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lunedì 29 aprile 2019

Avvio all'esoterismo (parte quinta): il simbolo del triangolo - di Andrea Antonello Nacci




    Uno dei simboli in assoluto più utilizzato, da solo oppure in composizioni che dalla sua forma traggono l’elemento chiave per la loro interpretazione è quello del Triangolo. E noi, giunti al termine di questa trilogia sui simboli più conosciuti, lo abbiamo scelto, proprio in ragione della sua importanza, come tappa finale di questo tratto del nostro viaggio non troppo immaginario nel mondo dell’Esoterismo, che proseguirà nei prossimi appuntamenti con la trattazione delle principali scuole iniziatiche.
    Sin dalla notte dei tempi, il Triangolo ha rappresentato la perfezione legata al numero tre ed al concetto di Triade. Esso è forse il poligono più osservato e studiato dai grandi filosofi del passato, Pitagora e Talete in testa che, non a caso essendo anche grandi matematici, oltre a scoprirne le relazioni più immanenti dimostrando i numerosi teoremi che tutti abbiamo studiato a scuola almeno nella forma più elementare, ne indagarono a fondo la più intima natura.
    La sua caratteristica di tendere verso l’Alto, puntando ad un mondo Superiore e Spirituale, dimora di quel Dio Inconoscibile e tuttavia presente in ogni cosa, immaginata nel firmamento oppure addirittura oltre il firmamento stesso, la possiamo ritrovare in modo chiarissimo nelle maggiori costruzioni che nei secoli si sono preservate affinchè potessero rendere la loro testimonianza fino a noi, oggi. Dall’Egitto al continente centro e sud Americano, piramidi ed obelischi hanno sempre avuto quella caratteristica forma triangolare, sebbene più o meno ampia alla base a seconda della costruzione, così come triangolari sono tutte le cattedrali gotiche.
   Simbolo Divino, quindi. Ognuna delle antiche Religioni in qualche modo ha presentato, sebbene con caratteristiche via via differenti e dandone interpretazioni proprie, il concetto di Trinità legato all’indissolubile rapporto tra il Dio Padre, generalmente identificato con il Cielo, la Dea Madre, riconosciuta nella Terra ed il Generato dal loro rapporto. Nei primi secoli dopo Cristo, il Cristianesimo ne ha adottato l’idea, rappresentandola nella Santissima Trinità svelata dai Vangeli e consacrata per sempre come l’Idea di Dio per eccellenza.
     Sotto l’aspetto Esoterico ed Alchemico, il Triangolo ha rappresentato il simbolo del Fuoco se con il vertice in alto, dell'acqua se con il vertice in basso mentre il simbolo dell'aria risultava dall'unione del triangolo del fuoco con la base del triangolo dell'acqua e quello dell'elemento terra dall'unione del triangolo dell'acqua con la base del triangolo del fuoco.
    In Massoneria non c'è inoltre alcun simbolo più importante e diffuso del Triangolo. Esso rappresenta la Prima Causa, il Creatore di tutte le cose, l’Uuno ed Indivisibile, che si manifesta in un'infinità di forme ed attributi in questo Universo. Secondo la tradizione Egizia, l'oscurità attraverso cui il candidato all'iniziazione era fatto passare era simbolizzata dalla cazzuola, che è un altro importante simbolo Massonico, rappresentata nel sistema geroglifico, da un triangolo. Il Triangolo Equilatero era considerato la più perfetta delle figure e ciascuno dei suoi lati si riferiva a ciascuno dei tre Regni della Creazione: Animale, Vegetale e Minerale.
     Oggi troviamo il triangolo equilatero nell'Arco Reale, la figura in cui sono sospesi i distintivi degli Ufficiali. Esso rappresnta inoltre, nei gradi Ineffabili, il Sacro Delta, ed ovunque simboleggia il Grande Architetto dell'Universo. Esso viene costantemente esibito come elemento fondamentale delle più importanti cerimonie; i sedili dei Maestri sono disposti in forma triangolare ed aggiungiamo che, quando un Iniziato viene portato per la prima volta nella Luce di una Loggia, la radianza proveniente dalle Luci Minori, disegna anch’essa un Triangolo attorno all'Altare. E come non ricordare infine infine la Squadra ed il Compasso, che formano, intrecciate sulla Luce Maggiore, due Triangoli capovolti e sovrapposti.
     Concludiamo osservando come, oltre quello equilatero, anche il Triangolo Rettangolo meriti attenzione. Tra gli Egizi esso era il simbolo della Natura Universale: la base rappresentava Osiride, Principio Maschile; il cateto perpendicolare, Iside, Principio Femminile, mentre l'ipotenusa rappresentava Horus, il loro Figlio, prodotto dell’unione di entrambi i principii Maschile e Femminile. Questo simbolo fu studiato da Pitagora durante il suo lungo soggiorno in Egitto, che si concretizzò con la scoperta del celebre teorema secondo cui la somma dei quadrati dei due cateti è uguale al quadrato dell’ipotenusa, evidente rappresentazione simbolica di come il prodotto della Sacra Unione tra Osiride ed Iside sia Horus. Ed anche qui ci troviamo davanti ad una figura che è stata poi adottata in Massoneria  per rappresentare il Terzo Grado e che è conosciuta come il Quarantasettesimo Problema di Euclide.

