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martedì 28 settembre 2021

Saper Comunicare (parte dodicesima): L’ascolto – di Mauro Ragosta


        Nella comunicazione, ovvero nello scambio verbale e non solo, una parte decisiva occupa l’ascolto, ovvero quella capacità di saper capire, di volta in volta, i messaggi e le informazioni che provengono dalla controparte, sia essa una persona sia esso un gruppo. Capacità che si estendono in facoltà, in quanto l’ascolto è qualcosa che si sviluppa con lo studio e l’esercizio, anche di controllo della propria emotività. In tale direzione, un soggetto particolarmente fragile sotto il profilo emotivo, difficilmente svilupperà o migliorerà le proprie capacità di ascoltare i propri interlocutori.

        Va da sé che, lo sviluppo delle capacità d’ascolto è il motore primo per rivoluzionare la propria vita. L’ascolto, infatti, oltre a dare i presupposti di un’interlocuzione, dall’altra, proprio perché è una delle principali condizioni per acquisire elementi ed informazioni, genera un mutamento dei propri scenari cognitivi, e da qui un diverso agire e un’esistenza che si trasforma in un transito da un assetto di vita all’altro. Permette, dunque, la crescita, lo sviluppo e la possibilità quindi di giungere alla piena maturità, sotto molti profili.

         Il saper ascoltare nasce dal saper stare zitti. Per ascoltare bisogna tacere! E qui va specificato che il tacere non si intende solo il non proferire parola, ma anche avere un certo controllo delle proprie passioni e della propria mente, che in qualche modo devono rispondere al comando di riduzione dei moti emotivi e dell’attività celebrale in senso creativo e autonomo. In altre parole, per ascoltare in maniera ottimale occorre essere, per quel che è possibile, tranquilli ed avere una mente facilmente sgombrabile da pensieri poco pertinenti a ciò che è oggetto dell’interlocuzione.

        È chiaro che chi presenta frustrazioni importanti, e da qui un’emotività poco gestibile, spesso si produce nell’interlocuzione attraverso un eloquio spropositato, spesso eccessivamente verboso, il più delle volte è incapace di arrestare autonomamente il proprio dire. E per quel che riguarda gli effetti di emotività molto provate ci si ferma qui, senza ovviamente prolungarsi nei diversi aspetti e manifestazioni della frustrazione, soprattutto in campo comunicativo.

       E qui d’obbligo sottolineare, all’interno di quanto appena tracciato, che un ruolo decisivo nel nostro assetto da interlocutori giocano la nostra capacità di gestire il livello di reattività alle informazioni che ci vengono fornite dal nostro interlocutore, ma anche la capacità di decodificare le provocazioni, che tendono o a depistarci o a far perdere il nostro controllo sotto il piano emotivo.

       Stare zitti, dunque, è il punto di partenza fondamentale. Evitare di reagire d’impulso e scansare le provocazioni sono le altre questioni di pari rilevanza rispetto al silenzio o il tacere. E se queste sono cose difficili per alcuni, per altri sono il momento e l’agire decisivi per entrare in relazione e spezzare la propria solitudine. Il silenzio, infatti, è funzionale per acquisire i dati e le informazioni che emette il nostro interlocutore, il quale in ultima istanza può essere anche l’ambiente che ci circonda, ovvero quello scenario fatto di cose e persone, le quali nell’insieme ci offrono una serie di informazioni di rilievo. D’altra l’assenza di reazione e l’abbattimento delle provocazioni permettono un ascolto maggiorato e da qui una risposta estremamente efficace.

         Ora, la capacità di recuperare informazioni del nostro interlocutore, al fine di gestire la relazione dipende in maniera importante ovviamente dal proprio bagaglio culturale e in primo luogo dal livello delle nostre Conoscenze. Avere cultura non è sufficiente, infatti. E qui va marcato che, le capacità d’ascolto dipendono anche dal possesso di una buona spiritualità e significative cognizioni esoteriche. Più sviluppato è questo “pacchetto” di elementi decodificativi, maggiore sarà la possibilità di una risposta adeguata e soprattutto efficace. In ciò, l’ottima conoscenza della lingua in cui si interagisce completa il quadro di un ascolto ottimale.

