitudine, e da qui all’assenza di qualsiasi riferimento esistenziale per tutti. Si allude alla “grande rivolta”, avviatasi trent’anni fa, dei genitori contro i docenti e che assieme al dissolvimento dei legami familiari ha di fatto tolto qualsiasi appoggio esistenziale alle giovani generazioni, che sono rimaste in balia delle sollecitazioni consumistiche e ideologiche dei Media e dei Social. Una situazione aggravata oggi dalla Didattica a Distanza, che ha anche tolto fisicamente i riferimenti istituzionali a chi è nella difficile fase della formazione. Così, in definitiva, i reali formatori dei giovani di oggi sono solo i Marketing Manager e i giornalisti d’assalto.

            Contro tale stato di cose, alta si leva la “voce” di un grande e relativamente giovane pensatore italiano: Massimo Recalcati. La sua proposta è quella di ristabilire l’indispensabile rapporto tra docenti e discenti e da qui ricostruire anche la famiglia, perché lo sviluppo culturale ed emotivo, lo sviluppo della persona insomma passa attraverso l’eros. È l’amore il condotto attraverso il quale transita lo sviluppo cognitivo ed informativo di un soggetto. In particolare, l’amore e l’innamoramento per il Maestro sono la leva più importante, che permette la formazione di un allievo, di un discepolo. E questa non è una novità!!!!! Da Socrate e da Platone in poi, molti sono stati i pensatori, fino al nostro Galimberti, che hanno sottolineato la centralità dell’eros per il Maestro nello sviluppo e nella crescita della cultura di un individuo. Chi di noi non riconosce che le proprie eccellenze culturali le si devono all’innamoramento in gioventù per un docente, per un professore?

            Va da sé, che quello per il Maestro non si tratta di un semplice innamoramento, dettato da esclusive necessità ed impellenze istintive. L’amore per il Maestro è qualcosa di molto più complesso e che tocca tutti gli ambiti e le attività “dell’anima”. Il Maestro è colui che allarga e arricchisce gli orizzonti dell’allievo, è colui che dà la vista sul mondo, in tutte le sue declinazioni. Da qui il suo fascino, necessario a spingere alla conoscenza il giovane innamorato. Non a caso studiare nella sua accezione più profonda significa desiderare, amare la conoscenza, la quale può essere stimolata o tradotta solo da una persona fisica: il Maestro.

            Il maestro, insomma, trasforma l’oscurità profonda in luce, dando gli strumenti all’allievo per porsi le domande giuste dalle quali scaturiranno le risposte giuste. Il maestro accende il desiderio del viaggio con l’amore e quello che conta nella formazione di un giovane non è il contenuto del sapere, ma la trasmissione dell’amore per il sapere. Non si può sapere senza amore per il sapere, ché il sapere raggiunto senza desiderio è sapere morto. E non si può arrivare alla testa se non attraverso l’emotività, il sentimento. Da qui, il mestiere del Maestro è una vera e propria arte, dove la Didattica a Distanza azzera ogni forma di trasmissione culturale, perché attraverso di essa è impossibile l’amore, ovvero l’esistere del principale vettore.

            Certamente, oggi, in una “società” in cui nessuno è socio di niente, dove l’individualismo si presenta esasperato, dove l’egoismo è marcito nell’egotismo, tali argomenti sono “duri”, soprattutto nella prospettiva di chi concepisce i figli come proprietà esclusiva e non invece patrimonio di tutti, di chi concepisce lo studio come un dovere, di chi concepisce il sapere come chiave d’accesso ad un titolo e ad un ruolo sociale, ed in definitiva ad una possibile ricchezza materiale, consumistica.

            In tale direzione Massimo Recalcati -psicoanalista di stampo lacaniano- ha dato un contributo intellettuale di grandissima portata, anche se insufficiente a contenere queste manifestazione di una modernità degenerata, se non proprio avariata. Moltissime le sue pubblicazioni, tra le quali ricordiamo L’Ora di Lezione, Le Mani della Madre, Non è Più Come Prima, La tentazione del Muro –Lezioni Brevi per un Lessico Civile, La Notte del Getsemani, Le Nuove Melanconie, Cosa Resta del Padre. Naturalmente, all’attività di saggista Recalcati fino ad oggi ha svolto anche un’intensa vita convegnistica, molti i suoi interventi in televisione, numerosi i suoi incarichi di alto profilo in ambito professionale, ma anche editoriale.

