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martedì 20 ottobre 2020

Riflessioni sparse sulla filosofia e sulla prassi del consumo – di Mauro Ragosta

 

          Non è improbabile che oggi sia superfluo riflettere e discutere sul consumo, con riferimento alla filosofia e alla prassi corrente, dal momento che molti sono gli indizi che lasciano intravedere che la cosiddetta Civiltà dei Consumi, avviatasi col fordismo agli inizi del Novecento, sia giunta a pieno compimento e dunque a conclusione. Da una parte il progressivo affermarsi della robotica, dell’intelligenza artificiale, delle immense possibilità della genetica e dall’altro la fortissima concentrazione delle leve del controllo sociale, ma anche, e non è fuorviante, le dimissioni di Ratzinger, lasciano intravedere che il consumismo come sistema di gestione della società sia al capolinea. Pur tuttavia riflettere su questo Mondo aiuta a comprendere quali possano essere gli sviluppi futuri della nostra società.

            Ora, lasciando da parte i consumi strettamente necessari ad una dignitosa esistenza, il consumo di beni, ma anche di servizi, presenta diverse valenze, come diversi sono i motivi per cui si effettuano gli acquisti, quelli che ovviamente vanno al di là dello stretto indispensabile. Da tali motivi vanno esclusi quelli commerciali o che travestono quelli reali. Ad esempio, è oramai un classico che un soggetto acquisti una automotrice tedesca di taglio alto, perché è più sicura, confortevole e affidabile, mentre i motivi sottostanti sono legati a questioni e logiche eminentemente di status, identità, propaganda e spesso di “scena”.

            Ed in effetti, diffuso si presenta il consumo nella prospettiva identitaria, dove il bene ha una natura di feticcio. Il soggetto in tale prospettiva si identifica col bene acquistato, crede di avere la stessa valenza che gli esperti di marketing e i veditori hanno attribuito al bene ceduto. Tipico è il consumo di super car da parte di soggetti che a malapena sanno guidare, i quali credono che possedere il bolide equivalga ad essere esperti piloti, di grande potenza espressiva nella guida. Sulla stessa lunghezza d’onda sta il consumo dei profumi, che si modulano sui significati attribuiti dai produttori. Molte sono le donne che si sentono un po’ parigine, acquistando i rinomati profumi francesi. Anche sul piano musicale, spesso i brani vengono ascoltati in maniera tale che il soggetto si immedesimi nel brano, sia l’elemento vivente del brano, insomma.

            Sotto altro aspetto il consumo di beni materiali serve solo a segnare la propria superiorità. Di fatto certi acquisti sono del tutto inutili, servendo solo a porre e marcare le distanze sociali. È il caso dell’alta moda, che viene seguita in maniera assidua e con forte puntualità da certi soggetti. Non poche sono le donne che non indossano mai lo stesso abito e quello che indossano è all’ultima moda, o come si sul dire, à la page. Prassi questa inaccessibile ed impraticabile per un cittadino medio, anche di buon livello, ma posta in essere da certe persone solo per segnale le distanze a volta sociali, a volta di potenza economica, a volte tutte e due assieme.

            Ma non finisce qui. L’acquisto di beni spesso è legato prevalentemente ad esigenze comunicative, le quali possono muovere in varie direzioni. Sovente si creano dei veri e propri set cinematografici o scenografie di vario tipo per comunicare proprie richieste o offerte, ma anche per creare dei veri e propri bluff. Tipico è il caso delle diverse fattispecie di prostitute e trans, che usano abbigliarsi a seconda del tipo d’offerta o di richiesta effettuata dagli “avventori”. In linea a ciò è l’arredamento della propria casa, che esprime, in molti casi, il taglio delle relazioni che ama avere chi la abita. Attenzione, però, non v’è da trascurare il caso in cui il soggetto sottodimensiona il proprio status sociale o intellettuale, facendo apparire tramite i suoi beni e relativi accessori quello che non è.

