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mercoledì 28 dicembre 2022

Saper Fotografare (parte tredicesima): realizzare un book di ritratti – di Mauro Ragosta

 

            Fatta eccezione per gli specialisti, un professionista come un dilettante a volte si trova di fronte alla richiesta di realizzare un book fotografico, composto prevalentemente da ritratti. Tale richiesta, nella normalità dei casi, viene avanzata da persone che svolgono un’attività con forte esposizione pubblica, avendo questa bisogno infatti di un buon numero di fotografie, non potendo utilizzarne una o due, e sempre le stesse, per l'alto numero di occasioni, soprattutto ufficiali, da esperire. Può accadere che la richiesta venga anche da persone ordinarie, sotto questo profilo, che tuttavia appartenendo a ceti molto alti, hanno bisogno di un ventaglio di immagini di vario significato, da utilizzare nelle diverse situazioni, intrattenendo infatti rapporti di alto profilo, dove ognuno di questi necessita la somministrazione di un’immagine di sé specifica e funzionale alla o alle relazioni.

            Nello specifico, il cliente-committente, in generale richiede un numero che va dalle trenta a alle quaranta pose da utilizzare nelle più disparate circostanze, a volte codificate a volte estemporanee. Fuori gioco è il ricorso al selfie, soprattutto perché non si ha la preparazione per realizzare ritratti tutti diversi. Nella generalità dei casi, ed è facile notarlo, chi si produce nel selfie realizza sostanzialmente sempre la stessa foto, replicata all’infinito, magari cambiando solo dei dettagli del tutto insignificanti.

            Il book di ritratti, infatti, altro non è che la narrazione di una persona attraverso la fotografia, e qui, non solo bisogna essere capaci di “scattare” con cognizione di causa, ma bisogna saper anche raccontare, comporre un pot-pourri, che dia l’idea della persona nei suoi vari aspetti, ovviamente tutti centrati sul tipo di book da realizzare e funzionale ad un preciso obiettivo.

            Ma da dove partire per costruire un book fotografico? Prima di entrare nello specifico tecnico e delle riprese, bisogna in primo luogo comprendere perché vi è stata fatta tale richiesta.

            Ovvio che il costo di un book fotografico è molto alto. In genere, va dalle duemila euro in su. Una cifra che si giustifica solo se il ritorno dell’utilizzo delle immagini è di molto superiore. Ora, proprio perché il costo di un book è molto alto, i processi di lavorazioni sono lunghi e particolari e non a tutti accessibili. Insomma, per realizzare un book non basta saper fotografare: questo si dà per scontato.

            Ciò premesso, saranno necessari almeno due o tre incontri preliminari col cliente-committente per scoprire il ventaglio dei motivi per cui vi è stata fatta questa richiesta. E così, come molti saranno i motivi che lo hanno mosso a scegliere voi, altrettanti motivi lo hanno spinto a realizzare una serie abbastanza lunga di fotografie su di sé.

            Compresi quindi i motivi che stanno alla base della richiesta, si entra nella fase più complessa. Qui a fondamento vi stanno quattro domande alle quali bisogna dare una risposta, che a seconda dei casi va progressivamente approfondita. E cioè, bisogna capire se il cliente-committente vuole essere rappresentato:

-       - nella prospettiva nella quale si vede o vuole che gli altri lo vedano

-       - nella prospettiva nella quale lo vedono gli altri

-       - nella prospettiva nella quale lo vede il fotografo

-       - nella prospettiva reale, così per come è realmente.

In tutti i casi, si presenta necessaria un’indagine sulle sue caratteristiche estetiche, psicologiche, culturali, sociali e financo storiche. Talvolta, nei casi più rilevanti e nell’ipotesi di costruzione di un personaggio, bisogna avvalersi di un consulente d’immagine, ovvero di colui che è specialista nel trovare le idee portanti dei vari ruoli sociali nel nostro sistema di comunicazione. Insomma, un esperto dei Nostri "giochi di ruolo".

Al di là di ciò, l’ipotesi più insidiosa è quella nella quale il soggetto vuole essere rappresentato per come è, in quanto qui le soluzioni fotografiche richiedono più impegno e creatività, dovendo “far saltare fuori”, mettere in evidenza ovvero, le principali contraddizioni e ambivalenze del cliente-committente, molto spesso financo a lui sconosciute.

Messo ciò in luce, e scendendo sul piano più tecnico, i ritratti sono di varie specie: si va dal primo piano spinto, al primo piano classico, al mezzo busto, al taglio all’americana (che prevede la ripresa di ¾ della persona) sino alla persona intera. In un book, vanno esperiti vari tipi di ritratti. Di questi i più semplici sono quelli da realizzare in studio, perché tutte le variabili sono sotto controllo e non richiedono particolare contestualizzazione.

Più complesse appaiono le riprese all’esterno, non solo perché gran parte delle variabili della ripresa non possono essere messe sotto controllo, ma anche perché sono più numerose.

In ogni caso, su un totale di quaranta immagini da realizzare, almeno sei o sette devono essere realizzate in studio. In genere, queste sono le più classiche, mentre per quelle in esterno è difficile trovare delle situazioni codificate e prestabilite, per cui, come si dice in gergo, “si va in performance”, per la quale bisogna accuratamente prepararsi.

Infatti, se in studio la principale preoccupazione è il soggetto da ritrarre, all’esterno l’attenzione va divisa fra varie circostanze, non tutte riconducibili solo al nostro cliente-committente, anzi...

Qui, dunque, i primi spunti per cominciare a pensare e a ragionare in termini di book fotografico, di narrazione del soggetto tramite le immagini, lasciandoci per gli altri appuntamenti una serie di approfondimenti, utili per scendere sul piano più concreto.

 

Mauro Ragosta

domenica 18 dicembre 2022

Post-Evento n°16: Al Ducale di Cavallino, ieri in scena i Cosentino, padre e figlio – di Mauro Ragosta

        “Addirittura padre”, l’ultima creazione da teatro di Salvatore Cosentino, scritta in una proiezione sinergica col figlio Francesco Saverio, è stata messa dai due in scena ieri sera al Ducale di Cavallino. Sebbene non fosse una prima, la pièce ha destato non poco interesse e una eco di sicuro rilievo. Un ricco parterre, non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche qualitativo, si è mostrato molto sensibile alle sollecitazioni che venivano dal proscenio, da un Salvatore assolutamente padrone della scena e da Francesco Saverio sempre all’altezza anche sul piano della tempistica e del ritmo, peraltro molto serrati. Un pubblico, dunque, molto attento, soprattutto perché l’alchimia dei Cosentino, sia sotto il profilo contenutistico sia sotto quello più strettamente “teatrale”, presenta tutte le caratteristiche del fenomeno evergreen.

