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martedì 26 gennaio 2021

Saper comunicare (parte nona): La comunicazione negli strati sociali – di Mauro Ragosta

 

             In prima battuta va marcato con forza che, la nostra società non si articola più in classi. Un tempo, almeno fino agli anni ’80 del secolo scorso, la popolazione che insisteva su un territorio sotto l’egida di uno Stato si distingueva in classi sociali specificate in base al ruolo lavorativo, dove alla base si collocavano i braccianti e gli operai, mentre ad un gradino più alto si trovava la cosiddetta classe media, composta da impiegati, professionisti, docenti. C’è chi collocava ad un gradino più alto ancora il management e al vertice i detentori di capitali o dei fattori produttivi. Questo in estrema sintesi. E come si osserverà, perché va rimarcato più volte, la tassonomia qui proposta è stata costruita in base al tipo di lavoro degli individui. Una classificazione oggi del tutto inutile e fuorviante.

            Orbene, tale impostazione, ovvero questa visione sociale oltre a non essere più attuale, non vale per il futuro, in parte perché l’Umanità, se in un primo tempo si è affrancata dalla Natura e dunque dai suoi cicli e dalle carestie, dunque, e da molti eventi naturali, che riesce a gestire con una certa agilità, in un secondo momento si è affrancata anche dalle pene del lavoro, il quale sta per essere completamente sostituito dalle macchine e dai robot, in quasi tutti gli impieghi dell’Uomo. D’altra parte poi, non tarderà molto, ché anche la moneta verrà messa da parte. Questa, nella prospettiva di strumento di controllo sociale, verrà sostituita da altri meccanismi, sicuramente informatici e informatizzati, di gestione delle risorse e del potere, capaci di garantire una forte centralizzazione ed una possibilità puntuale di controllo dell’individuo in tutti i suoi ambiti esistenziali.

            Ma veniamo all’oggi. Qui, in estrema sintesi, pare che l’unica possibilità di avere una visione della società in base ad un criterio, che l’articoli in qualche modo in maniera soddisfacente, è quella che si fonda sulla ricchezza finanziaria e immobiliare dell’individuo, mentre i titoli di cui egli gode, ovviamente sono distribuiti in base a questo criterio di classificazione, e dunque dipendono in gran parte dalla sua potenza economica. La ricchezza dunque come principale strumento di relazione e posizionamento sociale. Ma, attenzione, la ricchezza è un’arma a doppio taglio! E ciò in base alla concezione che se ne ha. Ovvero, la ricchezza può essere considerata un fine oppure un mezzo. Certamente, al di là di tale constatazione, la ricchezza è fondamento indispensabile per la formazione dell’individuo. Appare scontato far notare che chi dispone di grandi possibilità e disponibilità finanziarie presenta anche grandi possibilità di attività formative e dunque l’opportunità di farsi una ricchezza ed un bagaglio culturale, con significativi risvolti sul piano delle capacità comunicative, molto più consistenti di chi è in possesso di mezzi finanziari limitati. Da qui e dal tipo di modo di intendere la ricchezza, dipendono quindi la struttura culturale ed i saperi dell’individuo e di rimando le sue capacità e possibilità comunicative effettive. Ricchezza e comunicazione sono dunque correlate positivamente, dove ovviamente il fattore scatenante è soprattutto la ricchezza intesa in funzione strumentale.