Andrea Antonello Nacci

venerdì 26 aprile 2019

Archivio Ragosta: L'opulenza e la crisi moderna


       E’ sotto gli occhi di tutti che la nostra società ha superato abbondantemente la soglia della sopravvivenza materiale. Certo, non mancano casi limite di indigenza, ma questi costituiscono un fenomeno molto modesto. D’altro canto, molti sono coloro che devono ‘stringere la cinghia’ a fine mese, ma le condizioni minime di esistenza sono prerogativa dei più. Sotto altro profilo, va considerato che abbiamo i redditi più alti del mondo ed un patrimonio familiare che ci consentirebbe di vivere più di dieci anni senza produrre alcunché. E la crisi attuale non ha scalfito se non in maniera blanda, il livello del nostro reddito e la nostra disposizione ai consumi. Certamente, la situazione è grave per chi postula un reddito sempre crescente. Voci oramai stridule di fronte al generale riconoscimento che come la vita umana anche quella economica ha un andamento sinusoidale, tra alti e bassi. La disoccupazione peraltro non è più un problema sostanziale per nessuno, se non solo sotto il profilo esistenziale e della propria realizzazione. I possessori di redditi sono perfettamente in grado di sostenere il difficile ingresso dei giovani nel mondo del lavoro ed affrontare le incombenze di chi deve, in età avanzata, riqualificarsi. E pare che il problema della disoccupazione verrà affrontato anziché creando più posti di lavoro, col reddito di cittadinanza.
            Insomma, siamo ricchi e possiamo permetterci anche di lavorare poco! Ed il vero problema risiede proprio in questo. Il senso dell’esistenza acquisisce un significato soprattutto quando occorre costruire, raggiungere un obiettivo, un traguardo, una meta. E la nostra società ha raggiunto i traguardi che si era prefissati in termini materiali nel ‘700: condizioni di vita accettabili per tutti. Ed ora? Quali saranno i nuovi traguardi per la nostra società? Ma poi, il benessere materiale ha un valore salvifico? Sicuramente no. Che fare dunque?
         In tale prospettiva, la politica oramai ha poco da dire. Nessuno dei partiti dell’arco costituzionale ha un progetto sociale, un orientamento se non dare più ricchezza ai ricchi ed efficientare la macchina dello Stato. Fino alla prima repubblica i politici proponevano schemi sociali diversi per il raggiungimento generalizzato del benessere materiale per la popolazione. Qui intellettuali e studiosi hanno avuto un ruolo determinante. Ma oggi? I politici che hanno da dirci? Che hanno da proporre? Nulla o poco più.
            E la Chiesa, anche la Chiesa ha perso il suo ruolo sociale sotto il profilo etico ed escatologico. Il pluralismo religioso e la secolarizzazione hanno messo in crisi ciò che prima costituiva un punto fermo per l’uomo comune, che oggi è immerso e sommerso da un relativismo becero e falso, col risultato di permanere in uno stato ancor più confusione e caos spirituale. Mancando il paradiso, ecco qui che la vita diventa fine a se stessa, senza conclusioni e mete. E persino la scienza fa fatica a dare certezze e orizzonti di un certo interesse. In tale prospettiva, anche i filosofi non trovano minimi comuni denominatori significativi.
            All’uomo, il nostro uomo moderno opulento e disorientato, in cerca della felicità e del benessere, non resta che il ‘collezionismo’,  piccolo o grande che sia, a seconda della disponibilità di ricchezza. Così troviamo lo shopping e il tecnologismo compulsivi, viaggi in abbondanza, senza il senso della misura, conquista di posizioni di potere, con titoli e patacche di vario genere, senza un perché e reali contenuti, sesso immotivato, presenzialismo esasperato, senza poi parlare degli alcolisti e dei drogati. In tutto questo l’arte e la letteratura, come anche la poesia, paiono essere le spiagge cui approdare per la salvezza. Ma anche queste sono state contaminate dall’arrivismo, dal presenzialismo e dal consumismo visivo, svuotandosi così di tutti i possibili contenuti, se non acquisendo solo una valenza terapeutica, per sopportare la vacuità di questa nostra esistenza.
            Che dire dunque? Forse, che una delle possibili soluzioni all’illusoria ricchezza, quale salvezza, sia di rintracciare un sano epicureismo, dove prevalgano il senso della misura e della ponderazione incrociate alla forma, spazio effettivo della civiltà?

Mauro Ragosta
 
 Articolo apparso su Paisemiu.com nel febbraio del 2016

martedì 23 aprile 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (parte quarta): .....ancora sul personalismo - di Massimiliano Lorenzo


    

     Dopo aver tracciato nella parte terza di questa rubrica uno dei casi più eclatanti di personalismo (berlusconismo) e la politica che ne è conseguita, qui ampliamo l’orizzonte e guardiamo questo aspetto della politica in maniera da un lato con un respiro più ampio e dall’altra col tentativo di ricavarne un ordine sistemico.
    Ed in prima battuta va evidenziato che i politici e i partiti del ‘900, in Italia, nei primi anni Novanta, e cioè dopo la caduta del muro di Berlino e con esso del comunismo, lasciarono uno spazio vuoto, che venne subito occupato da nuove modalità di ricerca del consenso e del potere. Fu il personalismo ad irrompere tra le fila dell’agire politico, è la figura del capo partito o movimento ad attirare su di sé la massima attenzione. Questa pratica ha portato, praticamente, i sodali ed i simpatizzanti del nuovo uomo politico a identificarsi con lo stesso, quasi ad emularlo. Sebbene sia questo lo schema diffuso, può però prodursi in declinazioni differenti.
    Il passaggio dal partito “collettivo” al partito personale avvenuto sul finire del Novecento può probabilmente considerarsi uno degli aspetti, un sintomo, di un cambiamento più generale all’interno della società. In quegli anni, dopo la caduta della controparte orientale, l’individuo occidentale iniziò a porre la propria figura al centro, soprattutto, dell’economia, convinto di poter gareggiare e vincere, da singolo, la battaglia della competizione, sale del mondo capitalista. Allo stesso modo, in politica, il soggetto intenzionato ad imporre la sua idea, non si è più affidato all’organizzazione, o alla struttura, e all’elaborazione concettuale di un gruppo come nel passato, ma ha anteposto la sua figura carismatica dinanzi al partito.
    Così come era per i partiti del Novecento, anche per la “nuova” politica del personalismo, l’impegno profuso è stato indirizzato alla ricerca del potere. Un potere primariamente su coloro che il capo hanno seguito e legittimato per acclamazione, che vuol dire controllo degli individui e sui loro interessi. In seconda battuta, la ricerca del potere sulle istituzioni, proprio per difendere la propria posizione, i propri interessi particolari e quelli dei propri adepti. Gli interessi però, non sono da considerarsi necessariamente, o non soltanto, economici, perché nelle declinazioni del potere personalistico si possono rinvenire anche quelli di carattere politico-ideologico. Un po’ come la differenza che intercorre tra il personalismo di Berlusconi, di Renzi e di Salvini.
   Alla base del potere, che sia personalistico o di carattere collettivo, perché sia legittimo e legittimato, non può mancare il consenso. Anche su questo aspetto, dalla fine del Novecento, il personalismo ha mostrato le sue diverse facce. Lo schema ricorrente è quello dei cerchi concentrici: consenso nel gruppo e consenso tra gli “esterni”, alias potenziali elettori. Il politico personalista prospetta un’idea di società con all’origine la propria figura, la propria immagine. Si può infatti osservare e ritrovare politici industriali che illudono chi li guarda con la possibilità di divenire ricchi e longevi come loro. Oppure, politici che cercano di trasferire il proprio decisionismo in coloro che a lui si affidano, in maniera acritica. Gli uni e gli altri provano a smuovere gli istinti più profondi e grezzi, che siano quelli della ricerca di una posizione economica o della forza decisionale. Ma, tanto i sodali degli uni, tanto gli adepti degli altri, restano a bocca asciutta e, peggio, vengono schiacciati dai loro “eroi”, che racchiudono il loro lascito all’interno di gruppo ristretto.
    Come può vedersi, la figura del politico post-partiti novecenteschi è quella di un individuo che per quanto qui esposto, e si potrebbe indagare ancora, è lo specchio della società individualista e competitiva che viviamo. Gli schemi economici e politici si sono intrecciati, accorciando quella loro posizione di subalternità dell’uno rispetto all’altro. Proprio come i ruoli all’interno della società, dei tuttologi e dei laureati all’università della strada.
Massimiliano Lorenzo


