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domenica 29 dicembre 2019

…e così, anche per Maison Ragosta si chiude il 2019


         Nel gennaio di quest’anno fu realizzato l’impianto di Maison Ragosta, una rivista on line improntata per ospitare pezzi giornalistici di fondo e di opinione, come in effetti è stato. In febbraio furono fatti i primi esperimenti per tarare la programmazione ed intercettare le sacche di lettori. Il 3 marzo si è dato ufficialmente corso alla sua esistenza, avviando in maniera metodica e sistematica, la pubblicazione dei suoi prodotti letterari. E così in dieci mesi sono stati realizzati 100 articoli, distribuiti in varie rubriche, che hanno totalizzato complessivamente poco meno di 20.000 visualizzazioni, di cui più di 3.000 ad opera di lettori statunitensi e circa 1.700 ad opera di lettori irlandesi. Una buona quota, tra le altre, è venuta anche da lettori tedeschi e francesi. A parere di chi scrive, tali risultati appaiono degni di nota, in quanto Maison Ragosta non ha mai pubblicato articoli di cronaca, cioè quelli più popolari e che fanno “girare” i contatori che registrano le visualizzazioni. Il perché di tale impostazione va ricercata “nell’anima” di Maison Ragosta che è stata concepita per supportare una rivista d’élite, possibile nella sua fruizione solo da lettori particolarmente qualificati, sensibili ed attenti, capaci di approcciare in maniera positiva agli argomenti proposti e di coglierne le sfumature del linguaggio adottato e somministrato. In altre parole, Maison Ragosta si è rivolta solo ad una fetta ristretta della società, forse a quella che determina i processi sociali, i grandi cambiamenti, i grandi eventi.
            Nel 2019, Maison Ragosta ha portato avanti, con una certa regolarità, più di dieci rubriche, in vari ambiti d’interesse del lettore evoluto. Di queste, gran parte ha disvelato, con garbo e prudenza, alcuni dei meccanismi invisibili e poco percepibili della realtà che ci circonda e che ammantano la nostra società ed il nostro tempo. Altre, ma in minor numero, invece, hanno rivelato alcune dinamiche molto seguite. Tra queste, una per tutte, la rubrica Avvio all’Esoterismo, seguita inizialmente da Andrea Antonello Nacci e poi dall’avvocato Italo Zanchi. In tale prospettiva, va precisato, che Maison Ragosta non si è mai posta in una prospettiva propositiva, ma ha, sovente, messo in luce e a nudo, alcuni snodi cruciali della nostra società, per evidenziarne i limiti e stimolare, dunque, una riflessione costruttiva.
            Proprio per questa sua natura, tendenzialmente illuminante, Maison Ragosta ha raccolto molti apprezzamenti qualificati e, allo stesso tempo, non ha avuto vita facile con i poteri forti, a tal punto che per ben due volte, nel corso del 2019, è stata bloccata per tempi anche lunghi.
            Un anno, il 2019, entusiasmante e assieme “duro”, quello di chi scrive e di chi si è a lui affiancato nella conduzione di Maison Ragosta. Motivo per il quale è d’obbligo ringraziare in primo luogo Massimiliano Lorenzo -redattore della prima ora, che è riuscito a mantenere la sua posizione fino alla fine di quest’anno- e solo dopo Andrea Antonello Nacci, Danilo De Luca, Andrea Tundo, Giuliano Greco ed Italo Zanchi. Un ulteriore ringraziamento va a Flavio Carlino -opinionista di grande qualità che pubblica su Corriere Salentino- il quale ha tenuto a far apparire uno dei suoi migliori articoli, anche su Maison Ragosta.
            Alcuni si chiederanno quali saranno i futuri orientamenti di Maison Ragosta, quelli per il 2020. Al riguardo va specificato che, molta parte nelle scelte per il futuro gioca la volontà, ma questa non basta, non è sufficiente. Qualsiasi azione è il risultato del combinarsi di fattori esogeni ed endogeni. Da qui nessuno può garantire con certezza e con puntualità cosa sarà e come si muoverà il domani. L’unica cosa che sappiamo di certo è che Maison Ragosta ha traversato per intero il 2019 ed oggi si siede sulle spiagge del 2020 a contemplarne l’orizzonte. Peraltro, poco contano gli aspetti economici. Ci sarà, dunque, o non ci sarà il suo nuovo viaggio nell’anno che sta per entrare? E’ con questa domanda che Maison Ragosta congeda il 2019 e ringrazia i suoi lettori per aver condiviso i tanti momenti di riflessione e meditazione proposti.

Mauro Ragosta

giovedì 26 dicembre 2019

Un bilancio della politica leccese nel 2019 – di Mauro Ragosta


            Ma da dove partire per redigere un bilancio della politica leccese nel 2019? Varie sono le piste e i sentieri da esperire. A parer di chi scrive è un punto di partenza interessante per la disamina delle dinamiche politiche leccesi di quest’anno, quello attinente alle attività della Polizia Locale. Per il cittadino comune l’analisi delle attività dei “vigili”, ovviamente ancorata ad un metodo quasi esclusivamente visivo, si sostanzia nel fatto che il poliziotto locale abbia come compito principale quello di stilare e redigere verbali. Li si vede sempre intenti a scrivere sui loro “blocchetti”, poche le volte in cui si registra un impegno in altre operazioni, alla vista ovviamente del comune cittadino. Tutto questo dà vita alla considerazione ampiamente condivisa che al Comune e al Sindaco interessino solo far cassa, quanto più possibile, adottando anche tecniche con tolleranza zero. Se questo può essere vero, del pari è anche vero che il cittadino leccese ama essere “spellato” dalla Polizia Locale, ha in uggia cambiare le sue abitudini: preferisce pagare multe anche salate, ma non riesce ad adottare e praticare un cambiamento. E’ questa un’incongruenza sociale del conglomerato umano leccese, che pare non riesca a smobilizzarsi in nessuna direzione, perdurando infatti da più di tre lustri. Ed ecco che il tutto si sostanzia in un gioco noioso e sado-maso del leccese, dove i poliziotti multano e il cittadino comune rimane fermo ed imperterrito nelle sue abitudini e posizioni, totemiche e solari, direi.
            E’ questo uno spaccato dal quale non si può prescindere, anche perché tale atteggiamento si riverbera pure in politica. Negli ultimi mesi, dopo la bagarre elettorale, che trova i fondamenti nelle dinamiche degli ultimi due anni, tutto è ritornato tranquillo, alla normalità, a parte qualche insignificante bizzarria, ma nulla di speciale e rivoluzionario.
            L’abbrivo alla vittoria e alla conduzione oramai stabile della città da parte del centro-sinistra sono state date, come ben si ricorderà, dal nostro caro Delli Noci, che ha messo in movimento un travaso di forze politiche e di voti, dunque, che, sempre più consistente, da destra passano a sinistra: pare che oramai tale movimento vada da sé, senza l’intervento miracoloso di esperti e potentati. E tutto ciò perché il leccese medio ha in uggia stare in una posizione politica senza potere. Ecco, il leccese medio ama il potere, di qualunque colorazione ed impostazione esso sia, purché non scalfisca la sua autostima, il suo senso di potenza. Insomma, è poco capace di reale opposizione. Aggiungerei, che ha anche scarse attitudini al dialogo ed al confronto. Per lui è importante mantenere la sua posizione, come nel caso delle multe, al quale poc’anzi s’è accennato.
            Da qui, dopo la tenzone legata al passaggio di testimone dal centro-destra al centro-sinistra, che si è svolta solo tra gli addetti ai lavori, tutto è ritornato nell’ambito del quotidiano, nel fluire lento, tranquillo, e forse anche un po’ noioso, della vita politica. Di fatto, non v’è stato un cambiamento epocale, se non nei colori e nei personaggi. Ed anche le trattative per le prossime elezioni si svolgono come in una tranquilla partita a poker di una domenica pomeriggio.
            Certamente, Lecce è molto colta nella prospettiva consumistica: sa tutto circa il consumo e i brand nonché tutti gli aspetti culturali a questi legati, che associa ad una mirabile formazione classica o classicheggiante. E in molti si chiedono se oltre il consumismo vi sia qualcosa d’altro su cui intrattenersi. Una domanda a cui è difficile dare una risposta, dal momento che Lecce è la città e il capoluogo più ricco di Puglia, e da qui tra le città più ricche del meridione d’Italia. E in tale prospettiva sarà difficile partorire un reale cambiamento, un nuovo assetto cittadino, un nuovo modo di aggregarsi e convivere, un rinnovamento identitario, in definitiva. Non se ne vedono i motivi e i perché, se non per un fatto di puro diletto……..
            Verrebbe da dire: Lecce, l’eternità, al di là della quale solo un’altra Civiltà potrà, forse, scalfire il suo secolare, anzi, oramai millenario incedere.
           