Ma andiamo per gradi e osserviamo ora come lo sviluppo in ambito comunicativo segue la legge universale, che vuole che esso vada dal semplice al complesso. Una prima e quasi scontata caratteristica attiene il lessico. E così i gradi dello sviluppo vanno da individui che non usano più 500-1.000 vocaboli per esprimersi sino a coloro che riescono a gestire ed utilizzare con agilità, più di 35.000 termini. Una seconda caratteristica della comunicazione è la capacità di astrazione. Qui, nelle fasce base della popolazione, il linguaggio è decisamente concreto, mentre a mano a mano che si incontrano individui evoluti, sempre più ricco diventa l’uso di concetti e vocaboli con contenuti astratti. Ed ancora, circa la componente fisica della comunicazione stricto sensu, il linguaggio si presenta evoluto quando le gesta, i gesti, il contatto sono quasi assenti e comunque ridotti all’essenziale, all’indispensabile. In altre parole, quando in maniera sempre più frequente il gesto viene tradotto in parole. Circa la retorica, poi, va da sé che solo chi ha una cultura molto sviluppata si avvale di allegorie e metafore, climax, metonimie, ossimori, iperboli e via dicendo, essendo tali caratteristiche della comunicazione legate in qualche maniera alle capacità di astrazioni. Inoltre, il linguaggio popolare è quasi sempre esplicito, mentre quello evoluto ricorre all’implicito, dove la reticenza è di uso frequente. In tutto questo escludiamo i contenuti, sottolineando solo che con gli sviluppi della cultura e delle capacità comunicative si utilizzano frequentemente le retoriche delle diverse discipline scientifiche ed umanistiche in una prospettiva indiretta, metaforica, allusiva.

E per concludere, va sottolineato che se all’interno dei range sociali esiste tra soggetti una buona simmetria comunicativa, nelle relazioni tra livelli diversi la struttura comunicativa si presenta, invece, fortemente asimmetrica, nel senso che essa, nella quasi totalità dei casi, va prevalentemente dall’alto verso il basso e non viceversa.

 

Mauro Ragosta

 

Nota: chi fosse interessato alla mia produzione di saggi, può cliccare qui di seguito:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 


giovedì 21 gennaio 2021

Saperi & Sapori (parte seconda): L’Olio d’Oliva – di Antonella Ventura

 

         Questa giovane rubrica di Maison Ragosta, Saperi e Sapori per l’appunto, si arricchisce, a partire da oggi, anche dei contributi di Antonella Ventura, esperta cuoca salentina, che ha condiviso il nostro modo di argomentare sugli alimenti, offrendone di fatto un taglio che supera gli aspetti esclusivamente culinari, per approdare a visioni più specificatamente culturali ad ampio spettro. E così, il primo argomento che la nostra Ventura ha voluto affrontare è quello focalizzato sull’Olio d’Oliva, produzione centrale per l’economia della provincia di Lecce, sino ai primi anni del XX secolo, quando ancora tutto il mondo della produzione e scambio di questo territorio si animava per effetto proprio del commercio dell’olio, che così costituiva in maniera quasi esclusiva la nostra vera ricchezza. Ma al di là di quest’appunto, l’Olio d’Oliva è molto di più…..un più che la Nostra Antonella in qualche modo ne specificherà i vari addendi più significativi.

 

Mauro Ragosta

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È giusto parlare, oggi, di un ritorno all’Olio d’Oliva? Magari per tentare di riqualificarne le valenze? Sicuramente l’attuale congiuntura economica, politica e sanitaria ci dà l’opportunità di riflettere sulle possibili ed alternative interpretazioni, e magari di impiego, dell’Olio d’Oliva, cercando di sganciarlo da una prospettiva strettamente e specificatamente consumistica, per reinserirlo, infatti, in un circuito di sviluppo tra economia ed ecosistema, più armonico ed in una proiezione globale.

Va subito marcato che, l’Olio d’Oliva dovrebbe essere riportato alla sua grande valenza originaria, antica, e considerato ed osservato, dunque, non solo come prodotto alimentare tout court, ma anche come collettore di momenti e prospettive etiche, religiose, politiche, e in tutto questo, non ultime quelle legate al benessere inteso in senso largo. Va da sé che proprio ripartendo dalle origini, dalle tradizioni si può arrivare, “legando e riannodando” presente e passato, a un nuovo “Modus Vivendi” anche di questo prodotto, così prezioso sotto varie angolazioni.

