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venerdì 19 febbraio 2021

Ritratto foto-letterario n°13: Giulia Puglia – di Mauro Ragosta

 

            È sempre stata nostra intenzione rappresentare in questa rubrica gli attori del mondo culturale salentino. E così si sono susseguiti, negli oltre due anni di vita di Maison Ragosta, scrittori, poeti, personaggi del teatro, pittori, musicisti. Questa volta, però, si è voluto derogare alla prassi consolidata di questa rivista. Tuttavia, come si avrà modo di constatare, questa non è un’infrazione piena delle nostre regole, in quanto la protagonista della presente “puntata” mostra alcuni aspetti di rilievo della sua persona e delle sue attività, tangenti il mondo dell’arte e dello spettacolo della nostra terra, sebbene essa sia una politica, peraltro di “ruolo”. 

            La scelta di Maison Ragosta, per il 13° ritratto, infatti, è caduta su Giulia Puglia, assessore alle attività produttive e turistiche del Comune di Nardò. Con grande gentilezza, grazia e garbo Giulia ha accettato il nostro invito e si è resa disponibile affinché si potesse realizzare questo pezzo. E proprio la delicatezza, la leggerezza, assieme ad una rara disinvoltura, con le quali si è proposta, sono state le prime cose che sono balzate all’intelletto e alle sue evoluzioni, nonché alla sensibilità, trovandosi così, in qualche maniera, di fronte una persona che si distingue non poco rispetto ad un più generale contesto, che sovente si presenta molto teso, poco fluido, impacciato.

            Dietro questo suo relazionarsi sicuro e disinvolto, privo di qualsiasi sfoggio di sorta, si è colto una giovane donna, Giulia per l’appunto, di grandissima forza d’animo e capace di trovare sempre la parola giusta al momento giusto, di dare in ogni caso ad una relazione una valenza positiva, sulla base del contesto di riferimento. In qualche modo ricorda lo stile del compianto Raffaele Baldassarre, ovviamente nella versione femminile: ragionevolezza, assertività, capacità di comporre gli interessi e le parti.

            Tutte qualità, quelle fin qui tracciate, che hanno permesso a Giulia di operare e dare compimento, assieme al suo leader, Pippi Mellone, a scelte politiche delicatissime e di estrema modernità, che in qualche modo hanno anticipato il futuro. E ciò, nonostante Giulia sia un’attivista da poco più di dieci anni. 

            Sicuramente, la grande forza, l’asse portante della nostra Giulia Puglia sta nella sua passione per l’organizzazione in generale. Nello specifico, ama molto impegnarsi nella creazione di eventi. È dunque, una mediatrice pura e, allo stesso tempo, una compositrice di interessi, in grado pertanto di conciliare ruoli e parti. Passione che si è tradotta nella vita privata in un’esperienza imprenditoriale e in politica, in proiezioni fortemente costruttive, la quali hanno portato a fare ombra su tutte le implicazioni e le sollecitazioni individualistiche, proprie e altrui.

            Non è azzardato definirla un essere solare, dietro la quale -vale la pena rimarcare- si nascondono o si intravedono con difficoltà una serie di qualità importanti, che tutte assieme le consentono di realizzare progetti, idee e disegni di grande rilievo, anche se lei, la nostra Giulia, riesce a piegarsi con facilità anche in operazioni più “minute” e di routine. Perciò è stato difficile ritrarla col mezzo fotografico, avendo questo la pretesa di declinarne i suoi principali e distinti aspetti, in qualche modo, convergendo tutti nella sua azione. Non sempre si riesce a capire, infatti, gli addendi e le modalità con cui esprime la sua eleganza, la sua sobrietà e la sua forza politica. Certamente, qui, in queste foto, un tentativo, che, per questo, non ha la pretesa di essere esaustivo del ventaglio di strumenti e di capacità, ma soprattutto di modi d’essere della nostra Giulia.

 

Mauro Ragosta


sabato 9 gennaio 2021

Ritratto foto-letterario n°12: Filomena D’Ambrosio – di Mauro Ragosta

 

          Nella galleria di Maison Ragosta non poteva mancare Filomena D’Ambrosio, pittrice tanto raffinata quanto misteriosa. Eh sì, perché le sue opere si pongono con forza all’attenzione dell’osservatore tanto sul piano meramente estetico, cromatico e tecnico, quanto su quello simbolico, dei significati ultimi o possibili dell’esistenza. Gianteresio Vattimo direbbe della D’Ambrosio che i suoi quadri esprimono una persona perfettamente realizzata, in quanto scomparsa a sé e agli altri. In tale direzione, la pittura di Filomena sono solo tracce, anche avare, e che per questo affascinanti, che stimolano l’osservazione e visiva e intellettiva, in un gioco dove si può a volte intravedere lei, a volte se stessi. Insomma, la pittura della nostra D’Ambrosio non si pone solo sul piano emotivo, ma assieme anche su quello intellettivo, in un rapporto di circolarità.

 

 

        Non è leccese! Filomena viene da quella regione che Franco Fontana, arcinoto fotografo di caratura nazionale ed internazionale, definì negli anni ’70 come quella più sensuale d’Italia: la Basilicata! Ma la nostra D’Ambrosio è una leccese part-time. E se da un lato non ha ancora deciso di stabilirsi definitivamente nel capoluogo salentino, dall’altro lo considera il suo campo base, da dove prendono vita tutti i suoi viaggi artistici e culturali per l’Italia e per l’Europa, con scopi sia di interscambio con altri artisti sia per esporre le sue opere. Tutte avventure ed esperienze che puntualmente si chiudono e la riportano a Lecce, dove forse ri-posa e ri-genera la sua delicata anima, il suo acuto intelletto, il suo esile fisico.

 

         Lunghe dunque le sue permanenze a Lecce, dove per altro ha compiuto i suoi studi superiori, presso l’Accademia delle Belle Arti. Qui, è ben nota, anche se la vecchia nobildonna, Lecce appunto, non ha ancora deciso su di lei. Non che Lecce sia provinciale, ma di sicuro esclusiva e, forse, la Nostra D’Ambrosio “deve” avventurarsi in discorso più profondo con Lei, questa città così severa e capricciosa assieme.


          Gli scatti che ho realizzato per Filomena, in linea generale illustrano i diversi aspetti della sua persona. M’è venuto spontaneo operare una certa scomposizione di ciò che invece si percepisce di lei in sua presenza. La nostra Filomena è una sorta di combinazione alchemica, il cui risultato finale è quello di una persona assolutamente gradevole, soprattutto a chi è autocentrato. In lei sono ben saldi, allo stesso tempo, il suo passato, le sue origini e il suo futuro con i suoi obiettivi, per cui nel rapporto interpersonale è sempre presente, diventando un’ottima interlocutrice, dove però la sua parte più profonda si enuclea in una sorta di presenza-assenza, “impalpabile” dunque, e per questo misteriosa ed affascinante. Peraltro con lei non si ha mai l’impressione di conversare per luoghi comuni o con un particolare autore letterario o filosofico. Tutto quello che proferisce, afferma, è frutto di un’elaborazione lunga e meditata, oltre che mediata dal suo intelletto, che filtra ogni informazione a lei presente e la attaglia con maestria da sarto d’alta moda, alla sua persona, al suo dire.

 

        Qui, insomma, cinque scatti realizzati negli scorsi giorni, di Filomena D’Ambrosio per i lettori di Maison Ragosta, sempre molto attenti ed esigenti, ai quali, questa volta, gli si vuol far apprezzare una giovane pittrice –ha quarant’anni- che opera tracce e lascerà tracce di sé.

 

Mauro Ragosta

sabato 26 settembre 2020

Ritratto foto-letteraio n°11: Patrizia Chiriacò - di Mauro Ragosta

Patrizia Chiriacò, donna tanto dolce e soave quanto energica e determinata, una leccese adottata da Gallipoli, che negli ultimi anni si sta affermando come pittrice, non solo nel Salento, e in una progressione spiccatamente geometrica. Colori tenui e forme sfumate ciò che imprime nei suoi quadri, ma allo stesso tempo, opere queste con una carica energetica ed emotiva, che irrompono nell’animo dell’osservatore, senza dargli la possibilità di capirne i perché di tale forza, di una siffatta possanza e consistenza da rimanere indelebili nell’animo e negli occhi. Di tanto è capace Patrizia Chiriacò.