Mauro Ragosta

martedì 24 dicembre 2019

Avvio all’esoterismo (dodicesima parte): sui livelli.....concludendo – di Italo Zanchi


            Come accennato nei precedenti articoli, l’accesso alla mente esoterica si compie attraverso vari livelli: dalla prima intuizione dell’esistenza di una modalità conoscitiva estranea alla modalità logico-discorsiva, alla visione della trama occulta della realtà sensibile; dalla conquista della facoltà immaginativa che consente la visione di Verità trascendenti, fino all’ineffabile intellezione.
            Il percorso è noto fin dall’antichità e in maniera filosofico-descrittiva è stato indicato dai tre grandi della grecità: Socrate, Platone e Aristotele (F. Ferrari, “La via dell’immortalità – percorsi platonici”, Rosemberg & Sellier, 2019): la ragione consente il controllo delle influenze derivate dalla dimensione corporea; la purezza, poi, oltre la dimensione etica, consiste nel raggiungimento di ciò che è sempre (Platone, “Fedone”); in questa condizione l’uomo invisibile attinge alle idee intelligibili.
            L’Oriente geografico compie sostanzialmente lo stesso percorso, per giungere ad enucleare concetti quali Nirvana, Vuoto, Nulla, fine delle reincarnazioni: in tal senso, ha una visione pessimistica della realtà sensibile, dell’uomo visibile, formato dai fenomeni spazio-temporali; ragion per cui, il viaggio esoterico conduce all’abbandono della individualità umana e del mondo: il percorso diviene una iniziazione ad un livello di assoluto distacco dalla dimensione terrena e di suprema pace.
Dal canto suo, l’Islam conserva una valutazione negativa del mondo sensibile, posto che questo si avvia all’eschatòn, alla fine dei tempi. E’ vero che il fedele -contrariamente alle concezioni filosofico-religiose orientali- conserva la propria individualità, ma la sua felicità non si consegue in questo mondo, bensì presso l’ultra-mondo di Allah dopo una vita e una morte sante. Per inciso, da qui la disponibilità al martirio, sia riguardo la propria stessa vita, sia nel senso della distruzione di altri esseri umani e cose circostanti, (G.E. Valori, “Globalizzazione, governance, asimmetria”, Rubbettino, 2018).
            La concezione occidentale è differente.
Intanto, pur esso ha sviluppato pratiche  esoteriche, collegate alla prisca philosophia, cioè a quella ricerca filosofica che si avvaleva di tutte le modalità e gli oggetti di conoscenza: modalità intuitive, di ricerca interiore o teosofica, ma anche sperimentali e di contaminazione tra varie culture (si pensi all’arrivo a Firenze degli scritti salvati da Costantinopoli dopo la caduta in mano islamica, o alle culture araba ed ebraica provenienti dalla Spagna medievale). Insomma, quella ricerca filosofica precedente la rivoluzione logico-razionale illuministica, la quale ultima, se da un canto ha spazzato via le “superstizioni” che avevano contaminato il pensiero, dall’altro ha introdotto un dogmatismo metodologico, escludente quanto non trattabile col raziocinio (la “dea ragione” della rivoluzione francese).
Contenuti esoterici, quelli originari, maturati e presenti anche nell’ambito della religione cristiana: proprio perché diretta a tutte le genti, i contenuti religiosi palesi sono semplici e semplificati con rappresentazioni anche ingenue e favolistiche. E tuttavia, resta un nucleo iniziatico, magari conservato dagli ordini monastici i quali sono meno assillati dalla “amministrazione” della religiosità collettiva propria del clero secolare. Si sono già ricordate le vie del misticismo (da Caterina da Siena a Teresa d’Avila), o della pratica esoterica apofatica (Giovanni della Croce); si aggiunge l’esicasmo dei monaci del Monte Athos per i greco-ortodossi.
            Tanto, però, non conduce ad un’estraneazione dal mondo, bensì ad una diversa visione del mondo stesso, alla sua trasfigurazione.
L’Essere, essendo eterno, genera gli enti nell’Eternità, intesa non come un tempo senza limiti, bensì quale dimensione senza tempo. Pertanto, la generazione degli enti è consustanziale all’Essere stesso; e gli enti, in tutta la loro gradazione, non costituiscono un accidente irrilevante; invece, fanno parte della stessa vita, potremmo dire, dell’Essere, ne sono elementi costitutivi.
Qui si aprono infinite, complessissime e note questioni: sulla natura degli enti, le loro modalità, la posizione dell’Uomo, la sua libertà, il male e così via. Le tralasciamo per non deviare dell’oggetto del nostro discorso –premesso che non c’è l’ardire di ritenere d’essere in condizione di trattarne-. Resta la splendida constatazione che la realtà sensibile è l’espressione di Principi ad essa trascendenti; è la rappresentazione di Essi in questa dimensione; la loro apparizione qui e ora. E se quei Principi sono l’esplicitazione del divino, gli enti costituiscono teofanie; ogni singolo essere umano, in particolare, è una teofania. Qui si ricordano le concezioni arabe della bellezza femminile, tanto attraente quanto, per ciò stesso, intangibile; ma anche le varie Beatrice e Laura dei nostri massimi poeti rinascimentali, riflessi della bellezza divina che, per essere tale, è anche conoscenza; perciò, quella bellezza costituisce Verità, ammirata e cantata.
            Qui si compie la trasfigurazione del mondo; non più accozzaglia di materia caotica, mossa da immensa e cieca energia, bensì costruzione armoniosa guidata da un Amore tale da depositare, in ciascun ente, una scintilla che possa riconnettere al Principio generatore e formatore: è l’Uomo.
In definitiva, per l’esoterico occidentale il mondo non è una dimensione da cui fuggire e abbandonare ad un suo –presunto- disfacimento, bensì il perenne riflesso di un Principio trascendente; come tale, da scoprire nella sua meraviglia. O meglio, la meraviglia è sempre presente, lo è sempre stata; sono gli occhi umani che devono acquistarne consapevolezza: questa è la trasfigurazione.
L’esoterismo islamico lo riconosce. L’undicesimo Imam, Hasan ‘Askari vemme rinchiuso in un caravanserraglio di mendicanti; un compagno riuscì a raggiungerlo e lamentò la condizione. Ma l’Imam gli disse “<<Guarda>>, e in quell’attimo lo stesso fedele vide attorno a sé giardini, aiuole fiorite e corsi d’acqua viva” (H. Corbin, “Corpo spirituale e terra celeste”, Adelphi, 2002).
            Quanti prendono coscienza della propria dignità di portatori della scintilla trascendente e hanno consapevolezza della meraviglia che ci circonda –e che siamo (“Magnum miraculum est homo ..”, Asclepius VI, in “Corpus hermeticum”, Bompiani, 2005)-, questi sono i veri Governanti; coloro che hanno raggiunto la visione trascendente e da qui scorgono la vocazione dell’umanità (G.E. Valori, “La vocazione dell’umanità”, Futura ed., 2013), le sue linee-guida; le indicano, si muovono secondo esse. Le acquisite coscienza e consapevolezza li rendono responsabili del mondo e dell’umanità.
Colui che sommamente assunse questa responsabilità fu l’Uomo chiamato Gesù di Nazareth: era tanto cosciente della propria dignità da definirsi Figlio di Dio; era tanto consapevole della bellezza di questo mondo da resuscitarvi l’amico e chiedere l’aiuto per i poveri; era tanto responsabile da non indietreggiare rispetto alla propria coscienza, neanche di fronte alla violenza e alla morte.
Altri uomini hanno connesso la percepita dimensione interiore con l’opera in quella spazio–temporale e, dunque, hanno operato alla elevazione dell’umanità.
Moltissime sarebbero le citazioni, ma c’è un uomo, un italiano, che, specie oggi, è opportuno ricordare: Giuseppe Mazzini.
Governavano le monarchie, le quali univano sotto di sé popoli e nazioni: i monarchi, tramite il rito dell’intronizzazione, essendo costituiti tramite tra Trascendente e sudditi, possedevano la visione per indirizzare su giusti sentieri. Popoli e nazioni, perciò, non avevano statuto autonomo. Mazzini, “l’apostolo delle genti”, compì la rivoluzione, teologica, prima che culturale e politica (nucleo che mancò alla rivoluzione francese): come ciascun uomo, possedendo la scintilla divina, ha un volto, così i popoli, essendo espressione comunitaria e unitiva di un Principio superiore, posseggono una loro identità (G.E. Valori, “Risorgimento oltre la storia”,     ); e poiché tale identità è, appunto, riflesso di Trascendenza, essi non solo hanno diritto di coltivare le rispettive tradizioni, ma posseggono le intrinseche, ontologiche capacità dell’autogoverno.
La monarchia era finita.
Molti altri sono gli esempi di politici che hanno operato secondo nessi metastorici al fine di articolare una strategia rispondente ai grandi flussi umani, quelli rinvenibili soltanto nella conoscenza della teleologia umana. Citiamo il confucianesmo di Mao Zedong (G.E. Valori, “La sapienza e la storia …”, Futura ed., 2015), i “Costruttori di dio” nella Russia dei Soviet (F. Dimitri, “Comunismo magico”, Castelvecchi, 2004), o il presidente francese F. Mitterand che leggeva testi di esegesi biblica più che report di intelligence (G.E. Valori, “Spiritualità e illuminismo”, Futura ed., 2018); per non dire di più presidenti statunitensi.
            Ma infine, l’esoterico non è uno “sballo” della mente, né una fuga dal mondo, né una perdita di tempo: l’esoterismo di tradizione occidentale costituisce un profondissimo e autentico “nosce te ipsum”, indispensabile ad una piena presa di coscienza di sé e del mondo. La stessa psicoanalisi junghiana è un’espressione di esoterismo (C. Bonvecchio, “Iniziazione e tradizione”, Mimesis, 2019). Rintracciato il nucleo dell’Essere, con maestria si trasferirà dall’Eterno allo spazio-tempo, realizzandosi la prima e superiore “coincidentia oppositorum”.
Sarà il viaggio di ritorno dall’Essere al tempo, arduo, ma è la missione dell’umanità. Per poi, ancora, risalire e ritornare, nella vita dell’ente, come un respiro; essendo divenuti come gli angeli che Giacobbe vide in sogno salire e scendere la scala che portava in Cielo e ritornava su questa terra (Genesi, 28,12).           
Italo Zanchi

