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sabato 28 settembre 2019

Stile e buongusto (parte prima): premesse – di Mauro Ragosta


        Con questo “pezzo” Maison Ragosta avvia una nuova rubrica, la decima per l'appunto, che mira a sottoporre ai suoi lettori, che appaiono nel complesso particolarmente esigenti, le questioni attinenti allo stile e al buongusto, non perché voglia sottolineare alcuni precetti, al contrario questi, se lo si riterrà necessario, potranno essere frutto di un’elaborazione personale, alla quale Maison Ragosta crede solo di poter contribuire, in qualche modo, in maniera interessante, dedicando periodicamente delle riflessioni.
            Al riguardo, oggi, come in passato, esiste un’ampia manualistica circa il bon ton e la buona educazione, tutta centrata però sulla proposta di regole che il lettore dovrebbe rispettare, al fine di rientrare in una vita “d’alto livello”. E tuttavia, mentre i più datati di questi manuali si ispirano alle prassi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, quelli più moderni si rifanno ad una visione utilitaristica e funzionalistica dell’esistenza. Qui la prospettiva, quella proposta appunto, appare, tuttavia, completamente diversa.
            E così, la nostra angolazione conta su una “filosofia” che vede, in prima battuta, la vita del soggetto che ha buongusto, centrata e costruita all’insegna di un sostanziale equilibrio “interno-esterno”, tra l’interiorizzazione delle emozioni, ad esempio, e la loro manifestazione all’esterno. E da qui muove verso la ricerca della giusta distanza nelle relazioni. E partendo da questi piccoli assunti che si costruiranno tutte le considerazioni attinenti allo stile a al buongusto a mano a mano che si tratteranno i vari argomenti. Perché quest’impostazione?
La vita d’oggi, dei tempi moderni appunto, è una vita che “svuota”, è una vita “svuotante” che è eccessivamente proiettata all’esterno, spiccatamente relazionale, sovrabbondante di titoli e titolame, fortemente carrieristica e pirotecnica, che spinge in maniera arrogante al rampantismo, al velocismo, al dinamismo, al presenzialismo oltre misura, pretendendosi che tali caratteristiche siano sinonimo e rappresentative di una vita piena e appagante, e dunque di grande charme.
Per quel che ci riguarda è questa una vita sbilanciata, squilibrata, in definitiva disarmonica e priva dunque di qualsiasi buongusto, stile e compostezza.
In tale quadro non si prenderà ad esempio ed ispirazione l’uomo politico italiano, perché rientrante nella categoria del ridicolo, sebbene circondato dallo stupefacente. Tale connotazione prende forma, infatti, qualche decennio addietro, con l’elezione al Parlamento della nota pornostar Cicciolina, e la parabola del ridicolo raggiunge il suo massimo quando i Casalleggio, famiglia tra le più potenti d’Italia in ambito finanziario e industriale, scrivono la più grossa opera teatral-politica a cui l’Umanità abbia mai assistito, assumendo come attore principale per l’interpretazione della  pìece appunto, un noto attore professionista, nella fattispecie un comico, e culminando, poi, lo spettacolo, con uno stuart che diventa Capo del Governo italiano. Il tutto estremamente sorprendente e allo stesso tempo decisamente carnevalesco. Per ritrovare un’operazione simile nel corso della storia dell’umanità, bisogna risalire a Caligola, quando nominò il proprio cavallo senatore.
Ma non si prenderanno ad esempio ed ispirazione neanche i personaggi televisivi, benché pagatissimi e notissimi. Il mondo televisivo oggi è come vedere una partita di calcio tra due squadre in serie promozione nello stadio di San Siro. In altre parole, la televisione italiana adotta tecnologie estremamente all’avanguardia e sofisticate, ma i personaggi che la popolano sono nel complesso di basso profilo. Va detto al riguardo che i tecnici che sovraintendono alla produzione, al contrario, sono tra i migliori al mondo.
E così, sgombrato il campo di punti di riferimento molto discutibili, si guarderà con particolare attenzione alle tendenze dell’understatment, a quelle filosofie comportamentali dove il soggetto più che dichiararsi, ama farsi scoprire, ama farsi cercare, a quelle persone, inoltre, capaci di avere le facoltà di relazionarsi in maniera paritaria con il proprio interlocutore, qualunque esso sia, senza sovrastare e senza farsi sovrastare nell’interrelazione.
Ed ecco che così si affronteranno i temi circa l’uso del cellulare, la gestione del saluto, la stretta di mano, del come comportarsi a tavola, nelle varie circostanze conviviali o d’affari, o in un bar per il caffé, o in un salotto per il tè, del come comportarsi ed organizzarsi, ancora, per il contenimento degli atteggiamenti di tipo velocistico e dinamistico, che mettono in risalto solo l’incapacità di gestire la propria vita in maniera sobria, equilibrata e, soprattutto, efficiente. Ma si tratterà anche di abbigliamento, conversazione, autovetture, di come affrontare un buffet negli eventi mondani, la gestione della titolistica, dell’apparire, e via dicendo.

Mauro Ragosta

mercoledì 25 settembre 2019

Avvio all’esoterismo (parte ottava): …ritornando sul concetto di esoterismo – di Italo Zanchi