La conobbi circa due anni fa, in primavera, ai tavolini del bar White a Lecce, per un caffé, e nonostante il mio essere irruento, largo, che tutto richiede, questo rimase inseminato dalle specifiche della sua carica di vita, che nel tempo sono cresciute nel mio animo e nel mio intelletto, sino ai nostri giorni quando le ho chiesto di ritrarla col mio piccolo attrezzo fotografico. Forte è stata la necessità di fissarla in alcuni scatti, di fermarla in alcuni fotogrammi, i quali da sempre sono un punto d’arrivo e un punto di partenza per chi fotografa e per chi viene fotografato. E così, procedendo a passo d’uomo, sono riuscito a realizzare il materiale che qui propongo ai lettori di Maison Ragosta, nella speranza che in qualche maniera questo rilasci le essenze, gli effluvi e le atmosfere della nostra Chiriacò.

Parafrasando Robert Musil, Patrizia è donna “senza qualità”, completa dunque: è moglie, madre, figlia, nonna e, allo stesso tempo, pittrice, frequentatrice di eventi culturali e mondani, attenta operatrice sociale, amica con spiccate capacità relazionali, nelle quali trova sempre le giuste misure e le giuste parole, i giusti sguardi, la migliore postura per ogni occasione.


La nostra Chiriacò è approdata con i suoi pennelli, alle attuali forme espressive, dopo lunghi anni di esercizi, prove, riflessioni, studi. Insomma, un percorso che non sempre è stato facile, soprattutto sotto il profilo intellettivo e negli aspetti esistenziali. Nel suo percorso formativo decisive sono state le influenze di eminenti artisti leccesi, quali Giancarlo Moscara e Oronzo Castelluccio. Molto importante è stata anche la vicinanza ad Ilderosa Laudisa, di cui, negli anni ’80, è stata allieva attenta e sagace.

Sul finire degli anni ’90, Patrizia inizia il suo percorso di docente, lasciando impronte profonde nei suoi allievi e nelle sue allieve, che oggi si cominciano a vedere chiare in certe espressioni artistiche. Ad ogni modo, realizza la sua prima mostra a Gallipoli nel 2006 e nel 2010 espone nella bellissima Galleria dei Due Mari, sempre di Gallipoli. Negli ultimi lustri, in ogni caso, diverse sono state le sue personali, non disdegnando le collettive.

Quest’anno Patrizia ha anche aperto un suo studio a Lecce, dove tra le altre, lavora anche come interior designer. Una vita la sua, in definitiva, che va componendosi in un articolatissimo puzzle, in tutte le prospettive, ovvero quella presente, ma anche quelle passate e future. Ecco, Patrizia è una pittrice che oggi, di certo sa esprimere bene i suoi senti-menti sulla tela, ma è donna che ha anche tanto da raccontare e molto interessanti sono i suoi sogni, le sue proiezioni in avanti, che sempre si producono in qualcosa di luminoso, sebbene in maniera magicamente discreta.

Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla produzione di saggi di Mauro Ragosta, può cliccare qui:https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 

 