lunedì 23 dicembre 2019

Un bilancio per il 2019 della politica in Italia – di Mauro Ragosta



          Anche nel 2019, in Italia, è stato mantenuto fermo il timone su certe direttrici delineatesi negli ultimi venticinque anni. A tale constatazione si giunge se si sconta lo scenario politico del gran rumore delle piazze e dei social. D’altro canto, all’attento osservatore tutte le querelle legate alla “capitana”, a Salvini, anche alla bambina, Greta, appaiono più che altro dei colpi di scena, finti ovviamente, che rientrano oramai nella noia della politica, buoni solo per permettere a chi ne abbia bisogno, di scaricare la violenza ancestrale che si porta dentro, e che viceversa non potrebbe scaricare nella sua vita. Anche le cosiddette Sardine, che stanno sostituendo le comiche di Grillo, perché un comico è, paiono rientrare negli aspetti più folkloristici della politica popolare italiana, ben dirette dal capitalismo e dalle grandi famiglie italiane.
            Al di là di questo gran rumore da discoteca all’aperto, da stadio, con tutto rispetto per i tifosi, credo più nobili nelle loro manifestazioni, gli elementi per sintetizzare la nostra politica nel 2019 possono essere raggruppati in sei, sette punti.
            In primo luogo, va messo in luce che il prelievo fiscale in termini assoluti continua ad aumentare, in una dinamica che sembra un inseguimento tra Stato e cittadino, ovviamente il più povero. E sì, perché più della metà del prelievo dello Stato italiano si fonda su tasse ed imposte regressive, e cioè che gravano più sui meno abbienti e meno sulle classi più ricche.
            Come ovvia conseguenza, il Sud, più povero, ne risente maggiormente, contribuendo con quote di reddito (sottratto) più consistenti, portando ad un divario sempre più marcato, anche se pare che l’intera nazione sia sottoposta ad un processo di suddificazione ad opera dell’UE.
            Da tutto questo, da un prelievo sperequato, ne deriva un fortissimo sviluppo, a due cifre, del mercato del lusso, che pare essere il perno attorno a cui ruota quasi tutta l’economia nazionale, per effetto dei processi imitativi. Una per tutte, anche quest’anno in Italia si sono vendute circa 3.000 supercar, tra Ferrari, Lamborghini, Maserati, scatenando degli effetti sulla produttività del lavoro di grande rilievo soprattutto nell’industria di base, in tutti i comparti.
            Ed ancora, continuano immotivatamente i flussi di capitali verso il sistema bancario e verso grandi aziende che registrano perdite consistenti, i quali si sostanziano in veri e propri trasferimenti gratuiti di capitale pubblico alle grandi famiglie italiane.
            In parallelo, anche il Debito Pubblico in termini assoluti continua a crescere di altri 50 miliardi, mantenendosi sul 135% del reddito nazionale.
            Altro settore importante è la sanità. Qui da circa un decennio si sta cercando di eliminarla dallo scenario del Pubblico. Si prevede che nel giro di un quinquennio, questo sia privatizzato e a carico quasi interamente del cittadino.
            La televisione, in tutto questo, continua a promuovere valori che di fatto disgregano le principali e tradizionali strutture sociali italiane, favorendo la disgregazione della famiglia, l’omosessualità culturale, e parimenti anche quella del lesbismo culturale,  e tutte quelle aggregazione che di fatto non possono svolgere attività riproduttiva, talché anche quest’anno la popolazione italiana è diminuita di circa 150.000 unità, riducendola di circa 6 milioni di unità, a partire dal 1993, mentre è aumentata quella straniera assestandosi sui 6 milioni, compensando così la minore fertilità dei nostri connazionali.
            In questa direzione si è posto anche il Papa, che quest’anno è entrato con più forza in politica, risultando agli osservatori più attenti come un Papa picconatore dei pilastri fondamentali della Chiesa.
            Le previsioni per il 2020 non sono difficili e con molta probabilità passi in avanti importanti si faranno anche sul versante della riduzione dell’uso del danaro, che verrà posto sotto controllo. Quest’anno infatti, le avvisaglie in tal senso sono state decisamente rilevanti.

         In tutto questo, Maison Ragosta porge a tutti i suoi lettori i migliori auguri di "Buon Natale" 

Mauro Ragosta

sabato 21 dicembre 2019

Arte, Spettacolo e Cultura nel leccese: un bilancio per il 2019 – di Mauro Ragosta


            Il 2019, sotto molti aspetti, per il settore dell’arte dello spettacolo e della cultura nel leccese, può essere considerato l’anno del compimento di due lunghi processi avviatisi, il primo, intorno alla metà degli anni ’90, il secondo, nel 2010. E ciò specificatamente in due comparti precisi, ovvero quello del libro e quello del teatro.
         Con riferimento al mondo del libro in provincia di Lecce, negli ultimi venticinque anni si è assistito ad un progressivo passaggio del costo della pubblicistica dal settore pubblico al settore privato, dove questo grava, nella maggior parte dei casi, sugli autori e sui lettori. Rarissimi sono i casi, oggi, in cui, com’è noto a tutti, la pubblicazione di un libro sia a carico degli Enti locali, quando, invece, negli anni ’90, questi si presentavano i principali sostenitori del mondo dell’editoria nel leccese. Per altro verso, il processo di diffusione delle opere letterarie, che nel 2010 ha cominciato a prendere carattere sistemico con le cavalcate letterarie, in cui una parte importante hanno avuto Maria Pia Romano e la bellissima Coppola, pare sia giunto a piena maturazione. Oggi, il sistema del libro nel leccese conta di autori seriali, numerosi contenitori e rassegne per la loro commercializzazione, un certo numero di presentatori piuttosto esperti, dove il tutto si sostanzia in un sistema di vasi comunicanti, dove un autore una volta contattato una casa editrice, anche di modesta esperienza e tradizione, entra in un circuito divulgativo e commerciale capace di diffondere la sua opera. E qui va aggiunto che, tale sistema pare essere anche controllato da una certa oligarchia di attori culturali capace di selezionare e lanciare lo scrittore.
           In tutto questo, una parte rilevante svolgono anche le amministrazioni comunali, le quali hanno rivalutato l’assessorato alla cultura, e che, se un tempo si faceva promotore di acquisto di libri, dopo un periodo di disorientamento, ha operato con forza solo sul fronte della promozione e dell’organizzazione di eventi capaci di veicolare le opere letterarie. Soprattutto le amministrazioni di centro-sinistra di tale sistema ne stanno facendo una leva politica di non poco conto. In tale direzione, va aggiunto che, un’opera importate stanno portando avanti sul piano del sistema delle biblioteche, riqualificandone il tradizionale utilizzo e la storica funzione. In ciò, in netto ritardo si presentano le amministrazioni di centro-destra, la cui intellighenzia si presenta meno dotata di strumenti culturali.
          Circa il piano dei contenuti, si è perfettamente in linea col regime relativistico, dove tra gli obiettivi degli autori quello prioritario pare essere quello emozionale, sentimentale, e nella saggistica, quello del “colpo di scena”, senza ovviamente, che tra loro si possa intercettare un orientamento comune né tantomeno una scuola. All’interno di questo quadro, grande peso assume, in una prospettiva campanilistica, lo sfondo delle loro trattazioni, che sempre più frequentemente è quello locale, del Salento.
        Sul versante del teatro, invece, pare netta la distinzione tra quegli operatori assistiti dai fondi pubblici, da quelli che invece si basano sul pareggio di bilancio dei loro conti. E se i primi paiono più di regime, immettendo nel sistema dello spettacolo precisi contenuti con forti connotazioni volte allo smantellamento delle principali strutture sociali, nei secondi prevale un atteggiamento più moderato e capace di contemperare il nuovo con il vecchio. In ogni caso, la qualità dell’operatore si presenta di buon livello e capace di incidere positivamente sulle platee.
            Da quanto sin qui esposto, è facile intuire che tale sistema, nel 2020, punterà, come orientamento naturale, al consolidamento delle posizioni e dei risultati raggiunti. Un anno in cui sicuramente si potrà godere maggiormente e con consapevolezza di ciò, ovvero di quello che il Salento ha saputo produrre, nel bene e nel male……..