venerdì 19 aprile 2019

Avvio all'esoterismo (parte quarta): il simbolo del diamante - di Andrea Antonello Nacci


 
         Come si è accennato, eccoci qui al secondo dei tre simboli che tratteremo, ovvero il diamante. E qui va subito evidenziato che, la visione che se ne ha oggi è diversa che in passato, date le recenti acquisizioni scientifiche. In ogni caso,  è bene sottolineare che il suo significato tradizionale  è di grandissimo valore sul piano esistenziale ed esoterico, pur in presenza delle recenti elaborazioni scientifiche.

      La cosa più particolare e contraddittoria di un diamante, infatti, è che alla “fine esso scomparirà...” Chimicamente è solo un pezzo di carbone la cui formazione avviene in profondità nelle viscere della Terra, circa 250 chilometri sotto la superficie ed a temperature di oltre 1.500° C nel corso di interi millenni. Ma a differenza di un rubino o di altre pietre preziose la cui struttura resta inalterata anche a temperature o pressioni molto elevate, un diamante nel tempo sarà consumato completamente, trasformandosi in un residuo di gas di acido carbonico. Conoscenze queste che fine a qualche tempo fa erano sconosciute e che hanno conferito al simbolo del diamante valenze che qui di seguito espliciteremo.

      Le origini dell’utilizzo simbolico del diamante affondano le loro radici nell’antichità. Gli antichi Greci festeggiavano con essi i loro Dei e sia la spada di Cronos che l'elmo di Eracle che le catene che legavano Prometeo erano realizzate con questo minerale. Successivamente i poeti Romani “copiarono” l'idea, descrivendo le porte dell'Ade come fatte anch’esse di diamante. Nel Medioevo i diamanti vennero chiamati "lacrime degli Dei" e spesso venivano anche indossati come talismani sui campi di battaglia.

       Il diamante rappresenta sia il Mondo Terreno sia qualcosa che dura perpetuamente, collegandoli e  simboleggiando così l’eternità ovvero uno stato più elevato raggiungibile dall’essere umano, che, privo di illusioni e un assenza della valenza del tempo, culmina nell’acquisire capacità fisiche e spirituali superiori. Così il diamante simboleggia:

”Il più sacro dei corpi” (wujud al-Aqdas) e “il corpo sopraceleste” (jism asli Haqiqi) nella spiritualità Sufi;
”Il corpo di diamante” nel Taoismo e nel Vajryana;
”Il corpo di luce” o “corpo arcobaleno” nel buddismo tibetano;
”Il corpo di beatitudine” nel Kriya Yoga;
”Il corpo immortale” (soma Athanaton) nell’Ermetismo;
”Il corpo superconduttore” nel Vedanta;
”Il corpo radiante” nello gnosticismo e nel neo-platonismo;
”La gloria di tutto l’universo” e “il corpo d’oro” nella tradizione alchemica;
”Il corpo astrale” secondo l’alchimista Paracelso;
”Il corpo solare” per alcune scuole misteriche;
”Il corpo del tempio di Dio” tra i Rosacroce;
”Il corpo o l’essere luminoso” nell’antico Egitto;
”La potenziale dimora Divina” (fravashi fravarti) nell’antica Persia;
”Il corpo perfetto” (soma teilion) nella liturgia mitraica;

      In moltissimi casi quindi, il diamante è stato preso per rappresentare il simbolo del Processo Evolutivo degli esseri umani. La stessa "Via del Diamante" delle filosofie Orientali quindi, non è che la simbolica rappresentazione dell’immagine di questa pietra, utilizzata per illustrare il Cammino dell'umanità che, con un continuo lavoro interiore, conduca all’ideale Trasmutazione. Si potrebbe facilmente concludere che questa pietra, in quanto rappresentazione di un compimento o di una realizzazione si debba considerare, nel linguaggio proprio delle tradizioni Orientali, l’equivalente della Pietra Filosofale della tradizione alchimistica Occidentale. Notiamo qui anche quanto sia significativo che gli Ermetisti Cristiani ne parlino spesso a proposito della stessa figura del Cristo, come della vera Pietra Filosofale, a volte  definita anche come Pietra Angolare.

