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giovedì 30 luglio 2020

Il Punto Nave di luglio del 2020 – di Mauro Ragosta

            Il rumore politico anche in questo mese, luglio 2020, rimane alto, ma si nota di meno rispetto al contesto, che da più parti presenta decibel di portanza di gran rilievo, quale reazione a due mesi di “confinamento sociale”. Tutte le attività hanno ripreso il loro manage a pieno ritmo e, rumoreggiando tutte assieme la querelle politica si mostra solo come una delle tante fonti di rumore. A far capire come la vita quotidiana sia ripresa ai suoi normali ritmi, basti osservare il livello di aggressività nella conduzione dell’auto da parte dell’uomo comune, che ha riguadagnato i suoi normali livelli di stress ed alienazione nelle sue attività ludiche e spesso compulsive.
            Ecco, in tutto questo, e ritornando sullo spartito della politica, anche in Puglia e dunque anche a Lecce, si è avviata la lusinghiera campagna elettorale, dove la corsa alla presidenza della Regione vede circa sei candidati, che di fatto rappresentano le anime e le insofferenze, in definitiva, dell’elettorato pugliese. A livello di semplici candidati alle regionali, molte sono state le sorprese circa gli esclusi, soprattutto nel centrodestra, e ciò evidentemente per consunzione politica. Per altri, queste elezioni rappresentano invece il congedo ufficiale dallo scenario leccese e pugliese, ai quali, con atto del tutto generoso, è stato concesso l’onore delle armi. La cosa strana, per altro verso, è che molti dei candidati al Consiglio Regionale, quelli di spicco del centrosinistra hanno un profondo retroterra destrorso, mettendo in evidenza attività di êcher e repêcher veramente notevoli, rispetto alle quali il trasformismo di De Pretis appare esercizio veramente ingenuo e, assieme, decisamente elementare.
Ma sul piano politico, gli ultimi giorni di luglio, sul fronte del Covid Affaire, hanno registrato un singolare momento innovativo nell’attuale congiuntura politica nazionale, del tutto sorprendente, di sicuro inusitato…..insospettato anzi, quale appunto quello della richiesta, da parte del Governo, del proseguimento dello Stato di Emergenza, con motivazioni che mostrano la vera e grande capacità creativa del Governo stesso.
Al di là di ciò, a scuotere forte le coscienze leccesi è stata la presenza, in provincia, della Ferragni, la cui risonanza mediatica si è mostrata, se non senza precedenti, di sicuro fragorosa: una vera e propria folgore, i cui risvolti economici, seppure all’interno di un contesto episodico e di una pratica azionata per tamponare gli effetti della crisi, si sono presentati, a detta di tutti, soddisfacenti. Anche la sfilata di Dior, in Piazza Duomo a Lecce, che si inserisce nei rimedi estemporanei alla crisi, ha dato i suoi frutti, rianimando, qui e lì, le attività centrate sull’accoglienza, il turismo e la ristorazione.
Purtroppo, in questi ultimi giorni di luglio, è giunta da Bari la notizia, quasi certa, che in provincia di Lecce non si terrà la Notte della Taranta. Evento che muove milioni di Euro, un vero polmone per l’economia locale, nonostante gran parte degli stanziamenti rapidamente volino, tra una nota e l’altra, tra una birretta e l’altra, al Nord.
Ad ogni modo, l’attività turistica ha preso e ripreso velocità, con buona pace per tutti e, sebbene nel puzzle delle attività estive salentine manchi qualche pezzo, anche quest’anno gli incassi sosterranno in maniera importante la nostra economia, rispetto alla quale solo in ottobre disvelerà la vera consistenza della Crisi del 2020, in termini di disoccupazione e crollo del PIL. E non si sa, se in novembre aumenteranno gli scrittori e gli attori o gli iscritti all’università. Di certo, per i leccesi tutti, dal Capo di Santa Maria di Leuca sino a Squinzano e Guagnano sarebbe auspicabile che comincino seriamente a ripensare alla propria economia e non tanto per gli effetti della Crisi del 2020, quanto piuttosto perché questa crisi, proprio questa crisi imporrà un cambio di passo, un nuovo modo di pensare, lavorare e vivere… forse una nuova Civiltà..
In provincia, poi e per concludere, moltissimi sono i poeti e qualcuno riafferma e afferma che da questi verrà la verità. Ecco, e ripartendo da qui, non resta che attendere le loro determinazioni, affinché corroborino le nostre elucubrazioni, anche se alcuni di loro, molto più concreti, lanciano versi antichi, versi eterni, ai quali forse ci si dovrà necessariamente affidare per guardare con maggiore concretezza e brio il futuro, questo futuro, oggi grigio, liquido, già completamente alieno.