            Da più parti, con riferimento alla nostra rubrica, “Avvio all’Esoterismo”, sono stati richiesti da alcuni lettori di Maison Ragosta, un approfondimento e una specificazione ulteriore del concetto di esoterismo, affrontato nel marzo di quest’anno.
            Esoterismo” è concetto sfuggente; difficile darne una definizione soddisfacente, perfettamente perimetrata. Pertanto, il parlarne porta ad un livello di approfondimento del concetto e del significato di esoterico che può avvicinarsi all’essenza del suo significato, ma senza mai esplicitarla completamente. La definizione di esoterismo, in altri termini, è un po’ come l’arcobaleno: esso appare chiaro se visto da lontano, ma, a mano a mano che ci si avvicina, si dissolve e la sua vista si perde. Distacco, distanza dunque, ma non troppo…!
E così, la prima domanda da porsi è se Esoterico è un oggetto o un contenuto preciso? In linea di massima, non è né l’uno né l’altro, come si specificherà tra poco. Ed ancora, d’obbligo è il chiedersi se sia qualcosa di comunicabile o incomunicabile? Se potrebbe essere, infine, qualcosa che si nasconde o è nascosto?
Al riguardo, si presenta utile, per l’economia di questo breve lavoro, aprire una parentesi con riferimento ai processi di chiarificazione della Conoscenza, fulcro, esplicito o implicito, di gran parte delle attività umane e le cui dimensioni più essenziali coinvolgono la Realtà, la Verità, l’Essere, l’Ente. La sua indagine, della Conoscenza appunto, può svolgersi su diversi piani, e le qualificazioni che se ne ottengono possono essere diverse. In linea generale, una Conoscenza si muove dal piano divulgativo, a quello del segreto (cioè, può essere di comprensione comune, ma che viene tenuta riservata), dell’arcano (quando è comprensibile in particolari stati di coscienza), sino a quello del mistero (inconoscibile, ma contemplabile). Ed ancora, il percorso sul piano esplicativo di una conoscenza può andare dal comunicabile tramite concetti, al comunicabile tramite simboli, allegorie e metafore, all’incomunicabile. Sempre su tale scia e sul piano degli strumenti intellettivi, il sentiero di accesso alla Conoscenza va dall’uso della ragione, all’intuizione, alla visione, alla percezione o esperienza. Ciò detto e fissato, torniamo alle nostre domande iniziali.
Per esoterismo, in senso stretto, si dovrebbe intendere l’ontologicamente nascosto. E ciò perché si è dell’avviso che esso è un fenomeno mentale inesprimibile, in parte perché si tratta di uno stato di coscienza non comune, in parte perché, assieme a questo, si tratta di un metodo non replicabile e, dunque, non valido per tutti. Né i contenuti ai quali tramite esso si accede, a mano a mano che ci si addentra nella Conoscenza, d’altro canto e come si è messo in luce, sono esprimibili con l’uso di parole o espressioni che possano descriverli. Da qui, particolari pratiche, quali ad esempio la Kabballah -per introdurre la mente in questa dimensione particolare- e la simbologia, come espressione intermedia di contenuti esoterici.
In altri termini, così inteso, l’Esoterismo non è costituito, di per sé, da tematiche specifiche, piuttosto costituisce uno stato di coscienza abbinato ad un metodo personale che consente visioni sempre più elevate del Mondo, dei fenomeni, dell’Uomo, della Storia, e da qui processi di espansione e penetrazione della Conoscenza tout court sempre più spinti. Mediante questo stato si possono fare esperienze, dunque, della Realtà, della trama che sottende al tutto, naturale e storico, e, in tale direzione, si può assottigliare il velo di mistero nel quale siamo avvolti.
Pertanto, l’Esoterismo non ha leggi canoniche. Si compone di tante ricerche personali quanti sono i ricercatori, ciascuno, attraverso il proprio sentiero, alla scoperta della visione Reale (dal latino Rex-regis, propria del Re). Ecco perché non ne può esistere una definizione contenutistica, essendo i contenuti solo l’oggetto del metodo, l’esoterismo appunto. In definitiva, vale la pena sottolineare ancora una volta che si tratta di un percorso e di uno stato ontologicamente nascosti nell’intimo di ciascuno, incomunicabili, rispetto ai quali non può esistere una teoria.
A tal riguardo va specificato che, all’estero (a Parigi, ad Amsterdam ad esempio) sono state istituite cattedre universitarie di esoterismo. Si tratta, tuttavia, di insegnamenti più che altro “positivi”, ovvero riguardanti fenomeni storici di particolare classificazione e interpretazione, quali, ad esempio, quelli riferiti ad antiche religioni, scuole filosofiche, egittologia, ebraismo, Esseni, ermetismo, fino ai Templari, i Rosacroce, le Massonerie varie, la magia politica (De Mitri, “Comunismo magico”, Castelvecchi, 2004) e via discorrendo. In Italia l’istituzionalità di questi studi è assente. A tal proposito, l’impedimento viene attribuito soprattutto all’idealismo filosofico dominante: dapprima, quello crociano, in seguito, quello marxista. Tuttavia, va specificato che, studiosi italiani definiscono l’esoterismo come la “prisca theologia, una verità che si pone all’origine della storia umana, al di là delle forme religiose e filosofiche, capace come tale di accomunare Oriente e Occidente“(Cazzaniga, Storia d’Italia, in Annali 25 “Esoterismo”, Einaudi, 2013). Ed è in ciò e qui, rispetto a quanto innanzi detto, che si intercetta la distinzione tra lo studioso di esoterismo ed il praticante.
            Ma tornando al focus della nostra dissertazione, v’è da concludere, dunque, che i metodi per accedere alla Conoscenza sono i più vari, e tra questi troviamo l’esoterismo appunto, nell’accezione appena tracciata. Va da sé che, i conseguimenti della Conoscenza esoterica sono particolari rispetto a quelli dei metodi, ad esempio, logico-discorsivi o generalmente culturali. E tal proposito, va aggiunto che, anche gli scienziati contemporanei comprendono l’importanza dello stato mentale del ricercatore rispetto all’indagine, approcciando così alla ricerca spesso con una prospettiva esoterica. Così, la stessa ricerca matematica avanzata, ad esempio ed in questa direzione, si apre in una dimensione intellettuale inconsueta e diversa dai processi di tradizione illuministica. Ecco che, da tale angolazione, deve constatarsi falso il dogma moderno secondo cui la realtà sia costituita soltanto da oggetti sperimentabili e dalle relazioni tra essi. Pertanto, liberati da questi paradigmi materialistici, alla mente indagante si presenta un Mondo animato, dotato di anima appunto, avente una direzione e una teleologia, in relazione alle quali il Mondo si è formato ed evolve. La scienza modernista ed illuministica, infatti, offre la visione del “rovescio” del Mondo, quella fenomenica e meccanica, mentre l’indagine a-dogmatica -nella quale rientra quella esoterica- offre quella, invece, dello spettacolo naturale che evidenzia, quindi, un “diritto” costituito da un progetto la cui realizzazione informa e guida l’Evoluzione (Ruyer, “La gnosi di Princeton”, Mimesis, 2011): un esempio, quindi, di metodo esoterico e di contenuti così con esso conseguibili.
Italo Zanchi

martedì 24 settembre 2019

La Rivoluzione Informatica (parte terza): gli anni ’60, ovvero verso Internet – di Andrea Tundo


