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martedì 30 giugno 2020

Il Punto Nave di giugno 2020 – di Mauro Ragosta

          Come s’è già messo in luce in alcuni pezzi recenti di Maison Ragosta, i primi giorni di questo mese, ovvero giugno del 2020, si sono riavviate le nostre pubblicazioni, sospese per due mesi, e cioè a partire dal 3 aprile u.s. Una rinascita, questa? Una resurrezione? Forse! Ad ogni modo, si è entrati in nuovo corso, che presenta una visione e una filosofia diverse rispetto al passato. In sostanza, s’è aggiustato il tiro in relazione all’età di Maison Ragosta, presente ai suoi lettori oramai da oltre un anno e mezzo, ma anche in connessione ai Nuovi Tempi, al Nuovo Ordine delle cose, che lentamente si sta palesando nella nostra società. E l’assenza e il silenzio di Maison Ragosta per due mesi devono considerarsi come un tempo sabatico, che è servito a capire quali dovessero essere le nuove direttive, i nuovi orientamenti, ma anche, come si costuma in agricoltura e nel mondo degli intellettuali, per ri-generare le forze, all’interno di una sorta di Rotazione Triennale della Cultura.
            Ed ecco che, in questo nuovo corso, sebbene alcuni tratti di Maison Ragosta del 2019 siano rimasti intatti e dunque ancora presenti, altri sono stati, invece, sostituiti, altri modificati, e nuove rubriche e nuove “penne” si sono aggiunte, ed altre se ne aggiungeranno.
            In tale contesto, con questo pezzo giornalistico prende corpo e vita la nuovissima rubrica: Il Punto Nave. Un titolo di derivazione marinaresca, che può sintetizzarsi e tradursi come il punto della situazione. Questa rubrica, infatti, avrà cadenza mensile e finalizzata a mettere in evidenza i fatti di rilievo del mese trascorso, con rifermento alla Nostra Lecce, alla sua politica, alle sue attività culturali e mondane, economiche e sociali in senso lato, non mancando di riferimenti di più ampio respiro che guarderanno e riguarderanno sia la sua provincia, e da qui il Salento, la Puglia e l’Italia tutta. Insomma, un breve momento di riflessione sul mese che si sta vivendo, mentre sta per finire…
            E partiamo con la prima considerazione! Il prezzo del propellente per le auto, nella versione diesel e nella versione benzina, dai minimi del mese di aprile e maggio, che peraltro non si registravano da circa quindici anni, in questi giorni è aumentato di circa 10 centesimi. Il diesel, “al self service” da Euro 1,15 è passato a circa 1,25. Segno questo che si è in presenza di un aumento degli spostamenti da parte della popolazione e, di conseguenza, indica che lentamente, dopo il fermo dovuto al Covid-affaire, tutte le attività stanno riprendendo il loro corso. Una lentezza dovuta soprattutto alla circostanza per la quale molte persone hanno dato fondo alle proprie riserve finanziarie ed ovviamente hanno ridotto i consumi. Certamente, non con riferimento agli statali, non agli imprenditori ed ai professionisti affermati, non ai pensionati di buon livello, ma questi a Lecce e dintorni non costituiscono più del 50% della popolazione. L’altro 50%, infatti, è in sofferenza, a volte anche drammatica. Un 50%, quest’ultimo, che è alla base della lenta ripresa di tutte le attività economiche: non tutti hanno infatti potuto mantenere lo stesso tenore di vita in assenza di reddito, in assenza di guadagni e stentano anche in questo frangente a riattivare le proprie economie.