Mauro Ragosta         

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mercoledì 29 luglio 2020

Salento Esoterico (parte prima): le premesse e i dettagli di contorno – di Raimondo Rodia

                              Ph. Mauro Ragosta
Il Salento offre una variegata gamma di effigi, epigrafi, maschere apotropaiche, dipinti con doppia e tripla lettura esoterica ed alchemica. Iniziamo da questo per svelare un po’ alla volta i tanti misteri nascosti nelle facciate delle chiese e dei palazzi di Terra d'Otranto. In questo articolo, si comincerà ad invitare il lettore di Maison Ragosta, a guardarsi attorno quando passeggia, a non essere distratto da altri contesti che non siano la bellezza dei borghi del Salento, con tutti i suoi particolari, arricchimenti e dettagli simbolici. 

         Spigolando qui e lì, iniziamo a porre attenzione ad alcune figure antropomorfe e zoomorfe che riempiono, mensole e peducci, balconi e mignani degli edifici selentini. E vale la pena cominciare dall’immagine del cavallo, che appartiene alle sfere celesti, ed è legato ad una ricerca introspettiva spirituale. Il cavallo può essere anche psicopompo (accompagnatore di anime) che guida l'uomo oltre la barriera della morte, come succede nella provincia cinese dello Shandong dove la tomba di Tian Qi contiene 32 cavalli e 40 carri seppelliti in quella che è conosciuta come la “terra dei cavalli sepolti". 

Ed ancora, nella scrittura sacra egizia, la parola cuore era raffigurata da un unico simbolo: il vaso.  Entrambi, cuore e vaso appunto, li ritroviamo graffiti all'esterno di due chiese di Galugnano. Il cuore a livello simbolico è il vaso entro cui la vita fluisce, scorre, compie il suo divenire in un continuo fluire, quando la parte alta del cuore si rilassa, quella più bassa si contrae e viceversa. La concezione materialistica contemporanea ha purtroppo ridotto il cuore a una pompa, oggetto meccanico la cui pulsazione permette la vita fisica, ma le cose non stanno esattamente così, come ebbe modo di dire Rudolf Steiner, dal punto di vista spirituale, non è il cuore che battendo pompa il sangue alla periferia del nostro corpo, bensì il contrario: esso batte perché mosso dal fluire del sangue, portatore dell’Io dell’uomo, del ritmo e della vita fisica stessa. 

Il fluire del sangue da un atrio a un ventricolo è rappresentato simbolicamente dal XIV Arcano Maggiore dei Tarocchi, la Temperanza. In esso si vede una donna intenta a versare l’acqua da una brocca ad un altra, con un movimento ritmico alternato incessante. Quest’azione rimanda immediatamente al solve et coagula alchemico, e anche all’entrata dello spirito nella materia, simbolo anche del segno zodiacale dell'Acquario. Il cuore è l’athanor in cui si compie la grande opera di trasformazione, il forno al cui interno avviene la combustione ad opera del Fuoco Segreto, che porta al conseguimento della Pietra Filosofale. Proprio la Temperanza ci indica che il traguardo può essere raggiunto solo mediante la virtù della moderazione, bruciando e raffinando le passioni smodate e le brame sul fuoco dello Spirito, andando sempre più in profondità, fino al centro assoluto del nostro essere.