            Tralasciando l’uso prettamente simbolico-esoterico dei beni materiali, che verrà trattato eventualmente in altra sede, la carrellata può concludersi con l’uso del consumo a fini propagandistici. Un tempo i regnanti costruivano le regge per motivi legati alla gestione del popolo, che in queste vedeva la potenza del regnante e di riflesso la propria “piccolezza” e da qui ancora la necessità di affidarsi al suo volere e dissipare ogni intento di ribellione. In tale direzione, vanno collocati anche i Testimonial, i quali hanno la funzione di inoculare nelle masse certi costumi mentali e di consumo.

            Si comprenderà facilmente che il consumismo si sostanzia in un complesso sistema di dialogo sociale e relazionale, che tuttavia pare non abbia più quelle qualità per supportare un ulteriore sviluppo dell’umanità, quantomeno nella parte più evoluta. In tale direzione, lo sviluppo dell’informatica rimodulerà il sistema delle relazioni sociali ed individuali, nel cui quadro è grandemente probabile che il consumo di beni e servizi giocherà un ruolo, se non a margine, sicuramente di minor rilievo. Nel breve volgere di qualche lustro cambieranno, infatti, il valore ed il significato del lavoro e da qui tutte le strutture ad esso connesse, ovvero l’intera società, nei suoi aspetti economici, politici, culturali, religiosi…..antropologici.

 

Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla mia produzione di saggi può cliccare qui:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 

 


sabato 17 ottobre 2020

Saper comunicare (parte ottava): la pausa e…il silenzio – di Mauro Ragosta

 

            Si sa, la comunicazione è cosa alquanto complessa e capace, se utilizzata con professionalità ed esperienza, di gestire con destrezza il dialogo, e non solo. Qui tratteremo, si pur in maniera succinta, sinottica, quali sono le portanze della pausa all’interno di un dialogo, ma anche nella lettura di brani e poesie, fino a giungere al silenzio, che non verrà ovviamente trattato quale ultimo stadio della Ragione né come momento d’attesa dell’intuizione, e cioè come ultima fase nei processi di crescita personale, rientrando ciò in pratiche e ménage esoterici. Accenneremo, invece, al silenzio solo come strumento comportamentale.

            Ad ogni buon conto, va subito sottolineato che chi non usa le pause in una relazione verbale ha in genere una visione indifferenziata della Realtà e processi cognitivi alquanto alterati e, proprio per questo, occorre interfacciarsi più che con strumenti verbali, con strumenti emozionali. Ci si è in presenza di un soggetto, infatti, che non ascolta o ha reazioni spropositate rispetto a quanto gli viene comunicato. Inoltre, per lo più va per luoghi comuni, emozionali, che si distribuiscono in un chiaro scuro tra il tragico e l’esaltante.

            Ed ecco che, escluso il caso del logorroico, ma anche di chi è affetto da alti gradi di autismo, la pausa è uno strumento che produce una serie di effetti sull’interlocutore, di cui qui tratteremo solo i principali. In ogni caso, un dialogo o una conversazione nella quale non si fa uso delle pause, diventano un “botta e risposta”, che attiene più al confronto, al muro contro muro, anziché ad una meravigliosa disputa a punta di fioretto.

            All’interno di questo quadro, il primo effetto che produce una pausa è quello di sottolineare con forza quanto si è detto ed offrire all’interlocutore la possibilità di ben riflettere e meditare un’eventuale risposta. La durata della pausa, in questo caso, varia sulla base delle peculiarità di chi conversa o discute. Se questi molto forti emotivamente ed intellettualmente, solitamente si concedono momenti moto lunghi di silenzio, spesso rassomigliando a degli scacchisti. Un’asserzione, infatti, presenta, sovente, più risposte e più possibilità di orientamento del dialogo e pertanto richiede una riflessione sia nel momento affermativo, sia nel momento della risposta. Emotività salda e buona cultura consentono all’interlocutore un utilizzo frequente di pause, soprattutto nei momenti topici del dire e da qui una relazione verbale chiara e allo stesso tempo complessa ed articolata.