Storicamente, parlare di Olio d’Oliva, in prima battuta non è sottolinearne solamente il grande ruolo alimentare, di lubrificante e agente illuminante, a tal punto che fu definito l’Oro Liquido, ma anche la grande valenza quale simbolo esoterico di sapienza, conoscenza e abbondanza in tutte le religioni monoteiste ed anche nel linguaggio politico. Citato addirittura più volte nella Bibbia, si adduce all’olio versato sul capo, come segno e simbolo dello Spirito Santo, il potere di conferire forza e sapienza agli Uomini, come ad esempio durante il sacramento della Cresima e l’elezione di grandi capi. L’Olio d’Oliva sacralizzato è segno del cambio di stato dell’Unto. Inoltre, nella Genesi è proprio grazie ad un rametto d’ulivo che Noè capisce che il diluvio universale era cessato. Olio quindi come simbolo di dono di Dio al suo popolo, tant’è che nella nostra tradizione ancora oggi persiste l’idea che l’olio versato accidentalmente porti disgrazia.

Ma un ritorno all’Olio d’Oliva anche come ritorno ad un sapore dall’estrema semplicità, in grado di arricchire ogni altra pietanza, esaltandone immediatamente il sapore originario con intensità accattivante e apportando ad essa, proprietà organolettiche benefiche all’uomo in tutto il suo sistema digestivo e cardiocircolatorio. Olio così carico di benefici, da essere inserito nella dieta del neonato al fine di garantirne una crescita armonica. Inoltre, le proprietà dell’Olio d’Oliva, semplici ed efficaci, sono sfruttate largamente anche in dermatologia e cosmesi per la sua peculiare caratteristica protettiva ed emolliente. Un ritorno alla semplicità, all’essenzialità, dunque, che deve essere segnato dalla diversa visione dell’Olio d’Oliva in tutti gli ambiti, per recuperare quello che la nostra “liquida” società ha sottratto ad ognuno di noi.

Esaltare l’Olio d’Oliva, in una produzione che ne garantisse veramente l’eccellenza, pertanto significherebbe da un lato anche ridare splendore ad un prodotto scoperto nel 4000 a.C. in Armenia, in Palestina e contemporaneamente in India e dall’altro recuperare l’essenza della Natura e dell’Uomo. E qui vale la pena ricordare che esso inizialmente fu usato per l’accensione delle lampade nelle più importanti funzioni religiose e laiche, e attraverso una lunga storia è riuscito ad arrivare, miracolosamente, quasi integro ai nostri giorni, passando, come ovvio e normale, da periodi di grande fulgore, che lo ha visto protagonista dello sviluppo economico dei Paesi intorno al Mediterraneo, come anche della Puglia, anche nei periodi più bui. Con riferimento al nostro Salento va ricordato che fino a pochi decenni fa l’Olio d’Oliva, nella versione cosiddetta “lampante”, era sostenitore, assieme alle produzioni di vino e di tabacco, del nostro sistema economico, che vedeva la Puglia, ed in particolare la provincia di Lecce, non solo tra i primi territori esportatori mondiali di Olio, ma anche i più produttivi. Così nel mondo si è potuto conoscere il magnifico gusto dell’olio estratto da olive leccine, fasanesi, ogliarole, celline.

A tal riguardo, va specificato che, è la tipologia dell’oliva che dona il suo tipico retrogusto, che va dal fruttato all’amarognolo con l’oliva garganese, al delicato e dolce con la cellina e l’ogliarola leccese. Sapore legato, non solo all’origine della pianta ma anche alla modalità e al tempo di raccolta del frutto. Sapori tanto particolari ed unici che sono sorti dei veri e propri corsi per assaggiatori e premi internazionali, che mettono l’olio pugliese nella classifica delle eccellenze internazionali a pari importanza di altri beni culturali patrimonio Unesco. Oggi, purtroppo la produzione di olive ha subito un forte calo a causa del grande e noto problema legato alla “Xylella”.

            Ritorno all’olio d’oliva, dunque, per migliorare le condizioni di vita del nostro Paese, attraverso lo sviluppo di una nuova concezione di cibo, più ampia e consapevole, volta a riconsiderare il nutrimento come cultura e linguaggio vero e proprio, attraverso il quale esprimere esperienze non solo tradizionali, ma anche associate al benessere. E da qui, l’Olio d’Oliva va concepito come dono d’amore della natura, all’uomo, in una ideologia che vede l’umanità integrata nell’armonia del pianeta. Un ecosistema nel quale ogni esistenza è in sé sacrificio protratto alla vita stessa, immolazione che permette la mistica trasformazione, dal concreto e oggettivo all’invisibile e sacro, in forma di energia e calorie. Un rito nel quale, dunque, l’Uomo, attraverso l’atto del nutrirsi, è sacerdote, poiché ufficiante e, nel contempo, colui al quale il sacrificio è dedicato, in un perfetto e maestoso flusso d’amore.