            Va da sé che quanto qui riportato, come sempre per Maison Ragosta, sono solo degli spunti e un invito all’approfondimento, soprattutto oggi, in questo Covid-Time, che si pone come spartiacque tra la società di ieri, che si è appena congedata, e la società che presto verrà…tra non più di un lustro!

Grazia Renis – Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui di seguito:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 


sabato 6 marzo 2021

Ultimo Indirizzo Conosciuto - di Paolo Rausa

                                      

            Ultimo Indirizzo Conosciuto (https://www.poslednyadres.ru) è un’iniziativa civica che ha lo scopo di perpetuare la memoria delle vittime delle repressioni politiche commesse da e a nome dello Stato sovietico e che si ispira al progetto commemorativo europeo delle Pietre d’inciampo (Stolpersteine), creato nel 1992 in Germania per ricordare le vittime della Shoah e attivo in 650 città di 11 paesi europei. Il progetto Ultimo indirizzo conosciuto, che ha come principio fondatore il motto “Un nome, una via, una targa”, intende applicare migliaia di targhette commemorative di modello uniforme sulle facciate degli edifici che rappresentano l’Ultimo Indirizzo Conosciuto delle vittime delle repressioni. Grande come una cartolina, ogni targhetta commemorativa è dedicata a una singola persona, a un indirizzo preciso. L’iniziativa dell’applicazione di ogni targhetta parte a sua volta da un singolo cittadino. Il progetto prevede la creazione di una banca dati che sarà accessibile a tutti. Per la ricerca e la verifica delle informazioni che appariranno sulle targhette commemorative, i membri dell’associazione Poslednij adres utilizzano come fonte principale la banca dati dell’associazione non governativa Memorial (Mosca), che ha raccolto informazioni archivistiche riguardanti circa 3,1 milioni di cittadini sovietici vittime delle repressioni politiche e compilato decine di Libri della memoria con i loro dati (in Russia, riguardano 12 milioni di persone). La banca dati dell’ONG Memorial è impiegata anche per l’iniziativa Restituzione dei nomi, organizzata a Mosca ogni anno in memoria delle vittime delle repressioni: cittadini volontari vengono a leggere ad alta voce i loro nomi in piazza Lubjanka a Mosca, proprio nel luogo dove si trova la sede degli organi di sicurezza responsabili delle repressioni, che hanno avuto nomi diversi durante il periodo sovietico (OGPU-NKVD-KGB) e dove la FSB ha tuttora la sua sede. Il finanziamento dell’organizzazione, della fabbricazione e dell’installazione delle targhette commemorative è assicurato dalle donazioni dei cittadini, senza ricorso a sovvenzioni del governo. La spesa per una targhetta non supera i 4000 rubli (circa 50 euro). 

 


