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martedì 29 settembre 2020

Punto Nave: settembre 2020 – di Mauro Ragosta

 

 
           

            Ed eccoci qui al consueto appuntamento di fine mese col bilancio di Maison Ragosta. Settembre, si sa, è un mese di passaggio: lentamente vengono dismesse le attività vacanziere e, con sempre maggior forza, si prendono gli attrezzi da lavoro. È  dunque, settembre, un mese che non presenta connotazioni unidirezionali e monolitiche, soprattutto se si considera che non più di due settimane fa si è tenuta un’importante tornata elettorale.

              La chiamata alle urne del 20 e 21 settembre è stata piuttosto tranquilla, anche perché la campagna elettorale che l’ha preceduta non ha assunto connotazioni particolarmente veementi. Pochi i colpi di scena, insomma, e la partecipazione dell’elettorato (attivo) si è mossa in schemi alquanto ordinari, quasi fosse una routine quotidiana. Forse il popolo è stanco di essere chiamato in causa ogni anno, dopo essere stato sollecitato per mesi in direzione del momento elettorale. Insomma, la prova delle urne, in Italia, da questione apicale, straordinaria e decisiva è diventata il déjà vu, l’incedere monotono di ogni anno……quasi noiosa.

            Da noi, in Puglia, ha vinto la sinistra, che pare oramai essere il luogo delle migrazioni. All’attento osservatore appare chiaro che, oggi il punto di forza della sinistra in Puglia, siano infatti i migranti di tutti i tipi, da quelli che vengono dai paesi extracomunitari a quelli che vengono dalla destra politica. La sinistra, dunque? Il luogo dell’accoglienza, potrebbe dirsi. D’altro canto, il capitano con i sergenti ed i caporali, riescono sempre a predisporre luoghi comodi e “pasti caldi” per tutti.

            Non è azzardato affermare che la sinistra sia di fatto un grande calderone etnico-politico ed economico. Sul piano più strettamente politico, tuttavia, sbaglia chi afferma che si tratti di trasformismo. Siamo, in effetti, in presenza di un vero e proprio esodo dalle posizioni di destra verso quelle di sinistra. E, solo una è la direzione! Un esodo che oramai si sta strutturando, anzi cronicizzando, a tal punto che la bicentenaria diade, destra-sinistra, comincia, in maniera vistosa, a perdere di significato, costituendo sempre meno un momento identitario o un sicuro punto di riferimento sociale, e, in definitiva, sta così dissolvendo la sua qualità di strumento di lettura della Realtà.

            E la destra? Perde pezzi o fa finta di perdere pezzi?

            Sul piano culturale, in settembre molte sono state le attività che hanno ripreso velocità nel Mondo dell’intrattenimento e della felice distrazione. Il Lecce, seppur con risultati non sorprendenti, ha ricominciato ad animare le grandi discussioni dei salentini. Su altro versante, il mondo del libro e del teatro, ma anche quello della musica e della poesia stanno registrando una vivacità tipica dei tempi preCovid.

            V’è da notare, tuttavia, che il mondo degli eventi mostra dinamiche diverse sul piano territoriale. E ciò nel senso che, mentre a Lecce città questo non ha mutato gli schemi qualitativi, nella provincia invece, in tale direzione si respirano atmosfere superiori, più evolute e raffinate. È ipotizzabile che la provincia nella rincorsa imitativa del capoluogo, lo abbia abbondantemente superato, sebbene non sia fuor di luogo ipotizzare che, questa non se ne sia accorta. Ciò possibile perché mentre a Lecce si sono cristallizzate alcune posizioni monopolistiche, nelle quali si pone attenzione solo a gestire e conservare il potere di cui godono, posizioni che di fatto impediscono una crescita veloce, o comunque una crescita, nella provincia, invece, si sceglie il meglio e si opera con estrema attenzione ed impegno, si esce dagli schemi tradizionali.

            Venendo al piano economico e del lavoro, lo shock-covid non mostra chiari ancora i suoi effetti, che forse si evidenzieranno nella loro effettiva portata solo nel prossimo mese. Al momento, si sanno solo poche cose e cioè che si è in presenza di una contrazione del numero degli occupati, circostanza questa che tuttavia non si traduce in un aumento della disoccupazione. La vera novità della Grande Crisi del 2020 è il forte incremento di gente che ha gettato la spugna e non cerca più lavoro. Insomma, sempre maggiore è la quantità di persone che hanno abbandonato il mondo del lavoro, un lavoro, tra le altre, che sta cambiando anche di significato, oltre che di modalità. Stiamo forse entrando in un’altra civiltà? Stiamo forse cambiando il paradigma tradizionale con cui ci approcciamo alla vita?