Olio d’Oliva, dunque, come culturale e naturalistica proposta per un futuro che appare sempre più incerto e sbiadito, e che nella prospettiva tracciata potrebbe ridare slancio ad un’esistenza che in questi giorni pare che sia avara di sensi e significati.

 

Antonella Ventura

 


venerdì 15 gennaio 2021

Recensione n°15: a spasso per il passato con Anna Troso – di Mauro Ragosta

            Si sa, ogni libro ha le sue peculiarità sia esso quello di un grande autore sia esso quello di uno scrittore esordiente. Ma non tutti i lettori sono in grado di coglierne le valenze: tutto dipende dalla loro sensibilità. Vi è infatti un pubblico di lettori resistente, per il quale l’autore deve sforzarsi di produrre le grandi frasi ad effetto, i colpi di scena eclatanti, individuare le parole in qualche modo contundenti, per smuoverlo un po’, mentre dall’altra vi è un pubblico più permeabile, molto più attento, percettivo, al quale bastano pochi indizi, certi “squarci”, certi segni dello spirito per fargli aprire i grandi scenari dell’animo e della cultura. Ecco, è proprio a questo che si addice l’ultimo volume Anna Troso, pubblicato poche settimane fa, dal titolo “Dialogo Con Me Stessa: Ricordi, Pensieri, Osservazioni, Riflessioni”.

            In questo volume della nostra cara signora Anna il lettore che sa andare dentro e dietro le parole, che sa andare dentro e dietro l’autore, troverà spunti utili non solo per sé stessi, ma anche per la propria vita. Un volume che porta con sé molte valenze, non foss’altro che l’autrice ha molto vissuto e dunque pone tra le righe un’esperienza importante, e non solo perché donna della upper class, ma soprattutto perché persona effervescente e ricca di interessi ed entusiasmi, che coltiva sin dalla più tenera infanzia. In questo mondo del libro e della spettacolarizzazione dove anche le implumi ventenni, con qualche poesiola, creano clamori nazionali, qui la nostra Troso in maniera più silenziosa e riservata pone al lettore, al suo lettore, questioni di vera portata esistenziale, culturale, e perché no!?...anche politica.

 

 

            Dialogo Con Me Stessa è un brogliaccio in cui sono annotate una serie di riflessioni, ricordi, appunti inerenti la vita dell’autrice, Anna Troso appunto. Insomma, un pot purri letterario dove vengono annotati gli aromi e gli entusiasmi d’infanzia nelle estati durante la permanenza nei casini di campagna della famiglia d’origine e dei parenti, nei dintorni di Lecce, in occasione del momento di maggior fervore delle attività agricole, la vita universitaria, poi, sino alle permanenze sulla Costa Azzurra e a Parigi. Il tutto arricchito di varie considerazioni e riflessioni sulla vita moderna, vista sempre con un certo distacco. La signora Anna, infatti, è scevra dagli eccessi delle mode e coglie il vivere in una sorta di equilibrio alchemico, tra le necessità materiali e quelle spirituali.

            In questo volume, denso di appunti e riflessioni, si coglie la necessità da parte della Troso di una sintesi sulla propria vita e sul proprio pensiero, che sempre più impellente diventa non solo per lei, ma per tutti a mano a mano che l’età avanza. Una sintesi, ambita, ma solo appena sfiorata. Siamo per fortuna lontani dalla quadratura del cerchio da parte di Anna. E questo si pone come dato che darà a noi l’opportunità di godere ancora delle sue pubblicazioni nella diuturna ricerca della cosiddetta Pietra Filosofale.

            Le considerazioni della signora Anna fanno riflettere soprattutto a chi ha una formazione storica. Le sue considerazioni danno importanti tracce sulla vita dell’upper class leccese dal secondo dopoguerra ad oggi. Ed ecco che l’immagine del meridione costruita dagli anni ’50 ad oggi in ambito nazionale collide con quella da lei tracciata, che si pone in una prospettiva estremamente evoluta e lontanissima dall’immaginario collettivo comune. D’altro canto le consapevolezze del Salento e dei Leccesi sono diverse, ciascuna secondo la propria prospettiva e angolazione. E qui dunque va marcato e rimarcato che la signora Anna col suo volume mette in luce una delle parti più nobili ed evolute della nostra terra. In tale direzione, va notato ancora il suo coraggio, spinto, a parere di chi scrive, dalla ricerca di riannodare il passato col presente nonché il suo universo intellettuale all’interno di un pensiero in qualche modo coerente, a tal punto da inglobare anche le stesse incoerenze dell’esistenza.

            Insomma un libro dai molti spunti intellettuali, in generale, e dai molti indizi sulla nostra identità, quella leccese appunto, che va pertanto esperito con attenzione, che va maneggiato con massima destrezza, sebbene gli intenti della nostra Troso siano più sobri. Tuttavia, come si afferma nei vangeli, “non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa”. E così, il volume della signora Anna si pone come un ricco caleidoscopio in cui ritrovare e ritrovarsi.

 

Mauro Ragosta

 

           

           


sabato 9 gennaio 2021

Ritratto foto-letterario n°12: Filomena D’Ambrosio – di Mauro Ragosta

 

          Nella galleria di Maison Ragosta non poteva mancare Filomena D’Ambrosio, pittrice tanto raffinata quanto misteriosa. Eh sì, perché le sue opere si pongono con forza all’attenzione dell’osservatore tanto sul piano meramente estetico, cromatico e tecnico, quanto su quello simbolico, dei significati ultimi o possibili dell’esistenza. Gianteresio Vattimo direbbe della D’Ambrosio che i suoi quadri esprimono una persona perfettamente realizzata, in quanto scomparsa a sé e agli altri. In tale direzione, la pittura di Filomena sono solo tracce, anche avare, e che per questo affascinanti, che stimolano l’osservazione e visiva e intellettiva, in un gioco dove si può a volte intravedere lei, a volte se stessi. Insomma, la pittura della nostra D’Ambrosio non si pone solo sul piano emotivo, ma assieme anche su quello intellettivo, in un rapporto di circolarità.

 

 

        Non è leccese! Filomena viene da quella regione che Franco Fontana, arcinoto fotografo di caratura nazionale ed internazionale, definì negli anni ’70 come quella più sensuale d’Italia: la Basilicata! Ma la nostra D’Ambrosio è una leccese part-time. E se da un lato non ha ancora deciso di stabilirsi definitivamente nel capoluogo salentino, dall’altro lo considera il suo campo base, da dove prendono vita tutti i suoi viaggi artistici e culturali per l’Italia e per l’Europa, con scopi sia di interscambio con altri artisti sia per esporre le sue opere. Tutte avventure ed esperienze che puntualmente si chiudono e la riportano a Lecce, dove forse ri-posa e ri-genera la sua delicata anima, il suo acuto intelletto, il suo esile fisico.

 

         Lunghe dunque le sue permanenze a Lecce, dove per altro ha compiuto i suoi studi superiori, presso l’Accademia delle Belle Arti. Qui, è ben nota, anche se la vecchia nobildonna, Lecce appunto, non ha ancora deciso su di lei. Non che Lecce sia provinciale, ma di sicuro esclusiva e, forse, la Nostra D’Ambrosio “deve” avventurarsi in discorso più profondo con Lei, questa città così severa e capricciosa assieme.