Sulla scia degli sviluppi informatici del decennio precedente, ovvero quelli degli anni’50 del secolo scorso, trattati nel pezzo precedente, rispetto ai quali va qui ricordato che sono stati prevalentemente impiegati e orientati nella creazione di apparati strategici, militari e amministrativi, ed in ogni caso, sul piano della sicurezza, sia dal governo  Usa e sia dall’Urss, gli anni 60’ -con il boom economico e lo sviluppo che l’Occidente raggiunse, che contengono l’humus perfetto per nuovi  ed inusitati progressi- sono caratterizzati ancora da un potenziamento non solo delle conoscenze e delle tecniche in campo informatico, ma sul piano applicativo, da un’azione, avente queste per strumento, ancora riservata ai massimi organi di governo di un territorio.
In questo periodo, negli anni ’60 appunto, i computers non sono più fantascienza e non sono più un fenomeno episodico, essendo installati in qualche migliaio di esemplari in tutto il mondo. Oltretutto, ne furono potenziate grandemente le capacità di elaborazione e calcolo. Infatti, le macchine informatiche fino a quel momento erano in grado di svolgere un programma alla volta, ma, a partire dai primi anni ’60, attraverso l’introduzione di un nuovo concetto, il cosiddetto time-sharing, ovvero la “condivisione di tempo”, esse furono in grado di eseguire diversi programmi e funzioni contemporaneamente, assegnando cioè a ciascuna macchina informatica una porzione di tempo e di calcolo. Inizia qui e così quel processo di cui oggi possiamo osservare i sempre più evidenti sviluppi, e cioè l’accostamento dell’elaborazione dati di un computer a quella del cervello umano, per potenza e funzionalità.
         Per altro verso, ben presto i ricercatori e gli esperti di programmazione si resero conto dell’inadeguatezza del metodo di trasmissione dati. E così, l’ARPA, ovvero l’Agenzia di Ricerca Avanzata del Pentagono, cercò di sviluppare una rete di comunicazione in grado connettere un sistema di computers, consentendogli di operare tutti contemporaneamente. Gli obiettivi dell’ARPA furono resi possibili grazie alle innovazioni tecnologiche apportate dell’azienda privata IBM, la quale mise a punto una linea di computers compatibili tra loro, aventi lo stesso sistema operativo.
Inoltre, si trovò il modo di rendere più resistente la rete attraverso una nuova impostazione, ovvero il pocket switching, che in pratica permetteva al flusso dei dati di essere diviso in pacchetti (piccole unità) trasmessi individualmente seguendo il più rapido percorso in rete. Questo tipo di rete distribuita, in cui ciascun utente mantiene la sua autonomia indipendentemente dall’altro, trovò il suo sviluppo pratico in ARPANET -il vero e proprio antenato di INTERNET- che si sostanziò in una rete digitale che collegava, almeno in questi anni, gli anni’60 appunto, le università e i centri di ricerca affiliati all’ARPA. 
E proprio attraverso ARPANET si mise in pratica il primo sistema di difesa militare, capace di contrastare efficacemente un eventuale attacco nucleare. Si ricorda al proposito che si è in piena Guerra Fredda, e quindi vi è una corsa non solo agli armamenti ma anche allo sviluppo dei sistemi informatici, che consentono una massima efficienza del sistema bellico.
Il lettore più esperto potrà facilmente notare da sé che il sistema bellico americano viene portato avanti, gestito e supportato dai privati e da aziende private, ivi compreso lo sviluppo tecnologico, ma a beneficiarne di questo sono, per il momento, unicamente gli apparati statali e per lo più militari-strategici. E qui non è superfluo mettere in evidenza che la rivoluzione informatica, dunque, non è ancora percepibile a livello popolare e non ha ricadute sulla società, se non ai suoi massimi livelli.  Per questo tipo di fenomeno, cioè popolare, bisognerà attendere i frenetici anni 70’, con lo sviluppo dello stimolante e variegato ambiente di Palo Alto in California, dove un ruolo decisivo lo avrà, come si metterà in luce nel prossimo pezzo, il noto Steve Jobs. Ma ad ogni modo, come si può facilmente arguire, proprio negli anni ’60 si gettano le basi per un possibile sviluppo diffuso del mondo informatico e per sostenere la visione dello stesso Steve Jobs, che si auspicava una “democratizzazione” dell’informatica, ovvero che ogni cittadino del mondo possedesse un computer. Visione corretta, da momento che oggi, gran parte della popolazione mondiale possiede il cosiddetto cellulare, che altro non è che un potente computer tascabile.

Andrea Tundo

domenica 22 settembre 2019

Post-evento n°7: Un sabato sera, sul limitare dell’estate, con Cosentino – di Mauro Ragosta

        
       Ieri sera, 21 settembre 2019, a Lecce, presso il Museo “Sigismondo Castromediano”, la prima replica della nuova performance e creazione di Salvatore Cosentino: Più di 70, ma non li dimostra, ovvero “La storia dei principi fondamentali della Costituzione italiana raccontata dall’arte figurativa di tutti i tempi” come sottotitolo. E come al solito è sold out.
          D’emblée va evidenziato seccamente che, una cosa è certa: Cosentino non annoia! Ciò detto, la nuova ed innovativa operazione performante del nostro giudice si sviluppa su due piani, dove il primo spiega ed è funzionale al secondo. Nel dettaglio, Cosentino, ieri sera, ha mostrato, forse, il suo vero volto di performer, dove lo specifico della novità sta nella circostanza che nel commentare, spiegare e dissertare sui primi dodici articoli della Costituzione italiana, si spinge in un monologo, che questa volta si ammanta delle tonalità e della ritmica della con-versazione, abbandonando, dunque, le vecchie formule più teatralizzate e teatralizzanti a cui siamo abituati. Ed ecco che, il Nostro, partendo appunto dalla lettura degli articoli della Costituzione, per ciascuno di essi costruisce argomentazioni che ne chiarificano i significati, chiamando in causa, come in un puzzle, la pittura di tutti i tempi, ma anche  puntualizzazioni storiografiche, sociologiche, “politiche”, religiose, musicali, poetiche, letterarie e, a tratti, pure esoteriche, spaziando dal presente al passato con estrema agilità. Anzi, riesce a trovare delle circolarità tra passato e presente tanto care a Marc Bloch, noto storiografo di metà Novecento che afferma, nel suo noto saggio Apologie puor l’Histoire ou Métier d’historien, che non si può spiegare il passato se non si conosce il presente e del pari non si può spiegare il presente se non si conosce il passato.
  