            La pausa, tuttavia, molte volte viene utilizzata come mezzo di compressione emotiva da parte dell’interlocutore; una compressione tale da indurlo ad una reazione, che spesso si presenta spiazzante per chi cede alla pressione. Il silenzio, il più delle volte “pesa” come un macigno e non sono molti quelli che riescono a reggerlo a lungo. La pausa ed il silenzio in questi casi sono “armi” aggressive, che tendono a far aprire tutte le difese di chi ci è di fronte.

            Da possibilità di ascolto e riflessione a momento aggressivo, nella lettura ad alta voce di un brano o di una poesia, come in un discorso, la pausa si trasforma, invece, in tecnica che tende a sottolineare quanto si dice, a far imprimere con forza il proprio dire nell’ascoltatore. In altre circostanze è strumento che crea suspense, mentre all’inizio di un discorso una pausa più o meno lunga serve ad attirare l’attenzione su di sé e a far predisporre il pubblico all’ascolto.

            Cambiando prospettiva, invece, la pausa e il silenzio all’interno di una relazione, che possono avere durata variabile, ma sempre significativa, assurgono a strumenti che se da un lato sono utilizzati sempre per comprimere l’interlocutore, mettendo in risalto la propria assenza, dall’altro equivalgono ad attrezzature comportamentali volte a prendere “le distanze” dalla relazione stessa ed avere di questa una visione più lucida, e da qui la possibilità di intercettare un’azione più efficace.

            E per concludere, pause e silenzi ripetuti e sempre più lunghi nella durata rappresentano una tecnica per abbandonare una relazione senza creare tensioni rilevanti, abituando l’interlocutore, infatti, alla propria assenza in maniera progressiva e che alla fine diventa definitiva.

            Va da sé che, l’argomento qui trattato è estremamente vasto, ma l’intenzione alla base di quanto si è messo in luce è solo quella di stimolare una riflessione e magari un approfondimento attraverso la consultazione di specifici testi a ciò dedicati.

 

Mauro Ragosta

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martedì 13 ottobre 2020

Cultura e mondanità nel leccese: dallo sviluppo naturale allo star sistem, dall’improvvisazione al caporalato culturale - di Mauro Ragosta

 

         Quasi nessuno ha coscienza che, durante gli ultimi lustri, il comparto dell’arte, dello spettacolo e della cultura (ASC) nel leccese ha assunto proporzioni di tutto rilievo nello scenario economico, diventandone uno dei pilastri fondamentali, paragonabile peraltro, a quelli dell’industria e delle costruzioni. Sebbene sottostimato, il PIL attribuibile all’ASC è, infatti, di poco inferiore al 7% di quello complessivo della provincia. Ma c’è di più. Il settore ha assunto tutti i caratteri del distretto. E non come quello barese, creato dallo Stato, ma spontaneo. A Lecce ed in provincia, parafrasando Marshall e Becattini, si respira la tensione culturale, si percepiscono nettamente le atmosfere artistiche, vivacissime sono le interrelazioni tra gli addetti ai lavori. Da qui è facile intuire che il settore sta diventando sempre più momento attrattivo per investitori e politici, per uomini d’affari e avventurieri.

         Particolarmente interessanti si presentano le recenti evoluzioni del mondo della cultura leccese nelle sue componenti della poesia e della narrativa, con le sue specializzazioni della giallistica, del romanzo storico, nonché delle propaggini della filosofia non accademica. Un mondo, che sviluppatosi, in virtù del contributo soprattutto di uomini di sinistra non accademici, nella metà degli anni ’90, dopo il 2010 ha registrato una forte accelerazione grazie all’entrata in campo della destra, che ha condotto ad una vera e propria “industrializzazione” del momento letterario. Non è azzardato, infatti, parlare di fordismo intellettuale e massificazione della produzione e del consumo di libri e annessi eventi legati al momento commerciale. Le recenti tendenze di questo mondo si materializzano nella serialità e nella spettacolarizzazione, con una certa propensione all’export culturale. Va da sé che nell’ultimo anno tali dinamiche sono state smorzate dalla questione legata al covid, ma a giudicare dalle ultime attività culturali, questo non impedirà il suo naturale corso al settore, una volta esauritasi l’emergenza.