          Gli scatti che ho realizzato per Filomena, in linea generale illustrano i diversi aspetti della sua persona. M’è venuto spontaneo operare una certa scomposizione di ciò che invece si percepisce di lei in sua presenza. La nostra Filomena è una sorta di combinazione alchemica, il cui risultato finale è quello di una persona assolutamente gradevole, soprattutto a chi è autocentrato. In lei sono ben saldi, allo stesso tempo, il suo passato, le sue origini e il suo futuro con i suoi obiettivi, per cui nel rapporto interpersonale è sempre presente, diventando un’ottima interlocutrice, dove però la sua parte più profonda si enuclea in una sorta di presenza-assenza, “impalpabile” dunque, e per questo misteriosa ed affascinante. Peraltro con lei non si ha mai l’impressione di conversare per luoghi comuni o con un particolare autore letterario o filosofico. Tutto quello che proferisce, afferma, è frutto di un’elaborazione lunga e meditata, oltre che mediata dal suo intelletto, che filtra ogni informazione a lei presente e la attaglia con maestria da sarto d’alta moda, alla sua persona, al suo dire.

 

        Qui, insomma, cinque scatti realizzati negli scorsi giorni, di Filomena D’Ambrosio per i lettori di Maison Ragosta, sempre molto attenti ed esigenti, ai quali, questa volta, gli si vuol far apprezzare una giovane pittrice –ha quarant’anni- che opera tracce e lascerà tracce di sé.

 

Mauro Ragosta

venerdì 8 gennaio 2021

Giuseppe Colafati si è dimesso da Sindaco di Poggiardo - di Paolo Rausa

Quando la politica si mangia i suoi figli migliori, come Crono.

Costretto alle dimissioni Giuseppe Colafati, sindaco di Poggiardo (Le)

                  

Con una lettera di dimissioni datata 4 gennaio 2021, sette consiglieri del Comune di Poggiardo (Le) hanno decretato la fine della legislatura che è agli sgoccioli. Fra qualche mese si sarebbe giunti alla sua fine, ma tant’è. Assistiamo purtroppo ad un atteggiamento diffuso di “cupio dissolvi”. Senza entrare nel merito delle problematiche, nobili o meno, che pure avranno spinto i vari consiglieri, fra cui il vice sindaco e un’assessora, c’è da riflettere sulle modalità che portano le varie parti a chiudere un’esperienza prima ancora di discutere sui problemi e cercare di affrontarli, prima ancora di decidere la fine di un rapporto, una relazione, una storia sentimentale o amministrativa. Abbiamo perso la capacità di ascoltare le ragioni degli altri e di porvi attenzione, assumendole per risolverle. Invece si chiude con disprezzo una consigliatura che a pochi mesi avrebbe avuto la sua fine naturale. Giuseppe Colafati, al secondo mandato, è stato costretto a sua volta a dimettersi. Conosco il sindaco di Poggiardo e Vaste, come era solito aggiungere, da molto tempo: una persona per bene, ligia, comprensiva, tendente al fare, a volte senza il necessario coinvolgimento, ma molto appassionato e che nutre un grande amore per il suo paese che ha cercato di elevare, pur tra le mille difficoltà economiche e progettuali, visionarie, che vivono tutte le realtà soprattutto al Sud. Non pare che i problemi posti, o non posti, che comunque si agitavano in modo sotterraneo, siano stati portati all’attenzione pubblica o siano stati affrontati coinvolgendo i cittadini. Perciò azioni di questo tipo appaiono granguignolesche, più da Crono che progetta di mangiare i suoi figli che da Mattarella che nell’ultimo discorso agli italiani ha incoraggiato i costruttori di pace o di ponti, a seconda dei punti di vista. Ci si comporta come Achille che mentre ama Pentesilea e la bacia, nello stesso tempo la trafigge. Andrebbe recuperata a tutti i livelli la capacità di dialogo, altrimenti non c’è evoluzione nei nostri rapporti interpersonali e istituzionali, attingendo al pensiero di Machiavelli nei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”, secondo il quale Roma era diventata grande per la capacità di risolvere i conflitti sociali e politici fra la plebe e il senato trovando una sintesi al livello superiore. Una lezione che deve essere ripresa e praticata, per il bene di tutti!