            D’emblée va marcato che “Addirittura padre” si pone nel grande solco della produzione di Salvatore Cosentino, questa volta però in una prospettiva di superamento delle specificità compositive del Nostro giudice. Superata la noiosa querelle se Cosentino sia o no un attore -dove i più arguti possono comprendere con una certa agilità che ci si trova di fronte ad un fenomeno nuovo e innovativo nel mondo del teatro, che poco ha a che vedere con la recitazione e, allo stesso tempo, apre scenari inediti e tutti da scoprire ancora, per il rinnovamento e l’arricchimento di questo specifico segmento dello spettacolo- ieri sera al Ducale la performance di padre e figlio ha mostrato valenze a più livelli.

            Con “Addirittura padre” i Cosentino compiono due operazioni sottili e molto raffinate, precluse a molte opere teatrali messe in scena in questi anni, perché fin troppo infarcite di politica. I Cosentino vanno molto oltre, non mancando in questa loro pièce, importanti e significativi “squilli di tromba” sebbene non rappresentino questi lo specifico. Ma veniamo al dunque...

         La prima e significativa “manovra” che compiono i Cosentino con “Addirittura padre” è quella di tracciare una possibile via per ricucire i rapporti tra generazioni, un problema oggi che affligge la società moderna e soprattutto italiana, dove spesso i giovani galleggiano in un presente privo di senso, gli anziani che vedono la loro principale ricchezza, l’esperienza, buttata al vento o a marcire nella loro solitudine e le generazioni di mezzo, i veri protagonisti della nostra società, senza i giovani e senza gli anziani, proiettati in un consumismo sin troppo feticistico. I Cosentino mostrano una possibile strada, una possibilità sulla quale bisogna riflettere, ed eventualmente avventurarsi nella costruzione di questo “Grande Ponte” generazionale.

            Il focus messo in evidenza ieri sera, per adoperarsi in questa grande costruzione intergenerazionale, per la quale è stata utilizzata l’immagine del passaggio del testimone, nella prospettiva simbolica, è nel concetto di “strumento”, del “passaggio di strumenti”. In tutto questo ovviamente non è stata trascurata la prospettiva più sentimentale e affettiva, nelle sue varianti in positivo ed in negativo, dei rapporti tra generazioni, ma questi mai nello spettacolo dei Cosentino hanno avuto una dissonante predominanza.

            Sotto questa luce “Addirittura padre” è uno spettacolo decisamente moderno, una risposta ad uno dei grandi problemi che pone il nostro tempo. Tempi difficili? …forse. E proprio qui lo spettacolo dei Cosentino compie un’altra operazione di grande raffinatezza. Padre e figlio guardano al presente dal passato, ma non mancano di guardare al passato dal presente, ponendo una struttura interpretativa della realtà circolare tra presente e passato, dove per comprendere il passato bisogna conoscere il presente e per conoscere il presente si deve conoscere il passato. Un metodo sul quale soffermarsi, riflettere ed elaborare per capire e comprendere la portata dello spettacolo dei Cosentino

            E così, i Nostri protagonisti con estrema agilità vanno dai Caroselli degli anni ’60 al rapping, passando in veloce rassegna la cultura e i ricordi degli anni ’80 e ’90. Un mix narrativo che ovviamente chiama in causa i protagonisti negli addendi comuni alla vita di tutti noi.

            Insomma, “Addirittura padre”, uno spettacolo da vedersi, un’ora e mezza stimolante, che dà il coraggio e la voglia di guardare e di guardarsi, che risparmia il pubblico di virtuosismi tecnici oramai fin troppo ordinari, puntando dritto al cuore.

 

Mauro Ragosta

 

Nota: le foto, come al solito per gli eventi, sono state realizzate volutamente con la tecnica del mosso, perché si è privilegiata la prospettiva evocativa anziché quella descrittiva strcto sensu.

 

sabato 26 novembre 2022

Punti, appunti e …puntini (parte quarta): il Tempo nella prospettiva romantica – di Mauro Ragosta

 

      D’emblée ci si deve chiede se oggi abbia senso interrogarsi sul significato del Tempo nella nostra vita, nel nostro scorrere nell’ultimo tratto di una Civiltà fondata essenzialmente sul lavoro e che oramai sta per superare la soglia del 1500 anni. Una Civiltà, quella Occidentale, che ha reso compulsiva l’esistenza del comune individuo; una Civiltà compulsivizzante, nella quale, lanciati in una folle corsa, i piaceri-dovere dell’arricchimento, del carrierismo, dell’illusoria scalata sociale, del presenzialismo e per giunta del sesso, sono tutti fortemente sbilanciati sul dovere, mentre il piacere rimane relegato alla sola rappresentazione di sé stesso e dunque in buona parte mancante.

Quest’individuo Occidentale che poco ha di individuale, in quanto si rifugia in ricette della Salvezza e della Felicità sostanzialmente precotte, prive di nerbo, prese a prestito dal mercato, perché incapace di esprimersi se non nella prospettiva proposta dal trading e per questo precotta, appunto, ponendosi così fuori tempo, anzi senza Tempo.

            Ebbene sì, il sovradimensionamento del Tempo vissuto nella prospettiva cronologica, ovvero rapportando tutto al “ticchettio” di un orologio o allo scorrere delle “caselle” di un calendario, in definitiva conduce alla perfetta assenza di sé, così tanto cara al cristianesimo e ai suoi pensatori di un tempo e di oggi, come Gianteresio Vattimo.

            In molti sanno, pur non comprendendo più, che i greci utilizzavano per il Tempo sostanzialmente due espressioni, con accezioni profondamente diverse, ovvero Chronos e Kairos, alle quali si aggiungeva una terza, Aion. E così per i greci esisteva un Tempo, Chronos, che si esprimeva in termini quantitativi, ovvero in secondi, minuti, ore… e un Tempo, invece che era qualitativo e indeterminato, Kairos appunto, che indicava il Tempo giusto, il Tempo delle cose, il Tempo della Natura dove nulla è uguale. Alle due si sovrapponeva Aion, che indica l’eternità, oggi ampiamente confusa con l’immortalità, pia illusione dell’Uomo moderno. Eternità sostanzialmente sconosciuta ai più, perché contrapposta alla credenza della progressione delle cose e da qui dell’evoluzione, che di fatto non esistono se non nella mutazione formale della vita e nulla più. E qui, è bene fermarsi.