I tanti mostri guardiani della soglia sono lì a ricordarci che il tutto nasce dal sogno, da un pensiero, un’emozione, in poche parole la maschera apotropaica difende non solo la soglia, ma la proiezione ermetica dell'immaginario collettivo esaltato dalla paura. Il tempo modifica tutto il processo empatico che in passato aveva permesso all'uomo di coniugare le sensazioni emotive che sentiva facendole vibrare al ritmo simbolico della pietra. Oggi invece i simboli non evocano emozioni, uomo e simbolo vibrano con frequenze diverse, i simboli sono morti perchè non hanno più eco nella coscienza personale o collettiva ma appartengono alla storia, filosofia e letteratura. Ritrovare la Memoria di tutto questo equivale a far parlare il Silenzio.

Il demone rappresenta la dualità psicologica, la distinzione tra quello che siamo in apparenza e quello che siamo realmente. Tutto il patrimonio dei nostri ricordi collettivi liberano le ombre e placano le dissonanze, il poeta Baudelaire diceva " Ho più memoria che se avessi mille anni " il ricordo della nostra specie si forma appunto nell'attività dissociativa e associativa con cui la nostra anima trasforma in emozioni e le sensazioni nelle immagini che osserviamo. 

Ma non andiamo oltre in questo articolo, continuate a seguirmi su "Maison Ragosta" vi svelerò i tanti segreti alchemici, esoterici, iniziatici, i simboli, le epigrafi e tutto l'immenso patrimonio sacro che il Salento custodisce gelosamente nell'antro nascosto del suo terribile immaginario.

Raimondo Rodia

venerdì 24 luglio 2020

Archivio Ragosta: Riflessione intorno all’aggettivo “provinciale” – di Mauro Ragosta