Mauro Ragosta

Maison Ragosta ricerca due collaboratori per il 2020


               Con la presente comunicazione si informa che Maison Ragosta, rivista on line di cultura e intrattenimento, valuta candidature per la selezione di due collaboratori da inserire nel suo attuale gruppo di lavoro, a partire dal 2020.
            Si precisa che, per le figure richieste sono indispensabili una buona conoscenza della lingua italiana, una soddisfacente cultura interdisciplinare e una significativa propensione alla ricerca, nell’ambito delle scienze molli. Per la selezione non avranno valore né i titoli di studio né i titoli accademici e neanche il curriculum, attinente agli studi e ai pregressi professionali, di lavoro e letterari. Particolarmente graditi, peraltro, saranno i candidati di età compresa tra 20 e massimo 30 anni o tra 50 e massimo 65 anni, residenti in provincia di Lecce o in provincia di Brindisi.
            I candidati, inoltre, dovranno essere disponibili a frequentare, con precisione e puntualità, un corso specializzato e personalizzato, che insisterà su tematiche di stile e politica della comunicazione, attraverso alcune full immersion (minimo 2 e massimo 4) che verranno sviluppate nell’arco di 50 giorni.
            A tal proposito, gli interessati possono utilizzare il canale comunicativo che meglio ritengono opportuno per le procedure di primo contatto, tenendo in considerazione anche dell’opportunità di poter ricorrere ad un approccio telefonico, utilizzando, preferibilmente dalle ore 10:00 alle ore 12:00 e dal lunedì al venerdì, il seguente numero: 340-5230725.

Mauro Ragosta
           

sabato 7 dicembre 2019

IL NAZIONALISMO È BEN DIVERSO DAL RAZZISMO - di Flavio Carlino




Di recente Papa Francesco ha sottolineato una «eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati» che quando degenera in un «nazionalismo conflittuale», produce «razzismo o antisemitismo».
V’è, poi, chi è convinto che il nazionalismo abbia origini del tutto simili al razzismo, trovando giustificazione, tale sommario pensiero, nella semplice esistenza di confini geografici, di una lingua o di una religione in comune o, più semplicemente, di una pietanza, ragion per cui se mangi patate sei tedesco, se mangi pasta sei italiano, se sei islamico sei arabo e così via. Secondo questa corrente di pensiero il conflitto israelo-palestinese sarebbe dovuto a idee nazionaliste, di fatto non è per nulla territoriale, ma ideologico-religioso. Se così fosse, perfino il tifo per una squadra rientrerebbe nei canoni del pensiero nazionalista.
Così sul parallelismo “razzismo/nazionalismo”, attualmente imperante, se ne dicono di tutti i colori. Ma, forse, non è come sembra. La storia insegna.
Il razzismo si consuma laddove c’è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di un popolo su un popolo. Esso risiede nelle mire imperialiste di intere nazioni, come la Francia sull’Africa, l’Inghilterra sull’India, la Germania nazista sull’Europa, l’Europa sull’America, dove si è consumato il peggior olocausto della storia, quello dei nativi americani, che ha contato 114 milioni di morti in 5 secoli. Il razzismo abita dove governa ogni sorta di autoritarismo e con esso convive.
Fino a poco tempo fa era sufficiente considerare “l’altro” come un “diverso”, dove il significato di questo lemma era quello di “essere inferiore”, “reietto”. L’oppressione, e nei casi più gravi la soppressione, era il prezzo che gli indigeni dovevano pagare per la “modernizzazione” introdotta dal popolo conquistatore, il quale aveva diritto ad insediarsi in quella terra e sfruttarne le ricchezze in quanto “essere superiore”. Questo è il razzismo. Una prassi sociale, spesso politica, che è assurta a ideologia ed ha fatto milioni di morti. Ad uccidere è la discriminazione, l’intolleranza, l’apartheid, non il nazionalismo. Esso è recupero di identità. Più semplicemente, è l’uscita dall’internazionalismo di origine proletaria e dal globalismo economico: in termini più semplici, dal sovversivismo e dall’anarchia.
Il razzismo è guerra, attacco, offesa. Il nazionalismo è difesa dei propri confini, della propria terra, non della propria etnia. Il nazionalismo sta dalla parte degli ebrei, degli indiani d’America, degli africani e degli indiani che per secoli hanno subito soprusi, perché esso non sfrutta, non aggredisce, non uccide: unicamente, difende. Razzista è chi invade, chi uccide, qualunque sia il metodo adottato, non chi è invaso e depredato: quest’ultimo è nazionalista.
La relazione tra schiavo e nazionalista, entrambi vittime dell’invasore, è affine ed esattamente contraria a quella che intercorre tra razzismo e nazionalismo. La differenza tra i primi due è nel grado di civilizzazione: lo schiavo tenta di difendere i propri confini e diventa nazionalista quando riesce a scacciare l’invasore e a liberarsi dalle catene dello sfruttamento. Il nazionalista può, a sua volta, divenire invasore e, quindi, razzista. Il confine è labile, la differenza sostanziale.
Tra il nazionalismo e il razzismo vi è un gran vuoto, un precipizio, che non può essere superato se non con un’azione spregevole come quella dell’invasione dei confini altrui, basata su una consapevole ed ignobile idea di superiorità o di irrazionale arroganza: quella che rende il nazionalista schiavo nel tentativo, non belligerante, di difendere i propri confini. Amare la propria patria non è razzismo, sfruttare quella degli altri lo è. Ecco perché il nazionalismo e ben diverso dal razzismo.       
     FLAVIO CARLINO

venerdì 6 dicembre 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (parte diciassettesima): La Sicurezza tra dinamiche e gestione della società……verso il futuro – di Massimiliano Lorenzo