 

Mauro Ragosta

 

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui:https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 


sabato 26 settembre 2020

Ritratto foto-letteraio n°11: Patrizia Chiriacò - di Mauro Ragosta

Patrizia Chiriacò, donna tanto dolce e soave quanto energica e determinata, una leccese adottata da Gallipoli, che negli ultimi anni si sta affermando come pittrice, non solo nel Salento, e in una progressione spiccatamente geometrica. Colori tenui e forme sfumate ciò che imprime nei suoi quadri, ma allo stesso tempo, opere queste con una carica energetica ed emotiva, che irrompono nell’animo dell’osservatore, senza dargli la possibilità di capirne i perché di tale forza, di una siffatta possanza e consistenza da rimanere indelebili nell’animo e negli occhi. Di tanto è capace Patrizia Chiriacò.


La conobbi circa due anni fa, in primavera, ai tavolini del bar White a Lecce, per un caffé, e nonostante il mio essere irruento, largo, che tutto richiede, questo rimase inseminato dalle specifiche della sua carica di vita, che nel tempo sono cresciute nel mio animo e nel mio intelletto, sino ai nostri giorni quando le ho chiesto di ritrarla col mio piccolo attrezzo fotografico. Forte è stata la necessità di fissarla in alcuni scatti, di fermarla in alcuni fotogrammi, i quali da sempre sono un punto d’arrivo e un punto di partenza per chi fotografa e per chi viene fotografato. E così, procedendo a passo d’uomo, sono riuscito a realizzare il materiale che qui propongo ai lettori di Maison Ragosta, nella speranza che in qualche maniera questo rilasci le essenze, gli effluvi e le atmosfere della nostra Chiriacò.

Parafrasando Robert Musil, Patrizia è donna “senza qualità”, completa dunque: è moglie, madre, figlia, nonna e, allo stesso tempo, pittrice, frequentatrice di eventi culturali e mondani, attenta operatrice sociale, amica con spiccate capacità relazionali, nelle quali trova sempre le giuste misure e le giuste parole, i giusti sguardi, la migliore postura per ogni occasione.


La nostra Chiriacò è approdata con i suoi pennelli, alle attuali forme espressive, dopo lunghi anni di esercizi, prove, riflessioni, studi. Insomma, un percorso che non sempre è stato facile, soprattutto sotto il profilo intellettivo e negli aspetti esistenziali. Nel suo percorso formativo decisive sono state le influenze di eminenti artisti leccesi, quali Giancarlo Moscara e Oronzo Castelluccio. Molto importante è stata anche la vicinanza ad Ilderosa Laudisa, di cui, negli anni ’80, è stata allieva attenta e sagace.

Sul finire degli anni ’90, Patrizia inizia il suo percorso di docente, lasciando impronte profonde nei suoi allievi e nelle sue allieve, che oggi si cominciano a vedere chiare in certe espressioni artistiche. Ad ogni modo, realizza la sua prima mostra a Gallipoli nel 2006 e nel 2010 espone nella bellissima Galleria dei Due Mari, sempre di Gallipoli. Negli ultimi lustri, in ogni caso, diverse sono state le sue personali, non disdegnando le collettive.

Quest’anno Patrizia ha anche aperto un suo studio a Lecce, dove tra le altre, lavora anche come interior designer. Una vita la sua, in definitiva, che va componendosi in un articolatissimo puzzle, in tutte le prospettive, ovvero quella presente, ma anche quelle passate e future. Ecco, Patrizia è una pittrice che oggi, di certo sa esprimere bene i suoi senti-menti sulla tela, ma è donna che ha anche tanto da raccontare e molto interessanti sono i suoi sogni, le sue proiezioni in avanti, che sempre si producono in qualcosa di luminoso, sebbene in maniera magicamente discreta.

Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui:https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 

 


giovedì 24 settembre 2020

Pensatori Contemporanei (parte sesta): Gianteresio Vattimo – di Grazia Renis e Mauro Ragosta

Da tempo, ormai, abbiamo introdotto la rubrica sui pensatori contemporanei, in uno scenario proteso ad avere una visione e una significativa comprensione del Relativismo, come negazione di verità assolute.  Ed oggi, dopo aver dissertato sul pensiero di Karl Popper, Ralf Dahrendorf, Norberto Bobbio e Zygmunt Bauman, prenderemo in esame il pensiero di uno dei più importanti filosofi italiani del nostro tempo, ovvero Gianteresio Vattimo, detto Gianni. Si tratta, quest’ultimo, di uno studioso che ha operato un’accelerazione e una sterzata decisa in senso cristiano-cattolica su orientamenti oramai secolari, con riferimento al relativismo, ovviamente. Vattimo, infatti, giunge ad affermare il “non essere e non esserci” come vera evoluzione dell’individuo, che tradotto in termini catechistici vede “l’amore al nemico” come un autentico atto di libertà e di liberazione, dove il perdono è lo strumento principe. E qui va subito sottolineato che per Vattimo il messaggio cristiano si innesta sul pensiero relativista, risultando ovviamente vicino a Bergoglio e distante, molto distante, da Ratzinger. Ma andiamo per ordine.

            Vattimo, secondo di due figli, nasce a Torino il 4 gennaio del 1936. Il padre è un poliziotto di origini calabresi, mentre la madre è una sarta. Durante il periodo giovanile studia al Classico presso il Vincenzo Gioberti ed è un attivista della Gioventù Studentesca di Azione cattolica. In un’intervista del 2016 si definì come un cattolico militante, che, influenzato dalla lettura di Jacques Maritain, Emmanuel Mounier e George Bernanos, è giunto alla Fede e ad un completo disinteresse per il razionalismo storico, l’Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx.

            Studioso di Friedrich Nietzsche e di Martin Heidegger, fu allievo di Luigi Pareyson, e assieme ad Umberto Eco, con cui ha condiviso l’amicizia e molti interessi, si è laureato in Filosofia nel 1959 a Torino. Già negli anni Cinquanta, appunto, lavora a diversi programmi culturali della RAI. Nel 1964 diventa Professore Incaricato e nel 1969 Ordinario di Estetica presso l’Università di Torino, nella quale è stato, negli anni ’70, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Dal 2008 è Professore Emerito. Durante la sua carriera, poi, ha insegnato e tenuto seminari negli Stati Uniti e in diversi Paesi del Mondo.

            In ambito giornalistico, Vattimo è stato editorialista per La Stampa, La Repubblica e L’Espresso, mentre in ambito scientifico è stato direttore della Rivista di Estetica, nonché membro di comitati scientifici di non poche riviste italiane e straniere. In più è Socio Corrispondente dell’Accademia delle Scienza di Torino. Attualmente, dirige la rivista Tropos. Per le sue opere ha ricevuto honoris causa la laurea dalle Università di Palermo, Madrid, La Plata e Lima.

            Sotto il profilo più strettamente politico è stato attivista del Partito radicale e successivamente, dopo il 1999, dei Democratici di Sinistra. Da qui è entrato nel Partito dei Comunisti Italiani. E rivendicando proprio le sue origini comuniste, il 30 marzo del 2009 si è candidato al Parlamento Europeo nelle liste dell’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest.

            Il suo ideale politico-religioso si riassume in una forma da lui definita “comunismo cristiano” e “comunismo ermeneutico”. Un ideale, quello di Vattimo, antidogmatico di “comunismo debole” nel pensiero e nell’essere, che si ispira alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone alla violenza dell’industrializzazione forzata e dello stalinismo in genere, così come non condivide le tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza.

Gianni Vattimo è tra i massimi esponenti della corrente postmoderna, termine coniato da Jean-Francois Lyotard negli anni ’70, e ritiene che il passaggio dal moderno al postmoderno si configuri come un passaggio da un “pensiero forte” ad un “pensiero debole”. Questo mutamento, foriero dell’indebolimento dell’Essere, è legato in modo consustanziale al tempo in cui viviamo, ed è, secondo Vattimo, la cifra della modernità, il prezzo ultimo da pagare in termini esistenziali, dove si assiste a una frammentazione dell’identità e all’incapacità dell’individuo di interiorizzare norme etiche. In questo degrado esistenziale vi è la scomparsa del soggetto umano, che tuttavia ritrova paradossalmente la sua libertà.