        Sovente, alcuni soggetti in posizione di vertice, sia nella prospettiva istituzionale sia in quella sociale ed economica, brandiscono la parola “provinciale, rivolgendosi a chi è in posizione di inferiorità o subordinazione. Una parola che non viene usata in termini generalistici, ma è tesa a colpire, invece particolari soggetti o conglomerati umani che ufficialmente e chiaramente subordinati presentano specifiche caratteristiche, che forse poco hanno a che fare col periferico o marginale, col cattivo gusto o con prassi poco evolute.
            I destinatari di questo eufemismo, perché tale è la proiezione nella quale spesso viene usata, di questa parola che, in sostanza, veste e traveste significati più rozzi, mostrano tutti delle peculiarità. In genere i destinatari dell’aggettivazione in questione, dunque, di questa parola che nasconde il grande disprezzo per chi la pronuncia, sono tutti soggetti che si muovono secondo valori e dinamiche centrifughe, poco gradite a chi si trova in posizione di vertice, che predilige orientamenti centripeti. Insomma, alle persone di vertice non sono graditi i soggetti che non guardano al centro, dove il soggetto di vertice risiede. Ecco, occorre guardare e soprattutto ispirarsi ai gusti del centro. Di converso, una cultura periferica, che non ha i suoi orizzonti nel centro, viene bandita e brandita. E spesso, alla parola “provinciale”, poi e così, se ne abbina un’altra, ovvero “autoreferenziale”, per dare il colpo di grazia a colui che non guarda al vertice e dunque al centro.
            Ecco che il Potere colpisce, percuote col termine “provinciale” chi, in buona sostanza, se ne va per fatti suoi, per la propria strada non curante dello stesso Potere. Chi ama poco imitare in definitiva trova la sua compiutezza in sé e non trova nello stesso Potere ispirazione né modelli di riferimento. E così, “provinciale” che sottintende a qualcosa di molto più rozzo, cafone o qualcosa di molto vicino, in effetti nasconde un significato altro, più profondo, ovvero quello di ribelle, non allineato al Potere, che è il Centro per eccellenza.
            Provinciale, rifacendoci alle parole di Baudel è il luogo dove le luci della città sono basse e rade, è il luogo delle periferie, del sottosviluppo, in definitiva, che appare il disvalore e, di converso, lo sviluppo diventa il dictat di chi Governa.
            Ma ci si chiede: dobbiamo stare tutti al Centro? Guardare il Centro? Ispirarci al Centro? In altre parole dobbiamo necessariamente tutti guardare a Milano, Parigi, Londra, Tokio, New York, dove queste megalopoli sedi del Centro, del Potere devono ispirare il nostro incedere? E’ risolutivo di alcunché? Per caso a New York si soffre di meno? Non esiste il dolore? Per caso, Milano costituirebbe il Paradiso, l’estasi permanente? La felicità permanente? A Londra, poi, non ci sarebbero i cretini ed il cretinismo?
            In verità, quando il Potere lancia questa parola, questo aggettivo, mette solo in evidenza la sua incapacità di essere attrattivo, unificante, di non essere, in definitiva, motore sociale, dunque. E’ il Padre inferocito nei confronti del figlio, che non riesce a governare. Certamente, al riguardo vi sarebbe da chiedersi se vi sia un’effettiva incapacità del Potere, o un’incapacità di subordinazione da parte delle periferie di seguire le luci del Potere, in una prospettiva unificante.
            Di fatto, quando l’uomo di potere scaraventa questa parola, “provinciale” appunto, bipartisce i sottoposti, le periferie……..le province. Questa parola, infatti, è come una “spada a due tagli”. E così, dopo essere stata usata nei confronti del popolo e digerita dallo stesso, gli effetti sono i più disparati, anche se tuttavia possono essere ricondotti a due tipi di reazioni. Vi sarà chi si metterà d’impegno ad essere più cittadino, e si ispirerà al centro, ma vi sarà chi invece comincerà a coltivare sistematicamente l’odio per il Potere, per il Centro appunto, e la sua azione sarà con forza sempre più centrifuga fino a risolversi in una politica antileadership, fino a chiamare addirittura in sfida il Potere stesso.
            E dunque, superata la fase degli psicologi, che etichetteranno il “provinciale” come soggetto con problemi nei confronti dell’autorità, egli diventerà un leader d’opposizione al Potere costituito. Ma non finisce qui.
            Da attenta riflessione, il leader, il Potere nel suo incedere, attraverso le sue qualificazioni, consce o inconsce, tra le quali rientra l’uso del termine “provinciale”, getta il seme per la Vita, per la Vita di un avversario, di colui che dovrà raccogliere il testimone nella gestione del Comando, di colui che dovrà sostanzialmente sostituirlo nella Centralità. Il Potere, insomma, crea nelle sue dinamiche, i presupposti per il proseguimento del Potere stesso, generando e creando un antileader, il quale a volte avrà la meglio sullo stesso Potere costituito, sostituendolo nelle sue funzioni.
        Da qui, in definitiva, il Potere, ovviamente quello reale, nelle due versioni del leader e dell'antileader, pare che abbia una coscienza sua propria, naturale si potrebbe affermare, che prescinde nelle dinamiche fondative, dal soggetto che lo interpreta e lo vive
            E così si procede, ancora nelle parole di Braudel, dal centrage al recentrage. La storia dunque, frutto di una struttura dialogica naturale e spontanea del Potere stesso? E con se stesso?  Nessuno può darci la sicurezza di ciò, potendo il Potere, diciamo di "tipo diurno" scientemente agire per creare un antileader, le cui funzioni sono moltissime e tra queste la prosecuzione della Vita e della Civiltà stessa.
            Si comprende dunque e per concludere che il "provinciale" è una vera e propria necessità di qualsiasi società.

Mauro Ragosta

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sabato 18 luglio 2020

Post Evento n°12: Ieri sera, Rossella Maggio a Villa Romana - di Mauro Ragosta


Ieri sera, a Lecce presso Villa Romana, un raffinatissimo Cosentino, Salvatore Cosentino, ha presentato per la prima volta l’ultima produzione di Rossella Maggio: Sorelle d’Estate, edito da Caosfera e già nelle migliori librerie del capoluogo salentino e non solo.
            Una presentazione con un forte taglio classico, nel senso che la Nostra e nota autrice, Rossella appunto, è stata per lo più silente. Una modalità ancora in voga fino a circa quindici anni fa, quando solo il critico e presentatore esponeva in tutti i suoi dettagli l’opera autoriale. Una scelta questa di Cosentino, che va ad inserirsi in un quadro ricco e significativo, che mese dopo mese ed anno dopo anno sta componendo con maestria circa le proprie modalità di fare cultura, teatro e letteratura. Senza dubbio lui è uno degli elementi di novità e, allo stesso tempo, innovativo nel Nostro Distretto Culturale, sebbene l’incedere di questo sistema mostri chiari i segni di un ritardo, di un gap accumulato soprattutto negli ultimi tempi, a partire dal Covid-affaire.
            E così il Nostro Cosentino ancora una volta è stato capace di giocare abilmente con le parole e con la Ragione, dissertando sul volume della Maggio e accarezzando quest’ultima, in senso letterario ovviamente. Con gli astanti invece egli si è prodotto in qualcosa di più complesso, esibendo, infatti, esercizi di chiaro-scuro incisivi, profondi, taglienti a tratti, e, nello stesso tempo, assonanti, convergenti, densi di corrispondenze col sentire comune. Brillante, dunque, il nostro Cosentino, che tuttavia non ha mancato di sottolineare criticamente la scelta autoreferenziale della cultura leccese, assolvendo ovviamente il leccese in sé.