Per una disamina dell’Italia di ieri e di oggi, quella che ha attraversato in meno di un secolo due repubbliche ed è da poco entrata nella terza, risulta utile soffermarsi sugli aspetti che riguardano il controllo più puntuale nei processi di gestione della popolazione, attraverso gli organi di pubblica sicurezza. Dopo le leggi speciali degli anni ’70, assistiamo oggi ai due decreti sicurezza di Matteo Salvini. Cosa possono significare per la democrazia? Quali tratti prenderà la democrazia? E qui è utile, sia pur brevemente, dare uno sguardo al nostro passato, relativamente recente, per capire meglio l’attuale situazione, e magari, cercare di ipotizzare uno scenario futuro.
Della nostra Italia, segnata dal terrorismo rosso e nero, dai tentativi di golpe bianchi, c’è chi ne parla come un laboratorio utile ad acquisire informazioni e metodi per il contrasto di determinate pratiche di lotta politica, guardando ovviamente anche al più ampio scenario internazionale. Ma davvero le indicazioni emergenti da tali pratiche hanno offerto una serie di indicazioni solo in ambito esclusivamente politico, oppure queste presentano una valenza anche in prospettive più spiccatamente sociali?
A tal riguardo, va subito evidenziato che, come per la lotta alla mafia così per quella al terrorismo, i legislatori della Prima Repubblica hanno provveduto ad emanare norme particolari per il loro contrasto. Due di queste due vengono finanche definite “speciali”, ovvero fortemente limitanti i principi di libertà e democrazia. Ci si riferisce alla Legge Reale del 1975 e quella di Cossiga “il picconatore” del 1980. Se con la prima venne estesa la possibilità dell’uso delle armi per evitare stragi o attentati, ovvero per questioni di gravi turbamenti all’ordine pubblico, e perquisizioni senza mandato per sospetti di possesso d’armi; quella del “picconatore”, appesantì la Legge Reale e venne spesso utilizzata nei confronti di manifestanti e oppositori alla politica dominante. Una legge cosiddetta speciale la troviamo anche in tempi più recenti, della Seconda Repubblica, adeguata anche alle nuove tecnologie. Infatti, la Legge Pisanu del 2005, tra le altre cose, ha conferito il potere alle forze dell’ordine di controllare, oltre al traffico telefonico, anche quello telematico. Se è vero che queste tre leggi hanno avuto i natali per questioni di terrorismo, la loro applicazione non si è certamente limitata esclusivamente in tale ambito.
Da tutto questo, venendo ai giorni nostri e restando sul tema dei provvedimenti speciali, in poco più di un anno, l’ex ministro degli Interni Matteo Salvini ha varato decreti, poi tradotti in legge, che, seppur dando indicazioni generali in materia di sicurezza già nella loro denominazione lasciano intravedere segnali forti sul tipo di ripercussione, derivante da un loro sviluppo più specifico ed articolato. Si fa ovviamente riferimento ai due Decreti Sicurezza, che sono passati alla cronaca soprattutto per la loro utilità per la lotta alla criminalizzazione e per la migliore gestione della questione immigrazione, ma che, per altro verso, contengono articoli atti ad incidere direttamente sul comune cittadino, e, nello specifico, a quelle fasce sociali che appartengono ai “facinorosi di sinistra”, dei “centri sociali” e tutti coloro che abbracciano pratiche di manifestazione esplicita del dissenso. Infatti, nel primo e nel secondo decreto salviniano troviamo norme riguardanti sgomberi forzati di luoghi occupati, utilizzo di taser per la polizia locale, il reato di blocco stradale (sic! guarda un po’ è qualcosa che si verifica costantemente durante le manifestazioni di piazza). Ed ancora, maggiore tutela e libertà d’azione per le forze dell’ordine, aggravanti per resistenza a pubblico ufficiale. Peraltro, entrambi i decreti concentrano certi processi decisionali nella persona del ministro degli Interni.
Da altra angolazione, viviamo nel tempo della tecnologia, che si connota per l’applicazione dell’informatica in ogni aspetto della nostra vita e, da qui, è facile intravedere che in tema di controllo della popolazione, questa venga utilizzata in maniera più o meno esplicita. Ed ecco che, appare facile intuire, che questa nuova e nostra società si connoterà sempre più come “aperta” alla possibilità di controllo e gestione delle sue dinamiche, sia esse di natura politica, sia esse di natura prettamente sociale, rispetto alle quali è prevedibile un’evoluzione sempre più sublimata dei processi comunicativi.
Massimiliano Lorenzo

martedì 3 dicembre 2019

Avvio all’esoterismo (parte undicesima): … sui livelli...infine – di Italo Zanchi


            Ci siamo affacciati alla mente esoterica nel senso etimologico dei termini: meus ens, il mio ente; dunque, intanto una dimensione propria, individuale, intima; di poi, non mera accezione intellettuale –nel senso comune (vedremo più avanti anche l’accezione originaria di “Intelletto”)-, bensì un concetto più ampio, comprensivo di essere individuato e pensiero; infine, meus ens nascosto, sia perché altro rispetto alla persona apparente, sia perché ignoto allo stesso soggetto.
            Abbiamo accennato alle condizioni che consentono il retto accesso alla propria dimensione esoterica: vari percorsi, cercati o occasionali; con i pericoli conseguenti; con le qualità necessarie che offrono consapevolezza e forza –virtus: ovvero forza scaturente dalla virtù- per affrontare le prove che via via si presentano sul cammino. Non esistono, però, regole generali: ciascuno ha la sua struttura e la sua storia, molte sono le porte di accesso alle dimensioni altre; moltissimi sono i nomi. Per conoscere le rispettive esperienze occorre colloquiare e comprendere, non fermarsi ai significati apparenti; evitare le ideologie sia nell’architettare i propri discorsi, che nell’interpretare e magari giudicare quelli altrui. La ruota come simbolo, i rosoni delle chiese, rappresentano, appunto, il convergere di molte e diverse esperienze verso un centro unico. L’ambiente esoterico, poi, ha logiche diverse da quelle correnti; e spesso può sembrare in contrasto con i migliori valori: ciò deriva dal fatto che tramite esso si penetra nel mondo dei Princìpi, dal quale derivano i valori della mondanità come volgarizzazione di quelli. Un’analogia di questo processo può consistere, in fisica, nella constatazione della caoticità del mondo quantistico rispetto alle leggi esatte di quello macroscopico: eppure, è da quel caos, dall’apparente opposto, che emerge l’ordine che ha generato la meravigliosa straordinaria complessità dell’essere umano.