In altra prospettiva, Vattimo ritiene che la nostra cultura considera l’ESSERE come oggettività, di conseguenza un involucro, una forma vuota. Ne consegue una carenza di progettualità e distacco dai valori dove, l’individuo è coinvolto in un’accelerazione senza direzione, manipolato dal pensiero tecno-indotto, che inibisce sempre di più la sua azione, la sua curiosità, la memoria e lo spirito critico, e da qui, si conclude in un senso di isolamento e solitudine nonché alla compulsione nell’utilizzo di mezzi tecnologici. Inoltre, il venir meno della Scuola come agente di socializzazione e orientamento di valori, ha fatto sì che i giovani non abbiano più né i grandi maestri del passato, né i punti di riferimento nel presente. “Un mondo”, scrive Vattimo, “che sfugge sempre di più alla nostra possibilità di controllo e comprensione”, dove i mass-media la fanno da padrone sul radicamento, l’esplosione e la moltiplicazione di Weltanschaungen, ovvero di visioni del mondo.

Ed ecco che il “pensiero debole” si presenta esplicitamente come una forma di nichilismo, in una società fatta di "mezze verità". La perdita di centro e l'erosione del principio di realtà pongono le premesse sia per un tipo di uomo che non ha più bisogno di recuperare nevroticamente le figure rassicuranti dell'infanzia, sia per quella liberazione delle differenze che è propria del post-moderno. Soprattutto nella raccolta di saggi "Nichilismo ed emancipazione" (2003), Vattimo mette così in luce che, proprio nella società postmoderna, l'emancipazione è resa possibile dal nichilismo, ovvero questa si realizza nella misura in cui il mondo vero diviene favola e gli assoluti vengono meno, dandosi quindi la possibilità di una reale emancipazione, quel salto verso la libertà e la liberazione, dunque, che né il marxismo né il cristianesimo dogmatico, sono stati in grado di realizzare.

 

 

Mauro Ragosta e Grazia Renis

 

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui:https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 


giovedì 17 settembre 2020

Il Mondo del libro nel leccese verso nuovi orientamenti strategici: l’export culturale – di Mauro Ragosta

 

       Da più parti si conviene che la cultura leccese, intesa nell’accezione della produzione e della fruizione di opere narrative e poetiche, abbia registrato, intorno alla metà degli anni ’90, più di vent’anni fa, dunque, un passaggio da un assetto d’élite ad uno massificato. Nelle parole di Mauro Marino, la vita culturale leccese ebbe in quegli anni una “sfiammata” di vitalità. Un momento importante, questo, di trasformazione, che ha condotto lentamente ed in maniera costante al boom di questi anni, perché tale bisogna considerarlo. Dal 2010, infatti, i fattori di questo mondo, il mondo culturale appunto, hanno registrato un’amplificazione ed hanno portato a nuove dinamiche. In tale direzione, si sono avute un’espansione della domanda culturale e uno sviluppo dell’offerta di opere narrative e poetiche, e non solo. Circa la domanda, questa ha registrato un consistente allargamento dovuto a tre fattori: l’invecchiamento veloce della popolazione, che ha sempre più tempo libero e che insiste con frequenze incrementative in attività culturali e di intrattenimento; l’innalzamento del livello di istruzione, che ha portato allo sviluppo della sensibilità letteraria; la maggiore ricchezza: Lecce è il capoluogo col più alto reddito procapite di Puglia.

         Circa l’offerta culturale, dal 2010 è invalso negli scrittori leccesi l’aspetto seriale, a tal punto che si potrebbe parlare di fordismo intellettuale. Questi, infatti, si impegnano in tour, realizzando decine di presentazioni del proprio lavoro, e dall’altro, i più, producono con frequenza quasi annuale un testo, un lavoro da immettere nel circuito leccese.

         Tutti sono mossi in parte dal diletto letterario, in parte dalle gratificazioni sociali, dal successo e dalla fama. E tuttavia, sono pochi i casi di scrittori che sviluppano la loro attività al di fuori dei confini provinciali, ma sempre in maniera episodica. Ciò, in ogni caso, non è un dato assolutamente negativo. In un’ottica prospettica si può vedere il nostro territorio e la nostra società come un significativo laboratorio, che può in futuro dare soluzioni inusitate. Ad ogni modo, solo la forza sul mercato domestico dà la possibilità di un’attività espansiva all’esterno –export culturale, appunto- stabile e significativa.

         E il fenomeno culturale sin qui tracciato non mostra tendenze ad affievolirsi. Anzi, in un crescendo, quasi impetuoso, mostra soluzioni nuove e nuove dinamiche. In tale direzione, è certa la tendenza per cui gli scrittori da attività prevalentemente artistiche e di presentazioni delle loro opere, si stanno muovendo verso nuovi paradigmi, quali quello di presentatori di altri scrittori sino a giungere nei casi più evoluti ad organizzatori di eventi culturali di portata significativa, tutt’altro che ordinaria, fino a diventare per giunta editori e manager per il lancio di altri scrittori o poeti.

         In tutto ciò, il successo e la fama personale sono di sicuro i motori di tali dinamiche, ma dall’altro va considerato che tale incedere e dinamica pare che si giunga anche per altri motivi. E questi sembrano che siano ascrivibili a scopi prevalentemente sociali ed intellettuali, di un’intellettualità applicata. Attività che vengono poste in essere per portare avanti, infatti, in maniera più pregnante alcune idee personali, che il normale assetto seriale e fordista non consente.

         Esiste nel mondo culturale leccese di oggi, quindi, una carica ideologica autoctona, che fa ben sperare per il futuro, sul piano dell’espansione territoriale, attraverso proprio i suoi attori, anche se già in tale direzione, vi sono segnali importanti e numerosi. Numerose sono infatti le incursioni dei nostri operatori all’esterno della provincia, in maniera metodica e sistematica, superando anche la questioni legate al Covid-Affaire. Tra questi vanno sicuramente segnalati, Giovanna Politi, la veterana Maria Pia Romano, Rossella maggio e la pluripremiata Antonella Tamiano.

         Il tutto pare essere il risultato di una dinamica strettamente leccese, in senso lato, che favorisce l’export. Siamo così passati nell’ultimo lustro, soprattutto, da un incedere influenzato da modelli esterni, importati, a modelli originari e autopropulsivi, che porteranno il sistema all’espansione territoriale, a presidiare, con la nostra cultura, dunque, altri contesti. Questo, il futuro!

         Siamo in presenza, in definitiva, di uno sviluppo espansivo sul piano territoriale, almeno negli aspetti considerati, ovvero reale ed autonomo, e non imitativo e di seconda mano, non centrato su modelli imitati, prevalentemente settentrionali.

Mauro Ragosta

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venerdì 11 settembre 2020

Cultura e mondanità nel leccese: di destra o di sinistra? - di Mauro Ragosta

            Sembrava che, sul piano strettamente culturale, la distinzione tra destra e sinistra, dopo Bobbio -sul piano filosofico-politico- e Gaber -sul piano popolare- fosse una questione superata e debitamente archiviata. Così però non è stato. Negli ultimi lustri è rifiorito il dibattito, infatti. Qui le posizioni degli intellettuali sono le più disparate, da quella più tradizionale, in cui si ribadisce l’inesistenza della storica contrapposizione, a chi invece si rifà, per sottolinearne la distinzione, ad Hegel o a Croce, a chi afferma persino che non esista una cultura di destra, a chi rimarca che la cultura non è politica, ma si pratica una politica culturale. Insomma, il dibattito è vivo, attivo e a parere di chi scrive la distinzione si presenta ancora utile per evidenziare alcune delle determinanti della cultura e della mondanità leccese, onde mettere in luce le sensibilità sottostanti. Una società, quella leccese, che sul piano delle idee e dei valori si bipartisce -nonostante marchi e simboli moderni- tra un socialismo-comunismo vecchio stampo e una destra sociale, forte e nostalgica. Un mondo, quello leccese accomunato da uno statalismo, rosso o nero, esasperante comunque, dal quale si distingue una componente residuale, minima, e quasi irrilevante, di matrice liberale. Tutto questo ovviamente, fatta esclusione della classe politica di piccolo cabotaggio, che si limita ad una sorta di pragmatismo, molto evidente nell’incetta dei voti, mentre sul piano intellettuale la loro attività è minima e si risolve nelle questioni di “tutti i giorni”, del quotidiano appunto.
         Certamente, chi ha valori, esistenziali e sociali, di sinistra si esprime diversamente da chi rimugina valori di destra. E di ciò l’azione e la produzione artistica non possono non risentirne. Ma quali sono le determinanti culturali dei due schieramenti? Naturalmente, come qualsiasi schematizzazione e generalizzazione, queste presentano dei limiti e delle eccezioni. Tuttavia, evidenziarle serve ad avere un’idea più articolata e aderente alla realtà e alla sua morfologia, rispetto a chi “fa di tutta l’erba un fascio”. Un’idea, dunque, meno “liquida” e più identitaria, dove oggi l’identità pare essere una chimera.
         I valori di sinistra partono da tutto ciò che gravita attorno al concetto di uguaglianza, o, usando un incedere alla Bobbio, tendente più o meno all’uguaglianza. In ogni caso, a sinistra, almeno sul piano della conversazione, si condanna la società che non la rispetta, esaltando così le vittime di questo principio violato: è il caso della poesia,  della narrativa degli ultimi, degli sfortunati. Ma c’è di più. I valori di sinistra prevedono un’ideale di società e di un’esistenza “giusta” con buona pace per tutti. Da qui, la poetica dei sofferenti, degli emarginati, degli sconfitti. Una sinistra, che si caratterizza per l’intenzione di sviluppare la coscienza delle masse, dove gli intellettuali -molto aggregati e tutti pedagoghi- si danno da fare, in un’ottica missionaria, per lo sviluppo culturale della società, in un’accezione che vede l’intelligenza come qualcosa che può essere incrementata e il soggetto appena nato come una tabula rasa da forgiare.
         Diversa la destra, più spirituale e meno pedagogica, tesa ai valori eroici, al mito e alle sfide esistenziali e dei tempi, dove “il segno” è origine del raziocinio. Intellettuali tutti individualisti e solitari, che accettano la realtà per quella che è, dove il fato gioca un ruolo determinante: non vogliono cambiare il mondo, insomma! Sono visionari e utopisti, all’interno di valori quali la libertà, la forza, spesso vicini alle religioni, nella prospettiva esoterica e non popolare.
         E veniamo al dunque! Come è noto, il processo di massificazione della cultura leccese, intesa nell’accezione delle produzioni poetiche e narrative, ebbe i suoi primi impulsi significativi durante la metà degli anni ’90. Qui, il contributo decisivo venne da uomini di cultura della sinistra, che per certi aspetti fecero propri gli ideali di alcuni militanti, che avevano auspicato una rivoluzione sociale, partendo proprio dalla cultura e dal rinnovamento delle coscienze del popolo, come Antonio Verri.
         Per quindici anni tale processo si mosse in maniera coerente e indisturbata, mostrando un gruppo coeso di intellettuali non accademici, determinati e attivissimi, senza tuttavia andare al di là di piccoli eventi, che però erano numerosissimi. Di tutto ciò, ovviamente, va escluso il “fenomeno” Premio Barocco e il “fenomeno-business” della Notte della Taranta. Insomma, tutto ciò si inarca  sino al 2010, quando alla componente di sinistra si sommò quella di destra, che, fino ad allora per lo più silente, fece l’ingresso nello scenario locale, sconvolgendone le dinamiche. Dal 2010 si assiste ad una sorta di fordismo intellettuale, alla serialità, alle cavalcate letterarie sino ad arrivare ai nostri giorni in cui si è approdati alla spettacolarizzazione della cultura.
         Tuttavia, mentre la sinistra ha mantenuto i suoi vecchi schemi, i suoi “capannelli”, la destra, partita in una prospettiva corale, pare abbia perso, oggi, la sua unità iniziale e sia approdata ad una competizione interna violenta e spietata, che ne ha ridotto il suo potenziale.
         Che dire dunque per il futuro? L’auspicio di tutti è che il mondo della cultura e della mondanità leccese evolva, individuando i suoi leader intellettuali, che al momento paiono solo proporsi nella sinistra. Condizione questa non sufficiente -monopolistica infatti- perché inefficace per un positivo dialogo, dibattito, confronto culturale, di fatto necessari ad un reale sviluppo, forieri di iniziative innovative ed altre...
                                                                                            Mauro Ragosta       
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sabato 5 settembre 2020

Post Evento n°13: Scena Muta, intima ed esclusiva, lo scorso lunedì – di Mauro Ragosta

            In serata, lo scorso lunedì, si era in pochi a Copertino, da Scena Muta, per le prove generali di Lustrini: solo intimi e addetti ai lavori. D’emblée va evidenziato che Lustrini è una briosa piece teatrale appassionante e, al tempo stesso, stimolante, su più piani e a più livelli, sia per l’intelletto e sia per gli intellettuali, la quale tuttavia mai ha mostrato tratti pesanti o noiosi, anzi….. Tra i tanti, Lustrini -interpretata dal patron di Scena Muta, Ivan Raganato e, dal milanese, Luca Toracca- ha il pregio, infatti, di essere una rappresentazione dal ritmo decisamente godibile, spumeggiante, effervescente. Senza difficoltà può essere accostata ad uno spartito che “si allinea” su i tre quarti. Insomma, Lustrini, a molti è riuscita ad alleggerire le “pesantezze” del lunedì, del primo lunedì, poi, che segna la fine dell’estate e delle ferie….il rientro al “lavoro”, insomma.
            Gli esiti felici della serata da Scena Muta, ed in definitiva di un lunedì che si mostrava difficile alle prime battute, si deve, tuttavia, ma non solo ovviamente, ad un copione estremamente attuale e assieme antico, che solo una sensibilità e una spiritualità di alto livello potevano concepire. E ci si riferisce ad Antonio Tarantino, noto e pluripremiato drammaturgo italiano, che nel 1996 scrisse appunto Lustrini, uno dei suoi primi lavori teatrali, dopo l’abbandono della pittura. Lustrini, un dialogo tra due barboni, che nonostante sia costituito da un linguaggio scurrile, bizzarro e rozzo, si risolve tuttavia in qualcosa di estremamente sottile, raffinata e che dà spazio a considerazioni sempre più profonde, quasi senza fine. Un copione che ha un raggio d’azione molto ampio, senza mai essere tangente il banale, il commerciale, il fast food teatrale. Un copione, Lustrini, che nasconde, in una prospettiva arcanica, verità a tratti sconcertanti. Insomma, una piece per tutti e per nessuno.
            In definitiva, Tarantino, che peraltro ci ha abbandonati quest’anno, in aprile, all’età di 82 anni, ha saputo abilmente mettere in luce e scontornare molte contraddizioni dell’individuo e da qui ribaltarle in maniera speculare nella relazione a due, e nelle relazioni poi, dove il tempo e il luogo hanno solo una rilevanza secondaria, accessoria. I suoi due barboni, il Cavagna e il Lustrini, appunto, sono solo accidentali, come accidentali sono il linguaggio e le formule letterarie. Ed in effetti se si sfoltisse il lavoro di Tarantini da questi espedienti, appare chiara la realtà dell’uomo in sé, quale combinazione alchemica di elementi contrapposti, dove al tempo stesso la vittima è anche il carnefice, dove l’egoismo e financo l’egotismo coincidono e si sovrappongono all’amore…. E qui è meglio fermarsi!
            Al di là di ciò, comunque, va rimarcato che Lustrini è una rappresentazione giunta nel Salento, perché fortemente voluta da Luca Toracca e dove il nostro Ivan Raganato, col suo Scena Muta, ha subito colto al volo, soprattutto perché un lavoro e una proposta poco politicizzate, e al fianco, invece, dell’uomo di ieri e di oggi, dei suoi diuturni interrogativi, dei suoi dubbi più assillanti. Un lavoro che offre, in definitiva, una visione dell’esistenza in una prospettiva possibile.
           Sul piano più strettamente tecnico-interpretativo, lunedì sera si è goduto della performance di due veri professionisti della re-citazione. E si è percepito subito, perché sia Ivan sia Luca nel loro incedere interpretativo “non puzzavano” di attorialità, di mestiere, di tecnica. Ivan Raganato e Luca Toracca sono riusciti a trascendere, infatti, con naturalezza la stessa tecnica teatrale, senza tuttavia voler riprodurre la Realtà, sic et simpliciter, ma offrirne, al contrario, una versione altra, forse, esemplare. Ad ogni modo, si era in presenza di un’ipotesi di teatro non ordinaria. Ciò possibile, ovviamente, solo per le loro grandi capacità professionali. Va qui messo in luce, infatti, che anche Luca Toracca è fondatore del Teatro dell’Elfo di Milano, ancora oggi perfettamente attivo.
Insomma, lunedì scorso si era in presenza di due attori “iniziatori” e, ça va sans dire, la loro forza e potenza teatrale si è percepita tutta.

Mauro Ragosta

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mercoledì 2 settembre 2020

Ritratto foto-letterario n°10: Paolo Vincenti - di Rossella Maggio

Poliedrico, funambolico, indignato, arguto e anche comico, appassionato, spassionato, ironico, frizzante, mordace, sferzante, tonico e ipertonico, dionisiaco, apollineo, epigrammatico, satirico, esametrico, simposiaste, spondaico – a volte trocaico – dattilico, di certo incisivo, nostalgico, futurista, postmoderno, pervasivo mai invadente, invasivo, molcente, pungente, brillante, a suo modo suadente, convincente, vincente …Paolo Vincenti. Lo conosciamo per la sua vena ironica, tratto saliente della sua attività di giornalista e scrittore di cui ricordiamo “Neronotte Romanza d’amore e di morte (Libellula Edizioni, 2013), “L’ombra della madre” (Kurumuny Edizioni, 2015), “L’una e due. DiscorDanze” (La Fornace Edizioni, 2015), “L‘osceno del villaggio” (Argomenti Edizioni, 2016), “Italieni” (Besa Editore,2017), “Avanti (o) pop” (Argomenti Edizioni,2018).
Un tutto tondo forgiato dalla cultura classica, ma aperto ad ogni possibilità o fonte di ispirazione, Paolo ha avviato una carriera parallela collaborando con l’Università del Salento ed è socio ordinario della Società di Storia Patria di Bari, affiliato a quella di Lecce. Nello specifico mi riferisco alla sua attività di saggista, che lo vede impegnato nella stesura di vari lavori, tra cui quello appena pubblicato dedicato a Sabatino De Ursis, gesuita, astronomo, scienziato e botanico, vissuto fra Cinquecento e Seicento, e molti volumi di studi a sua cura, fra i quali quello sulla Grande Guerra e il Salento. Questa esperienza, senza dubbio stimolante sotto il profilo del metodo storico- scientifico, potrebbe costituire  un‘arma a doppio taglio, perché in netta contraddizione con la sua irruente creatività, sicché ora Paolo, e non è il solo in questo sforzo che accomuna tanti artisti per il solo fatto di essere venuti al mondo e poi di essere stati ammessi all’universo della conoscenza, ha anche acquisito una forma di bilocazione del pensiero organizzato su più livelli strutturali tra loro interconnessi tale da suggerire la santità speculativa.
Come avrete capito, ho per Paolo una stima che si è trasformata in affettuosa condivisione dei suoi scritti e soprattutto della sua varietà di interessi, condizione a mio parere essenziale per la composizione di un affresco esistenziale e intellettuale degno di questa definizione. Fra i vari interessi, mi confida con la sua inarrestabile parlantina e due occhi accesi, la corsa, il popolare jogging, potente rimedio contro lo stress, e le amate collezioni di fumetti della Marvel con i supereroi importati dall’America, quali l’Uomo Ragno, I Fantastici Quattro, Thor, Capitan America, l’Incredibile Hulk, ecc. Attinge poi, come fonte di ispirazione, a tanta parte del cantautorato italiano da quello più noto al pubblico a quello meno famoso ma di assoluta qualità, fra i cui esponenti cita Stefano Rosso, Giorgio Lo Cascio, Pierangelo Bertoli, Edoardo De Angelis, Jimmy Villotti, Luigi Grechi, quest’ultimo autore del testo “Il bandito e il campione”, reso celebre dal suo più conosciuto fratello, Francesco De Gregori. 
Qualche sera fa abbiamo insieme condotto una piacevole chiacchierata intorno al suo “L’una e tre. DiscorDanze”. Di parola. Di idee, di intelligenza, di pensiero e di concetto, ma anche di senso e di sensi perché Paolo fonda sui sensi il suo ritmo giocoso della vita e, anche nella parola poetica, al suo arco non mancano frecce felicemente “Vincenti”.

Rossella Maggio