            Più nello specifico, Cosentino ha paragonato Sorelle d’Estate ad una opera musicale, di cui Rossella ne è il compositore e il direttore d’orchestra. Un’opera rispetto alla quale egli ha rimarcato più volte che non può non notarsi il sapiente ritmo narrativo che la Maggio ha saputo conferire ed imprimere al suo romanzo. Ma, soprattutto, i contrappunti dell’opera presentano particolare valenza, perché gestiti sì dai flussi automatici di pensieri e parole, rispetto ai quali tuttavia esiste una coscienza e una consapevolezza superiori e di non poco conto. Affermando tutto questo, Cosentino sottolinea, però, la bellezza della Nostra autrice in tutte le prospettive, da quella fisica a quella animica, rispetto alla quale, egli asserisce, Rossella stessa pare esserne dimentica.

            Solo in ultimo, v’è stato un breve intervento della Maggio, che ha tenuto a sottolineare i nuovi e diversi accenti dati al rapporto uomo-donna in quest’ultimo romanzo, rispetto alla produzione precedente, ovviamente. Un rapporto dove la donna appare capace di compiutezze e di produrre sensi e senso, quando invece l’elemento maschile si sostanzia in un incedere più “leggero” e volatile
            Al di là di tutto questo, la serata si è sviluppata in un momento singolare di brio culturale e letterario e assieme di verve mondana. E ciò anche in virtù di una sentita ed accorata partecipazione del pubblico. In tale direzione, il parterre si è presentato ricco di personalità significative del panorama colto e artistico leccese. Proprio per questo, Rossella ha voluto dedicare ad alcune delle personalità presenti, saluti e ringraziamenti speciali. Tra queste vanno sicuramente segnalate il musicista Chirivì, la poetessa Claudia Piccinno, l’attrice e scrittrice Tiziana Buccarella e le pittrici Emma Bortone e Anna Dell'Anna.
            Inutile dire che la location era splendida e tale da conferire alla serata le giuste e meritate atmosfere, godute appieno da tutti i convenuti.

Mauro Ragosta


domenica 12 luglio 2020

Recensione n°12 : “Sorelle d’Estate”, ovvero una Rossella Maggio in crescendo…– di Mauro Ragosta

                                                                                          PH Mauro Ragosta
         
          Seguire l’iter artistico-letterario di uno scrittore contemporaneo è sempre questione emozionante e, allo stesso tempo, in qualche modo tensiva, ansiogena, soprattutto quando egli si produce in un’ascesa continua e sempre più degna di nota e attenzione.
            E’ questo il caso di Rossella Maggio, che dal 2013, anno del suo esordio ufficiale con In Sostanza l’Amore, non ha mai interrotto la sua produzione né deluso i suoi lettori, e con la poesia e sul piano più strettamente narrativo. Una crescita che si pone ed impone con forza nel suo ultimo lavoro, ovvero Sorelle d’Estate, per le edizioni Caosfera, in libreria già in questi giorni. E’ questo, Sorelle d’Estate appunto, il frutto letterario che colloca di fatto Rossella nella fase della maturità, sul piano letterario, ovviamente. Infatti, se nei suoi primi lavori la centratura era posta sulle sue esigenze espressivo-narrative e poetiche, qui, in Sorelle d’Estate, si realizza un magico equilibrio tra il suo amore per la scrittura e le aspettative del lettore, il quale viene briosamente coinvolto nel processo ideativo e letterario. Leggendo Sorelle d’Estate si percepisce chiaramente, infatti, l’esistenza di una liaison, di una sottostante intesa tra Rossella e l’anima di chi legge, come se tra i due vi fosse una sorta di complicità, una comunione nella visione della Realtà, almeno sul piano letterario.
            Ecco, quindi, che con Sorelle d’Estate, Rossella si pone ritta di fronte al suo lettore, in un’assoluta condizione di parità ed in un rapporto del tutto dialogico, teso alla costruzione di qualcosa di appagante per l’anima, per lo spirito, di questi tempi necessari, quale ristoro alle preoccupazioni di una società, la nostra, sempre più competitiva e stravagante.
            In tale direzione, va infatti sottolineato che Sorelle d’Estate narra, in linea generale, della vita nella scuola di un gruppo di insegnanti. Qui non esiste un vero e proprio protagonista, essendo tale proprio il gruppo, nel quale le varie personalità si fondono e confondono. 