            Ad ogni modo, il punto più basso della crisi legata al Covid-affaire, al momento è stato superato. Ma, quale compenso, il Governo, in maniera pressoché indolente, dal 30 giugno ha posto un’altra bella tassa sui conti correnti, un obolo che mediamente sarà di 50 euro e che andrà non si sa a beneficio di chi. Di certo sappiamo tutti che la macchina dello Stato negli ultimi trent’anni ha avuto come unico scopo quello di redistribuire la ricchezza verso l’alto. L’obolo dunque andrà, con varie giustificazioni e a vario titolo, nelle tasche di deputati, consiglieri, alti magistrati, alti funzionari, super professionisti, grandi imprese, e via dicendo, come al solito. Tuttavia, non sappiamo, soprattutto noi di Maison Ragosta, se il fatto che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, sia giusto o sbagliato. Certamente, il popolo di ciò soffre, ma “anche i ricchi piangono” e passano pene diverse, doglianze e assenze non inferiori a quelle dei diseredati. A nostro avviso deve consolare che la felicità e la pienezza, infatti, non dipendono dalla ricchezza, la quale il più delle volte serve solo a fare un po’ di propaganda, non a godere della Vita. La dicono lunga, poi, l’alto consumo di alcol e di droghe, il sovrabbondare di festini, in articolazioni veramente complesse. Forse molti ricchi non hanno questa visone d’insieme, ma non fa niente…..D’altro canto, l’imbecillità non ha frontiere né conosce i titoli e i ruoli del grande e pericoloso gioco sociale.
            Giugno è stato anche il mese in cui si è provveduto a concertare le energie politiche di base per la grande cavalcata di settembre, mese nel quale si terrà il Festival Elettorale, che tanto diletta i potenti e tanto fa sognare i poveri ed il popolino, che, a dire il vero, con riferimento a quest’ultimo, ne è rimasto poco, dal momento che i partecipanti alla kermesse elettorale costituiscono appena appena il 50% dell’elettorato. E così, la grande organizzazione delle Regionali, secondo stime attendibili, vede più di 800 candidati, dislocati in circa 17 liste. Per quel che concerne gli aspiranti alla Presidenza della Regione Puglia, saranno probabilmente 5 i personaggi che si stanno contendendo l’ambita carica pubblica. La differenza tra Destra e Sinistra, sulla questione, pare che stia nel fatto che la Destra si sta presentando con unico protagonista, mentre la sinistra almeno con tre. Una strategia, quella di Sinistra dovuta molto probabilmente alla circostanza per la quale in tale area politica si è in presenza di anime e sensibilità molto distanti tra di loro, che, una volta raggruppate singolarmente, in un secondo tempo verranno fatte convergere solo su un candidato. Una tattica? Un bluff?
            In ogni caso e su altro versante, nel Mondo della Cultura ed in particolare del libro, il Dopo-Covid sta riservando delle sorprese veramente interessanti, ma non inattese. E cioè, nel senso che non ci si aspettava che la deriva commerciale di questo Mondo venisse approcciata con tanta velocità. Ma, d’altro canto, soprattutto le piccole case editrici leccesi depotenziate e soffocate dal Covid-Affaire, hanno, in molti casi, imboccato la strada degli slogan da Hard Discount e stanno praticando una politica del contenimento dei costi, tipica dei mercati più concorrenziali. E così, in questo Mondo, qui e lì si ascoltano e leggono parole che prima comparivano nei deplian che sponsorizzavano i detersivi, la mortadella, il latte, la carne, i deodoranti, le creme…………I tempi cambiano…….