          La targhetta del progetto Ultimo Indirizzo Conosciuto è stata creata a partire da uno schizzo disegnato da un noto architetto russo, Aleksandr Brodskij. Si tratta di un rettangolo di acciaio inossidabile di cm. 11 per 19. Le informazioni essenziali riguardanti la vittima sono inserite a mano in alcune righe, con dei punzoni a lettere maiuscole, a volte in due lingue. Il 10 dicembre 2014, Giornata internazionale dei diritti dell’uomo, le prime diciotto targhette commemorative sono state installate su nove edifici di Mosca. Al 9 giugno 2020, più di 1015 targhette commemorative risultavano già installate, nel quadro del progetto Ultimo indirizzo conosciuto, in 56 città e villaggi della Russia. Nell’ambito del progetto Ultimo Indirizzo Conosciuto (in russo Poslednij adres) il 28 febbraio a Mosca è stata applicata una targhetta sulla facciata del palazzo dove visse Alice Negro, cittadino italiano arrestato nel 1937 e morto in un lager staliniano nel 1944, pseudonimo: Lombardi Luciano, nato a Tollegno (BI) il 6 aprile 1904. Di famiglia operaia, dall'età di 14 anni apprendista alla tipografia sociale di Biella. Come il padre, iscritto prima al partito socialista e dal 1921 al PCd'I. E' arrestato per aver partecipato a un comizio. Nel 1931 emigra in Francia, a Parigi frequenta gli emigrati politici e lavora come tipografo, chiede all'Ambasciata dell'URSS il visto e si reca a Leningrado attraverso la Finlandia. In Italia lascia i genitori, il fratello minore Aldo e il figlio del primo matrimonio Guglielmo. Giunge a Mosca, inviato dal partito comunista italiano, per studiare. A Novembre 1931 arriva in Urss. Frequenta la scuola MLŠ. Nel 1932 si iscrive alla VKP(b) e lavora alla tipografia n. 39 (pubblica le opere di Lenin in italiano). Nel 1932 sposa Maria Karš, dalla quale ha due figlie: Atea (n. 1934) e Lucia (1937). Nel 1933 è trasferito alla tipografia n. 7 "Iskra Revoljucii", dove due anni dopo diventa vice-caporeparto. Chiede di uscire dall'URSS ma non ottiene il permesso dal PCI. Nel 1934 chiede la cittadinanza sovietica, che però gli viene rifiutata. Denunciato da un compagno di lavoro italiano, nel 1936 è espulso dalla VKP (b) e licenziato. Viene accusato di metodi capitalisti nella direzione della tipografia e di propaganda antisovietica. 

 


            Nei successivi quattro anni cerca invano di essere reintegrato nel partito e trovare un impiego. Si rivolge più volte all'ambasciata italiana per ottenere il passaporto in sostituzione di quello italiano lasciato a Parigi e poter rientrare in Italia. Arrestato una prima volta a Mosca nel 1937, ma subito dopo liberato, nel 1938 si presenta all'Ambasciata per ottenere il passaporto, ma gli viene negato. Nel febbraio 1941 è di nuovo arrestato con l'accusa di propaganda trockista, intenzioni terroriste e rivelazione dei metodi di lavoro dell'NKGB. Condannato a 8 anni di lager il 16 settembre 1941 in base all'art. 58-8 e 58-10 dall'OSO dell'NKVD. Inviato all' Usol'skij lager (territorio di Perm'). Muore il 27 maggio 1944 all'Usol'skij lager. Riabilitato il 28 maggio 1957 per decisione del Procuratore generale dell'URSS. A cura dell’Associazione Memorial Italia e consultabile all’indirizzo www.memorialitalia.it  Per ulteriori informazioni, tel. 335 6820333.

Paolo Rausa

mercoledì 3 marzo 2021

Saperi & Sapori (parte terza): la pasta - di Antonella Ventura

 

       E così siamo al terzo appuntamento di questa nuova rubrica di Maison Ragosta, ovvero Saperi e Sapori. Ai più è apparso chiaro che questa è stata impostata in maniera poco antropocentrica, mentre prevale in essa una visione olistica, e per molti aspetti panteistica, per lo più distante dalle concezioni più materialistiche e di stampo capitalistico occidentale, dell’usa e getta, insomma.

Proprio per questo, il cibo è presentato come parte della cultura e della conoscenza di un popolo, una sorta di linguaggio atto a comunicare tradizioni e saperi. Così come l’uomo impara a parlare, attraverso segni convenzionali, allo stesso modo impara a interagire con l’ambiente che lo circonda, attraverso la scelta e la modalità del nutrirsi. In particolare, le prime esperienze alimentari segnano in maniera indelebile un popolo, come un marchio del territorio nel quale si è nati.

Ed ecco che, noi siamo ciò che mangiamo e come ci approssimiamo a esso, confermando la circolarità inscindibile e indistinguibile tra Natura e Uomo. È in quest’ottica nella prospettiva alimentare, che vorremmo ancora parlarvi questa volta di pasta, cibo dall’altissimo valore in tavola da Oriente ad Occidente. Alimento che si modella e acquista gusti diversi, attraverso il corso della storia.