Sorelle d’Estate è, infatti, un caleidoscopio di storie in buona sostanza intrecciate tra docenti, discenti e l’universo umano che attorno a questi gravita, dove i primi ovviamente si pongono in posizione totemica, necessaria per la costruzione e l’orientamento della narrazione. E anche se Rossella, questa volta non tratta esplicitamente il suo argomento principe, l’amore appunto, proprio questo è il filo conduttore che se ne deduce leggendo il libro e tirandone le conclusioni. E anche se la Nostra, in Sorelle d’Estate, ha posto l’accento sulla struttura e le dinamiche delle relazioni umane, di fatto, l’amore è l’elemento unificante, il collante più importante nei rapporti umani. Rossella, dunque, in Sorelle d’Estate con maestria declina, sia in chiaro, ma spesso in maniera sottointesa, l’amore in tutti gli episodi del bel volume, mostrandone gli aspetti salienti, peraltro proiettandosi anche in quelli più insospettati e misteriosi. Ma c’è dell’altro!
            Sorelle d’Estate è anche un volume che contribuisce a rivalutare l’opera della scuola e dei docenti, che vengono posti come momento fondante per lo sviluppo cognitivo e civile dell’individuo, in una prospettiva, forse, lontana dalle atmosfere e dalle dinamiche tutte competitive della nostra società. E’ una scuola, quella di Rossella, che educa alla gestione della relazione e non invece al successo, dove l’altro viene visto come ostacolo da superare. Tale aspetto di Sorelle d’Estate si pone come  contenuto ulteriore ed altro di rilievo, collocandosi in maniera derivata rispetto all’amore, ma che dà al testo una valenza di guida alternativa alla costruzione di una visione consumistica e arrivista del mondo e della realtà nella quale siamo oramai costretti a vivere.
            Sul piano stilistico, Sorelle d’Estate è un libro facilmente accessibile. Si legge agilmente, e ciò non tanto per l’utilizzo di un linguaggio semplice e una struttura compositiva lineare, ma soprattutto per il sapiente uso della parola. Rossella, infatti, sebbene ricorra, in Sorelle d’estate, ad un lessico abbordabilissimo, utilizza questo in una prospettiva possibile solo ad uno scrittore che conosce in profondità i significati, ma anche e soprattutto l’esistenza in sé.
            E per concludere, qui va segnalato che quest’ultimo lavoro di Rossella Maggio verrà presentato, per la prima volta, venerdì prossimo, 17 luglio alle ore 19:00, presso Villa Romana a Lecce, da Salvatore Cosentino, noto non solo per le sue performances teatrali, ma anche per le sue qualità di uomo di grande cultura.