            Ecco, a proposito di meraviglia, occorre riacquistare piena consapevolezza di ciò che si è e di quanto ci circonda; tanto non può che generare stupore, che era un principio ermetico (“Corpus Hermeticum”, a cura di I. Ramelli, Bompiani, 2005). I nostri occhi smettano di osservare oggetti –considerando tali anche le persone- e abbiano l’intelligenza di constatare le meraviglie che si parano loro davanti; di stupirsi, appunto, per la spettacolarità in cui si è immersi e di cui si è parte. La mente esoterica penetra l’Amore e la Bellezza artefici dell’apparizione nel visibile.
            Qui si incontra il tema degli “oggetti esoterici”, degli elementi occulti che costituiscono la trama della realtà sensibile; ci si chiede quale sia la rappresentazione mentale dei conseguimenti esoterici. Tema antico; in particolare, teorizzato durante il Rinascimento italiano: Marsilio Ficino studiava gli oggetti esterni e quelli interiori, attribuendo a questi ultimi lo stesso grado di realtà dei primi (P.O. Kristeller, “Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino”, ed. Le lettere, 2005). Ma il punto focale consiste nella apparenza degli “oggetti interni”, come si presentano agli occhi della mente. La nostra mente elabora concetti fondati sulla logica razionale e li esprime in formule linguistiche o matematiche, o scientifiche in genere; ma come esprimerà i concetti esoterici, ontologicamente esoterici? Con Simboli. Certo, non stiamo parlando di quelli che regolano la nostra vita mondana –cartelli stradali, indicazioni di prodotti e qualità, ecc.-; bensì dei simboli che sgorgano dal profondo, trasmettendo intuizioni inesprimibili con parole. L’antichissima croce, la ruota, la Tau, il caduceo, la rugiada (Bibbia, salmo 133), fino all’alchemico Rebis e all’angioletto con squadra e compasso della basilica leccese di “Santa Croce”. Nella modernità la psicoanalisi ha trattato gli archetipi e non a caso i loro teorizzatori li hanno accostati agli studi esoterici (C.G. Jung, “Psicologia e alchimia”, Bollati Boringhieri, 1981; A. Vitale, “Solve et coagula”, Moretti e Vitali, 2001). In definitiva, la mente esoterica rivela la propria facoltà immaginativa; incapace di esprimere in termini alfanumerici i concetti esoterici, ne forma immagini rievocative. Nell’antichità, questo lavorio era più importante, se non preponderante: ne sono esempi i geroglifici egizi, ma anche gli ideogrammi cinesi e l’alfabeto ebraico. In seguito, dopo la transizione del greco antico, si passò a precisi significati fonetici legati ad una mente sempre più esteriorizzata –il latino-, e ormai privi di sensi intimi. D’altra parte, abbiamo esempi costanti del potere immaginativo della mente: nei sogni  immaginiamo, vediamo per immagini sentimenti che non hanno nome; o proviamo in modo del tutto diverso, o più forte sentimenti che conosciamo, quali amore, nostalgia, terrore, formando immagini e, in esse, anche situazioni e azioni che li suscitano e li rappresentano, nostri archetipi di essi. Il raffronto tra il sentimento sognato e quello che si prova nel sensibile, da conto dell’immiserimento del precipitato mondano rispetto al principio occulto.     
            L’immaginazione non va confusa con la fantasia; questa, essendo mero gioco mentale, bizzarria di cose irreali. Come detto, è il sogno, invece, esempio d’immaginazione; immagini che si formano nella mente allorquando la mente stessa si posa sulla propria zona più intima; nell’ambiente dell’a-strale, del visibile senza luce sensibile. Al sogno diverse e lontane tradizioni attribuiscono importanza: anticamente offriva indicazioni terapeutiche e costituiva terapia; il cristianesimo dei primi secoli, prima che Agostino e Isidoro di Siviglia –“De Tentamentis Somniorum” del VII sec.- lo affermassero diabolico (S. Delacroix, “Athanor- La scienza segreta del cuore”, iQdB ed., 2019); lo sciismo musulmano  (H. Corbin, “L’immaginazione creatrice”, Ed. Laterza, 2005). Anzi, può anche essere vero il contrario: l’immaginazione è sogno, anche ad occhi aperti; ma sogno come espressione di oggetti e fatti della Realtà occulta quanto vera.
            Certo, anche l’immaginazione esoterica costituisce la modalità della mente umana di rappresentare a se stessa Pensieri –chiamiamoli così- che di per sé non hanno forma. E se, infine, non si avesse necessità d’immagini? se si giungesse alla percezione dei Principi in sé? Salto ardito, perché oltre le capacità della mente umana. Si è nella dimensione dell’intellezione pura; prima ancora del Logos che parla, il Nous, il pensiero di pensiero, l’”in Sé” (C.H., cit., “Trattato XII – L’ogdoade e l’Enneade”, a cura di I. Ramelli, Bompiani, 2005). Descrizioni non ne esistono; tentativi sarebbero blasfemie: nemmeno sacrilegi, poiché quel Sacro è intangibile e inattingibile. L’ermetismo dei primi sec. d.C. afferma che nell’Intelletto, nel Nous, può solo “sprofondarsi” (C.H., cit.).
            Qui ci si ferma, dunque. Ma c’è ancora un ultimo viaggio da compiere, quello di ritorno; proprio perché la purificazione, condizione delle acquisizioni esoteriche, avendo come corollario il fondamento dell’etica nel mondo, non consente fughe e abbandoni: abbraccia occulto e visibile. Cioè, siamo nella tradizione occidentale.            
                      Italo Zanchi