La pasta, nata come prodotto di principi tradizionali e di costume, finisce col divenire essa stessa elemento influenzante la cultura di un popolo. Ricordare e distinguere, dunque. La storia di questo alimento, prodotto dalla mescolanza di acqua e farina, conduce a capire un po’ di più l’uomo e il rapporto inclusivo con l’ambiente.

La comparsa della pasta, si pensa risalga alla Cina della fine del 1200 e portata in Europa da Marco Polo, al suo ritorno dall’Impero del Gran Khan, ma in realtà, già a metà del 1100, il geografo arabo Edrisi menziona “un cibo di acqua e farina, in forma di fili” la “triyati” preparata a Trobia (attuale Palermo).

Nutrimento, all’origine, dal gusto leggero, costituito di farina di riso e dall’aspetto bianco e sottile, s’imposta in Europa con un colore ed un sapore più intensi dati dalla farina di grano duro e in alcuni casi di uova. Attraverso l’uso dei piedi e a suon di musica, nei primi pastifici, quest’alimento viene prodotto in molte città Italiane e venduto in tutto il mondo, anche perché facilmente trasportabile, in quanto preventivamente essiccato, e quindi senza problemi per la conservazione.

Alla fine del XV secolo, la pasta è già prodotta in larga scala in Sicilia, Liguria, Campania, Puglie ed Emilia, regioni che ne conferiscono nomi e tipologie proprie. È un tempo in cui essa resta destinata solo al consumo del ceto alto, per essere gustata, come dolce, cotta nel latte con zucchero e cannella. La pasta al pomodoro invece era un piatto da poveri e mangiata con le mani, fino all’invenzione della forchetta a quattro rebbi, che ne permetterà l’entrata nell’alta società.

Il piatto oggi più conosciuto al mondo sono ”gli spaghetti con le polpette”, ricetta ricordata anche nel cartone Disney “Lilli e il vagabondo” grazie alla scena tenerissima del bacio. Al riguardo va sottolineato che, mai accostamento poteva essere più centrato come quello tra dei due innamorati e il connubio tra spaghetti e polpette. Quante informazioni si comprendono, infatti, osservando il rapporto di un individuo con il cibo. Se avete dubbi su quanto una data persona possa essere un buon partner per voi, invitatelo a mangiare un piatto di pasta. Così un uomo che mangerà con ingordigia avrà quasi per certo fretta sotto le lenzuola, sarà colui che sovrappone i sapori quasi senza masticare, in pratica un amante “del tutto e subito” poco incline ai preliminari. Il “godereccio” sceglierà orecchiette al sugo e basilico e chiederà di ripetere, l’amante di classe si delizierà con paccheri ai frutti di mare o gamberi e pistacchi, scelte curate mai a caso, gustando lentamente con soddisfazione un piatto da “Nouvelle Cousine”, due ragazzi già in relazione intima divideranno un’unica porzione di pasta, guardandosi negli occhi, complici e uniti.

C’è chi dice, inoltre, che l’ingrediente segreto da mettere in un piatto di pasta sia l’amore: cucinare per qualcuno che si ama rende tutto più bello, perché cibo è comunione. Cibo e sesso, due istinti fondamentali dell’uomo, indirizzati entrambi alla sopravvivenza, il primo in maniera diretta il secondo metaforica spesso, ma ovviamente anche reale nell’atto del concepimento.

Pasta, dunque, non solo come relazione umana, ma anche come tradizione e famiglia, dunque: “Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo, me te se magno” recitava Sordi in un “Americano a Roma”, rappresentando il prototipo di italiano medio, grande consumatore di pasta, perché buona, poco costosa e riempimento di stomaci affamati. Ma c’è di più.

Pietanza che nei secoli ha assunto una valenza cosi famigliare da essere presa in considerazione anche in politica, contestata nel fascismo a favore del consumo di riso e usata, nel 2005, da Bobby Henderson che ne fa, con ironia, una corrente filosofica, per protestare contro le cose irragionevoli fatte e dette in nome della religione. Si tratta infatti del Pastafarianesimo, una filosofia, che, giunta in Italia nel 2014, ha come dio, un mostro creatore, con spaghetti per tentacoli e polpette per occhi…

 

Antonella Ventura