       Nella Bibbia, però, il diamante viene utilizzato per descrivere la durezza e l’impenetrabilità del cuore degli uomini, ciechi di fronte alla parola di Dio:

“Ma essi rifiutarono di ascoltare, voltarono ostinatamente le spalle e si turarono gli orecchi per non udire. Resero il loro cuore come il diamante, per non ascoltare la legge e le parole che l’Eterno degli eserciti mandava loro per mezzo del suo Spirito, attraverso i profeti del passato. Così ci fu grande indignazione da parte dell’Eterno degli eserciti”.
[Zaccaria 7, 11-12]


       Nella sua “Naturalis Historia” Plinio Il Vecchio descrive le caratteristiche del diamante in relazione alla sua etimologia, evidenziandone le caratteristiche:
L’adamante fra le cose umane, non solo fra le gemme, ha il massimo valore; a lungo conosciuto solo da re, e solo a pochi di essi... La durezza è indicibile, e ugualmente la natura vittoriosa dei fuochi, ma che non si scalda mai, e da lì prese il nome, con il significato greco, di forza indomita”.
[XXXVIII, 55-57]

      Ed infine, nelle “Odi”, Orazio utilizza il termine adamans (diamante) in riferimento al Fato ineluttabile e alla necessità della morte.
“O tu che sei ricco più degli intatti tesori dell’Arabia e della preziosa India, e ti prendi la licenza di occupare con i tuoi fabbricati cementizi ogni terra e ogni tratto di mare: se il crudele Destino con le sue clave adamantine s’abbatterà sui sommi vertici dei tuoi palazzi tu non sottrarrai il tuo animo al terrore e il tuo capo ai lacci della morte”.
[Orazio, libro III - XXIV]
 
Andrea Antonello Nacci

mercoledì 17 aprile 2019

Ritratto foto-letterario n°2: Salvatore Cosentino - di Mauro Ragosta


  






              Ed eccoci qui al secondo ritratto foto-letterario di Maison Ragosta, dove tutto, questa volta converge su Salvatore Cosentino.
            Come è noto ai più, Cosentino è un magistrato di fascia molto alta -Sostituto Procuratore della Repubblica in Corte d’Appello presso il tribunale di Lecce- e, assieme, apprezzatissimo performer teatrale. Sicuramente, è personaggio di spicco nell’ambiente culturale salentino ed in particolare nel capoluogo, non mancando tuttavia di essere accreditato e  molto conosciuto anche in ambito nazionale, e non solo perché si è esibito in teatri di primissimo livello. E con ciò va detto anche che si tratta di uomo dal grande estro e dal singolare acume, qualità che possono essere godute nelle sue incursioni teatrali, e dalle quali chiaramente traspare la sua vasta cultura, che si sviluppa non solo sul piano verticale, ma anche su quello orizzontale.
            Nel suo incedere teatrale è facile abbinarlo a Wagner, come si è avuto modo di mettere in luce in altri pezzi giornalistici. Ma non solo. E’ molto vicino anche a Carmelo Bene, non tanto sul piano tecnico e fonico, quanto piuttosto nel suo modo di concepire lo spazio scenico. Circa la tecnica compositiva va sottolineato, poi, che Cosentino usa in maniera spinta la Ragione, per verificarne, in una cornice molto spesso ironica  e con colpi di scena magistrali, i suoi limiti. E questo perché dà centralità all’Uomo nella sua interezza.
            Da alto magistrato, Cosentino è uomo che di fatto decide per sé e per gli altri. E tuttavia questa circostanza non lo travolge né lo contamina più di tanto nella sua essenza profonda, avendo infatti la capacità-abilità di lasciarsi guidare: double face, insomma! E come scriverebbe un giovane laureato nel suo curriculum: ha spiccate attitudini alla leadership, ma sa anche lavorare in gruppo.
            Ed ecco perché il mio esercizio foto-letterario è diventato il nostro, almeno sul piano della scelta delle scenografie. Questa è caduta sui murales realizzati a San Cataldo e all’interno del quartiere 167/b di Lecce, da pittori nei confronti dei quali abbiamo convenuto circa il loro estro e le loro abilità tecniche, a tal punto che ci è venuto facile e senza azzardo definirli dei veri e propri artisti, anche di ottimo livello in molti casi.
            Nell’azione fotografica, da concepire in tutta la sua interezza e in tutti i suoi passaggi, è prevalsa l’intenzione di creare delle immagini del nostro Cosentino che esprimessero allo stesso tempo dinamismo e stabilità, perché in ciò si sostanzia la sua personalità, duttile e assieme granitica, ferma. Da qui, poi, si sono privilegiati i toni pastello, sui quali si stagliano dei neri profondi, densi, assoluti, che esprimono assieme la sua gentilezza, il suo fare garbato e l’intelligente riservatezza, non solo dovuta al suo ruolo istituzionale, ma collegabile in larga parte ad un fatto di stile e di gestione ragionata delle relazioni. Insomma, scatti quelli qui proposti nella cui realizzazione è prevalso il divertimento, ma all’interno di una cornice concettualmente e ideologicamente complessa e , a tratti, esclusiva e per niente pop.

Mauro Ragosta

domenica 14 aprile 2019

Grande Salento: verso lo spopolamento? - di Mauro Ragosta


     