Mauro Ragosta
  
Nota: chi fosse interessato alla mia produzione di letteratura economica può cliccare sul seguente link
https://youtu.be/t1mKnYGyVC8  
           
           
           

venerdì 26 giugno 2020

Maison Ragosta Spazio Live n°1: Intervista ad Alessandro Moscè - di Mauro Ragosta e Rossella Maggio


Con questo pezzo si avvia una nuova rubrica, Maison Ragosta Spazio Live, condotta da Mauro Ragosta e Rossella Maggio. Si tratta di uno spazio in video dedicato ad interviste, recensioni, conversazioni, considerazioni specifiche. Tutto sul Mondo dell'Arte e della Letteratura non solo leccese, ma anche nazionale ed internizionale. Questa prima parte è dedicata ad Alessandro Moscè, una "penna" di caratura nazionale, che qui ci illustrerà il suo nuovo lavoro "Alberto Bevilacqua - Materna parola"
Di seguito il link della video intervista:

https://youtu.be/cS80D5yQX44 


Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Si occupa di letteratura italiana. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro 2004), Stanze all’aperto (Moretti & Vitali 2008, finalista al Premio Metauro), Hotel della notte (Aragno 2013, Premio San Tommaso D’Aquino), la plaquette in e-book Finché l’alba non rischiara le ringhiere (Laboratori Poesia 2017) e La vestaglia del padre (Aragno 2019). E’ presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. I suoi libri di poesia sono tradotti in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. Ha pubblicato il saggio narrato Il viaggiatore residente (Cattedrale 2009) e i romanzi Il talento della malattia (Avagliano 2012), L’età bianca (Avagliano 2016, finalista al Premio Onor d’Agobbio), Gli ultimi giorni di Anita Ekberg (Melville 2018, finalista al Premio Flaiano). Ha dato alle stampe l’antologia di poeti italiani contemporanei Lirici e visionari (Il lavoro editoriale 2003); i libri di saggi critici Luoghi del Novecento (Marsilio 2004), Tra due secoli (Neftasia 2007), Galleria del millennio (Raffaelli 2016) e l’antologia di poeti italiani del secondo Novecento, tradotta negli Stati Uniti, The new italian poetry (Gradiva 2006). Si occupa di critica letteraria su vari giornali, tra cui il quotidiano “Il Foglio”. Ha ideato il periodico di arte e letteratura “Prospettiva” e dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”. Il suo sito personale è www.alessandromosce.com.