         I protagonisti in tutto questo sono gli scrittori, il cui ruolo oggi si presenta fortemente indifferenziato: scrivono, presentano, moderano, creano e conducono eventi ed associazioni. Il loro fermento, quasi esclusivamente dettato da motivazioni legate al prestigio e alla vita sociale, è stato assecondato dalle amministrazioni comunali, che hanno colto le dinamiche del fenomeno e si sono affiancate predisponendo spazi per lo sviluppo dell’azione culturale di tali soggetti.

         Nel complesso, pare che si stia venendo a creare una vera e per propria organizzazione sistemica. Non a caso cominciano ad emergere episodi di star sistem, possibili solo dove si può organizzare una carriera. Qui, soggetti con forte potere relazionale, a livello istituzionale sia privato sia pubblico e dotati anche di un certo potere economico, cominciano a programmare il lancio di alcuni degli operatori di base del settore, quali gli scrittori e i poeti appunto. Ma la novità dove sta? Mentre infatti solitamente lo scrittore leccese si autoproponeva, oggi, comincia ad essere proposto e quasi imposto, dove soggetti terzi programmano per lui una serie di eventi e supportandolo nelle pubblicazioni, ma anche nelle pubbliche relazioni.

         La conseguenza di tutto ciò è che si sta passando da un incedere individualistico e spontaneo, disordinato, ad uno organizzato, meno caotico. Pare però che l’incipiente star sistem leccese, che ne è il risvolto principale, non sia pilotato dagli scrittori, ma da agenzie estranee, che si pongono come veri e propri caporalati, approfittando dell’abbondanza di offerta, quasi senza costi. Eh sì, perché il costo di uno scrittore leccese è vicino allo zero. Non si registrano al momento casi di scrittori –tranne qualche millantatore- che dalla produzione traggano un sostentamento economico significativo.

         Ma il sollievo economico per uno scrittore leccese è irrilevante! Egli vive, infatti, in una società opulenta, che non manca del necessario per la sussistenza. E da qui, il prestigio, il successo, l’essere rinomati hanno una valenza superiore a quella economica. In tale direzione, molti acquisiscono anche dottorati di ricerca presso l’Università, dando più slancio, così, al proprio prestigio, obiettivo ultimo ed esclusivo. E stranamente tali ambizioni, muovono uno fra i settori economici emergenti e più di spicco del panorama leccese. Sull’ambizione, dunque, è imperniato un sistema di produzione complesso e articolato, di cui il caso leccese forse costituisce un esempio raro. Se infatti lo scrittore base leccese si ciba di gloria, questo suo incedere muove tuttavia un complesso di attività che generano ricchezza.

E così, se a livello nazionale si privilegia lo stesso sistema, ma con funzioni pedagogiche e soprattutto politiche, di orientamento del popolo e della coscienza popolare, nel leccese la questione attiene solo a logiche di prestigio, sebbene sul piano sociale abbia un rilievo di non poco conto, in termini di confronto e supremazia individuale e di gruppo e solo di rimando si traduce in ricchezza economica, ma mai per gli operatori di base, sostanziansodi il tutto e in definitva in una sorta di "Barocco Culturale".

 

Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla mia produzione di saggi, può cliccare qui:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q
 
Chi fosse interessato, invece, alla mia produzione di letteratura economica può cliccare sul seguente link:
https://youtu.be/t1mKnYGyVC8 
 

 


venerdì 9 ottobre 2020

Recensione n°14: piccolo e prezioso il primo lavoro di Roberto Lupo – di Mauro Ragosta

 

            Poche settimane fa, sulla piazza culturale leccese, si è palesato il primo lavoro di Roberto Lupo, medico, a volte anche di prima linea, originario di Salve. Si tratta di un saggio tanto breve quanto prezioso, per noi Meridionali e salentini soprattutto, perché centrato sul fenomeno del tarantismo, che costituisce nelle sue forme originarie una questione passata, anche se, forse, non è da escludersi che ancora oggi sopravviva con vesti culturali e rituali diversi, attuali, che nascondono l’arcaicità di alcuni comportamenti, sulla cui natura con difficolta si riesce ad intravederne le funzioni.