       E’ di grande attualità il tema dell’immigrazione o, per meglio dire, delle politiche di ripopolamento dei territori europei. Naturalmente, è questa una questione che riguarda anche il Grande Salento, anche se le opinioni in merito sono, a volte, anche molto discordanti. Certamente, qui vale la pena evidenziare qualche dato statistico. In particolare, va subito messo in luce che la popolazione delle tre province salentine sta rapidamente invecchiando. Nello specifico, mentre gli ultrasessantacinquenni fino a vent’anni fa costituivano pressoché il 15% della popolazione complessiva, oggi tale percentuale supera abbondantemente il 22%, dove tale valore arriva al 23% nella provincia di Brindisi e al 24% nella provincia di Lecce, quella col maggior carico di persone anziane.
            E la popolazione salentina invecchia, ma non si riproduce. A tal riguardo, mentre vent’anni fa i giovanissimi (quelli da 0 a 19 anni) rappresentavano il 25% della popolazione, oggi la situazione si presenta drammatica e ribaltata. Questi, infatti, attualmente non superano il 20%. E qui, sempre la provincia di Lecce ha il primato negativo, registrando un appena 17%. Fanno meglio le province di Brindisi e Taranto, ma con scarti del tutto irrilevanti.
            In linea con quanto detto, anche la famiglia ha perso la sua funzione riproduttiva in maniera importante. Infatti, mentre nel 2001 le tre province registravano un nucleo familiare intorno a valori medi di 2,8 persone, questo dato oggi è precipitato a 2,2, dove anche qui la provincia di Lecce registra la peggiore performances, con 2,1.
            In sintesi, sotto il profilo demografico, la situazione si presenta preoccupante soprattutto per la provincia di Lecce, mentre le province di Brindisi e soprattutto di Taranto presentano dinamiche un po’ più decelerate, all’interno di un quadro ovviamente depressivo.
            E la componente della popolazione straniera non compensa tali tendenze, costituendo ancora una fetta della popolazione ancora molto bassa. Al riguardo, si pensi che gli stranieri nel Grande Salento non sono più del 3,5% della popolazione con un picco in provincia di Lecce, dove la percentuale sfora il 4%. In tutto, gli stranieri nelle nostre tre province, non superano le 74.000 unità su una popolazione complessiva di poco inferiore ad 1.800.000 unità.
            La previsione per il prossimo decennio è che le tendenze evidenziate debbano accentuarsi soprattutto in provincia di Lecce. Siamo pertanto in presenza di un netto fenomeno di invecchiamento della popolazione, dove i giovani non compensano più tali dinamiche. Da qui, le politiche di immigrazione del Governo. E tuttavia è per noi conveniente che le autorità favoriscano l’arrivo di extracomunitari nelle nostre terre?
        Al riguardo va considerato che la riduzione delle nascite nel Grande Salento potrebbe considerarsi come la soluzione che la popolazione ha dato spontaneamente al problema della disoccupazione. La nostra economia infatti non è in grado di assorbire tutte le giovani risorse. Noto è il tasso a due cifre della disoccupazione, soprattutto giovanile. E non è azzardato dire che il nostro territorio è sovrappopolato e che naturalmente si stia orientando verso scenari più consoni alla sottostante economia. Restando così la situazione demografica, infatti, nel giro di vent’anni il nostro territorio, per effetto della riduzione delle nascite, dovrebbe presentare tassi di disoccupazione più accettabili e tali che il sistema produttivo li possa sostenere, con beneficio per tutti. Una soluzione che privilegia lo spopolamento anziché una maggiore dinamicità economica.
            In tale direzione, ovviamente le operazioni di ripopolamento attuate dal Governo sono assolutamente dannose, perché manterrebbero alto il tasso di disoccupazione e dunque di disagio sociale. E ciò perché il sistema produttivo del Grande Salento non presenta tendenze espansive, ma stabili e tali da assorbire solo una quota fissa di popolazione, che al momento è in disarmonia con gli aspetti demografici.

Mauro Ragosta

giovedì 11 aprile 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (parte terza): berlusconismo e antiberlusconismo - di Massimiliano Lorenzo




     Dopo la fine dei partiti novecenteschi e l’insediamento del personalismo, gli avversari del politico che irruppe sulla scena politica italiana, ovvero Berlusconi, fu tutt’altro che ragionata e organizzata. Coloro che si opposero al capo personalista preferirono scagliarsi, anche negli aspetti più strettamente personali, direttamente sulla sua figura, quasi questa fosse il reale ed unico problema. Vennero, dunque, portati ben pochi argomenti alternativi, preferendo farsi dettare la linea politica proprio da chi credevano di combattere sul piano politico. E sin da questo momento occorre chiedersi come mai la sinistra a capo dei migliori intellettuali del Paese, strutturati in un vero e proprio esercito, data la sua consistenza numerica, non sia riuscita ad elaborare strategie politiche efficaci ed efficienti, risolvendosi in un’azione di basso profilo.
    Ad ogni modo, come accennato, la discesa in capo del primo politico che possiamo definire “nuovo”, vale a dire Silvio Berlusconi, fu all’origine del nuovo assetto del dibattito politico italiano. L’allora proprietario della società finanziaria Fininvest e della società di produzione Mediaset, Berlusconi appunto, iniziò a farsi strada nel potere politico italiano e nelle sue istituzioni a metà del 1994, quando divenne Presidente del Consiglio per la prima volta, perché vittorioso con il partito da lui fondato, Forza Italia. Da allora, i suoi oppositori si concentrarono soprattutto sullo screditare, con ogni mezzo, la sua figura sul piano personale e non sul piano strettamente ideologico.
    V’è da dire che, Berlusconi, nelle quattro esperienze da primo ministro della Repubblica Italia, sino al 2011, ha spesso dato ossigeno ai suoi detrattori, inanellando una serie di leggi ad personam o ad aziendam, per le quali da più parti è stato attaccato, ma mai in maniera incisiva. E forse che la sinistra ha fatto volutamente una finta opposizione? In ogni caso, le motivazioni per le quali Berlusconi è stato criticato, anche fortemente, erano comunque fondate: dall’essere un amico dei mafiosi (Mangano e Dell’Utri, che lo aiutarono a fondare Forza Italia, sono stati condannati per reati di mafia), alle leggi sulla proprietà delle frequenze televisive (varie corti hanno più volte sentenziato il passaggio illegittimo di Rete4 sul satellite, mai avvenuto), sino ai comportamenti poco ortodossi, nel privato e nel pubblico (le olgettine o le corna nei consessi internazionali, per esempio).
    Detto ciò, però, i suoi oppositori hanno decisamente sbagliato mira e modalità di sparo. Hanno incentrato la strategia politica sugli attacchi personali contro un solo soggetto, Berlusconi appunto, senza proporre un’alternativa politica credibile e senza discostarsi dal suo operato quando sono stati al governo del Paese, o, ancora, non hanno prodotto leggi che potessero mettere un freno all’espansione del suo impero economico. Tutto ciò può considerarsi errato politicamente, oltre che deleterio per la propria parte politica ed il proprio elettorato. E la sinistra tutta ha fatto proprio questo. Ha provato a sconfiggere Berlusconi sul piano giudiziario e non politico, sul piano della moralità e non su quello elettorale e delle idee. Tutto ciò, da una parte non comprendendo verso dove stesse andando la società, come osservava il Cavaliere, e cosa la attirasse, dall’altra parte facendone proprio di Berlusconi un martire, e, si sa, questi, i martiri infatti, raccolgono sempre una certa vocazione ed interesse.
     Il centro-sinistra insomma cercava di battere Berlusconi e, invece, gli spianava la strada verso il potere ed il consenso, nonostante il capo di Forza Italia - Popolo delle Libertà poi – nel tempo ha mancato la sua rivoluzione liberale, affossando il mondo del lavoro con la Legge Biagi, che lo precarizzò, ingessando la ricerca e l’Università con la Moratti e la Gelmini, emanando varie epurazioni di giornalisti a lui scomodi, introducendo il divieto di processo per le più alte cariche dello Stato e via dicendo. Anche se v’è da dire che durante il suo Governo i debiti dello Stato sono stati fortemente contenuti e la tassazione meno sperequata, circostanze queste che si deteriorano a partire dal 2010.
Massimiliano Lorenzo