            Per noi Occidentali, quindi, esiste quasi unicamente il Chronos, che ci piace utilizzare in tutte le salse a vari fini, tra i quali modificare la stessa Natura, ma anche per creare un sistema umano industriale. A ciò basti pensare, per esempio, al nostro sistema formativo, che si scandisce sulla base del Tempo cronologico, somma regola che include ed esclude, premia e punisce. Regole cronologiche tuttavia che portano alla perdita di sé stessi, proprio perché ridotti a ingranaggi e meccanismi regolati sulla base della Legge strutturata sul Tempo cronologico.

            Insomma, il Kairos e l’Aion sono estromessi dalle cognizioni dell’Uomo moderno comune. E ciò nonostante le recenti acquisizioni della matematica in ambito quantistico, applicate ampiamente soprattutto in campo informatico, tra le quali i principi della relatività e dell’indeterminatezza che dovrebbero allontanarci dal Tempo vissuto in maniera esclusiva come Chronos.

            E a questo punto ci si chiede se sarà possibile per l’Uomo riappropriarsi del Kairos, che tuttavia sussiste in ristrettissime élite, per le quali mai è morto. E ci si chiede ancora se questo potrebbe essere compatibile la nostra società standard e standardizzante. E ancora, sarà possibile per l’Uomo del futuro osservare il Tempo nel consumarsi delle cose, in questa dimensione assolutamente romantica, che richiede una sviluppata capacità di saper attendere e consente l’assaporare in pienezza la vita istante dopo istante.

            Certamente, il relativismo introdotto da Einstein e tradotto da Popper, pare che non sia andato al di là del semplice “rumore” nelle fasce sociali più numerose, quali quelle medie e basse, le quali continuano a mostrarsi come masse indistinte. C’è solo da auspicarsi che la Nuova Civiltà, che è già alle porte, ovvero quella delle macchine, liberi l’Uomo dall’essere e dall’aspirare esso stesso all’essere macchina, avvalendosi solo del Chronos, per entrare finalmente nella dimensione del Kairos, e forse anche in quella dell’Aion, prerogativa quest’ultima, oggi, di pochi club.

           

Mauro Ragosta

domenica 30 ottobre 2022

Punto Nave: il 2022 – di Mauro Ragosta

 

           Dopo circa due anni silenzio sui temi di politica, economia e società, Maison Ragosta riattiva questi comparti culturali, composti quasi esclusivamente di spunti e di riflessioni, che sono stati centrali nei suoi due primi anni di attività, ovvero nel 2019 e nel 2020, in linea con la sua strategia di fondo che mira sostanzialmente all’intrattenimento.

            Questo ritorno è caratterizzato da una marcatura ancora più forte sull’assenza di uno specifico orientamento politico, in linea con le dinamiche di scenari più ampi, che vedono l’intellettuale posto nel ruolo dell’osservatore, quasi asettico. Un orientamento dichiarato oramai pubblicamente sia da noti intellettuali sia di destra sia di sinistra. Da Veneziani a Cacciari il mestiere dell’intellettuale è quello della sintesi e della presa d’atto, di colui che riesce ad avere una visione d’insieme. Un ruolo non sposato da tutti, ma oramai il processo è stato avviato e, dato lo scenario, difficilmente potrà essere arrestato.

            E così dopo oltre cento anni di attività in prima linea, a partire con la Seconda Repubblica, gli intellettuali sono stati relegati al ruolo di “supporter” dei politici. Un processo lento che si è evoluto nella Terza Repubblica portando a fargli svolgere, soprattutto a quelli di prima linea, un ruolo tecnicamente di “commentatore” di ciò che succede in politica, in economia, nella società. Una crescita o una deminutio?

            Sulla domanda si tornerà in seguito, anche se molto stimolante si presenta per chi scrive e ci si immagina, anche per chi legge. Ma veniamo al punto di questo pezzo, che tenta di produrre una sintesi del 2022.

            Ora, premesso che nel 2020 e nel 2021, a seguito della Covid-Economia, che ha fatto schizzare in alto, come mai si era visto prima, il debito dello Stato e ha permesso un possente trasferimento di ricchezza nel settore sanitario, la vera novità del nostro tempo è rappresentata da una modificazione strutturale dell’economia, che ha visto l’avvio delle pratiche del Telelavoro e del Bonus Statale. Due elementi questi che saranno strutturali negli anni che verranno, per molte ragioni, ed in primis per il premere dell’informatizzazione e della robotizzazione dei processi produttivi, che saranno sempre più pregnanti ed inarrestabili nel futuro. Nel 2022, invece, sono emerse altre due novità.

            Il 2022 si è aperto con la guerra in Ucraina, che mese dopo mese ha mostrato il suo vero volto, ovvero quello di “momento flettente” -usando un linguaggio da ingegneri civili- dove si scaricano tutti i processi di aggiustamento delle posizioni di potere politico ed economico delle aree più sviluppate del Globo. Per i più attenti osservatori è evidente che gli sviluppi della scienza e dell’applicazione tecnologica hanno fortemente compromesso le relazioni tra i vari blocchi di controllo dei vari territori, le cui tensioni emergono in Ucraina, come momento “dialogante”.

            Da questa lettura, va da sé che la guerra in Ucraina durerà fino a quando non si troveranno nuovi equilibri economici e di potere a livello globale, che porteranno quasi sicuramente una potente accelerazione degli sviluppi della società, di una società nuova, magari dove saranno centrali, tra gli altri, il Bonus Statale e il telelavoro.

            Ad aiutare il consenso popolare per queste soluzioni, vi sarà l’inflazione, che già oggi in Italia ha superato il 10%. Inflazione che, in qualche modo pilotata, fa sentire tutto il suo peso sui portatori dei redditi più bassi, quelli che si adeguano molto lentamente all’aumento dei prezzi, invogliando così il comune cittadino a riorientare le sue scelte di vita, ovviamente nella direzione indicata dalle nuove tecnologie e dalla nuova economia, che stanno velocemente prendendo piede e diffusione.

            Il 2022, e almeno rispetto al caso italiano, può essere preso come momento d’avvio effettivo della crisi della politica popolare. Il basso tasso di afflusso alle urne nell’ultima tornata elettorale, il più basso da che esiste la Repubblica, da un lato, e dall’altro una scarsa partecipazione e sensibilità nei confronti di coloro che si autodefiniscono complottisti e contro il Sistema, mette in luce che una fetta importante della popolazione italiana ha messo in soffitta qualsiasi argomento politico. Molti sono i cittadini che non vogliono più “giocare” né al gioco della democrazia, ma neanche al gioco del sovversivo, dell’antisistema, chiudendosi in una sorta di autismo sociale più soddisfacente dal punto di vista esistenziale.