            Al di là di ciò, il nostro Roberto non è un neofita nella produzione letteraria, questa volta, però, il suo sforzo s’è perfezionato e compiuto in una bella pubblicazione targata Museo Pietro Cavoti – Galatina, il cui titolo presenta una rara limpidezza: Tarantolismo, complicanze ed esiti. È un volume che fa parte di una collana, promossa proprio dal Museo Pietro Cavoti di Galatina e diretta dal professor Salvatore Luperto, che, designata con l’affascinante parola francese Chaier, si sostanzia in strumento di crescita e dibattitto, partendo dalle ampie attività e dalle non poche ramificazioni museali e non solo, del Cavoti, appunto, di Galatina.

 


            Come s’è marcato nell’incipit di questa recensione, il saggio del dottor Lupo, dunque, è breve, non andando oltre le trenta pagine. Tuttavia, non è azzardato affermare che in esso vengono toccati quasi tutti i punti nodali del fenomeno, o forse sarebbe meglio dire, della questione, legata al tarantismo o al tarantulismo. E ciò, non solo sotto il profilo disciplinare, ma anche nella proiezione spazio-temporale. E così, attraverso una prospettiva storica, giungendo sino ai mostri giorni, il nostro Lupo sintetizza, sovente con specifiche osservazioni personali, i cardini del fenomeno inquadrati dalle diverse discipline e dai più noti studiosi che si sono occupati del tarantismo.

            Si tratta di un’esaustiva ed entusiasmante carrellata di quasi tutte le ipotesi con le quali i diversi uomini di scienza e di cultura in qualche modo hanno cercato di spiegare le origini e, quando necessario, le funzioni del tarantismo. Tra queste non poche presentano tratti suggestivi ed intriganti, altre un po’ meno, perché troppo tecniche e palesemente incapaci di com-prendere un fenomeno complesso come quello che fino a qualche decennio addietro, nelle piazze salentine, muoveva ed agitava freneticamente le donne “morse” dal famosissimo ragno.

            E così tracciando le diverse prospettive d’analisi, Roberto Lupo illustra le determinazioni che nel tempo si sono formulate in campo medico, psichiatrico, psicologico, biologico, psicosociologico, antropologico e sociologico. Se ne illustrano i vari aspetti, dove tuttavia Lupo sembra sottolineare che si tratti di un fenomeno che ha radici, origini e dinamiche composite, e nel quale non pochi elementi di carattere rituale e simbolico, forse anche esoterico, si producono in qualcosa la cui valenza sembra duplice, ovvero bivalente, producendosi e proiettandosi, infatti, nella prospettiva individuale, da una parte, e nella prospettiva collettiva, dall’altra. In definitiva, si spinge a guardare al di là della tarantata in sé, quasi a voler suggerire una prospettiva in qualche modo collettiva, fino ad una dimensione “olistica”.

            Roberto Lupo, peraltro, fa capire che forse il tarantolismo non è mai scomparso e che trova una chiave moderna di espressione, in noti fenomeni di massa, che solo apparentemente si presentano scollegati rispetto a pratiche e prassi antiche, originarie…senza tempo.

            A corredo della sezione letteraria del bel volume di Lupo, quale appunto Tarantolismo, complicanze ed esiti, presentato già varie volte in provincia di Lecce, a partire dallo scorso agosto, numerose sono le fotografie d’epoca di Giovanni Valentini, che illustrano le ultime realtà pubbliche legate al tarantismo nel centro galatinese, in una prospettiva storica, in quella che, in definitiva, conosciamo, in una consapevolezza, insomma, ordinaria, che apparentemente manca di molti elementi di non poco rilievo.

 

Mauro Ragosta