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lunedì 27 giugno 2022

Collaborare con Maison Ragosta 2022

 

     Con la presente comunicazione si informa, a chi fosse interessato, che Maison Ragosta -rivista on line bisettimanale, di cultura e intrattenimento, attiva da gennaio 2019- valuta candidature per la selezione di un collaboratore da inserire nel suo attuale gruppo di lavoro, a partire dal 1° settembre 2022.

 

       Si precisa che, per i candidati saranno indispensabili una buona conoscenza della lingua italiana, una soddisfacente cultura interdisciplinare e una significativa propensione alla ricerca, nell’ambito delle scienze “molli”. Per la selezione non avranno valore determinante né i titoli di studio né i titoli accademici e neppure il curriculum, attinente agli studi e ai pregressi professionali, di lavoro e letterari. Particolarmente graditi saranno i candidati di età compresa tra 20 e massimo 30 anni o tra 50 e massimo 65 anni, residenti in provincia di Lecce o in provincia di Brindisi.

       I candidati, inoltre, dovranno essere disponibili a frequentare, con precisione e puntualità, un corso specializzato e personalizzato, che insisterà su temi di stile e politica della comunicazione, attraverso alcune full immersion (minimo 2, massimo 4) le quali verranno sviluppate nell’arco di 50 giorni e che, ad ogni modo, non si protrarranno oltre il 30 ottobre 2022.

       A tal proposito, gli interessati possono utilizzare il canale comunicativo che reputano più adeguato ed opportuno per le procedure di primo contatto, tenendo in considerazione anche dell’opportunità di poter ricorrere ad un approccio telefonico, utilizzando -preferibilmente dalle ore 10:00 alle ore 12:00 e dal lunedì al venerdì- il seguente recapito: 340-5230725.

 

Mauro Ragosta

giovedì 23 giugno 2022

Saper Fotografare (parte decima): La fotografia naturalistica e di architettura – di Mauro Ragosta

 

         Può apparire banale intrattenersi sulla cosiddetta fotografia naturalistica e di architetture, soprattutto oggi, in presenza della disponibilità di una tecnologia che con poche mosse e poche conoscenze dell’Arte consente di raggiungere risultati insperati non appena trent’anni fa, ma così ovviamente non è. È vero che negli anni della fotografia analogica si avevano grandi problemi circa la latitudine di posa, la gestione delle dominanti, le cosiddette linee cadenti, la capacità di trovare i giusti equilibri tra microcontrasti e contrasto generale, senza entrare nelle problematiche del B&N, ma oggi come allora, in merito alla fotografia oggetto della nostra attenzione, le categorie di pensiero rimangono solo due.

         Prima di addentrarci nella disamina di questo ambito dell’Arte fotografica, va evidenziato che quasi sempre il percorso di sviluppo del fotografo presenta sovente le stesse caratteristiche nelle varie fasi, avendo ognuna di queste, tempi di maturazione ed elaborazione connessi solo al soggetto fotografante.

         In linea generale, le prime inquadrature del fotografo principiante sono il sole e da qui il tramonto, via via poi tutto quello che la Natura, sia essa selvaggia sia essa modificata, propone. Nella foto d’architettura, spesso, poi, il contesto ritratto è privo dell’elemento antropomorfo, molto vicino alla cartolina postale classica. In definitiva, si tratta di una mera riproduzione della realtà visibile, priva tuttavia di quella carica “sanguigna”, emotiva e, si potrebbe giungere ad arguire, erotica. Molti si sforzano di conferire una certa vibrazione alle proprie immagini, utilizzando gli obiettivi più disparati, dai fisheye ai tele più spinti. Tuttavia, queste immagini spesso “mancano del fotografo”.

Ad ogni modo qui interviene il grande problema o la grande bipartizione della fotografia naturalistica e di architettura.

         Va da sé che al nostro sistema capitalistico basato sul consumismo, interessa il consumo in sé e solo in maniera marginale il cosa si consuma. E anche per la fotografia a pochi interessa il come si fotografa. Qui quello che è decisivo attiene al quantitativo di “scatti”, che si “scatti” ad ogni piè sospinto, insomma. Pratica questa ovviamente necessaria per alimentare il consumo, e da qui sostenere il reddito e l’occupazione. Il tutto, ovviamente, come è facile arguire, sovente sfocia nella fotografia compulsiva, che spesso si manifesta nella ripetizione ossessiva di un oggetto fotografato.

         Al di là di questi aspetti socio-economici, e ritornando sulla via maestra tracciata, è possibile affermare che esiste, in ambito naturalistico e di architettura, una fotografia che descrive e induce al ricordo delle fattezze materiali e immanenti delle circostanze oggetto d’attenzione. È la tipica fotografia dei cataloghi di ogni specie, volti a documentare agli interessati, spesso i turisti, ma non solo, anche studiosi e curiosi, sulle fattezze di strutture architettoniche e paesaggistiche.

         Esiste tuttavia un’altra fotografia, naturalistica e architettonica, che ugualmente descrive, ma induce ad evocare le atmosfere, i respiri, le energie di un luogo. È una fotografia che tende ad esaltare gli elementi immateriali della circostanza, le situazioni trascendenti delle architetture e degli scenari.

         Nel primo caso è sufficiente fotocopiare ciò che si vede, ed oggi la tecnologia rende piuttosto agevole tale tipo di fotografia. Nel secondo caso, ovvero quello che tende a produrre un’immagine evocativa, il contesto va interpretato. Ma non basta, va sentito, vissuto, respirato… Qui l’odierna tecnologia aiuta sul piano della rapidità di esecuzione di certi processi, sia in fase di scatto sia nella postproduzione, senza tuttavia essere decisiva. In assenza di una capacità di leggersi in profondità, nei recessi più oscuri della propria anima e del proprio sentire, i risultati il più delle volte sono magri. Ovvio che, in questo caso, tra soggetto fotografante e oggetto fotografato si deve realizzare, attraverso un processo osmotico, una piena fusione sino alla confusione, in un tutt’uno che deve trasparire dall’immagine realizzata.

Ed ecco che, alcune immagine instillano distacco e un certo mentalismo, mentre altre, prendendo a prestito le parole di Rossella Maggio, sono più “erotiche”, sanguigne… contundenti! Da qui, le prime replicabili, le seconde uniche!

 

Mauro Ragosta

 

venerdì 17 giugno 2022

Avvio all'esoterismo (tredicesima parte): appunti su Angeli e Demoni - di Grazia Piscopo

 

La narrazione sulla nascita degli angeli è pressoché oscura e confusa e si perde nella notte dei tempi. Di certo nella letteratura biblica, Dio sovrano fece emergere la Luce dal “Tohu ve Bohu”, in una parola, da tutto ciò che è oscuro e intellegibile. Il buio, le ombre, avendo la possibilità di diventare il Male, perché contrario alla Luce, erano necessariamente antecedenti alla Creazione. Rabbi Shemuel bar Nachman, ritiene che ogni Parola che esce dalla bocca dell’Eterno si trasformi in ogni istante in un Angelo, dandogli così la possibilità di sfuggire al destino “di cenere e polvere” a cui sono destinate le creature della Terra. Pertanto nonostante l’amaro e temporaneo destino umano, agli uomini però Dio aveva dato il potere di una superiorità ontologica e morale, ovverossia, nella volontà gioiosa di crearli, aveva donato loro un bene impagabile: il libero arbitrio, potere questo negato agli angeli.

Nel Corano, sura 2 versetto 28, e nel Talmud, collezioni scritte di tutta la Legge ebraica, si racconta che gli Angeli maggiori indissero serie proteste di dissenso con limitati tafferugli, perché prevedendo la fallacità e le fragilità umane, avevano già chiara la visione di uomini che nella Storia sarebbero stati dediti a guerre e crudeltà di ogni genere, mentre loro sarebbero stati inermi e impediti a bloccarli perché dissennatamente impegnati a cerimoniali celebrativi ieratici.

La Tradizione narra che dopo questa protesta, si formarono due schiere di angeli, quelli fedeli a Dio e quelli rancorosi e invidiosi degli uomini che a torto avevano avuto troppo potere. Gli uomini quindi divennero il bersaglio preferito di ogni sorta di malefatta da parte di una folta e oscura schiera angelica a formazione piramidale che prevedeva in cima alla gerarchia un capo supremo e poi via

via in basso fino alla moltitudine soldatesca.

La fede nell’invisibile, pur non avendo una origine cronologicamente assegnabile, ha radici profonde nelle religioni babilonesi e assire, derivate a loro volta da quelle accadiche e sumere. La moltitudine ieratica era composta essenzialmente da spiriti maligni, eterni rancorosi stolker di impauriti e indifesi uomini, abbandonati in certe fasi della storia anche da Dio, probabilmente pentito del suo cattivo creativo operato. Nella cultura sumerica gli spiriti maligni o angeli del male potevano essere di due tipologie: spiriti di esseri umani defunti che potevano essere controllati e addomesticati proprio per la qualità della loro vita passata; e spiriti mai incarnati responsabili verso gli uomini di qualsiasi azione malvagia, tortura e tragedia atmosferica. Scendendo dalle montagne o trasudando dalle rovine delle tombe con sembianze animalesche, vagavano per le città ed entrando nelle abitazioni attraverso le serrature, depredavano tutto, fisicamente e psichicamente.

La divinità malvagia più temibile nei culti assiro-babilonese era Pazuzu con il suo entourage, dio dei venti di sud-ovest proveniente dall’Arabia, portatore di tempesta, siccità, carestia e malattia. Lilu e Lilitu erano una spaventosa coppia che, nella mitologia giudaica seguente, divennero Samael e Lilith, quest’ultima signora della notte, infanticida e adescatrice di ingenui uomini, compreso Adamo.

Questa narrazione è andata avanti per tutto il medioevo in un tessuto sociale più informato e smaliziato che vedeva wikke, esorcisti e sacerdoti studiosi impegnati in ogni tipo di incantesimo e di formule di scongiuro (inquisizione permettendo) per allontanare ogni tipo di male e di malattie.

Qualcuno si aspetterebbe, visto che siamo figli di Dio, il trionfo del Bene sul male, ma questa come ogni storia a finale aperto vede le schiere demoniache perennemente gelose, tuttavia molto spesso rese impotenti, e le schiere umane “l’un contro le altre armate”, che per una sorta di tregua salvifica nel XVI sec. trovano una sorta di compromesso.

 

Grazia Piscopo

lunedì 13 giugno 2022

Post Evento n°14 - Libera interpretazione fotografica del vernissage di Claudio Rizzo - di Mauro Ragosta

    Ieri sera, 12 giugno 2022, a Lecce presso la Fondazione Palmieri, si è tenuto il vernissage della personale dello scultore leccese Claudio Rizzo. Un momento particolare della cultura del capoluogo salentino, che in qualche modo si è rispecchiata nelle sculture di Rizzo, cariche di significati esistenziali attraverso la fissità delle sue metafore di pietra (...e sangue) che richiamano "cose" antiche e antichi quesiti, assolutamente attuali anche oggi, sebbene infarciti di tecnologia e modernità spinta fino allo stordimento.

   Qui, di seguito, un'iterpretazione fotografica che, sebbene parziale, tenta di riprodurre assieme le atmosfere di Claudio, del suo vernissage, il suo pubblico ...i nostri leccesi. 









 Mauro Ragosta