lunedì 8 aprile 2019

Recensione n°2 - Rossella Maggio e le sue ultime poesie in La Leggerezza - di Mauro Ragosta




            La Leggerezza, edito all’inizio di quest’anno per Pegasus, è lo scritto della maturità di Rossella Maggio, e non solo perché è il suo ultimo lavoro in ordine di tempo. E’ un grido al Mondo per la bellezza della vita, la cui causa efficiente è la venuta meno della tirannia delle passioni. Si tratta di un pot-pourri di poesia che, seppur con un filo conduttore ricercato o portato avanti col suo intelletto in maniera blanda, conta di sintesi liriche di grande pregio e centrate sulla vita, sull’amore, sulla morte e sulla stessa poesia, non mancando di riverberi anche sul poeta, circa il suo ruolo e la sua essenza profonda. E qui mi preme sottolineare che per Rossella il poeta non si deve nascondere dietro la parola e i suoi formalismi, ma deve essere la stessa parola, anche nella sua indeterminazione, e dunque colui che svela e si svela attraverso il verso.
            Ma c’è di più! Rossella, con le sue poesie in questa ultima pubblicazione, si affaccia anche su questioni e problematiche esoteriche di buon livello, mettendo così in evidenza la sua tensione verso una voglia di vivere ad un livello più profondo, una voglia di avere una visione della vita illuminata dall’intuizione e dalla percezione, che implichi, insomma, il ricorrere ad un uso più pragmatico e ponderato nonché di secondo livello della ragione ordinaria.
            Interessante, anzi, molto interessante è la sua concezione del dolore, quale componente ineliminabile dell’esistenza, e che emerge dalle sue poesie con grande forza. Un approccio che le consente di viverlo e descriverlo senza subirlo, senza ad esso ribellarsi o, ancora, accettarlo, ma al contrario di trattarlo come qualcosa da accogliere e gestire come fatto di vita, senza una sua precisa valenza o funzionalità o ancora un’escatologia.
            Particolare attenzione meritano le liriche sull’amore, che viene descritto in una prospettiva trascendente, al di là della gioia e del dolore, del piacere e della sofferenza, e che inducono a considerare questo fenomeno come principale fonte della vita stessa. E queste, ovviamente, in una prospettiva tipicamente femminile, implicante le traiettorie, le capacità e le facoltà materne.  Una dimensione quella dell’amore in cui Rossella con grazia conduce il lettore, rispetto al quale sortisce l’effetto di fugare molte delle sue paure per la vita.



            In definitiva, le visioni e le poesie di Rossella Maggio in La leggerezza appaiono prive di illusioni, falsi miti, luoghi comuni, verità edulcorate ipocritamente.
            Un volume, questo appunto di Rossella, che pare porsi da spartiacque nella sua produzione e che segna il passaggio da un incedere tumultuoso, cromaticamente acceso ad uno dove prevalgono i colori pastello e dove le passioni, pur sempre attive e propulsive della vita, ma meno violente, cedono il passo ad una visione ponderata dell’esistenza, più armoniosa e consapevole; e da qui lo stupore e la forza che traspaiono nei suoi versi.
            Da quanto sin qui illustrato, e per concludere, è facile comprendere che questo lavoro di Rossella Maggio presenta una valenza di non poco conto anche su di un piano comparativo, avendo caratteristiche e peculiarità e piacevolezza non comuni. In più, nel distretto poetico leccese dove la ricerca si presenta molto attiva e spiccata, dove sempre più numerosi sono gli attori che si presentano e che si propongono al grande pubblico, Rossella si colloca tra quelli che invece di condividere la propria ricerca appunto, affermano i propri traguardi, i propri punti fermi, i propri valori, la propria visione delle cose e della vita.

Mauro Ragosta

venerdì 5 aprile 2019

Avvio all'esoterismo (parte terza): il simbolo del serpente - di Andrea Antonello Nacci




         Dopo aver chiarito cosa intendiamo per esoterismo, nella prima parte di questa rubrica, e aver avviato il percorso parlando sul significato e sulla funzione dei simboli, nella seconda parte, in questa, la terza, cominciamo ad analizzare il primo dei tre simboli che proporremo nelle prossime pubblicazioni. E questo è per l’appunto il serpente, al fine di capire cosa si nasconda dietro questo simbolo.