            Certamente, lo sviluppo culturale della popolazione è la prima causa di tale situazione, in quanto mette in luce le incongruenze strutturali della Costituzione (si veda ad esempio la questione legata al vincolo di mandato, art.68 della nostra costituzione) e del sistema politico ufficiale preso nel suo complesso, che non convince più…

 

Mauro Ragosta

mercoledì 12 ottobre 2022

Saper Fotografare (parte dodicesima): il ritratto – di Mauro Ragosta

 


           Un “clauster” nell’arte della fotografia, ma non solo, è rappresentato dalla ritrattistica, la quale richiede molte abilità e non solo tecniche, ma anche sul piano delle competenze trasversali fino ad arrivare alle metabilità. Si è detto molto sull’arte del fotografare in questa rubrica, con la scusa di affrontarne i suoi vari argomenti e partizioni, ma molto altro v’è da dire e questa volta con la scusa di dare delle “dritte” per la realizzazione di un ritratto, si affronteranno alcuni temi fondamentali.

            Per tenere a mente le più importanti asserzioni formulate fino ad ora, qui ricorderemo che l’arte della fotografia possiamo distinguerla in Arte Bassa e Arte Somma, dove la prima ha come obiettivo principale il riprodurre in maniera quanto più fedele ciò che si vede, mentre la seconda tende ad interpretare quanto si osserva. L’Arte Bassa tende, insomma, a fare una fotocopia perfetta dell’osservato, mentre l’Arte Somma va in profondità e cerca di avvicinarsi alla Realtà con varie tecniche, retoriche e stratagemmi, senza mai riuscirci, ovviamente. Certamente, l’Arte Fotografica Somma di certo riesce a fornire un’immagine molto vicina alla realtà, sia sotto il profilo intellettivo, ma anche sotto quello emotivo. Da qui, va da sé che l’Arte Bassa dipende esclusivamente dalla tecnologia in possesso, l’Arte Somma dipende, invece, dal proprio bagaglio culturale e speculativo.

           Dal punto di vista comunicativo, invece, l’Arte Fotografica si può distinguere tra ciò che si vuol comunicare a sé stessi, ovvero l’arte di prendere appunti a proprio uso esclusivo, oppure ciò che si vuol comunicare agli altri. In molti affermano, in una prospettiva onanistica, che la Cultura come l’Arte non devono avere intenti comunicativi, ma il solo scopo di creare. Ovvio che tali affermazioni sono smentite senza grande difficolta dal dispiegarsi della Realtà stessa e dei fatti. Anche l’art therapy ha forti valenze comunicative…

         Tutto ciò premesso, entriamo nel vivo del tema oggetto del presente “pezzo”. E qui va subito evidenziato, nella prospettiva dell’Arte Fotografica Alta, che ogni primo piano richiede una sua elaborazione, una propria speculazione. E questo perché un primo piano non spiega in toto il soggetto ritratto, ma uno dei suoi aspetti. L’essere umano, a tal riguardo, è come una pietra preziosa, una gemma col taglio brillante. Peraltro, l’essere umano, nonostante gli sviluppi della robotica e dell’intelligenza artificiale, conserva un quoziente molto alto di Mistero. Ne deriva che i volti di un soggetto sono numerosissimi.

            E qui, la prima cosa da fare è capire quali dei tanti aspetti far emergere dal Nostro primo piano. Una volta definito tale obiettivo, si passa alla costruzione dell’immagine. Ora, per la sua realizzazione si può partire da una prima speculazione, che giunge ad una triade di domande da farsi. In genere i fotografi meno esperti mostrano un carattere e un’impostazione dispotici o interagiscono col soggetto da ritrarre lo stretto indispensabile per realizzare lo scatto.

            In un rapporto professionale, il fotografo prima di realizzare un primo piano deve instaurare una vera e propria relazione col soggetto. Deve conoscerlo se non bene, quanto meno a sufficienza e da qui giungere, dopo aver inquadrato che tipo di aspetto far emergere, se questo deve conformarsi a come lo vede il soggetto ritratto o a come lo vede il fotografo ritrattista, oppure ancora a come lo vede il prossimo, magari una cerchia ristretta di persone o anche un vasto pubblico.

            Questo appare un passaggio fondamentale. Spesso il fotografo dà una sua interpretazione del soggetto fotografato, nella quale lo stesso non si ritrova, volendo far emergere di sé magari la sua visione di sé medesimo.

            Ora, al di là delle diverse espressioni da ritrarre, va sottolineato che l’intero ritratto è un complesso simbolico che va costruito con attenzione ed intelligenza. Al riguardo, i primi tre gruppi di simboli attengono al piano delle luci, dei cromatismi e dei simboli stricto sensu.

            A tal riguardo e con riferimento alle luci, sia naturali che artficiali, bisogna tenere sempre presente che un conto è far giungere la luce principale sul volto del soggetto da destra, o da sinistra, o in maniera centrale. E ancora valenza importante ha l’operare anche con una luce posteriore, o con degli spot.

            Con riferimento ai cromatismi, qui oltre a trovare il giusto equilibrio tra i colori messi in campo, bisogna avere chiare le idee sulla valenza concettuale di ciascun colore. E ciò vale anche sugli accessori usati dal soggetto da ritrarre, dove ciascuno deve avere il giusto significato.

            Ma non finisce qui. I ritratti, in linea generale si distinguono in tre categorie o tre tipi di inquadratura: i primi piani più o meno spinti; il mezzo busto; all’americana, ovvero inquadrando tre quarti dell’intera persona, dal ginocchio in su, insomma.

         Tra le varie considerazioni da farsi, nel primo piano, anche spinto, molta attenzione bisogna riporre nella posa del volto e da qui alla posizione degli occhi. Tra i tanti esempi che si possono fare è quello dello sguardo di traverso, che può essere fatto con l’occhio destro o sinistro. Ovviamente, privilegiare uno o l’altro ha valenza diversa.

        E seguendo, nel mezzo busto e nell’inquadratura all’americana, molta attenzione va fatta alla gestualità. Qui bisogna sapere il valore di tutti i gesti, o della maggior parte di questi. Con riferimento allo sfondo, anche qui, ogni sfondo ha significati precisi e che magari si amplificano o si annullano con altre componenti dell’inquadratura.

           Per finire, un cenno merita l’angolo di ripresa, che come è ovvio può essere dall’alto, dal basso e in linea. Anche qui i significati variano e sono tutti diversi.

           Come al solito, Maison Ragosta non offre disamine specifiche ed analitiche, ma una serie di spunti di riflessione e utili sintesi per i suoi lettori, che, sempre molto esigenti, pare gradiscano questo tipo di impostazione. Così, nell’augurarci di aver colto ancora una volta nel segno, ci riaggiorniamo al prossimo appuntamento, nel quale ci si intratterrà sul come costruire un book fotografico.

 

mauro ragosta

           

venerdì 16 settembre 2022

Rivoluzione Informatica (parte ottava): Il secondo decennio degli anni 2000 - di Andrea Tundo

 

Eccoci ritrovati per l’ultimo capitolo di questa Rubrica dedicata alla Rivoluzione Informatica e al progresso tecnologico, in definitiva. In questa sede, sulla falsa riga del precedente appuntamento, continueremo le nostre analisi con i pirotecninci avanzamenti, che hanno caratterizzato il secondo decennio del 2000, fino ad arrivare ai giorni nostri. Abbiamo, finora, lasciato un mondo dominato dai computer e pian piano sempre più colonizzato dagli smartphone, mentre le pieghe del sociale vengono ricamate dalle fitte reti di connessioni social, creando un nuovo livello di comunicazione sovrapposto a quello della vita reale, altrettanto influente su di essa.

Sicché, dal 2010 in poi, vediamo il progressivo sviluppo e diffusione degli smartphone, che altro non sono dei computer tascabili, ai quali mancava ancora, fino a qualche tempo addietro, solo una cosa per divenire un accessorio di uso massificato su scala globale: la connessione mobile! Fino a poco più di 15 anni fa infatti non era così scontato avere una connessione internet esterna, senza spendere un patrimonio (va ricordato, in più, che si usavano ancora le cabine telefoniche in molti comuni d’Italia). Sotto lo slogan di “mobile first” tutte le emergenti compagnie tech, hanno velocemente creato una rete sempre in grado di farti connettere nel mondo virtuale ovunque ti trovi. E così, in brevissimo, gran parte degli individui del pianeta Terra, hanno oggi a disposizione un'infinità di Mondi in una sola mano, attraverso lo smartphone.

     L’implementazione di interfacce mobile utilizzabili direttamente da telefoni, combinate con modalità di iscrizione poco complesse e senza particolari metodi di verifica, hanno fatto si che i social dilagassero. A partire da Facebook e Twitter, ma anche Instagram e TikTok. E poi Tinder, Grindr, ma anche LinkedIn, Anobii, Medium, Flickr e tutti gli altri.

      Quando l'infrastruttura di internet, la rete delle reti, è stata costruita alla fine degli anni Sessanta, nessuno avrebbe potuto neanche immaginare cosa potesse diventare il web (creato da Tim Berners-Lee alla fine degli anni Ottanta e reso popolare da Netscape a metà degli anni Novanta) figuriamoci l'esistenza di reti sociali mediate dalla potenza digitale. Eppure era facile immaginarlo: la voglia di socialità è quello che contraddistingue le persone e, non solo; gli stessi mercati sono conversazioni, come aveva affermato nella prima delle sue 95 tesi il Manifesto Cluetrain.

            E così, su unica rete si è proceduto a connettere ed interconnettere non solo i computer e i personal computer, ma anche gli smartphone. E non solo, anche tutti i tipi di Robot, che usufruiscono, utilizzano e gestiscono la rete. E ciò a tal punto che, l’esistenza umana oggi si bipartisce tra esistenza virtuale e esistenza reale, ma non basta. Esiste una società virtuale e una società reale. Ovviamente, il confine tra i due Mondi non è netto, ma è sotto gli occhi di tutti che la vita si svolge sia in presenza sia tramite computer, qualunque esso sia.

Si assiste nel mondo virtuale a compravendita di like e follower, bolle informative, manipolazione della pubblica opinione e delle elezioni, privacy, bullismo online, revenge porn, fake news, deepfakes, odio online sono tutte conseguenze di questo mix socio-tecnologico, insieme alla nascita degli youtuber, degli influencer e di categorie ancora inedite di maître à penser digitali. Come faremmo a vivere senza?

Ma la tana del “bianconiglio” non finisce qui, l’antro più oscuro nel quale guardare riguarda l’influenza sociale che questi possenti apparati digitali posseggono su enormi masse di uomini e le problematiche di sicurezza sociale ed individuale che questa comporta. In primo luogo, prendendo il caso Cambridge Analytica già citato nel capitolo precedente, analizziamo lo scandalo più importante per la storia della privacy e delle fake news, che non è niente di più che lo stesso. È bastato un quiz con l'app gratuita "This is your digital life" su Facebook fatto a 270mila persone (una goccia nel mare dei due miliardi di utenti del social di Mark Zuckerberg) per consentire a Cambridge Analytica di profilare quasi duecento volte il numero degli utenti senza che ne se rendessero conto.

     È chiaro, dunque, che i grandi giganti tech hanno per le mani degli strumenti talmente tanto potenti da minare le logiche su cui si fondano non solo i nostri sistemi sociali Occidentali, ma la società stessa. Prendendo in prestito le parole di Harari: “Se gli umani sono animali hackerabili e se le nostre scelte e opinioni non riflettono il nostro libero arbitrio, quale dovrebbe essere il ruolo della democrazia? Come vivi quando ti rendi conto che il tuo pensiero potrebbe essere plasmato dal governo, che il tuo amigdala potrebbe funzionare per Putin, ad esempio, e che la prossima idea che si affaccia nella tua mente potrebbe essere il prodotto di qualche algoritmo che ti conosce meglio di quanto tu conosca te stesso?”

     In secondo luogo, ma non per importanza, ciascuno di noi inserisce regolarmente numerose informazionali personali, riguardanti ogni sfaccettatura della propria esistenza, sui social network, fino ad arrivare a rilasciare persino le nostre impronte digitali ad Apple o la scannerizzazione delle linee del nostro volto a società che controllano strumenti come FaceApp. È molto difficile avere contezza di quanto di prezioso gettiamo nel mare del web, lasciando il tutto incustodito per gli attacchi di malintenzionati siano essi singoli hacker, che privilegiano un attacco individuale (es. furto d’identità), o grandi società che sfruttano il calcolo combinatorio dei Big data, per raggruppare grandi quantità di dati di molte persone per utilizzarli verso i propri fini commerciali.

    Quando parliamo di Big Data ci riferiamo a computer in grado di operare calcoli molto complessi, comprendenti un’incredibile quantità di dati e variabili, ed i suoi sostituti sono già alle porte, i quali promettono applicazioni tecniche che potrebbero essere devastanti: i computer quantistici. Cosa sono? In breve computer che non usano i Bit e il classico linguaggio binario, ma Bit quantistici, i quali possono possedere più valori simultaneamente, non basandosi sulle regole della meccanica classica ma di quella quantistica.

     Un altro grande tema è la robotica che nell’ultimo decennio ha compiuto degli sviluppi incredibili. In prima battuta sarà oggetto della nostra trattazione non l’idea di robot umanoide a cui siamo abituati, che pure hanno fatto passi da gigante, bensì i “robot da combattimento” ed i soft robot. I primi sono macchine potenziate che già oggi vengono utlizzate in situazioni di guerriglia, come ad esempio i droni e i nuovi e sofisticatissimi cyberg-dog, armati fino ai denti. I soft robot sono invece sono composti di materie prime anche organiche, sono morbidi, elastici e flessibili. La loro grandezza può variare a seconda degli scopi perseguiti, possono essere anche grandi quanto un’unghia. Le loro applicazioni sono numerose nel campo della ricerca scientifica, vengono utilizzati per esplorare ambienti complessi come il fondo degli oceani, che della medicina, si possono effetturare operazioni invasive con soft robot in grado di “navigare” il corpo umano, o ancora essere utilizzati come armature, una sorta di rinforzo dell’esoscheletro.

    Quando si parla di robotica, tuttavia, è innegabile il riferimento all'imitazione dell’umano e all’intelligenza artificiale. In sintesi, al giorno d’oggi siamo dominati dagli algoritmi, i quali sovente hanno l’ultima parola tanto sulle nostre scelte come singoli (è google maps che sceglie quale percorso prenderò, Tinder con chi mi accoppierò) tanto sulle nostre scelte collettive (chi voterò nelle prossime elezioni?). Per tanto oggi l’intelligenza artificiale ad oggi si configura per lo più come macchine e strumenti in grado di riconoscere volti, e voci, giocare ai videogame, compiere operazioni come guidare un autoveicolo. Negli aeroporti di Tokio le assistenti sono donne-robot, che danno indicazioni di vario genere ai viaggiatori. Ma c’è di più. È già attiva una giornalista-robot, in grado di leggere un testo, fare una recensione scritta e provvedere anche all’intervista in presenza... Sono però ancora molto esigui i casi di sviluppo di un’intelligenza emotiva o addirittura di quella che si potrebbe chiamare “coscienza”, come nel celebre caso dell’ex ingegnere di Google, il quale aveva avuto un profondo dialogo con un AI.

       L’ultima tappa di questo nostro percorso è l'ingegneria genetica, la quale lancia segnali di distopismo verso il futuro. L’ingegneria genetica infatti è quella branca che si occupa di isolare, clonare ed inserire geni in un nuovo ambiente in modo tale da modificare le caratteristiche delle cellule riceventi. Sicché oggigiorno, granparte degli elementi con cui abbiamo a che fare ogni giorno, compresi noi stessi, sono modificati geneticamente. In linea generale, oramai appare tutto geneticamente modificato, da ciò che mangiamo a noi stessi…..

   In conclusione, a termine di questi capitoli, attraverso i quali abbiamo percorso l'evoluzione della materia regina del nostro secolo, l’informatica, possiamo in maniera più lucida distaccarci dai tecnicicsmi e dai discorsi specialistici e lasciarci con’immagine di più ampio respiro.

     Quello che potenti progressi tecnologici, foraggiati prima da un’organizzato apparato burocatico militare-statale e da un feroce concorso capitalista tra grandi società poi, è un mondo frastagliato e confuso nelle sue fondamenta, all’apparenza così diverso da ciò che prima d’ora si era visto all’interno delle organizzazioni umane, eppure... facciamo qualche passo indietro, quando gli uomini, ancora, credevano ai miriadi di dei nascosti nel cielo:

      Quando gli uomini credevano a potenti Dei nascosti nel cielo, essi costruivano templi per la loro divinità preferita, organizzavano celebrazioni in suo onore, offrivano sacrifici e tributi, donavano terre. Presso i Sumeri, quindi circa 6000 anni fa, i templi non erano soltanto luoghi di devozione, ma anche i più importanti centri politici ed economici. Le divinità sumere assumevano compiti simili a quello dei moderni marchi di successo e delle grandi società per azioni. Oggi, quest’ultime, sono soggetti di diritto che posseggono proprietà immobiliari, prestano denaro, assumono impiegati, danno il via ad imprese economiche. Ecco, nell’antica città di Uruk o Lagash le divinità ricoprivano la funzione di entità legali che possedevano campi e schiavi, davano e ricevevano prestiti, pagavano salari e costruivano dighe e canali. Poichè gli dei non litigano e non lasciano eredità, essi accumularono una quantità crescente di beni e potere, sempre più sumeri si trovarono impiegati in professioni connesse alla divinità. Proprio come nella San Francisco di oggi, Frank fa l’ingegnere per Google e Jessica la designer per Apple, mentre nell’antica Uruk una persona era impiegata presso il grande Dio Enki. I templi di Enki o di altri dei sovrastavano le città, e i loro divini loghi campeggiavano su edifici, prodotti e abiti. Per i sumeri Enki e Inanna erano reali proprio come per noi lo sono Apple e Google. Non sembra, in fin dei conti, essere cambiato nulla. 

Andrea Tundo

mercoledì 24 agosto 2022

Saper Fotografare (parte undicesima): Dialogo tra Eliana Lista e Mauro Ragosta sull'Arte Fotografica (live)

 

       Si propone qui, in versione live, il dialogo tra Eliana Lista e Mauro Ragosta sull'Arte della Fotografia, in occasione della presentazione della mostra fotografica di Mauro Ragosta, tenutasi a Lecce nel settembre del 2017, dal titolo "Cercando l'anima". Una performance che offre vari spunti di riflessione per chi ama apprendere e praticare l'Arte della Fotografia. Buona Visione cliccando sul seguente link o copiandolo e ricpondolo poi, in un motore di ricerca:

https://www.facebook.com/catia.melcore/videos/10209669573352883

Mauro Ragosta


venerdì 12 agosto 2022

Post-Evento n°15 – Rossella Maggio fuori Tempo …senza Tempo! – di Mauro Ragosta

 

            Ieri a Neviano, all’interno di una serata decisamente mondana, calata nel grande casale di Salvatore Mastria e Paola Carrozzini, la presentazione in prima assoluta dell’ultimo lavoro narrativodi Rossella Maggio: Capodanno a Shiraz.