venerdì 19 giugno 2020

Non c’è poesia… - di Rossella Maggio

Il 2020, il qui e ora, non conosce poesia. Per fare poesia o meglio per essere poeti, bisogna avere coscienza, saper discernere, saper distinguere e trarre dal caos una forma d’armonia, di congiungimento…poesia è l’unione degli opposti, la morte della discordia, la fine del caos…non della vita, però. Dalla forza primordiale da sé stessa erompente, autorigenerantesi, capace di travolgere morte e dissoluzione, trasformandola e rigenerandola in vis, energia pura esente da qualsivoglia ostacolo o spauracchio. Di questa coscienza sono capaci i poeti e i bambini. L’infanzia dei popoli ne è straripante, riducendosi via via con il moltiplicarsi delle divisioni, delle idiosincrasie, delle intolleranze in altre parole a tutti i livelli matematici e umani. E via via si perdono, aria respiro, vita che è sempre quella forza selvaggia e libera, inarrestabile. Si cede così a ciò che chiamiamo defungere, allontanarsi dalla funzione del fare e dalla rispettiva forma a questa inerente, per assumerne un’altra più funzionale se non altro all’eterno riciclo della materia, la quale altro non è che l’eterna madre costantemente figliante e figliata. Dante qualcosa ne capiva, anche al di là del mero aspetto religioso: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, /umile alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura/ nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura.”
Per cui se poesia resta, resta sempre nella coscienza popolare, o meglio nell’inconscio popolare, in quello che Jung chiamava collettivo e collettivo anche delle cose oltre che delle persone, nella radice comune dell’ordine creato.  In quello che rimane del buon senso che non sempre coincide con il senso buono o tale ritenuto, quel che sopravvive dei primordi e degli albori, la sua infanzia naturale, cioè relativa al nascere (natura viene da nascor verbo latino che significa nascere ed essendo un futuro significa che nascerà, o sta per nascere- in greco ϕύσις da ϕύω = nascere, ma anche generare). Dunque ciò che nasce genera e ciò che genera nasce. Il binomio è semplice. In questo substrato inattingibile coscientemente per molti, ma comune e presente in tutti i popoli e le diverse civilizzazioni, per il solo fatto di essere generati generanti, e perciò mantenentesi, anche se a livello inconscio, in un perenne stato nascente. Da qui la lievissima differenza anche di radice tra genus e genius: genus, cioè genere e genius, cioè colui che fa, crea, che genera e si autogenera, cioè sta sempre sul punto di nascere e quindi segue il disegno più semplice, l’intuizione più naturale, più vicina all’origine. Rinvenibile in quel liquido amniotico del creato (dalla radice sanscrita kar- padrone e in greco antico καίνω unito a χϱόvoς = tempo, quindi, nel qui e ora).
E’ in virtù di questa condizione permanente della ϕύσις, della vis, mater, naturum esse che il genus genius, o se preferite, il genius generis affronta le calamità anche queste generate e dunque nate dallo stesso padrone di sé stesso, generato e a sua volta generante .E qui può valere la doppia lettura: quella pragmatica della mano criminale o dell’errore umano e quella tutta spirituale che si cela nel desiderio o volontà collettiva o anche nel sentimento instillato, con metodo, della  paura e della sottomissione, pena punizioni capitali o  karmiche (tra  queste ultime due  la differenza è frutto solo di un’elucubrazione mentale volta a travestire la vetusta relazione tra causa ed effetto, miracolosamente scomparsa quando si tratta di farla valere in quanto assunzione di responsabilità personale).
Ecco che, poiesis che viene da ποιῶ, verbo che indica l’azione del fare, del creare di tutti quelli che si adoperano per la salvezza e la vita (cioè la vis, la forza energetica) propria e altrui, ma lungi dall’essere eroi sono le prime vittime di un sistema, per restare in tema, indubbiamente spoetizzato, quando non malcondotto o addirittura corrotto. Medici, infermieri, operatori sanitari, fabbriche e trasporti di beni primari, quelli che restano a casa per evitare di diffondere il contagio, quelli che si pure a distanza, si prendono cura degli anziani, facendo loro sentire affetto e presenza oltre quello che può essere l’abbraccio – non è così che chi è scomparso dalla nostra visuale si fa sentire, pur non potendoci abbracciare? Tutto torna nella lingua muta e comune della poesia, del creare, de fare cioè, come vediamo e anche come non riusciamo a vedere perché scolpito nella comune profondità del genius generis e passatemi la ridondanza, la perenne anafora o epifora a seconda della collocazione che si voglia considerare. È in questa perenne alba, in questa forza primordiale, in questa popolare infanzia e colpevole innocenza, tutta humus e umanità che si cela oggi, quel che resta della poesia, prerogativa non nel pensiero basso o alto (che può tutt’al più servire, il primo a denigrarla e il secondo a dispiegarla, renderla cioè il più possibile vicina e comprensibile a chi ne è privo o crede o vuole credere di esserlo).  Ed è la stessa vis, la stessa forza selvaggia e inarrestabile splendida e perennemente sorgiva, che può essere indirizzata da noi stessi o da chi per noi, se deleghiamo consapevolmente o inconsapevolmente, nella direzione voluta, non sempre coincidente con la migliore per tutti. Perciò la responsabilità di quel che accade resta nostra e da qualunque punto di vista la si voglia guardare.
Rossella Maggio