Da sempre il Serpente è stato considerato uno dei simboli di Conoscenza e potere Esoterico dalle culture di tutto il mondo. Esso viene mostrato più e più volte come una potente Divinità. Il Serpente è associato all’idea di dualità, sia negativa che positiva anche nel Cristianesimo, come è mostrato chiaramente nella Bibbia a proposito della storia di Adamo ed Eva o in quella di Mosè. Lo prendiamo quindi come punto di partenza per iniziare da qui il nostro percorso attraverso i principali simboli esoterici.

   Una prima caratteristica legata al simbolo del Serpente è la rinascita/rinnovamento. Questa creatura ha la capacità di perdere la sua vecchia pelle durante la crescita. Ciò che simboleggia il distacco metaforico di questa pelle, rappresenta quindi il rilascio dai vecchi modi di pensare che non funzionano più nelle nostre vite, mentre la nuova pelle è indice di Rinascita, nuovi inizi e Purificazione. Per molte culture, il potere del Serpente consiste nella sua rappresentazione dell'energia vitale. Questa energia rimane avvolta in spire alla base della nostra spina dorsale e lì rimane dormiente finché non è pronta ad entrare in azione. Questo movimento, detto della kundalini è l'unione finale tra il Maschile e il Femminile attraverso il cuore, che rappresenta l'equilibrio finale.

   Nell'antico Egitto, la forma circolare di un Serpente che inghiottisce la sua coda è stato un segno di eternità e di unità. Ma che cosa è l’eternità? E’ quel luogo e quel tempo dove non regnando le illusioni, la vita è sempre la stessa nel suo scorrere ed è legato più ad uno stato mentale che materiale. Ma riprendendo il nostro simbolo, questo era conosciuto come "Ouroboros", raffigurazione di un rettile (talvolta un drago) che si mangia la coda e nel farlo crea un ciclo. Esso è uno dei simboli dell'eternità, della natura ciclica della vita e di ciò che dura per sempre, per l’appunto, perché nella fine sta il suo stesso inizio. Parallelamente, il Serpente è associato anche con l'immortalità e gli dei nelle epoche del Regno Antico e Medio nella mitologia egizia. In linea di massima rimaniamo in quanto tracciato per quanto detto sull’eternità. Un Serpente era raffigurato su tombe mentre trasportava il Faraone nel Cielo, verso la terra degli Dei. Il Serpente divenne così un fortissimo simbolo di regalità in questo periodo e apparve anche sul copricapo dei faraoni. Nel periodo del Nuovo Regno, tuttavia, quando l'Egitto fu invaso e conquistato dagli Hyksos, il Serpente rappresentò gli invasori e fu quindi considerato una creatura malvagia. Gli Egiziani credevano anche che il dio Amon potesse trasformarsi in un Serpente per rigenerarsi e sostenevano che il mondo sotterraneo era sorvegliato da Nehebkau, un Serpente a due teste che offriva protezione. E qui, cosa si intende per mondo sotterraneo? Questo è per lo più l’inconscio, la vita delle passioni, l’indifferenziazione dei sentimenti e delle pulsioni a livello originario, nelle sue contraddizioni a volte indistinguibili. Inoltre, gli egizi rappresentavano il dio Apophis come un gigantesco Serpente d'acqua velenoso incarnazione del Caos. Rimane qui interessante notare anche come gli Ouroboros si trovano spesso come ornamento anche nella cultura Celtica, a volte con la coda che forma uno o due otto (il simbolo dell’infinito o anello di Moebius) prima di entrare nella sua bocca.
Nel resto della mitologia Africana poi, si narra di un Dio che creò il sole, la luna e in seguito la terra che modellò da un pezzo di argilla. Il Dio creò anche una serie di gemelli, gli esseri primitivi, chiamati Nummo. I gemelli erano metà umani e metà Serpenti, il gruppo etnico del Mali e dell'Alto Volta chiamato Dogon. Gli spiriti ancestrali erano immortali e si dice che provenissero da un altro pianeta e misericordiosamente combinassero il loro DNA con gli animali sulla Terra.

   Nella mitologia Greca e Romana, il Serpente simboleggiava uno spirito guardiano e fu inciso su moltissimi altari. Nel tempio di Atena ad Atene, un Serpente tenuto in una gabbia era ritenuto la reincarnazione di Erittonio, uno dei primi re dell'antica Grecia. Allo stesso modo, un Serpente era custodito nel santuario di Apollo, dove era tenuto da una vergine nuda. Nella mitologia greca, Medusa e altre gorgoni (creature femminili) avevano zanne affilate e serpenti vivi per capelli. L'associazione di donne e serpenti si estese anche a Medea, che fu trainata da un carro guidato da serpenti, così come la dea Serpente minoica che teneva un Serpente in ciascuna mano.
Un corto bastone intrecciato da due Serpenti, a volte sormontato da un paio d’ali, inoltre, era conosciuto dai Greci come “Caduceo". Esso era, ricordiamolo, il simbolo di Ermes, dio del commercio e non, come spesso viene scambiato, il forse più celebre "Bastone di Asclepio". Quest’ultimo, di contro, presenta un solo Serpente avvolto in spire ed è il simbolo delle arti della Medicina e della Farmacologia. Il bastone di Asclepio può essere letto come simbolo di vita e salute ed anche nelle arti funerarie si trova di solito su tombe appartenenti a persone legate al mondo della medicina. Appare facile ritenere qui che la connessione del Serpente con la medicina sia collegata ovviamente al suo veleno.


