Può
apparire banale intrattenersi sulla cosiddetta fotografia naturalistica e di
architetture, soprattutto oggi, in presenza della disponibilità di una
tecnologia che con poche mosse e poche conoscenze dell’Arte consente di
raggiungere risultati insperati non appena trent’anni fa, ma così ovviamente non
è. È vero che negli anni della fotografia analogica si avevano grandi problemi
circa la latitudine di posa, la gestione delle dominanti, le cosiddette linee
cadenti, la capacità di trovare i giusti equilibri tra microcontrasti e
contrasto generale, senza entrare nelle problematiche del B&N, ma oggi come
allora, in merito alla fotografia oggetto della nostra attenzione, le categorie
di pensiero rimangono solo due.
Prima
di addentrarci nella disamina di questo ambito dell’Arte fotografica, va
evidenziato che quasi sempre il percorso di sviluppo del fotografo presenta sovente
le stesse caratteristiche nelle varie fasi, avendo ognuna di queste, tempi di
maturazione ed elaborazione connessi solo al soggetto fotografante.
In
linea generale, le prime inquadrature del fotografo principiante sono il sole e
da qui il tramonto, via via poi tutto quello che la Natura, sia essa selvaggia
sia essa modificata, propone. Nella foto d’architettura, spesso, poi, il
contesto ritratto è privo dell’elemento antropomorfo, molto vicino alla
cartolina postale classica. In definitiva, si tratta di una mera riproduzione
della realtà visibile, priva tuttavia di quella carica “sanguigna”, emotiva e, si
potrebbe giungere ad arguire, erotica. Molti si sforzano di conferire una certa
vibrazione alle proprie immagini, utilizzando gli obiettivi più disparati, dai fisheye
ai tele più spinti. Tuttavia, queste immagini spesso “mancano del
fotografo”.
Ad ogni modo
qui interviene il grande problema o la grande bipartizione della fotografia
naturalistica e di architettura.
Va
da sé che al nostro sistema capitalistico basato sul consumismo, interessa il
consumo in sé e solo in maniera marginale il cosa si consuma. E anche per la
fotografia a pochi interessa il come si fotografa. Qui quello che è decisivo attiene
al quantitativo di “scatti”, che si “scatti” ad ogni piè sospinto,
insomma. Pratica questa ovviamente necessaria per alimentare il consumo, e da
qui sostenere il reddito e l’occupazione. Il tutto, ovviamente, come è facile
arguire, sovente sfocia nella fotografia compulsiva, che spesso si manifesta
nella ripetizione ossessiva di un oggetto fotografato.
Al
di là di questi aspetti socio-economici, e ritornando sulla via maestra
tracciata, è possibile affermare che esiste, in ambito naturalistico e di
architettura, una fotografia che descrive e induce al ricordo delle fattezze
materiali e immanenti delle circostanze oggetto d’attenzione. È la tipica
fotografia dei cataloghi di ogni specie, volti a documentare agli interessati,
spesso i turisti, ma non solo, anche studiosi e curiosi, sulle fattezze di
strutture architettoniche e paesaggistiche.
Esiste
tuttavia un’altra fotografia, naturalistica e architettonica, che ugualmente
descrive, ma induce ad evocare le atmosfere, i respiri, le energie di un luogo.
È una fotografia che tende ad esaltare gli elementi immateriali della
circostanza, le situazioni trascendenti delle architetture e degli scenari.
Nel
primo caso è sufficiente fotocopiare ciò che si vede, ed oggi la tecnologia
rende piuttosto agevole tale tipo di fotografia. Nel secondo caso, ovvero
quello che tende a produrre un’immagine evocativa, il contesto va interpretato.
Ma non basta, va sentito, vissuto, respirato… Qui l’odierna tecnologia aiuta
sul piano della rapidità di esecuzione di certi processi, sia in fase di scatto
sia nella postproduzione, senza tuttavia essere decisiva. In assenza di una capacità
di leggersi in profondità, nei recessi più oscuri della propria anima e del
proprio sentire, i risultati il più delle volte sono magri. Ovvio che, in
questo caso, tra soggetto fotografante e oggetto fotografato si deve
realizzare, attraverso un processo osmotico, una piena fusione sino alla
confusione, in un tutt’uno che deve trasparire dall’immagine realizzata.
Ed ecco che,
alcune immagine instillano distacco e un certo mentalismo, mentre altre,
prendendo a prestito le parole di Rossella Maggio, sono più “erotiche”,
sanguigne… contundenti! Da qui, le prime replicabili, le seconde uniche!
Mauro Ragosta