Mauro Ragosta
           

mercoledì 8 luglio 2020

Il Mondo Culturale leccese in forte ritardo – di Mauro Ragosta



           Il regime dell’emergenza progressivamente sta allentando la sua morsa. In parallelo l’universo dell’arte, dello spettacolo e della cultura a Lecce e nella sua provincia, lentamente sta riprendendo tutte le sue attività. Il riavvio, tuttavia, non sembra abbia mutato, rispetto al passato, l’incedere, sia nelle forme sia nei contenuti, nonostante la grande svolta nella Civiltà Occidentale, segnata appunto dal covid-affaire. Ed in effetti, per gli attori culturali leccesi il grande travaglio dei mesi scorsi è stato causa solo della sospensione delle attività e nient’altro, quando invece la Cultura Occidentale ha cambiato rapidamente passo.
            Un Mondo, quello culturale leccese, che si mostra pietrificato rispetto al cambiamento, nei confronti del quale, in parte non ha compreso, in parte ha ignorato. E così, il suo grande sviluppo del decennio precedente sembra d’un colpo essersi arrestato e mummificato in prassi e rituali, che oggi appaiono superati dai nuovi tempi e dalle nuove problematiche, che rapidamente si stanno insediando nella nostra società.
            I principali attori leccesi, dalle compagnie teatrali, agli editori, ai gruppi musicali non sembrano aver colto i segni del cambiamento e, da qui, si stanno perpetrando ancora in prassi dettate da schemi e modalità, che non è azzardato definire antiche. L’unica reazione al grande mutamento sociale e culturale dei mesi scorsi, pare essere solo quella che li ha portati solo ad aumentare le richieste di finanziamenti pubblici, da un lato e dall’altro, a diminuire i costi di produzione. E proprio loro, ovvero compagnie teatrali, editori, case discografiche, con tutti gli operatori intermedi, appunto, non hanno indicato nuovi percorsi in linea con i tempi, rimanendo fissi sull’aumento dei rendimenti produttivi, anziché avviare politiche di investimento in relazione ed in reazione agli scenari nuovi, che giorno dopo giorno si stanno disegnando nella nostra società. Il loro potrebbe essere definito un atteggiamento quasi da cariatidi, come direbbero certi economisti.
            Dall’altra, privi di un orientamento, gli operatori di base, quali gli scrittori, gli attori, i musicisti, i ballerini, si sono solo esercitati in una produzione da “Tempo del Covid” senza un minimo accenno se non ad anticipare le nuove dinamiche, quantomeno ad esserne al passo.
            E così, stanche, defatigate e svilite, senza un reale senso rispetto ai nuovi tempi, sono riprese le presentazioni dei libri, qualche rappresentazione teatrale. La percezione che se ne ha è quella che tutto ciò appare come vecchio o comunque che non tiene conto che il “Tempo del Covid” ci ha profondamente cambiati, nei pensieri, nell’animo, nei sentimenti, nelle relazioni. E tutto ciò si presenta assente nell’espressione e nella coscienza degli uomini di cultura e degli artisti salentini, in genere.
            Dall’altra, del tutto assente pare essere la consapevolezza per la quale si è avviata con forza l’Era della Robotica e dell’Intelligenza Artificiale, che inciderà profondamente sul modo di fare cultura, sfoltendo tutte le sacche di inefficienza, molto dell’arrivismo degli ultimi anni, e tutti quegli operatori d’avventura, che come accade da sempre nei processi di grande sviluppo, si inseriscono nel settore con effimere filosofie carrieristiche. Soggetti, questi ultimi, i quali come rapidamente entrano nel settore, così altrettanto rapidamente ne escono.
            Peraltro, le reti di relazioni, che si erano composte lentamente negli anni precedenti, conferendo al mondo culturale leccese una qualche forma sistemica, pare abbiano registrato pesanti sfilacciamenti con il lungo periodo di sosta e una certa fatica a ricostituirsi.
            Insomma, non è fuor di luogo che si possa parlare di vera e propria, e anche profonda crisi del Distretto Culturale leccese, non riuscendo i suoi attori ad elaborare schemi adeguati ai nuovi tempi, rispetto ai quali il gap sembra già importante. Cambiare rotta, di certo, è questione complessa e delicata, sovente anche dolorosa, ma proprio in questo si vedono la forza e la virilità di una società, in assenza delle quali è garantita la scomparsa dalla scena e dalla storia.