        L’ascolto, peraltro, permette di comprendere non solo le informazioni principali emesse dal nostro interlocutore, ma permette di capire anche i suoi valori di riferimento sul piano, ad esempio, caratteriale, ma anche culturale, esistenziale, politico, economico e via dicendo. Comprensione, questa, di non poco conto perché permette di tarare il nostro dire in maniera chirurgica, precisa, ovviamente in proporzione alle nostre facoltà di capire e recuperare dati.

         E per concludere, si intuisce facilmente che l’ascolto e il saper ascoltare possono facilmente essere ricondotte al concetto d’Arte, nel senso più autentico, ovvero come possesso non solo di tecniche, ma anche di intuito e creatività, capacità di uscire fuori dagli schemi ed essere più aderenti alla Realtà.

 

Mauro Ragosta

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Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui di seguito per le principali delucidazioni:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 

lunedì 6 settembre 2021

Stile & Buongusto (parte undicesima): L’anticamera – di Mauro Ragosta


     Molti sono i motivi per cui credere che il lettore di Maison Ragosta rimanga sorpreso nell’apprendere l’oggetto dell’undicesima parte della rubrica Stile & Buongusto. L’anticamera pare oggi non solo un termine desueto, fuori moda, ma anche una struttura abitativa, un elemento della casa, magari la propria, non consona alle mode di questo tempo, un tempo, quale appunto il nostro, dove qualsiasi sosta pare essere un disvalore, ed anche di rilievo: sembra vietato fermarsi se non durante le ferie e il week end, da trascorrere ovviamente in movimento per andare di qui e di lì alla ricerca dell’agognato e forse mai guadagnato relax.

Forse si esagera, ma pochi sono coloro a parlare ed elogiare l’attesa, la lentezza e qualsiasi rallentamento. Anche i Media, quando illustrano e rappresentano i coffee break tutto è molto veloce, dinamico: oggi, l’unica lentezza consentita sembra essere quella connessa alla lettura, che di per sé deve essere velocissima, data la mole di libri prodotti dall’industria del libro: in Italia nell’ultimo lustro siamo di poco sotto gli 80.000 titoli all’anno editati.

            Velocità, solerzia, rapidità, dunque, i dictat dei nostri tempi, del Nostro Tempo! …da compensare poi con qualche Spa, che più che un piacere appare come una necessaria medicina, una cura indispensabile, pena l’insorgere di qualche disturbo, e non solo psichico… Ad ogni modo, corriamo e consumiamo, poi si vedrà!!!

            Preambolo a parte, forse un po’ provocatorio, non è né gradevole a vedersi né piacevole essere sempre in affanno e con un sorriso “stampato in faccia”. Una persona in affanno e sempre sorridente è decisamente fuori da qualsiasi regola di stile e soprattutto di buongusto. E giocando al raddoppio, vanno guardate con sospetto tutte quelle strutture culturali, fisiche e valoriali, che impediscono all’individuo una adeguata e dignitosa sosta tra un’attività e l’altra della sua esistenza. L’assenza di tali strutture, infatti, quelle intermedie appunto, impediscono, in termini molto pratici, di essere presenti a sé e agli altri, se non in una soluzione confusa, assente, dis-tratta. Insomma, fuori contesto!!!

            L’assenza di una “stanza di compensazione” tra i vari ambiti della propria vita, anche quotidiana, non solo impedisce un’azione efficace ed efficiente, pregnante, ma non è garanzia del proprio pensare ed agire nei confronti del prossimo, dell’interlocutore. Sotto altra prospettiva, ogni attività, almeno rispetto a quelle significative, richiede una preparazione, che in linea generale si sostanzia nel perdere le problematiche, l’incedere, il carico della dimensione dalla quale si esce e nel predisporsi a quelle che si sta per affrontare.