venerdì 29 novembre 2019

Stile e Buongusto (parte sesta): Cosa si nasconde dietro un regalo? – di Mauro Ragosta

      Trafitto e disarmato dalla malìa delle parole di una giovane professoressa di Neviano (LE), che, tempo fa, desiderava sapere da me cosa pensassi circa l’arte del regalo, o del dono, ecco qui un succinto resoconto, che offro anche agli affezionati lettori di Maison Ragosta, magari per sollecitare un certo tipo di riflessione.
         Al riguardo, va subito puntualizzato che, nella nostra società, dove anche gli aspetti più sacri del vivere sono stati trasformati in eventi mondano-consumistici, il regalo non solo ha perso il suo senso più profondo, ma si ritrova come oggetto di un gesto privo di un vero significato, automatico e incosciente, se non proprio imposto come dovere sociale categorico ed incontrovertibile. Una società alla quale pare, infatti, che non importi il dare un senso alle cose, ma che consumi cose………Una vita, quella Occidentale, “appesa” al consumo, che dunque si pone come dovere primo ed imprescindibile del cittadino.
         Spingendo oltre, anche il lusso è diventato, come conseguenza ovvia del fare consumistico, questione eminentemente popolare e di massa, se non proprio espressione di una volgarità “intelligente”. Il lusso, infatti, che dovrebbe essere qualcosa di esclusivo, non ordinario, è diventato questione drammaticamente quotidiana e, a ben rifletterci, degli status symbol ad esso connessi, non è rimasto che il “brand” che ne è il feticcio. Il lusso è, dunque, nell’accezione consumistica questione tipicamente popolare. Tant’è che il mercato da questo definito, in Italia, come nel resto del Mondo Occidentale, negli ultimi quindici anni, ha registrato ritmi di espansione se non impressionanti, quasi, con tassi di crescita, infatti, sempre a due cifre. Un lusso, che s’è trasformato in attorialità evocativa, sulla scia della migliore tradizione contadina, in tal senso rivisitata, corretta e attualizzata. In altre parole, del lusso ne è rimasta solo la rappresentazione e quando è tale e reale ai più è sconosciuto, meticolosamente occultato....
         In tale cornice può inquadrarsi, in un perimetro di significati dunque, l’arte del regalo. Ed ecco che, il regalo presenta due prospettive diverse. La prima è utilitaristica, la seconda di donazione di se stessi, spesso in una prospettiva dialogica. Più nello specifico e per meglio chiarire, il regalo, nella prima accezione, è qualcosa che fa piacere ed è utile a chi il regalo lo riceve. In linea esasperata, vale l’esempio degli eventi matrimoniali in cui, di solito si fa il calcolo o il bilancio di quanto si spende per la complessiva cerimonia e l’ammontare economico e l’utilità dei regali che si ricevono in cambio. Di solito è un po’ come pagare la pizza alla “romana……..” Sotto altra angolazione, il regalo, nella prospettiva utilitaristica si avvicina, e di molto pure, alla pura e semplice beneficenza. E cioè si regala ciò di cui ha bisogno il soggetto da "onorare" col gesto liberale.
         Nella seconda accezione, invece, il regalo è mezzo e strumento di comunicazione simbolico-metaforica, sino a giungere alla forma più alta del regalo stesso, che è portatore di parte del proprio mondo e del proprio essere più profondo. Ed esempio, in tale prospettiva, si può regalare un libro, che se intonso, vale quasi sempre come stimolo a riflettere su certe argomentazioni, che di solito sono legate alla relazione tra donatore e soggetto ricevente. Tale gesto diventa “importante” quando il libro regalato fa parte della propria libreria e ha per il soggetto che lo dona un valore speciale per la sua vita. Egli dona, in definitiva, qualcosa di prezioso per la sua vita e dall’altra, cede una parte importante della sua vita stessa. Ed ancora, altro esempio può essere per un uomo quello del regalare alla compagna della sua vita un portafogli da uomo, se non proprio il proprio. E’ superfluo marcare che, anche in questo caso, la carica simbolica è chiara, divenendo “potente”, quando lui regala a lei l’oggetto specifico e personale, che sintetizza il suo potere. D’altro canto, una donna che si presenta al banco di un negozio o di un bar per pagare il conto ed estrae dalla borsa un portafogli da uomo, evidenzia un certo tipo di ruolo sociale e la questione, peraltro, diventa “altamente” chic.  
Qui, dunque, esclusa appare ogni utilità materiale ed intrinseca del regalo. O sotto altra prospettiva il valore del regalo non è quantificabile in termini monetari e secondo le leggi dello scambio. Esso, infatti è destinato ad assumere significati altri, di cui l’oggetto ha un valore meramente simbolico, rimandando, infatti, in dimensioni altre e speciali della relazione e dell’esistenza.
         Va da sé che, tra le due prospettive tracciate, esistono un’infinità di soluzioni intermedie, dove l’effettiva differenza sta nello spessore e nella profondità del significato che porta con sé il regalo, il quale, è bene ricordarlo, va accompagnato sempre da un biglietto nel quale sono esplicitate indicazioni ed indizi circa la sua funzione e le intenzioni di chi lo fa. Per i più raffinati, a ciò si aggiunge una breve presentazione verbale, che sappia rafforzare curiosità e i sensi del gesto.