Mauro Ragosta
            
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https://youtu.be/t1mKnYGyVC8 

sabato 4 luglio 2020

Ritratto foto-letterario n°8 : Livio Romano – di Rossella Maggio

C’è un prima, c’è un poi nella Letteratura salentina e il punto di svolta ha un nome: Livio Romano. Con lui si avvia la Letteratura salentina declinata al salentino, cioè centrata sugli scenari salentini e che dà voce al linguaggio dialettale salentino. Illustri precursori erano stati Vittorio Bodini, Maria Corti, Rina Durante che però restavano casi isolati. Invece “Mistandivò” (Einaudi Edizioni 2001), cui dedicai su “Il Corsivo”e all’insaputa dell’autore che ancora non conoscevo, una recensione nella quale salutavo con entusiasmo il primo dei giovani scrittori che, nella narrativa, ponevano l’accento sulla propria terra, avendo il coraggio di raggiungerne le radici e di portarne in superficie con forza descrittiva e sapienza introspettiva le contraddizioni. Qualche anno dopo non si contavano gli autori che riscoprivano le infinite risorse letterarie, poetiche, narrative, sociologiche, antropologiche di un giacimento, quello salentino appunto, su cui avevano avuto la controversa sorte di posare, sin dalla nascita, i piedi.
Il centro commerciale, alle porte di Lecce, in cui ci diamo appuntamento è in delirio per l’imminenza delle ferie estive, ma Livio che conserva l’aspetto del ragazzo padre di tre “figlie femmine”, ha considerato quello, in base alle reciproche esigenze, il posto migliore per incontrarci. Mentre le ragazze restano all’interno per completare i loro acquisti, noi ripieghiamo, per fare quattro chiacchiere, su una panchina all’aria aperta, lontana dal frastuono e dalla folla.
 Ci immergiamo in una dimensione nostra, quella del mondo letterario che accomuna gli scrittori di ogni genere e latitudine. Così s’infervora nello spiegarmi che la sua resta e sempre resterà una scrittura vera o comunque verosimile, aderente il più possibile alla realtà, lontanissima dal realismo magico alla Murakami, tanto per intenderci, ma anche da quei generi che vanno sotto il nome di Fantasy o Thriller. E resterà sempre anche una scrittura di denuncia, d’impegno politico e civile, di satira. Continuando a chiacchierare salta fuori un percorso di formazione vasto e variegato che va dalla laurea in Giurisprudenza, sicuramente responsabile del robusto e solido impianto narrativo dei suoi romanzi, all’attività di ricerca nel campo dell’Italianistica con un dottorato in Filologia e a quella di editor freelance, alla più che decennale esperienza come maestro elementare di Lingua Inglese e all’attuale incarico, nei corsi serali per adulti, per Italiano, Diritto, Storia e Geografia.
Un‘osmosi continua tra questi universi lo porta ad essere depositario di storie di vita che sono dei veri e propri romanzi.
Mi svela poi, sempre con quell’aria da ragazzino cresciuto, che da tempo immemorabile è soggetto alla regola del tre: tre “figlie femmine”, tre fidanzate (non tutte in contemporanea) e la ex moglie dotate ciascuna di due sorelle per un totale di tre, l’attuale compagna che pure ha tre figlie. Quando gli domando se, a questo punto della ricorrente trinità al femminile, conosce bene le donne, con fare arreso mi risponde che gli restano un mistero, un mondo complesso e affascinante e aggiunge: “Siamo troppo semplici, noi maschi”.
“Siete troppo semplici, è vero”, dico, “e noi facciamo fatica a capirlo”.
 “Bella questa!” Mi fa. E ci viene da ridere.
 
Una personalità interessante, caleidoscopica e profonda, ironica e impegnata la sua.  La preoccupazione per la difficile congiuntura politica e culturale in cui viviamo e in cui “Per troppa luce” (Fernandel Edizioni 2016), dal titolo del suo ultimo romanzo, anziché vivere si muore, non lo abbandona mai. Però La nota inconfondibile di una mente comunque votata all’ottimismo e al bello e al buono si alza netta e squillante, come pizzicata dalle corde di una delle sue numerose chitarre, acquistate e suonate, a parer suo, senza troppa perizia e poi subito rivendute per far spazio a una nuova, a quella successiva.  Che ne è stato della regola del tre? Persa nelle infinite galassie dell’universo chiamato Livio Romano.
  
Rossella Maggio

Note: elaborazioni fotografiche di Mauro Ragosta