            A dialogare con Rossella, la sobria Sondra dell’Oco, che, va subito evidenziato, è riuscita a far “confessare” alla nostra scrittrice leccese la struttura portante dei “credo” che assistono la sua opera letteraria e poetica. Maison Ragosta da tempo segue Rossella Maggio nelle sue varie esposizioni ed espressioni, e mai come in questa benigna e tranquilla occasione nevianese la scrittrice si è esposta così tanto, mostrando l’impronta originaria della sua arte.

            Non si sa se per fortuna o per sfortuna, il prezioso pensiero di Rossella Maggio non è stato contestualizzato all’attuale momento storico della nostra Civiltà, che vive un crepuscolo incantato, nel quale il pensiero della leccese avrebbe aperto squarci importanti su ciò che verrà e neanche fra moltissimo tempo. Ma andiamo per ordine.

            Capodanno a Shiraz è un’autobiografia autentica, non velata, anzi del tutto dichiarata con forza. Si sostanzia nella narrazione di un frangente di vita della famiglia Mastria, a cui per via materna Rossella è legata. I protagonisti principali del racconto sono, oltre a Rossella, il cugino Salvatore Mastria e sua moglie Paola Carrozzini, che, come s’è già messo in evidenza, hanno promosso la serata e ospitato la presentazione del volume di Rossella.

            Non è azzardato far rientrare questo lavoro tra la pubblicistica ”riservata” se non proprio d’élite, potendola far rientrare nel filone delle storie familiari, da un lato e dall’altro, tra le autobiografie autentiche, che non si presentano, almeno in provincia di Lecce, particolarmente sviluppate, al contrario di quelle “travestite” che proliferano abbondanti.

            Fin qui si rimane nell’ordinario, ma scendendo sul piano dei contenuti per lo più espliciti, Capodanno a Shiraz è un racconto senza storia, se per questa si intende una sequenza di fatti in senso cronologico. Quello di Rossella potrebbe farsi rientrare nell’anistoria, ovvero in una struttura narrativa in cui la variabile tempo viene meno, per cui personaggi e fatti si muovono in maniera indipendente rispetto allo spazio-tempo.

            In verità, questa operazione anistorica non è una novità nell’opera di Rossella Maggio, permeando infatti quasi tutta la sua produzione, ma questa volta a Neviano, tale caratteristica si è mostrata con forza, mettendo in luce un pensiero d’avanguardia della Nostra Maggio, che supera la cultura corrente legata al pensiero illuministico, oggi decisamente superato. Il relativismo, ma tutta la fisica quantistica, da un lato, e dall’altro gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, della robotica e dall’ingegneria genetica, hanno di fatto aperto le porte ad una nuova Civiltà, che mostra già i suoi segni, sebbene a livello embrionale, e dove l’impostazione delle idee della Maggio consentono proiezioni e speculazioni di tutto rilievo in tale direzione. Potrebbe dirsi che Rossella ha e propone un modo di pensare e di porsi rispetto alla realtà, dei tempi che stanno per venire

            Al di là di ciò, Capodanno a Shiraz narra di un viaggio di qualche anno fa in Iran dei cugini di Rossella, realizzato per trascorrere buona parte delle feste di fine anno, dove varie circostanze rendono questa esperienza unica, appassionante, che tiene col fiato sospeso fino alla conclusione.

            L’abbrivo alla serata, che vedeva un parterre folto e molto qualificato, anche sotto il profilo istituzionale, è stato dato dalla padrona di casa, Paola Carrozzini. È seguita una lunga e molto interessante premessa della Dall’Oco, che con pregiato e spiccato aplomb universitario, ha appassionato gli astanti, riuscendo infatti a toccare molti dei punti nevralgici delle sensibilità dei presenti. Sicché, dopo, il “botta e risposta” con Rossella. 

          La presentazione è stata chiusa dal padrone di casa, Salvatore Mastria, che ringraziando per il gradevole momento culturale, ha donato delle splendide orchidee alle sue protagoniste ed ha invitato tutti a bordo piscina per un cocktail e per ascoltare della buona musica, dando così compimento a questo frangente di un agosto salentino come sempre ricco di novità ed emozioni.

            E per concludere, va evidenziato che quella del Casale dei Mastria a Neviano non è stata una proiezione episodica della Maggio, ma solo l’inizio di una lunga serie di presentazioni nel Salento, e non solo, di cui la prossima sarà giovedì 8 settembre presso la Feltrinelli di Lecce.

 

Mauro Ragosta

 

Nota: le foto sono state realizzate volutamente con la tecnica del mosso, perché si è privilegiata la prospettiva evocativa anziché quella descrittiva strcto sensu.

venerdì 5 agosto 2022

La Rivoluzione Informatica (parte settima): gli anni 2000 - di Andrea Tundo



     In un arco di tempo tutto sommato ristretto come quello che va dal 2000 a oggi si è consumata un'evoluzione tecnologica senza precedenti. Sono numerosissime infatti, le innovazioni che si sono susseguite nel corso degli anni 2000. Alcune si sono poste come alberi sempre verdi, traguardi senza tempo, capisaldi in grado di reggere a lungo anche alle innovazioni future, altre invece sono state solo come rapidi flash, apparecchiature transitorie. Per ragioni di organizzazione delle informazioni, in questo capitolo affronteremo unicamente la prima decade del nuovo millennio, ma si tratta di una divisione formale e anche piuttosto arbitraria in quanto, le scoperte tecnologiche che stanno guidando i nostri giorni verso la terza rivoluzione del web e una nuova visione dell’umano hanno avuto i loro fondamenti teorici e pratici prima degli anni ‘10’ del XXI secolo

    Ad ogni modo, ciò che bisogna comprendere è che d’ora in poi i computer e le macchine sono parte integrante e fondamentale nei processi di innovazione in qualsiasi campo del sapere umano, sia esso scientifico o umanistico, in altre parole non si parla più di rivoluzione informatica in sè, ma di rivoluzione informatica di altre discipline. Oltre a questo, le tecnologie sono anche sempre più piccole, sofisticate e collegate al corpo umano. Infatti, vicino all’alba dei 2000, tanto oramai l’Umanità dipendeva dai sistemi informatici che un’orda di tecnici in tutto il mondo si preoccupava dell’eventualità di un Millenium Bug, ovvero l’apocalisse informatica, che sembrava dovesse abbattersi su ogni PC. Il baco del millennio consisteva nell’impossibilità da parte della maggioranza dei sistemi informatici di allora di leggere l’anno ’00 come 2000: il rischio era di trovarsi improvvisamente al 1° gennaio 1900, con il mondo in preda a una specie di “rivolta delle macchine”. Così ovviamente, non fu.

     L’Umanità è ormai lanciata verso l’abbattimento di ogni confine, è possibile comunicare e lo sarà sempre di più con chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Dunque, è anche possibile essere controllati ovunque, in qualsiasi parte del mondo. Una delle invenzioni più importanti di questo periodo, infatti, è proprio Google Maps che rivoluziona per sempre il modo di guardare una mappa, iniziando per primo quel processo ormai inesorabile che consegna la capacità decisionale degli individui agli algoritmi semplificatori. Non ci sarà bisogno di guardare la strada e memorizzare dei punti di riferimento, non ci sarà bisogno di sforzarsi.

     In una corsa senza pause dall’uscita dello storico Nokia 3310 fino al primo Iphone prodotto da Steve Jobs, quasi ogni persona sulla terra possiede un telefonino che, dal 2007 in poi, con l’invenzione del touch-screen e dell’applicazioni cellulari (che sostituiscono i sowftare per le apparecchiature mobili) divengono un prolungamento del sistema neuronale umano. Il cellulare collega il nostro cervello e prolunga le nostre capacità in qualsiasi momento in altre dimensioni, che non sono tangibili mentre operiamo, siamo collegati con altro che, se da un lato possiamo tentare di influenzare, dall’altro ci influenza potentemente. L’uomo come mai prima d’ora ha accesso ad un portale infinito di informazioni e nessuna educazione e contezza nel gestirle.

      È ora di parlare di ciò che è stata sicuramente l’innovazione del decennio: I Social Network, emblema dell’Era dell’informazione. Piattaforme, che danno avvio all’era del web 2.0, che forniscono servizi per la gestione dei rapporti e delle reti sociali. I social si sono imposti, soprattutto con Facebook, nel rivoluzionare quasi ogni paradigma del modo di fare le cose. In primis è iniziato a mutare il modo in cui gli esseri umani si relazionano e comunicano fra loro, non solo in termini di velocità, infatti, i messaggi e le condivisioni sui social permettono un’estrema rapidità di azione e reazione, ma soprattutto rendendo più complesse le cose.

     Se inizialmente la comunicazione sui social poteva apparire come una riproduzione pressochè simile delle dinamiche della vita reale, presto, come già accadeva nelle sette online e dei blog reconditi del primo internet, all’interno dei social si sono sviluppati un linguaggio, delle dinamiche comportamentali, dei ritmi e altri codici propri, diversi da quelli della vita “fisica”. Insomma una realtà che si sovrappone alla realtà.

     I social hanno inoltre cambiato per sempre il mondo dell’informazione in senso stretto, dando la stoccata definitiva ai media tradizionali (giornali e televisioni) che faticheranno sempre di più a competere con la comodità e rapidità dello scambio di contenuti su queste piattaforme, le quali oltretutto, attraverso l’accumolo massiccio di dati e informazioni personali degli utenti, sono in grado di indirizzare le volontà degli stessi verso una determinata tipologia di contenuto piuttosto che un’altra, con conseguenze politiche, sociali ed economiche enormi che si riveleranno nel decennio successivo (Cambridge Analitica). Ancora, terminando un processo che avuto inizio con la televisione, l’uomo sarà ormai sempre più schiavo dell’immagine, dei colori, dell’interazione video e della brevità delle tematiche. Un uomo medio non è più in grado di mantenere la concentrazione su un contenuto per più di 7 secondi netti prima di “scrollare” verso uno nuovo. Situazione paradossale se si pensa all’aumento della complessità del sociale che avrebbe dovuto richiedere un aumento proporzionale della capacità di approfondimento. Siamo sempre più collegati, ma non si sa bene con cosa.

     Umberto Eco aveva, in maniera lungimirante, compreso questa dinamica affermando che Internet avrebbe reso “i ricchi, ancora più ricchi e i poveri, ancora più poveri” riferendosi a povertà e ricchezza rispetto alla qualità delle informazioni in proprio possesso. La struttura stessa della rete con la sua vastità e ampiezza di contenuti, necessità di piattaforme e sistemi che facciano da filtro fra queste miriadi di informazioni, colui che ha i mezzi per discernere e selezionare le prelibatezze dall’immondizia si troverà in una condizione immensamente privilegiata, al contrario chi non è dotato di queste capacità continuerà a nutrirsi dall’immondizia dell’internet senza possibilità di rendersene conto, ormai fagocitato dalle dinamiche di rete. “Il colto del XXI secolo non sarà colui che avrà memorizzato il maggior numero di nozioni e conoscenze, ma colui che sarà in grado di trovare l’informazione migliore fra le miriadi disponibili.” Parallalamente, in questi anni viene alla luce Wikipedia, la più grande enciclopedia online al mondo, in grado di fornire nozioni generali e minime su (quasi) qualsiasi argomento esistente.

    In conclusione, è bene ritornare sui passi iniziali e fornire un breve approfondimento su quanto l’informatica si sia staccata da sé per fornire rivoluzioni in ogni ambito dello scibile umano, segnando scoperte e rivoluzioni epocali.

In biologia nuove macchine di calcolo hanno permesso la mappatura di tutto il genoma umano e la creazione di cellule sintetiche, trasportandoci nell’era dell’eugenetica, oggi l’uomo è in grado di operare come un “Dio”: clonare essere viventi, perfezionarsi geneticamente (e non solo esteticamente), far partorire uomini... e tutto questo è il frutto della rivoluzione informatica.

Nell’ambito dell’ingeneria questi anni ci regalano la stampante 3D grazie alla quale è stato possibile operare importanti rivoluzioni in ambito medico. In fisica, macchine come l’accelleratore di particelle ha reso possibile la scoperta del Bosone di Higgs, dei buchi neri e delle onde gravitazionali, dando concretezza esemplare alle teorie di Einstein.

La sintesi qui riportata ci mostra, come già detto, l’entrata in una nuova Era dell’umano: sempre più dipendente dalle macchine e sempre più desideroso di assomigliarli. Se in questo capitolo si sono affrontati concetti, bene o male assorbiti e resi consapevoli in un lettore erudito, prestando maggiormente attenzione alle dinamiche sociali piuttosto che ai tecnicismi informatici, nel prossimo dovremmo nuovamente affrontare astrazioni e idee più complesse, scendendo sovente nel tecnico e toccando con mano il prossimo futuro dell’Umanità che sembrava fino a poco fa fantascienza. Si parlerà di computer quantistici, di microchip, di intelligenze artificiali, di realtà virtuali... della Nuova Era dell’internet

Andrea Tundo