   Nella Cultura Ebraico Cristiana infine, oltre all’episodio del Serpente nel Giardino dell'Eden, che avvolge le sue spire attorno all'albero della vita e tenta Eva ed Adamo, ricordiamo che nelle prime versioni dell'Antico Testamento, si fa riferimento agli antenati di un dio Serpente, anche se i riferimenti sono stati successivamente eliminati o interpretati come meramente allegorici attraverso numerose traduzioni ed adattamenti. I Serpenti erano certamente associati a Mosè, il quale fu incaricato da Dio stesso di farne un idolo che guariva coloro che erano stati morsi da rettili velenosi al solo guardarlo. Ci si riferisce anche al bastone di Mosè come avente poteri magici, potendosi trasformare proprio in un Serpente per tornare nuovamente nuovamente allo stato iniziale, a seconda delle circostanze. Successivamente, nell’iconografia Neotestamentaria, l’immagine della Vergine Maria che cammina su di un Serpente ha avuto una diffisione immensa, anche attraverso il testo di invocazioni e preghiere. Di conseguenza, nell'arte Cristiana la Vergine viene spesso raffigurata mentre schiaccia la testa di un Serpente in cima a un globo che simboleggia la terra. Il tema dei personaggi cristiani che si oppongono al Serpente ci è familiare, ma forse è meno noto il perché si tratti proprio della Madre di Cristo in particolare. La risposta sta nell'Astrologia che è segretamente scritta nei testi Biblici, esattamente come avviene per lo Sciamanesimo. Nelle prime ore della mattina di Natale infatti, nell'emisfero settentrionale, è proprio la costellazione della Vergine a sorgere al di sopra dell'orizzonte orientale, dove simbolicamente dà alla luce il Sole. Seguendo il suo cammino sull'orizzonte si individua facilmente la “testa” del Serpente dell’omonima costellazione. La simbologia Astrologica è qui dunque molto chiara; la Vergine si innalza sopra la terra e fa un passo sulla testa del Serpente mentre si prepara a dare alla luce suo Figlio.

   E chiudiamo infine ricordando come, sebbene l'immagine di un Serpente su di una croce venga considerata il simbolo dell'ultima tentazione di Cristo (la conoscenza) qualora esso abbia anche ali staccate e sia cinto di una corona, ciò faccia riferimento più facilmente alla croce di Flamel, alchimista Francese vissuto a cavallo dei secoli XIV e XV, che in Alchimia rappresenta invece la "fissazione del volatile" e può quindi riferirsi maggiormente a quegli Alchimisti che avessero tentato la trasmutazione umana.


Andrea Antonello Nacci

martedì 2 aprile 2019

Archivio Ragosta - La cultura: strumento e diletto?




             A livello superficiale, per cultura si intende ciò che è esercizio intellettivo: leggere, scrivere, dipingere, suonare, recitare, costruire un edificio, il designer. Questo nell’accezione più diffusa, più abbordabile per tutti. Nella prospettiva più profonda, invece, il concetto di cultura si estende il modo d’essere e cioè quando le idee, le informazioni si “sciolgono” nel comportamento in senso lato e nella costruzione della realtà o della sua "immagine". E per l’approfondimento della questione si rinvia in altra sede, qui è sufficiente dire ciò.
            Al di là di ciò, è interessante chiedersi perché si fa cultura. A che cosa serve la cultura? Questioni che oggi, pare, assumano una rilevanza vieppiù crescente. Discorso, in ogni caso, ampio che tuttavia in prima approssimazione qui di seguito verrà sviluppato in maniera di primo approccio. Molti sono infatti, i piani di riferimento del concetto dell’esercizio di cultura, i quali sovente si intersecano e si sovrappongono nonché presentano diverse e collegate valenze.
            Innanzitutto, ci si esercita nella cultura per proprio diletto, per passione. E’ intrigante costruire un romanzo, ad esempio; un brano musicale o addirittura un oggetto. Jung per proprio piacere scrisse Il Libro Rosso.
            Ma l’attività culturale può essere sviluppata anche per motivi sociali e di convivialità. Anzi, soprattutto a Lecce, l’opera d’arte, intesa in senso ampio, ha un alto valore di sociabilità. Rinomati in tale direzione sono i momenti di reading, le presentazioni di libri e di opere di vario genere a scopi fondamentalmente di condivisione e amena conversazione.
            Ciò non esclude che l’esercizio culturale, e questo vale per molti, assurga a strumento di visibilità e di competizione sociale. E’ noto a tutti che l’uomo di cultura sia degno della massima stima, del rispetto. Da qui, in molti ambiscono all'esercizio del potere culturale, dell'ossequioso inchino del proprio interlocutore o del prossimo tout court.
            Al di fuori di queste accezioni, l’esercizio culturale si presenta strumentale anche per una crescita personale, e note sono le qualità terapeutiche della pittura, della scrittura e via dicendo. Non poche volte si redige un testo o si fa teatro per sviluppare il proprio essere o venire in chiaro con se stessi. E non solo. L’esercizio culturale placa l’ansia, modera l’angoscia del vivere.
            Ma la pratica della cultura è anche esercizio politico, dove per politica si intende la visione del vivere e della società, soprattutto, organizzata nelle sue dinamiche. Per definizione la cultura è politica quando trasmette valori, significati, visioni dell’esistenza individuale e sociale. La storiografia, la sociologia, come tutte le materie dello scibile umano, non possono non essere politicizzate. Ma è politicizzata anche la poesia come l’architettura. Inutile citare dai filosof napoletani del ‘700 a Gramsci. Ma poi, diversi ed opposti, ad esempio, sono i messaggi musicali di Mozart rispetto a Beethoven: due visioni dell’esistenza diametralmente opposte.
            E per concludere la cultura è, soprattutto oggi, lavoro. Tralasciando i ghost writer e tutti i ghost che circolano silenti nel mondo culturale, molti sono gli operatori che realizzano le opere secondo le leggi di mercato. Al riguardo, si analizzano i gusti, le caratteristiche dei consumatori di cultura e si crea professionalmente un’offerta. Dall’incrocio della domanda e dell’offerta di cultura, e cioè il momento in cui la domanda trova la sua offerta qui si determina lo scambio, il tipo e le specifiche dei mercati culturali e dunque, la cultura di un popolo.
            Quanto sin qui detto, perché la cultura, nell’accezione sia della fruizione sia della produzione, sarà la determinante della società del domani, dove il momento culturale appunto, diventerà di massima importanza a tutti i livelli sociali. Già oggi se ne percepisce la valenz, e proprio per questo, i distinguo non sono superflui. 

 Mauro Ragosta
 PS: articolo apparso sul quotidiano on line Paise Miu il 26 agosto 2016
Nota: chi fosse interessato alla mia produzione di saggi, può cliccare qui: