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mercoledì 26 maggio 2021

Saperi & Sapori (parte sesta): Il caffè – di Antonella Ventura

 

      E non poteva mancare in questa rubrica di Maison Ragosta, Saperi & Sapori per l’appunto, una breve dissertazione anche sul caffè, bevanda amatissima dagli italiani, e non solo. V’è subito da specificare, tuttavia, che i grandi consumatori di caffè sono i paesi del Nord Europa, mentre l’Italia si posiziona solo al 13° posto per consumo procapite. D’altra però, il caffè, nella fattispecie Espresso, diffusissimo in tutto il Mondo, è di invenzione-origine italiana. Al di là di ciò, i grandi consumatori di caffè sono gli europei, mentre in seconda battuta vengono i sudamericani, poi i nordamericani, di seguito tutto gli altri.

            Nella storia del caffè lo snodo decisivo pare collocarsi nel XV secolo, in connessione con lo sviluppo del suo consumo, che destò l’attenzione dei poteri religiosi sia cristiani sia musulmani. Ora, pare che la scoperta del caffè, quale bevanda energizzante, risalga ai primi secoli dell’Era Cristiana. Le leggende circa le origini del caffé, al riguardo, sono molte. Sia il Mondo Cristiano sia il Mondo Musulmano se ne contendono il primato, ma l’unica cosa certa è che il fenomeno della coltivazione della pianta di caffè divenne un fenomeno rilevante nel XV secolo tra l’Etiopia e lo Yemen. Testimonianze ancora più certe ci dicono che la pianta del caffè veniva coltivata a metà Quattrocento dai monaci Sufi yemeniti.

            Ad ogni modo, nel ‘500 la scura bevanda era conosciuta in molta parte del Mondo Musulmano e cominciava ad essere introdotta anche in Europa, grazie ai mercanti veneziani. La progressiva diffusione trovò, tuttavia, notevoli ostacoli nei dissensi del potere religioso, che, per le sue qualità, la considerava la “Bevanda del Diavolo”. Vari furono i tentativi di vietarne il consumo, ma alla fine ogni sforzo fu vano, dal momento che il consumo di caffè muoveva affari economici e finanziari sempre più rilevanti. Nel Mondo Cristiano, le attività di contrasto cessarono, quando Clemente VIII, qualche anno prima della fine del suo pontificato, ovvero nel 1605, la giudicò un’ottima bevanda. Da qui il caffè, in Europa, venne consumato in maniera vieppiù crescente ed esponenziale, mentre il Mondo Arabo protrasse la querelle sostanzialmente per tutto il XVII secolo. Alla fine, anche qui il Vino dei Musulmani, così veniva definito il caffè, fu liberalizzato completamente.

            E così, nel ‘600 in Europa, nel giro di pochi decenni ogni centro abitato ebbe almeno una sua caffetteria. Agli inizi del ‘700 a Venezia se ne contavano più di 200. E qui va segnalato che, nel 1720 apre il famosissimo Caffè Florian, tutt’ora attivo, in Piazza S.Marco. La caffetteria lentamente, poi diventa luogo d’incontro, dove la degustazione del caffè è soprattutto la scusa per rimediare un incontro d’amore, d’affari o amicale. Da qui, poi, questi spazi di degustazione della famosa bevanda diventano luoghi frequentati da artisti, intellettuali, poeti: nascono così i Caffè Letterari. In ogni caso, fino a metà Novecento il caffè, nei luoghi pubblici, quali appunto i Caffè, si degustava al tavolo e seduti. Negli anni ’50, con l’americanizzazione della cultura europea e, dunque anche italiana, tale costume subisce delle vistose variazioni: comparvero i Bar, dove il caffè viene degustato al banco e in piedi.

            Sino a vent’anni fa, sembrava, almeno in Italia, che i Caffè dovessero scomparire o essere luoghi destinati solo ad una ristretta élite. Ed invece, no. Oggi, le due strutture, il Bar ed il Caffè, sono fortemente diffuse e vengono frequentate in base alle circostanze. La più usuale, ovviamente, tra le due soluzioni, attualmente è quella che garantisce ambedue le modalità di consumo, indipendentemente dalla dicitura che si usa per il locale.

            Va da sé che, con lo sviluppo economico e culturale, la bevanda ha registrato composizioni sempre più articolate, variegate e complesse. E così, con riferimento al frutto, alle tradizionali qualità, quali la Robusta e l’Arabica, se ne sono aggiunte molte altre, specifiche. Del pari anche le miscele sono diventate le più disparate, sino al punto in cui i gestori delle caffetterie fanno uso di varianti fortemente personalizzate. Non pochi, in ogni caso sono coloro che gradiscono soluzioni monorigine o pure. In tale direzione, anche le modalità e la ritualità legata al consumo del caffè sono innumerevoli: c’è chi gradisce il caffè in tazza fredda, chi in tazza calda, chi in tazza sottile, chi in quella spessa, chi in tazza larga, chi in tazza alta, c’è, poi, chi vi aggiunge un po’ di latte, altri delle soluzioni alcoliche (il cosiddetto caffè corretto). E non finisce qui. C’è chi lo desidera ristretto, chi lungo, chi all’americana, chi amaro. D’estate poi, l’uso è quello di prendere del caffè freddo, mentre a Lecce, si usa il caffè in ghiaccio, edulcorato a volte con latte di mandorla.

            Anche sulle modalità con le quali viene prodotta la bevanda sono le più disparate. In Italia se ne conoscono tre: alla napoletana, espresso e con la moka. La prima è la più antica, mentre la seconda viene escogitata dall’ingegner Liugi Bezzera, nel 1902, la terza, invece, dall’imprenditore Alfonso Bialetti, nel 1933. Tre modalità che oggi possono essere esperite sia nelle caffetterie pubbliche, siano esse bar o caffè dove predomina la modalità espresso, sia presso le abitazioni private.

            Un mondo complesso quello legato alla produzione -che oggi supera le 12 milioni di tonnellate- e al consumo del caffè, una bevanda di sicuro successo, che, fatta esclusione di una normale quota di detrattori, accompagna la vita dell’Uomo Occidentale, da quando si sveglia, al mattino, fino a sera, con i consumatori più accaniti e refrattari alla caffeina, ma non al meraviglioso gusto…

 

Antonella Ventura

venerdì 14 maggio 2021

Saper Comunicare (parte undicesima): Sulla chiacchiera, il dialogo e la conversazione – di Mauro Ragosta

 

           È solo dopo aver affrontato i principali temi della comunicazione che si può trattare di alcuni modelli interpersonali in cui essa si realizza. Per i lettori di Maison Ragosta abbiamo scelto quelli di base, ovvero “la chiacchiera”, il dialogo e la conversazione, i quali si dispongono tutti su un unico asse ideologico. Nello specifico, il filo conduttore a cui si farà riferimento nell’analizzare questi modelli è costituito dalla razionalità, dalla coerenza interna e dalle capacità intellettive di realizzarle.

            E proprio con riferimento a quest’ultimo, “l’arte della chiacchiera” non tiene conto dell’elemento razionale nella concatenazione degli argomenti e delle proposizioni in cui si articola. Si potrebbe al riguardo utilizzare l’espressione “a pioggia” molto cara a politici ed economisti per comprendere cosa sia. Nella chiacchiera, infatti, non vi è un’organicità delle proposizioni degli interlocutori: si salta di qui e di lì senza avere un obiettivo specifico, dove ad un’asserzione non deve seguirne un’altra pertinente e concatenata. È l’interlocuzione del relax, del disimpegno, del piacere conviviale e amicale nei tempi dedicati alla rigenerazione e al riposo.