 

Poggiardo, 07/01/2021

                                                                                            Paolo Rausa

lunedì 4 gennaio 2021

Dov’è la politica in Italia? Ha abdigato… - di Paolo Rausa

 

Tutti i politici d’accordo, tutti fanno a gara nel sottolineare i passaggi significativi del messaggio di fine anno 2020 del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella! Soprattutto quando egli richiama alla concordia i protagonisti della vita pubblica italiana e quando li sferza, senza durezza, invitandoli ad essere “costruttori” di nuove speranze, della ripresa economica e civile perché “i prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova, – aggiunge – durante la quale “non sono ammesse distrazioni e non si deve perdere tempo, né vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte”. Il Presidente della Repubblica parla a tutti coloro i quali pure si sono detti d’accordo con queste considerazioni e incitamenti. Guardando invece il quadro politico non sembra che poi vengano messi in pratica quei consigli. E queste valutazioni riguardano tutti i partiti, di maggioranza e opposizione. Il Governo Conte ha preparato un Recovery Plan senza consultarsi con le forze politiche che lo sostengono, le quali chi più chi meno, soprattutto Italia Viva, hanno contestato il metodo e i contenuti. Una situazione di precrisi che non trova soluzione politica. Da una parte il piano del Governo, dall’altra le proposte di Italia Viva in un documento con 62 osservazioni. Non si riesce a trovare una sintesi, ognuno resta sulle proprie posizioni. Ma i 4 partiti della coalizione (M5S, PD, IV e Leu) non sentono il bisogno di incontrarsi e discutere sulle varie proposte e trovare una sintesi? In fondo sono loro che reggono il governo. Perché lasciare tutto in mano alla mediazione del Governo e del Presidente del Consiglio? E se questo non è in grado di proporre una visione, un orizzonte per l’Italia da realizzare attraverso l’utilizzo dei fondi europei perché non prendono loro in mano la questione? Siamo di fronte ad una incapacità di fondo. Lo stesso vale per la cosiddetta minoranza (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia). Ognuna persegue una propria strategia, con avvicinamento ora dell’una ora dell’altra alla compagine di Governo. Prima Forza Italia si dice pronta a votare insieme per il bene dell’Italia, poi in aula cambia idea. Subito dopo è la volta della Lega che si dichiara disponibile a sostenere un Governo di larghe intese per poi rimangiarsi la proposta. Ora è Fratelli d’Italia a invocare le elezioni, ma allo stesso tempo dichiarandosi pronta ad un governo più largo però senza i partiti dell’attuale maggioranza, cosa impossibile a farsi. Siamo di fronte ad una Babele: ogni forza politica ha la sua ricetta e non c’è modo di mettersi a ragionare insieme per far fronte alla situazione drammatica che sta vivendo l’Italia. Da ultimo l’incapacità ad organizzare la distribuzione dei vaccini, finanche nella efficientissima Lombardia, una volta. A fronte di questa situazione servirebbe un santo taumaturgo: compito che ha cercato di svolgere l’ultimo dell’anno il Capo dello Stato con il suo discorso. Perché i partiti di maggioranza non si incontrano e stilano una proposta di utilizzo dei fondi europei, il Recovery Plan? E se non riescono a mettersi d’accordo, spiegando ai cittadini quali sono i punti dirimenti, perché non gettano la spugna e si dimettono dal governo, lasciando spazio ad un altro o a nuove elezioni, senza insultarsi l’un l’altro o attribuendosi vicendevolmente la responsabilità? Non possono lasciare al Presidente del Consiglio, che fra l’altro non è stato neppure eletto, questo compito. Ovviamente la crisi della politica si riverbera sull’inefficienza della macchina amministrativa con una ricaduta negativa sull’erogazione dei servizi. E’ possibile sperare che prima di arrivare ad un voto risolutivo in Parlamento i partiti si incontrino e discutano sui vari problemi in campo: Mes sì o no; i servizi segreti in capo al Presidente del Consiglio o ad un suo nominato; come spendere i fondi europei della Next Generation Eu e con quale struttura, coinvolgendo i Ministeri ed eventualmente delle figure esterne, ecc. Tutti compiti della Politica che deve indicare i punti di accordo per poter governare questo Paese che rischia di decadere rovinosamente, lasciandosi dietro rovine a danno delle generazioni future.

 

San Giuliano Milanese, 03/01/2020

                                                                                                                  Paolo Rausa