            Al di là di tutto ciò, se da un lato il modo di raccontare di Cosentino è suadente, coinvolgente e -perché no?-  anche molto affascinante, dall’altro questo colpisce e chiama in causa, con la scusa della Costituzione, i principali snodi della cultura umanistica, per quella parte della platea più esigente, che in ogni caso si è palesata nel complesso di ottimo livello. Va da sé che, Più di 70, ma non li dimostra, è un prodotto artistico per menti colte o che aspirano alle armonie e alle gioie che offre la bella cultura, di cui Cosentino, oggi, può essere preso ad icona. E’ qui, poi, il differenziale del suo spettacolo, rispetto ad uno scenario che offrono la cultura locale e nazionale, il quale, sovente, non è azzardato affermare, si presenta molto più elementare, pop, semplice e semplicistico.
            Ad ogni modo, non è cambiata, invece, la metodologia di Cosentino con riferimento all’approccio e alla disamina degli argomenti che sottopone al suo pubblico, che, ieri sera, lo ha seguito per oltre un’ora e mezza con grande attenzione. Qui, egli intercetta con perizia chirurgica e marca i paradossi e le contraddizioni che pregnano tutti gli argomenti che sottopone alla platea, ed in definitiva, ieri, che riguardano gran parte del sistema Italia, ma anche la cultura Occidentale, in una prospettiva più ampia. E così, il nostro Cosentino rimane ancora fortemente agganciato ai valori prettamente illuministici e di esaltazione della Ragione, scansando opportunamente tutto ciò che è postmoderno o preilluministico. Ed in effetti, il suo dire non contempla, ad esempio, l’irrazionalità, se non in un’accezione negativa e da bandire: insomma, un disvalore. E seguendo questo filone, viene da chiedersi: ma Cosentino saprà amare? Oppure, nasconde la sua arte d'amare?..........magari, per pudore? Tuttavia, egli stesso sottolinea, nelle battute finali del suo spettacolo, che da Giudice di fronte all’uomo comune da giudicare, il più delle volte, si trova in imbarazzo, perché senza alcuna certezza scientificamente riscontrabile, ragionata e ragionevole.
            Per concludere, una notazione va fatta in favore del piccolo Francesco Saverio Cosentino -ha appena sette anni- coautore della spettacolo e probabilmente una delle fiamme prime, impulsi originari delle creazioni di suo padre, Salvatore. E’ fuor di dubbio, infatti, che una parte non indifferente della standing ovation finale di ieri sera va proprio a lui.

Mauro Ragosta

Nota: siamo spiacenti, ma le uniche foto utili che si è riusciti a realizzare ieri sera sono solo quelle qui pubblicate.

martedì 17 settembre 2019

Post-evento n°6: Tra charme ed eleganza, il reading poetico presso Icaro Space a Lecce - di Mauro Ragosta

            Domenica scorsa, 15 settembre, dopo le 20:30, presso Icaro Space, situato nella zona industriale di Lecce, si è assistito ad un memorabile reading poetico condotto da Simone Franco, nella formula jukebox. Un prodotto-spettacolo confezionato solo per platee colte e capaci di interagire con il nostro Simone Franco. Ma in cosa è consistito quest’evento, sicuramente di nicchia e per un pubblico esigente? Semplice! Il conduttore della serata, Simone Franco appunto, noto attore leccese, di buona formazione ed estrazione, ha messo a disposizione degli astanti (paganti e seduti comodamente ad un tavolo) la sua voce, la sua teatralità, le sue capacità di interprete letterario per la lettura di poesie e stralci narrativi scelti dal pubblico. Un pubblico, che ha individuato assieme a Simone, anche il brano musicale da ascoltare in sottofondo durante la lettura dei versi indicati e voluti.
Arte in azione, dunque, arte in azione per un pubblico che si è trasformato da passivo in attivo. Ovviamente, un pubblico che si è mostrato segnatamente attrezzato, e che, assieme al conduttore, ha, in definitiva, costruito la serata. Certamente, il prodotto vale anche per un parterre più modesto, perché riesce ad ogni modo a far vivere momenti intesi sotto il profilo letterario, poetico e musicale, nonché emotivo, in ambiente, quindi, particolarmente qualificato e conducendo ad un’esperienza sicuramente da annotare.
Insomma, è stata una serata divertente, per chi sa divertirsi ed emozionarsi con la cultura. E così, domenica scorsa si è parlato, in libertà e con garbo, di musica, letteratura, storia e poesia. In fin dei conti, un prodotto nuovo che Giorgia Meo, titolare di Icaro Space, ha voluto lanciare nel suo spazio eventi, oramai ben organizzato, ampio e confortevole nonché raggiungibile facilmente, non ponendo, peraltro, problemi di parcheggio, perché in linea con le sue strategie che stanno divenendo sempre più innovative nel panorama leccese. Il prossimo appuntamento è previsto per domenica 20 ottobre.

Mauro Ragosta

domenica 15 settembre 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (parte tredicesima): Dal Gruppo Casaleggio agli azionisti di riferimento delle banche…e l’Italia senza leaders – di Massimiliano Lorenzo



Se nella riflessione sulla comunicazione politica strutturata prevalentemente sullo slogan e sulle frasi superficiali ci si è soffermati in precedenza, è bene ora meditare su chi li veicola, ovvero i leaders. Per quanto detto, è giunto il momento di valutare se questi soggetti siano o meno realmente degli intellettuali trascinatori, o, invece, ci sono soggetti altri dietro le quinte che manovrano e costruiscono l’informazione politica, lavorando indisturbati e poco osservati nonché poco citati.
L’Italia del Novecento ha dato i natali a più e più leaders (veri!), riconosciuti, nel contesto nazionale e internazionale, per la loro levatura, per il loro carisma e intelletto. Basta citarne due per rappresentare uomini che si contrapponevano politicamente e culturalmente: Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Ecco, appunto, politica e cultura, un binomio inscindibile per la gestione di un territorio e dello Stato. Due elementi così strettamente legati, che in mancanza della seconda, la cultura appunto, la politica si trasforma in un teatrino amatoriale, tra replicanti di idee senza una reale consistenza. Oggi, in effetti, i grandi produttori di idee politiche sono gli staff dei grandi gruppi bancari, che finanziano l’industria e la orientano, e i vertici del Gruppo Casaleggio, potentissimo e di caratura veramente sconcertante, che gestisce il popolo dei pentastellati. E’ qui che si produce l’idea……
In ogni caso, punto nevralgico è dunque la cultura. Quella cultura che sosteneva la politica, composta soprattutto da intellettuali, studiosi ed esperti. Oggigiorno, la cultura, intesa come soluzione all’esistenza, non è più in politica. Oggigiorno, la cultura del politico è prodotto commerciale, divertisement, intrattenimento, schiacciato su logiche diverse e non di vera conoscenza. Insomma, la cultura non è più strumento personale, politico e di emancipazione. È più che altro, in molti casi, risultato di lasciti parziali, superficiale e vuota. Peraltro, non è più strumento di lotta, anzi. La cultura non è più al potere, in definitiva. E ciò almeno con riferimento a quello visibile dai più.
Nel Novecento i politici erano spesso intellettuali e soprattutto i leaders. Ed oggi? Da Renzi a Salvini, da Di Maio alla Meloni, potremmo forse ritenerli tali? Potremmo definirli trascinatori per le loro idee e la loro cultura o, forse, più per la loro capacità di parlare ad organi diversi dal cervello? Ovviamente, no, non sono intellettuali. A loro è deputato solo il parlare, non produrre idee e strategie. Insomma, non sono neanche dei subleaders. Sono solo dei parlatori, e basta.
Cosa son quindi questi fantomatici leader? I nuovi leaders? Se prima il segretario o il presidente di un partito rappresentavano la sintesi culturale e politica dell’organizzazione, un soggetto che ispirava il popolo, oggi gli attori considerati (o magari pure riconosciuti) leaders sembrano più che altro dei capo popolo, dove sono loro ad ispirarsi ai subalterni, al contrario di quanto avveniva prima. Insomma, vi è un ribaltamento dei ruoli mediatici. Il popolo non guarda più al leader, e non tende e si ispira più a lui, ma è il leader che guarda il popolo, e a questo ispira il suo intervento. Da qui, è evidente il vizio. Ovviamente sono soggetti dalla cultura tutt’altro che raffinata e ampia. Anzi. Spesso sono uomini arroganti, voltafaccia, capaci di cambiare idea su tutto e tutti in un batter di ciglio, a seconda della convenienza politica del momento. Ma d’altro canto, cosa possono fare di più? Ci si può aspettare il colpo di scena intellettuale? Non si va al di là del tatticismo, perché poi gli strateghi sono altrove, nascosti, silenti, indisturbati….nei lussuosi salotti italiani, lontani dai centri commerciali e dagli stadi, lontani dal rumore dei giornali.
Come tutti i rappresentanti in Parlamento e come tutti i politici sono l’espressione dei cittadini, e lo sono anche, e a maggior ragione, i leaders delle organizzazioni politiche, che si definiscano partiti o movimenti. Sembrano tuttavia tutti uguali tra loro, nelle idee e negli obiettivi…liquidi, una massa indistinta, senza una forma ben precisa. Se dunque questi personaggi hanno questo poco spessore culturale e vengono eletti, bisogna allora chiedersi quale sia il livello degli elettori e seguaci. C’è da preoccuparsi? Forse, bisognerebbe prendere coscienza di quel che è l’italiano in parlamento? Ma poi, è necessario che i grossi gruppi economici escano allo scoperto, o ci basta il leaderuccio su cui scagliare tutte le nostre insoddisfazioni e frustrazioni? Una volta fatto ciò, bisognerebbe rimettere la cultura nel posto dove deve stare e dove sempre è stata: che sia il faro e lo strumento per tutti! E non che un politico qualunque o teatrante di turno, facciano finta di fare cultura, aizzando le folle contro il nemico, peraltro falso…….Ma forse, è la Civiltà dei Consumi che vuole tutto questo?

Massimiliano Lorenzo







venerdì 13 settembre 2019

Pensatori contemporanei (parte prima): Le premesse - di Giuliano Greco



…e con questo pezzo si avvia l’ottava rubrica di Maison Ragosta, una testa vocata a favorire nel lettore un miglioramento delle sue capacità di lettura della realtà, della nostra società, dei nostri tempi e del nostro tempo, o dall’altra ad avere una visione delle cose sociali e sociabili alternativa, diversa e, per quel possibile, innovativa. E’ una rubrica centrata sui pensatori del nostro tempo, cioè di coloro che con le loro riflessioni e le loro speculazioni hanno influenzato il nostro modo di pensare, agire e vivere. Va da sé che, la nostra società è il risultato sì del sistema dei rapporti di produzione, volendo usare uno schema di lettura marxiano, ma del pari non si può negare che le idee hanno un ruolo importante nel contribuire a creare e far sviluppare proprio questo sistema, appunto.
E così, di questi pensatori, che non sono solo filosofi, ma anche sociologi, antropologi, economisti, politologi e psicologi, dei quali ne sono stati intercettati nove, si tratterà della loro vita, delle loro passioni, dei loro studi e di quella parte del loro pensiero che ha inciso profondamente sulla società di oggi e su i suoi componenti. Tra questi, abbiamo scelto, tra gli altri, Karl Popper, Norberto Bobbio, Ralf Gustav Dahrendorf, Gianni Vattimo, Marcello Veneziani, Zygmunt Bauman, Jacques Attali, per dirne solo alcuni.
A ciascuno di questi studiosi sarà dunque dedicato un articolo, per un totale di nove puntate mensili. Il motivo per il quale è stata scelta la cadenza di un articolo al mese è per permettere al lettore di leggere e conoscere o riflettere con calma su ciascuno degli intellettuali presentati e di lasciare il tempo di maturare pensieri e speculazioni su ciascuno di essi prima di poter passare ad un nuovo nome, ad un nuovo pensiero che contraddistingue il nostro tempo.
L’utilità di questa rubrica, oltre che quella di far conoscere al lettore alcuni tra i pensatori centrali per il nostro tempo, è quella di sensibilizzarlo ad argomenti e pensieri correlati alle culture del postmoderno e del post industriale, ma anche di avvicinarlo a filosofie come quelle sul relativismo o sul “pensiero debole” e alle sue declinazioni, o di chi col suo contributo speculativo contrasta questa tendenza, oramai dilagante del nostro tempo.
Nella speranza che questa rubrica stimoli a sufficienza e bene l’attenzione del lettore non solo abituale di Maison Ragosta, e che in qualche modo costituisca un’offerta culturale significativa, altamente fruibile nella sua formula, quale quella appunto di Maison Ragosta, nonché al passo con i tempi, si rimanda dunque al prossimo appuntamento, previsto per il prossimo 29 settembre. 

Giuliano Greco

mercoledì 11 settembre 2019

Ritratto foto-letterario n°5: Manuela Del Coco – di Mauro Ragosta

         Immanente e assieme trascendente; presente e allo stesso tempo assente; distaccata eppure piena di passione, entusiasmo. Insomma, Manuela c’è, ma è altrove….sempre! Questa è la Del Coco, e questo trasuda -oserei dire, tracima- abbondante dalla sua prima produzione letteraria, dal suo esordio libresco-librario nel mondo della cultura leccese Un volume -edito, in giugno di quest’anno, da Claudio Martino di Edizioni Esperidi-  nel quale, in ogni caso, è difficile cogliere questa sua dimensione non-dimensione, se non ai lettori più raffinati, quelli che sanno intra-vedere, o meglio sarebbe dire, respirare, o meglio ancora, percepire gli aromi che connotano le sequenze narrative che la Del Coco propone e che con acume nasconde, dando così alla sua opera orizzonti arcani, ma non misteriosi.
         Di certo è donna singolare! Perché? Lei, la Del Coco, di poco sotto i cinquanta, ha mitizzato e cultualizzato gli anni ’80: vive l’oggi in quel tempo, in quella Lecce! Non si è evoluta? Non è cresciuta? E’ la prima ipotesi a cui viene da pensare, ma è un’ipotesi solo illusoria e fuorviante. La De Coco, invece, vive il mito delle origini e si modifica all’interno di questo mito. Quale? Ma quello delle origini della Civiltà dei Consumi e dell’Opulenza, delle origini della Civiltà Contemporanea, che ha preso l’avvio con la produzione della famosa Ford T nera nel 1923 e che si è palesata a Lecce solo cinquanta anni dopo, negli anni ’80 appunto e che oggi è nel suo pieno.
         In tale direzione, è una motorista, è una rocchettara, ama David Bowie, ama il lusso e parimenti la negazione di questo, i jeans logori, le atmosfere annoiate, il disorientamento come atteggiamento e come rappresentazione non di sé, ma di una certa cultura, elevata, come accennato, a mito. Sia ben chiaro, lei sa perfettamente cosa vuole dalla vita! Ed in effetti, ha due splendidi bambini ed un solido matrimonio. Insomma, Lei rappresenta, mitizza la Lecce degli anni ’80, apparentemente stanca e scocciata, persa e spaesata, e allo stesso tempo che ostenta una durezza e una forza, che ovviamente nasconde le tipiche fragilità dei nostri tempi. E tutto questo con grande lucidità.
         All’interno di questo quadro ho realizzato i primi di questo mese le foto per Manuela. Anche lei con me è docile e mi ha assecondato con grande puntualità e attenzione. Ed ecco che, ho potuto realizzare degli scatti, che in sostanza, racchiudono le atmosfere di quegli anni ’80 intrise dell’oggi, di cui Manuela ne è l’icona vivente.

Mauro Ragosta

lunedì 9 settembre 2019

Saper Comunicare (parte sesta): Circa il lessico – di Andrea Tundo


Nell’articolo precedente si sono date alcune delucidazioni sui meccanismi fondamentali dell’ascolto fra due o più soggetti, all’interno di una dinamica comunicativa ordinaria, soffermandoci su quella che potremmo definire la parte “passiva” dell’atto, ovvero il momento in cui tutta la nostra attenzione dovrebbe essere canalizzata verso l’individuazione delle necessità comunicative del nostro interlocutore e il suo livello di coscienza e conoscenza. L’ascolto, insomma. E’ questo un tipo di lavoro che una mente sveglia e ben organizzata compie in maniera automatica; è propedeutico per la scelta delle argomentazioni e la selezione del lessico che si adottano e con cui ci esprimiamo, ovvero gli strumenti che adoperiamo e sono a disposizione per i nostri scambi dialettici o, talvolta, per i confronti e, se necessario,  per lo scontro verbale. Qui, meglio sapremo selezionare le parole, attraverso un ragionamento rigoroso e che prenda in considerazione non solo il significato del termine, ma anche la sua musicalità, la sua storia e, come si accennerà, la sua portata, maggiore sarà la nostra efficacia comunicativa. In tale prospettiva, raramente non riusciremo ad ottenere i risultati cercati. 
Il nostro scopo, in un assetto ordinario di scambio di informazioni, dovrebbe essere quello di “lanciare” le parole giuste al momento giusto, e tali da avere un significato e una comprensibilità capaci di attivare un’adeguata risposta dal nostro interlocutore.  Per riuscire in questo intento è bene considerare che le parole non hanno tutte lo stesso raggio d’azione e portata. Sicché, termini che innescano più collegamenti intellettivi in un individuo potrebbero non accendere nessuna “luce” in un altro. Si comprenderà facilmente che un conto è comunicare con un soggetto che abbia nel suo vocabolario non più di 500-1000 parole a disposizione, un conto è comunicare con un interlocutore che abbia a disposizione 20-30.000 termini.
 Al riguardo, va fatto notare che, una delle caratteristiche della società dei nostri giorni è, di fatto, l’analfabetismo funzionale, cioè l’incapacità di comprendere a pieno ciò che si legge e si ascolta. L’uomo comune dispone di pochissimi vocaboli, quelli essenziali per una comunicazione pragmatica e spesso commerciale e mercantile. E’ un uomo che difficilmente utilizza parole con significati astratti. Va da sé che, l’Uomo colto, istruito quindi, o per lo meno chiunque si prefigga di aumentare la qualità e l’efficacia della propria comunicazione, deve utilizzare di norma un lessico di base. Un’attività questa, molto spesso di una certa complicazione, perché per essere semplici nel proprio dire si devono avere chiari i propri obiettivi comunicativi e la natura profonda delle argomentazioni che andiamo ad affrontare. E non solo, anche il ventaglio di significati di ogni parola. Ad esempio, un esperto in materie economiche può non essere chiaro nelle sue proposizioni, e ciò avviene spesso, perché il soggetto non ha chiare le dinamiche e i meccanismi profondi dell’economia. Ed ecco, che la sua comunicazione, spesso, risuterà incomprensibile, banale se non confusionaria. E ciò accade anche ad un esperto di filosofia, e anche spesso, perché sovente non si conoscono gli argomenti nella loro reale essenza, utilizzando così il lessico in maniera scarsamente efficace. In conclusione, la comprensione profonda delle argomentazioni proposta e conoscenza profonda del significato dei termini che si usano sono i presupposti della giusta comunicazione, oltre alla comprensione della geografia ricettiva del proprio intelocutore.
Va da sé che l’uso del lessico dipende, in un contesto di reale comunicazione, dalla situazione in cui si esercita la parola. Se si vuol realmente comunicare in un ambiente popolare occorre adottare un lessico di base, ovvero parole che sono di comprensione generale. Non così in contesti più evoluti, in cui un lessico di base è poco efficace, perché poco preciso e, dunque, inefficace. E qui bisogna utilizzare un lessico “colto”
A latere, va considerato che, sovente  una delle principali cause di una cattiva comunicazione, che innesca quindi dinamiche di incomunicabilità, è dovuta all’utilizzo spasmodico e insensato di virtuosismi lessicali o gerghi specialistici. E qui siamo nella variante psicologica dell’uso del lessico. I virtuosismi lessicali si realizzano sovente perché -esattamente come nei problemi d’ascolto- l’interlocutore non ha intenzione di effettuare uno scambio di informazioni e non utilizza la parola come mezzo di comunicazione, dunque, ma come mezzo in sé, fine a se stesso, forse, sovente, come strumento di autogratificazione, o altre, più spesso, per far pesare all’interlocutore il proprio status culturale e lessicale. In quest’ultimo caso, la comunicazione reale è sublimata, mentre quella esplicitata attraverso la parola è solo la scusa, l’occasione per “comprimere e contundere l’interlocutore”, innescare in lui sensi di minorità, ed indurlo, in qualche modo, alla subordinazione.
Al di là di ciò e per concludere questo breve spaccato sulle problematiche del lessico nella comunicazione, che non è certo esaustivo, ma utile per trarre ulteriori spunti di riflessioni in merito, va segnalato un esercizio pratico: si provi a fare una selezione del proprio lessico, scegliendo poche ma essenziali parole e si provi ad esprimere diversi e sempre più articolati concetti, cercando di non aggiungerne ulteriori; in altre parole, si provi a sperimentare come con un certo numero di parole, anche molto piccolo, i concetti esprimibili sono pressoché infiniti. Ed anche se può sembrare un banale esercizio, gli esiti e i miglioramenti sono assicurati, e non solo a livello di chiarezza espositiva, ma anche creativo e logico; oltretutto con le tempistiche comunicative dei giorni d’oggi che sempre di più si restringono, il rigore espositivo e la sintesi son virtù fondamentali, non solo se si vuole essere compresi, ma anche per comprendere.

Andrea Tundo


giovedì 5 settembre 2019

Recensione n°8: la preghiera di Siciliani…semantica – di Mauro Ragosta


            Fabio Siciliani debuttò nel mondo letterario, ed in particolare quello leccese, circa due anni fa, con un volume che ebbe una buona eco sui lettori più esigenti. Il mese scorso, in agosto appunto, è uscito il suo terzo lavoro, in buona parte a compimento e sviluppo di quello pubblicato nel 2018. Il titolo è lo stesso, con una variante e specifica nel sottotitolo, ovvero Semantica Preghiera - dall’Eidos alla Poiesis. E qui v’è subito da osservare che in Siciliani si può rintracciare una stabilità, una linearità e una continuità importanti: non solo replica il titolo del volume precedente, seppur con un interessante arricchimento, evidenziando così una linea di forte ed interessante coerenza, ma continua a pubblicare con la sua casa editrice storica, ovvero con quella che ha esordito, e cioè la leccese I Libri di Icaro di Giorgia Meo, oramai, quest’ultima fortemente orientata ad un discorso editoriale più maturo, dopo uno start up ed un lungo rodaggio avviatisi nel 2011.


            Una volta in possesso di questo ultimo volume di Siciliani, Semantica Preghiera - dall’Eidos alla Poiesis appunto, la prima cosa da fare è leggere l’indice. Subito si apriranno per il lettore, quello evoluto però e ancora una volta, scenari letterari inediti, dove il mistero e l’arcano tracceranno immediatamente le sue prime riflessioni, sia in termini verticali sia orizzontali. Eh sì, perché Siciliani è uomo colto, molto colto, oltre che essere stato varie volte campione mondiale di Muay Thai, una complessa box tailandese. E questa cultura, che trova spunti importanti, ma, allo stesso tempo, si discioglie nella sua attività sportiva, in una prospettiva circolare, appare tutta sin dalle prime pagine di Semantica Preghiera. Una cultura intrisa, infatti, di filosofia, esoterismo, psicologia, antropologia, teologia.
            Inoltratisi nel lavoro di Siciliani, dunque, ci si trova in pagine che fanno da specchio, dal punto di visto intellettivo ed emotivo, di chi legge e di chi sta per abbandonare il mondo della Ragione, perché insufficiente e limitato per accedere in dimensioni che meglio spiegano la realtà, quella di sempre e sempre nascosta, occultata, velata e ri-velata. Siciliani, in questo volume, pare essere, infatti, colui che si trova nel Getsemani, dove sta affrontando le ultime riflessioni, gli ultimi confronti con la parte più profonda di se stesso, con la parte più intellettualizzata, prima del grande salto. E questa volta Siciliani combatte non per vincere, ma per arrendersi alla saggezza, alla verità, alla forza della trascendenza innestata sull’immanenza. E’ la lotta di Siciliani ed è anche la lotta del lettore evoluto, che con lui non è improbabile provi, scorrendo le sue pagine, insolite ed affascinanti vertigini.
Quest’ultimo volume di Siciliani, tuttavia, impone due considerazioni-guida per il lettore. La prima è che l’opera di Siciliani va intesa e vista come un arcobaleno: bellissimo, estasiante, ma possibile da fruire solo da lontano, se ci si avvicina svanisce, come il più grande dei misteri. E così è il volume di Siciliani: va visto con distacco. La seconda è che Siciliani non va letto in qualsiasi momento e ovunque, ma bisogna stare in un particolare stato d’essere e in luoghi particolarmente raccolti, possibilmente ritualizzati, al fine di cogliere le profondità che il volume offre, e ne offre tante.
      Insomma, bisogna fare attenzione, perché Siciliani nelle sue pagine ragiona per superare la Ragione, un processo dunque complesso, che non si sviluppa in una prospettiva lineare e perimetrata, razionale ed ingegneristica. Il suo è un vagare-viaggiare in tutte le direzioni e in flussi di pensiero. Ecco che, Semantica Preghiera è materiale che stimola potentemente grandi, profonde, soddisfacenti ed inusitate riflessioni, utili per il compimento di una vita fatta di pienezza, solare. E, a questo punto, per quel che mi riguarda……..buona lettura!

Mauro Ragosta

martedì 3 settembre 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (dodicesima parte): …e perde di consistenza, si svuota anche la comunicazione politica – di Massimiliano Lorenzo

Dopo aver trattato questioni squisitamente economico-finanziarie, nelle quali si è messo in evidenza come lo Stato e la Repubblica si sono svuotate nei loro ruoli e funzioni, perdendo consistenza e diventando leggeri, a partire dal 1992 e sino ai nostri giorni, è ora il momento di volgere lo sguardo verso ciò che più di altri elementi si sostanzia la politica italiana. Ci si soffermerà e si rifletterà sulla nuova comunicazione politica, oramai priva di contenuti significativi e che si sostanzia in una propaganda decisamente light, fatta di minislogan consumistici, lanciati a raffica, che giocano esclusivamente sull’emotività dell’elettore, in ciò favorita dalle nuove tecnologie, dove a far da padroni sono i social network. E ciò in un quadro dove, oggi, è pressoché inesistente un dibattito politico in qualche modo soddisfacente per chi voglia partecipare alla vita politica e pubblica.
Sicché, nella Seconda Repubblica, e ancor di più nella prima, quando si pensava alla propaganda dei partiti e dei suoi politici protagonisti, venivano in mente comizi, tribune politiche, assemblee fiume. E in questi i luoghi in cui la politica, che fosse destroide o sinistroide, si riempiva di contenuti e argomenti, dati statistici e opinioni ragionate, e ancora di parole d’ordine dell’ideologia rossa, bianca o nera che fosse. Oggi, invece, tempi, contenuti, argomenti e ragionamenti si sono ristretti così tanto da poter esser imparati a memoria e fatti propri, quasi siano i dieci comandamenti. Insomma, siamo al mini della comunicazione politica. Ecco, la minipolitica, oggi.
D’altra parte, prima dell’avvento dei social e dei suoi specialisti e tecnici, a rappresentare i primi canali di propaganda erano sostanzialmente le piazze, i giornali e le televisioni. Oggi, invece, la comunicazione delle proprie posizioni politiche ai cittadini-elettori è divenuta molto più diretta e personale, grazie giustappunto ai mezzi tecnologici sviluppatisi e diffusi negli ultimi dieci anni. Facebook, twitter e instagram hanno sostituito oggigiorno i vecchi luoghi della politica, in maniera non sempre positiva e innovativa, anzi sminuendo spesso i contenuti e a discapito delle argomentazioni a sostegno delle proprie idee politiche.
Per rendersi conto di tali sviluppi comunicativi e politici basta osservare come i protagonisti della politica odierna si siano schiacciati e appiattiti sulle regole dei social network, e ciò soprattutto rispetto al numero massimo di caratteri utilizzabili in un post o in un twitt, che potenzialmente potrebbero colpire i lettori. Ecco, la comunicazione politica in un twitt. Purtroppo, però, questa modalità di espressione e comunicazione, che potremmo definire “per minislogan”, non è limitata nell’uso dei nuovi media, ma anche quando si ritorna ai vecchi strumenti della piazza, dei giornali e delle televisioni. E ancora, ben più grave, anche nei luoghi dove la discussione politica dovrebbe regnare, in maniera completa e approfondita: il Parlamento.
Constatare quanto detto è semplice: basta far riferimento ai big della nostra politica. Salvini, Di Maio, Berlusconi o Renzi che sia, hanno fatto proprio questo linguaggio, che, si badi bene, non è semplificato “per raggiungere immediatamente il cittadino” ma è stato reso superficiale e costruito su slogan vuoti. Cosa è successo insomma? Dal punto di vista qui analizzato, è evidente come i politici stiano perdendo quella funzione intellettuale nella gestione del loro rapporto con la massa votante. Una comunicazione praticamente piena di innumerevoli brevi affermazioni, parole lapidarie, laconiche e assolutistiche, scritte o sputate in questo o quel post, in questa o quella trasmissione attraverso la telecamera del proprio smartphone o televisiva che sia. E qui e così viene ignorata e occultata la reale portata delle problematiche politiche, che mai il cittadino comune saprà, neanche in minima parte.
Cosa ci riserverà il futuro? A ben guardare lo spettacolo odierno, la comunicazione politica ed il suo linguaggio nel dibattito pubblico potrebbero praticamente finire, risultare del tutto vuoti, inutili e mancanti di potere, che pure oggi pare toccare il suo punto più alto per la fantomatica vicinanza tra chi propaganda e recepisce. Non sarà di certo la possibilità di messaggiare con il proprio capo politico che aumenterà il potere del cittadino, se questo si limita a digitare anziché rendersi protagonista. E così, tutto lascia immaginare che la comunicazione in politica è di fatto finita, con buona pace per tutti.

Massimiliano Lorenzo