            Diverso, invece è il caso del dialogo, più impegnativo, che richiede attenzione crescente. Qui infatti, l’interlocuzione è finalizzata ad ottenere un risultato, che, tra i tanti, ad esempio, può essere la chiarificazione di un argomento o un problema, ma anche un confronto volto a stabilire la leadership. Nel dialogo decisiva si presenta la concatenazione logica delle proposizioni degli interlocutori, che diventa vieppiù soddisfacente in relazione alla robustezza intellettuale ed intellettiva dei “partecipanti”. Robustezza che deve essere sempre tenuta in considerazione, perché è a carico del singolo interlocutore comprendere quando chi ha di fronte non è più capace di mantenere la linea logica del discorso. In tal caso, deve ritirarsi o ritrarsi dal dialogo, che non è più tale. Non sempre, infatti, chi non regge l’interlocuzione capisce che è incapace di relazionarsi ulteriormente sul piano razionale e delle conoscenze, e se dovesse accorgersene non sempre è onesto intellettualmente e tale da avere il coraggio di dichiarare la propria incapacità.

            Può essere che nessuno degli interlocutori si accorga che l’interlocuzione sia ad un certo punto priva di orientamento, direzione e visione dell’obiettivo finale. In tal caso, di fatto, il dialogo sfocia inconsapevolmente nella chiacchiera, che ovviamente non consente di approdare ad alcunché di concreto.

            Simile al dialogo è la conversazione, con la differenza che qui siamo nel campo della ricercatezza oratoria, della scelta della parola giusta, che non sempre è quella per la quale bisogna fare una ricerca sul vocabolario, della capacità di concatenare le parole in maniera elegante o innovativa, o addirittura di essere capace di formule letterarie inedite.

            Al contrario del dialogo, che ha delle finalità specifiche e concrete, la conversazione non ha un obiettivo specifico, è una sorta di esercizio al buon gusto e di buon gusto. Tuttavia, si differenzia anche dalla “chiacchiera”, perché qui si ha un perimetro relazionale.  Nella conversazione generalmente si stabilisce, infatti, un tema attorno al quale ruotare, che si presenta strumentale all’esercizio oratorio. Infine, specifico della conversazione sono le capacità degli interlocutori di non giungere mai a posizioni di principio, a esposizioni razionalmente stringenti e del pari dovranno aver cura di non essere troppo irrazionali o di “precipitare” in volgarità di sorta. Insomma, negli interlocutori dovrà prevalere quell’atteggiamento che li fa convergere sempre in una posizione media, dove far privilegiare il bello, l’originale, l’elegante, scopi ultimi della conversazione.

            Anche in questo caso, la robustezza intellettiva ed intellettuale, oltre che culturale, si presenta decisiva, dove proprio la capacità di parlare nei tempi giusti e tali da lasciare spazio al proprio referente, si presenta decisiva, anzi, imprescindibile.

 

Mauro Ragosta

 

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui di seguito per le principali delucidazioni:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 


sabato 8 maggio 2021

Punti, appunti e puntini (parte prima): Il Tempo e l’Eternità – di Mauro Ragosta

 

       Qui e così Maison Ragosta avvia una nuova rubrica, ovvero Punti, Appunti e Puntini, che rispetto alle precedenti avrà una specifica qualità con riferimento alla circolazione. Quest’ultima rubrica avrà infatti una circolazione limitata, ovvero solo ai lettori più affezionati, a coloro che in qualche modo pongono più attenzione a quello che in questa rivista va proponendosi da oltre due anni.

            Punti, Appunti e Puntini racchiuderà un complesso di speculazioni più spinte rispetto agli standard tradizionali di Maison Ragosta, in quanto da più parti si è rilevata la necessità di un prodotto letterario più evoluto, un qualcosa che sicuramente non si tradurrà nelle diverse “Tradizioni Orali” delle varie branche del sapere, ma ad esse sarà tangente in maniera significativa. Sicché con Punti, Appunti e Puntini si supera di fatto la cultura libresca tuot court, anche se non si accede in ambiti spiccatamente riservati. Idee e riflessioni che possono rimanere sul piano strettamente speculativo ed elucubrativo, della chiacchiera, del panegirico insomma, ma che talvolta ed in alcuni casi si presentano come quel passo che fa cadere in altre dimensioni.

            Si conclude questa breve premessa, precisando che il titolo della rubrica non è una novità assoluta né una Nostra invenzione letteraria. Esso è una replica di quanto venne proposto nel noto giornale leccese “Il Corriere Meridionale” nei primi anni del Novecento, per una rubrica portata avanti da Gaetano Della Noce, uno dei tanti intellettuali che costellavano il mondo culturale leccese tra Ottocento e Novecento.

            Il tema di questa prima parte, come s’è evidenziato, è Il Tempo e l’Eternità. Va da sé che qui si offriranno solo degli spunti, del materiale riflessivo, molto parziale e si lascia al lettore, se interessato, l’attività analitica e più esaustiva.

In prima battuta va subito evidenziato che, in linea generale, del Tempo se ne hanno due concezioni, ovvero il Tempo della Natura e il Tempo Cronologico. Molti tentano di separare queste due concezioni, affermando che ogni “cosa” ha il suo Tempo, che non è misurabile, alludendo anche al fatto che non vi sia la possibilità di prevedere. Ed in effetti nella Natura non esiste il principio dell’uguaglianza, che è solo un prodotto della mente umana, ma questo non significa che ogni cosa non possa essere misurata nella sua diversità, ed in qualche misura essere intercettata in termini temporali.  E proprio per questo, come si vedrà, il Tempo Cronologico va considerato come la “coscienza” del Tempo della Natura. Ma andiamo per ordine.

            Per giungere a quanto affermato, si deve concepire l’Uomo come elemento di rottura nelle principali dinamiche della Natura, e da qui come vettore di evoluzione della Natura stessa, essendone ovviamente una sua parte integrante e inscindibile. La comparsa dell’Uomo conduce dunque la Natura ad avere coscienza di sé. Anzi si potrebbe giungere a dire che l’Uomo è la coscienza della Natura e da qui il fuoco evolutivo del Creato.

            Ed in effetti, l’Uomo, dotato di intelletto e ragione, conosce la Natura e i suoi segreti, ed il Tempo è uno degli elementi della sua conoscenza. Sin da principio l’Uomo ha escogitato un sistema di misurazione del Tempo, che vieppiù è diventato sofisticato e applicabile per la misurazione della maggior parte delle manifestazioni della Natura. E così il Tempo cronologico misura i Tempi della Natura.

            Ma l’Uomo non si è fermato a prendere atto dei Tempi della Natura, ma ha usato la misurazione del Tempo per orientare se stesso e la Natura, con grande precisione. E l’uomo, che conosciuto i tempi della Natura, è riuscito a imporre a questa tempi diversi e da qui dinamiche dove la sua volontà è centrale.

            In conclusione, si potrebbe arguire che solo chi ha coscienza di sé può modificarsi e per giunta superarsi, e il Tempo cronologico è uno degli elementi alla base dell’evoluzione. Sicché chi non conosce i suoi tempi e i tempi di ciò che lo circonda non ha sostanzialmente coscienza di sé ed è vicino all’animale. Per rendersi conto di ciò, basta levarsi l’orologio…o non guardare mai il calendario

            Ora, il tempo è sempre connesso a ciò che ha un inizio e una fine, indispensabili questi perché sussista. Da qui è facile concludere che ciò che non ha queste caratteristiche è qualcosa di diverso e non a caso, si connota con il termine Eterno, il quale attiene al Divino, o a quei meccanismi che sono alla base della Vita, e per estensione, dello sviluppo delle Civiltà. Queste ultime, infatti, hanno al loro fondamento sempre gli stessi meccanismi, conosciuti i quali si entra nella dimensione Eterna.

Interessante notare, infine, che il simbolo dell’Eterno è il numero 8, in tutte le posizioni consentite, ma anche lo Zero o il Cerchio.

 

Mauro Ragosta

 

giovedì 6 maggio 2021

La Salvezza? Genialità e Creatività! – di Mauro Ragosta


       Tutto cambierà nel giro di pochissimi anni. Le crisi sotto il profilo socio-economico hanno l’effetto –e ciò è comprovato dalla Storia- di spostare la popolazione dai settori meno evoluti a quelli più evoluti, ovvero da quelli più semplici e meccanici a quelli più complessi e problematici, ed ancora da livelli elementari ad altamente articolati. E la popolazione in cammino in questo percorso non sempre si presenta all’altezza dei nuovi scenari e del cambiamento, talché molti sono quelli che escono dal mercato del lavoro. Sicché la crisi, sicuramente è il preludio a nuovi e rinnovati scenari produttivi e sociali, in un processo che offre maggiori benefici e benessere, ma è anche il momento in cui il sistema si libera di risorse incapaci di percorrere le strade che lo sviluppo impone, e che preferisce sostenere gratuitamente, anziché impiegarle nei processi produttivi e sociali.

            Le crisi che si sono sviluppate negli ultimi duecento anni, infatti, hanno fatto transitare il sistema produttivo da un uso intensivo della meccanica, a quello poi dell’informatica e, con la crisi del 2020, si passerà nell’Era della robotica, che verrà impiegata in ogni ambito delle attività umane. Il robot farà persino da badante, da autista e da giornalista, da cantante e da musicista, da medico, da docente, da avvocato, da ingegnere.

            Lasciando stare i meccanismi che portano ad un’applicazione sempre più spinta della tecnologia dopo una crisi, di certo sappiamo che nei prossimi anni molti processi produttivi verranno portati avanti dai robot. Ne consegue che non poche risorse umane dovranno collocarsi in settori più evoluti, ed in ogni caso, dove il robot non potrà essere impiegato, richiedendosi, dunque, al “lavoratore” qualità superiori e non raggiungibili o riproducibili dall’intelligenza artificiale.

            Ed ecco che l’istruzione e lo sviluppo costante delle competenze produttive saranno indispensabili, ma non sufficienti per rimanere nel mercato del lavoro in posizione attiva. Certamente, si svilupperà tutta un’economia attorno a chi non riesce ad integrarsi nei nuovi processi produttivi, e ciò in termini di supporto psicologico, esistenziale o riabilitativo ai nuovi scenari. Da qui, ad esempio, uno dei tantissimi focalizzati sull’assistenza, può essere quello che vedrà sorgere migliaia i corsi tesi a gestire lo stress, sviluppare l’arte oratoria, l’arte di gestire un’impresa, l’arte di mantenere la calma e la freddezza nelle decisioni, l’arte di effettuare le scelte e via dicendo.

            Per altro verso, sul piano sostanziale e pragmatico, i titoli avranno sempre meno valore, non escludendosi tuttavia la necessità di conseguire almeno una laurea, nella prospettiva formativa ed informativa. Ma come si sottolineava, le competenze non rappresenteranno la discriminante, il valore aggiunto. In altre parole, se si hanno competente sviluppate, anche in maniera importante, si avrà solo la possibilità di “entrare in campo” e non vedersi relegato alla “panchina”. E la cosiddetta raccomandazione, sarà prerogativa di pichissimi e sempre meno legata a questioni di casta. Avendo rilevanti competenze, dunque, non si entrerà nel mercato del lavoro, ma ci si potrà candidare, mentre in passato il possesso di queste era una delle garanzie per lavorare e magari anche arricchirsi.

            Nella società del domani, di quest’immediato domani, il lavoro sarà riservato solo a chi ha genialità, creatività, una giusta follia. E questo perché tutti i processi codificabili e le informazioni possono essere gestite da robot e dall'intelligenza artificiale. Insomma, saper fare una operazione ripetibile non rientrerà più nel concetto di lavoro, ma oggetto di processi informatici e robottizzati. All’uomo resta, dunque, il guizzo intuitivo, l’estro folle ed efficace, che prescindono da un’azione manualistica e prevedibile, che tuttavia bisogna conoscere per trascendere, appunto. Il lavoro del domani sarà per persone altamente intuitive, altamente in-telligenti, capaci di “sbandate controllate” come nel rally, per il resto tutto sarà devoluto al robot, anche il taxi.

Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui di seguito per le principali delucidazioni:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q