Mauro Ragosta

martedì 26 novembre 2019

Archivio Ragosta: Le silenziose guerre di danaro in Italia

         Siamo abituati a sentir parlare di guerra come atto politico, come atto egemonico, ma non come scelta sociale. Di ciò gli studiosi hanno omesso tutte le ricerche, nessuno parla di guerra sociale. L’unico che ha accennato a simile pratica è stato Lenin nei primi anni del Novecento a proposito della Prima Guerra Mondiale. Lui auspicava che invece di una guerra tra nazioni, ci dovesse essere una guerra sociale globale, tra classi. Poi nulla. Eppure, oggi, le guerre sono lì, in atto, dove una pacificazione sociale appare solo in una prospettiva escatologica, come epilogo di un lungo travaglio sanguinoso. E pochi sono quelli che accennano agli attuali confronti sociali, alle guerre sociali, che travagliano l’Italia. E pare che i conflitti siano per giunta in aumento, senza che nessuno se ne accorga, mentre altri non ne fanno parola.       
         Primo fra tutti i conflitti è la guerra tra ricchi e poveri. Qui, pare, che oggi i ricchi stiano avendo la meglio, dopo settanta anni di sostanziale equilibrio. E’ sotto gli occhi di tutti il veloce processo di accumulazione delle risorse finanziarie e materiali verso una ristretta oligarchia, che si avvale dello Stato Italiano come macchina amministrativa per sottrarre risorse alla base e distribuirle verso le classi più agiate. Al proposito bastano pochi accenni: le super pensioni, le super retribuzioni dei manager pubblici, le super consulenze, i grandi contributi alle banche che agiscono con un po’ di distrazione, le grandi operazioni di salvataggio di grandi imprese gestite un po’ così, da un lato, e dall’altro, a partire dagli anni Novanta, la svendita dell’IRI, lo smantellamento del welfare e dello statuto dei lavoratori, dell’aumento delle tasse regressive, che colpiscono i poveri ed esentano i ricchi, come l’IVA e le accise. Non è un caso che il mercato del Lusso viaggi ad incrementi annui di circa il 20%. Ma non solo. Stiamo assistendo, a partire dal 2008, con la crisi ad una focalizzazione del potere. E pare che questo processo sia irreversibile. D’altro canto tutte le dittature del Novecento sono passate dalla Sinistra: Mussolini era un socialista!!!! E noi, oggi, siamo ostaggi della sinistra, saldamente al potere oramai da più di dieci anni, nonostante i risultati elettorali……..
         L’altra guerra, in cui sempre lo Stato fa da mediatore per niente imparziale, è quella tra Nord e Sud. Una guerra che ha assunto caratteri acuti sempre dopo il 2008, con la Sinistra al potere. Le statistiche parlano chiaro: la forbice del Pil tra Nord e Sud è peggiorata da quando al governo si è avvicendato Monti. Da allora il sistema fiscale è stato costruito per favorire le regioni settentrionali e sfavorire le regioni meridionali. Ma la guerra a livello istituzionale si scioglie anche a livello popolare. Notoria è la considerazione negativa che hanno buona parte dei settentrionali nei confronti dei meridionali. Una guerra che entra anche nelle famiglie più semplici. D’altro canto, pare che un moto contrario di riscatto stia sorgendo spontaneo, di cui Pino Aprile pare essere la punta dell’icebreg. Una guerra questa ammortizzata molto dallo sviluppo del turismo meridionale, che impedisce una reale rivalsa (o rivoluzione?) per il ricatto dal vacanziero settentrionale che pratica lidi e monumenti del bel Sud, peraltro a basso costo.
         Di non minore rilevanza è anche la guerra tra maschi e femmine. Sono due secoli oramai di guerra aperta, senza tuttavia esiti significativi: libertà e uguaglianza hanno infarcito tutti i motivi del riscatto femminile e hanno dato manforte alla replica maschile. E’ vero, tantissime sono state le conquiste delle donne, non foss’altro che oramai nella peggiore delle ipotesi vengono reputate diverse, per competenze e caratteristiche, dall’uomo, e non invece, come un tempo, inferiori. Ma i dati parlano chiaro: nei processi economici e finanziari le donne vengono marginalizzate ed hanno una consistenza numerica di gran lunga inferiore rispetto agli uomini, che mantengono saldo il loro potere-ruolo.
         Infine, una tipica e recente guerra italiana è, poi, quella tra giovani e vecchi. Sempre dal 2008 tutte le statistiche mostrano che il patrimonio finanziario e immobiliare dei giovani è in netta diminutio, mentre quello dei vecchi è in forte aumento. Anche nei ruoli istituzionali e di potere sostanziale, i vecchi la fanno da padroni. In tale direzione, docet l’episodio Napolitano, che è solo un esempio che sintetizza una situazione molto diffusa. Vero è che i processi di integrazione sociale ed economica sono divenuti molto più complessi, a seguito di una società molto evoluta, che impedisce ai giovani di compiere percorsi di realizzazione in tempi brevi. In ogni caso, la ricchezza nell’ultimo decennio si è focalizzata presso le persone che hanno più di 65 anni, le quali, di fatto, decidono per tutti.
         Queste le principali guerre, rispetto alle quali ci si chiede se siano inevitabili o strutturali di una società, o addirittura necessarie. In altre parole, guerreggiare è un modo d’essere del popolo, della società nel suo complesso?
        
Mauro Ragosta
Articolo apparso su Paisemiu.com nel luglio del 2016