            In tale quadro si colloca l’Anticamera, quale struttura fisica, ma anche esistenziale. Sotto il profilo abitativo, il Mondo ha deciso che bisogna essere veloci, rapidi, e non solo, ma anche efficienti, e non solo in ambito sociale, stricto sensu, ma anche nel luogo a noi più caro. Sicché le abitazioni di oggi sono sprovviste di anticamera e tutto avviene nel cosiddetto open space, come una volta nelle case dei contadini: un unico ambiente, nel quale si accede dalla porta d’ingresso, dove si dorme, pranza, studia. A differenza di allora, l’ambiente è meno rozzo e mancano gli animali, quali asini, pecore e cavalli. In compenso ci sono i gatti e i cani. Ma va bene, ugualmente...

            Non c’è bisogno di una determinazione statistica per accorgersi che le case dotate di un’anticamera, ovvero quella camera in cui ci si distrae dal mondo dal quale si proviene e ci si prepara per quello nel quale si sta per fare esperienza, sono veramente poche. Spesso, peraltro, le anticamere sono mal curate e di scarso significato. Sicché solo in rari casi, quando si entra in una casa vera, si viene accolti in un ambiente che prepara a viverla in pienezza. Eh sì, perché le case vere, che non è detto che siano quelle lussuose o di gente ricca e benestante, sono strutture che rappresentano fortemente chi vi abita, e sono architettate in maniera tale da comunicare chi si è, come si considera l’ospite, cosa si gradisce da costui, cosa gli viene offerto, e via dicendo. Al di fuori di tale ipotesi, siamo in ambienti che non vanno al di là del funzionale o tesi ad ostentare magari ricchezza o cultura, ma mai tesi a narrare il proprietario o i proprietari. 

        Negli anni ’80, ad esempio, spesso si acquistavano le enciclopedie quali componenti e complementi d’arredamento. E a volte i più furbi, si procuravano quelle false, fatte solo dalle copertine, mentre dentro vi era del polistirolo al posto delle pagine. In altra prospettiva, negli anni ’90 cominciarono ad apparire in televisione e nelle riviste d’arredamento gli open space ricavati da vecchie fabbriche dismesse. Ambienti privi di qualsiasi riservatezza, senza difese dunque, e che si mostravano come ambienti desiderabili ed evoluti. E in qualche modo vanno bene per il popolo, che vive tecnicamente senza alcun segreto, immacolato, il quale sempre adempie alla regola tel quel: quello che si vede quello è, non essendoci dell’altro, appunto.

             Chi ha stile comprende bene che esistono le differenze individuali e sociali, le quali vanno mediate e somministrate, almeno le proprie, con grande accortezza e prudenza, talché attrezza sempre nella propria abitazione un ambiente, l’anticamera appunto, che prepara e predispone “al diverso”, e allo stesso tempo, al nuovo, che non possono essere compresi e acquisiti in maniera automatica, senza un buon livello di attenzione, favorito appunto da un ambiente di preparazione.

            Anche questa volta Maison Ragosta ha posto degli spunti di riflessione, che si spera invitino ad un percorso di approfondimento e di ricerca più soddisfacente, esaustivo e di certo più confacente ai propri interessi e alle proprie necessità conoscitive ed esistenziali. Sicché molto altro si può argomentare sull’anticamera e non solo nella prospettiva abitativa, ma anche in ambito esistenziale, dove quest’ultimo richiede soprattutto oggi, Tempo della Confusione e del Disorientamento, una necessaria attenzione e applicazione, se non proprio un robusto sviluppo.

 

Mauro Ragosta

 

Nota: chi è interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui di seguito per le principali delucidazioni:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q