mercoledì 17 giugno 2020

Ritratto foto-letterario n°7: Alberto Bevilacqua - di Rossella Maggio


Alberto Bevilacqua! Chi era? L’affermato narratore, il poeta, il noto regista, il giornalista o tanto altro ancora?  Possiamo, senza ombra di dubbio, affermare che era e resta letteratura nell’atto stesso di farsi, di accadere. Ad averci la fortuna di averlo conosciuto, ci si rendeva immediatamente conto che per Alberto non c’era differenza tra la letteratura e la vita perché le incarnava. Così, nel suo essere trovavano congiunzione: la prima smetteva di essere una cosa morta e lontana per diventare pulsante e reale, la seconda si trasformava nel contenitore vivente di ogni possibilità d’invenzione. Aveva una formidabile capacità di cogliere, in anticipo sui tempi, i nessi e le relazioni tra le cose, i fatti, gli stati emotivi individuali e collettivi, tale da giustificare le sue qualità sensitive, quasi medianiche, che erano soprattutto espressioni di una straordinaria intelligenza. Il suo più noto romanzo, La Califfa (Rizzoli 1964), che lo vide regista del film omonimo con Romy Scheider e Ugo Tognazzi, candidato a Cannes nel 1970, traccia la previsione di un Italia che sarebbe cambiata nei rapporti sociali ed economici, come poi è effettivamente accaduto. Il profetico poemetto “Essere Papa – Nuova Lettera ai Galati (Immagine e somiglianza), pubblicato sull’Osservatore Romano in occasione del settantacinquesimo compleanno di Paolo VI, suscitò un caso di larga risonanza. “Fui criticato, ma Paolo VI - diceva Alberto - in seguito, mi ringraziò!” - La sua forza intuitiva unita a una effervescente e variegata produzione, tutta di livello elevatissimo, trovava origine nella sua vulcanica vitalità e nella sua inarrestabile creatività. 
La sua produzione è sterminata, perché sterminata era la sua voglia e la sua capacità di vivere intensamente, di osservare, leggere e interpretare l’esistenza. Aveva due occhi di un blu profondo, emanava una forte sensualità, era magnetico e sapeva di poter essere, quando lo voleva, molto affascinante. Di questa sua qualità si serviva meno di quanto si possa pensare con le donne, con le quali stabiliva un rapporto di privilegiata comprensione, grazie ad una spiccata sensibilità, una grazia innata, la capacità d’ascolto. Gli veniva, invece, immancabilmente in soccorso e ne faceva sapiente impiego di fronte alle platee pubbliche e televisive, dove i suoi interventi risultavano brillanti, incisivi e spesso determinanti, anche perché animati da un vibrante e gradevole sentimento dell’ironia. Sapeva essere spiritoso e non mancava di una certa intelligente allegria. 
 
Non lo ricordo scontroso, anche se poteva esserlo, quando percepiva nell’interlocutore una meschinità di fondo, una cattiveria d’intenzione, ma sempre gentile e in genere accomodante. Il che non significava che, essendo un uomo profondamente libero e votato all’onestà interiore oltre che intellettuale, rinunciasse a affermare le proprie convinzioni. Non era uno scrittore compulsivo, no. Ma annotava mentalmente o a penna tutto quanto lo colpisse. Ed era ordinato, preciso, aveva le sue ritualità del mattino: Il caffè al bar, i giornali all’edicola della piazzetta di Vigna Clara. Li avrebbe letti seduto nella sua poltrona della sala, gustando il secondo caffè della giornata, prima di salire nel suo studio, nel superattico della sua casa romana. Lì smistava le telefonate e la posta e infine, dopo aver inserito la segreteria telefonica, si dedicava alla scrittura. Scendeva per pranzo e, salvo impegni, dedicava la seconda parte della giornata “al vivere”, come amava dire, e cioè a divertirsi, uscire, ridere, scherzare. Anche se da giovane - ricorda Indro Montanelli - era stato capace di scrivere “Una città in amore”, ritratto memorabile della sua Parma, nel bailamme della sala stampa di uno studio cinematografico.  Mi piace che venga ricordato seduto al suo tavolo da lavoro, con le sue belle matite colorate ben allineate, i suoi sigari, la sua Olivetti Studio 44, di cui diceva: “Fa i capricci, ormai. Sa che sarà sostituita dal computer e si ribella. Anche gli oggetti hanno un’anima.”

Rossella Maggio

sabato 13 giugno 2020

Stile e Buongusto (parte nona): abbigliamento ed eleganza – di Mauro Ragosta



           Diecine, anzi centinaia i giornali di moda, le interviste a stilisti “di grido”, i trattati storici., poche tuttavia le teorizzazioni sull’argomento dell’eleganza, come riferimento e strumento per utilizzare la moda. Ed ecco che, Maison Ragosta riprende il suo percorso giornalistico nella prospettiva dell’approfondimento proprio con questo tema, l’eleganza appunto, che si presenta leggero e allo stesso tempo, quale spunto per ironie e proiezioni socio-culturali interessanti.
            Sono almeno tre i principi che sorreggono l’eleganza, quella vera, ovvero la coerenza al proprio status, la pertinenza alla circostanza e l’armonia con l’ambiente. Tre principi che si pongono in posizione gerarchica.
            E’ chiaro che il primo principio, che tutto governa, è la coerenza al proprio status, il quale ovviamente varia da circostanza a circostanza. In ogni caso, la persona elegante non dovrà mai indossare capi tali che facciano sfigurare che si trova in posizione di superiorità, anche perché ciò è pericoloso per la propria salute lavorativa, finanziaria, per limitarci solo ad alcuni aspetti degli effetti indesiderati di un’appariscenza superiore, o troppo volgare, rispetto a quella di chi vi precede nello status. In definitiva, l’abbigliamento, nel caso di posizione inferiore, non deve essere né più importante né tale da essere irriverente, indecente, o troppo sotto tono.
            Ed ecco che, abbigliati in maniera coerente, subentra il principio della pertinenza con la circostanza. Qui un paio di esempi valgono per tutti, ovvero è del tutto fuori luogo andare vestite di rosso, indossare una camicia rosa ad una serata di gran gala. I motivi per cui si vesta di nero li spiegheremo altrove, ma di sicuro l’uso del nero nelle serate di gala non è legato al fatto che sia più bello di un altro colore, o più “elegante” semplicemente. Ed ancora è del tutto fuori luogo indossare un Patek Philippe o un Piaget per fare la spesa presso un hard discount, anche se oggi i loro prezzi sono più abbordabili in certe versioni.
            Da qui si può applicare il terzo principio, che è quello dell’armonia con l’ambiente. Qui il tutto si può sintetizzare nel fatto che diverse sono le mise a seconda, ad esempio, se si fa una passeggiata in Centro o in periferia, vicino casa. Ed ancora, un conto è invitare una persona per una passeggiata nei giardini della Regia di Caserta, un conto è andare a passeggiare in un parco pubblico qualsiasi. Qui si richiedono abbigliamenti differenti, rispettando ovviamente i primi due principi evidenziati.
            La situazione, per chi non ha di queste problematiche o perché non se le pone o perché crede che la propria stravaganza sia come il sale, che va in tutte le pietanze, non è facilissima da attuare e mettere in pratica, in maniera efficace. E la questione si complica se si tiene conto che il concetto di status è nella realtà veramente difficile da definire. E ciò perché nella società non esiste una correlazione diretta, anzi è del tutto frequente la dissociazione tra grado culturale, intelligenza, ricchezza, ruolo sociale e fama. Su altro versante, tanto per intenderci, l’uomo muscoloso, insomma, non implica che questo sia un grande amatore. L’uomo del popolo crede che un titolo importante, una carica di rilievo racchiudano tutte queste qualità, ma purtroppo così non è, né mai lo è stato. Da qui tutte le difficoltà di cercare di capire quale sia il proprio status soprattutto in un ambiente poco formalizzato, conviviale, mondano, ecco.
            E per dare compiutezza a quanto si scrive, va messo in evidenza che, l’eleganza non è di sicuro la “moda manichino”. Ci si spiega meglio: la persona elegante non è quelle che vede in vetrina un abito messo addosso al solito manichino, lo compra e lo indossa, sostituendosi così solo al manichino. E questo vale sia nel caso si comprino capi con un brand di alto livello sia per quelli di livello più modesto. Stesse considerazioni valgono per la “moda giornale” o la moda “soap opera”, quella appunto per la quale il soggetto sembra appena uscito dal set.
L’eleganza è ricerca, intuizione, follia addirittura, nel raccontare, in definitiva, se stessi, con i colori, con i tagli, con le lunghezze, con le varie orpellerie, dove tutto appartiene ad un linguaggio, ad una relazione, ad un momento, ad un dialogo in sostanza “muto” ma di grande valenza.

Mauro Ragosta

 Nota: per chi fosse interessato ad acquisire la produzione letteraria di Mauro Ragosta troverà utili indicazioni in questo sito:
Grazie

domenica 7 giugno 2020

Maison Ragosta riavvia le sue attività (video)


Per fruire del video clicca qui di seguito:
https://www.youtube.com/watch?v=JnXrMQ7DUbM&feature=youtu.be

Un grazie d'anticipo a quanti vogliano offrire un loro commento, dei suggerimento o consigli per il miglioramento degli aspetti tecnici del video proposto.

Mauro Ragosta