mercoledì 2 settembre 2020

Ritratto foto-letterario n°10: Paolo Vincenti - di Rossella Maggio

Poliedrico, funambolico, indignato, arguto e anche comico, appassionato, spassionato, ironico, frizzante, mordace, sferzante, tonico e ipertonico, dionisiaco, apollineo, epigrammatico, satirico, esametrico, simposiaste, spondaico – a volte trocaico – dattilico, di certo incisivo, nostalgico, futurista, postmoderno, pervasivo mai invadente, invasivo, molcente, pungente, brillante, a suo modo suadente, convincente, vincente …Paolo Vincenti. Lo conosciamo per la sua vena ironica, tratto saliente della sua attività di giornalista e scrittore di cui ricordiamo “Neronotte Romanza d’amore e di morte (Libellula Edizioni, 2013), “L’ombra della madre” (Kurumuny Edizioni, 2015), “L’una e due. DiscorDanze” (La Fornace Edizioni, 2015), “L‘osceno del villaggio” (Argomenti Edizioni, 2016), “Italieni” (Besa Editore,2017), “Avanti (o) pop” (Argomenti Edizioni,2018).
Un tutto tondo forgiato dalla cultura classica, ma aperto ad ogni possibilità o fonte di ispirazione, Paolo ha avviato una carriera parallela collaborando con l’Università del Salento ed è socio ordinario della Società di Storia Patria di Bari, affiliato a quella di Lecce. Nello specifico mi riferisco alla sua attività di saggista, che lo vede impegnato nella stesura di vari lavori, tra cui quello appena pubblicato dedicato a Sabatino De Ursis, gesuita, astronomo, scienziato e botanico, vissuto fra Cinquecento e Seicento, e molti volumi di studi a sua cura, fra i quali quello sulla Grande Guerra e il Salento. Questa esperienza, senza dubbio stimolante sotto il profilo del metodo storico- scientifico, potrebbe costituire  un‘arma a doppio taglio, perché in netta contraddizione con la sua irruente creatività, sicché ora Paolo, e non è il solo in questo sforzo che accomuna tanti artisti per il solo fatto di essere venuti al mondo e poi di essere stati ammessi all’universo della conoscenza, ha anche acquisito una forma di bilocazione del pensiero organizzato su più livelli strutturali tra loro interconnessi tale da suggerire la santità speculativa.
Come avrete capito, ho per Paolo una stima che si è trasformata in affettuosa condivisione dei suoi scritti e soprattutto della sua varietà di interessi, condizione a mio parere essenziale per la composizione di un affresco esistenziale e intellettuale degno di questa definizione. Fra i vari interessi, mi confida con la sua inarrestabile parlantina e due occhi accesi, la corsa, il popolare jogging, potente rimedio contro lo stress, e le amate collezioni di fumetti della Marvel con i supereroi importati dall’America, quali l’Uomo Ragno, I Fantastici Quattro, Thor, Capitan America, l’Incredibile Hulk, ecc. Attinge poi, come fonte di ispirazione, a tanta parte del cantautorato italiano da quello più noto al pubblico a quello meno famoso ma di assoluta qualità, fra i cui esponenti cita Stefano Rosso, Giorgio Lo Cascio, Pierangelo Bertoli, Edoardo De Angelis, Jimmy Villotti, Luigi Grechi, quest’ultimo autore del testo “Il bandito e il campione”, reso celebre dal suo più conosciuto fratello, Francesco De Gregori. 
Qualche sera fa abbiamo insieme condotto una piacevole chiacchierata intorno al suo “L’una e tre. DiscorDanze”. Di parola. Di idee, di intelligenza, di pensiero e di concetto, ma anche di senso e di sensi perché Paolo fonda sui sensi il suo ritmo giocoso della vita e, anche nella parola poetica, al suo arco non mancano frecce felicemente “Vincenti”.

Rossella Maggio

mercoledì 5 agosto 2020

Ritratto Foto-Letterario n°9: Giuseppe Pascali - di Rossella Maggio

Ha un sorriso aperto, uno sguardo diretto e una vita intellettuale intensa. Si tratta di Giuseppe Pascali, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno e autore, fra le altre cose, del “Sigillo del Marchese”,(Lupo Edizioni), “La Maledizione di Toledo”( Il Grifo Edizioni), “La Confraternita del Re” (Kimerik).  
E un cultore del romanzo storico, reso intrigante dalla sortita nel Thriller.  Ed è soprattutto un appassionato delle pieghe più nascoste dell’esistenza e cioè delle vicende dei piccoli, degli sconosciuti, degli esiliati dall’affresco della grande storia e dalla storia dei grandi e dei grandi avvenimenti. Cerca così di dare voce e volto a personaggi di cui si hanno tracce nei documenti ufficiali, ma di cui, come il galantuomo e grande musicista Carlo Cesi, si è persa la memoria. “Scrivo dove si ferma la penna - dice - e le storie che sono dentro di me, mi saturano ed escono fuori, andando ad animare la carta”. Quando si tratta di descrivere le proprie passioni, Giuseppe si trasforma in un torrente di parole con un entusiasmo e una foga che ne testimoniano l’autenticità e la genuinità. Si diverte, ma veramente tanto, a ricercare, indagare e poi a scrivere, ed è questa gioia profonda dello scrivere e per lo scrivere, che cerca di comunicare e trasmettere al lettore, ovvero il puro piacere dell’offrire a chi legge, e naturalmente a sé stesso, il gioco multiforme e infinito della parola. Se ne va, in questo modo, a braccetto con Umberto Eco di cui mi richiama la nota espressione: “Io vorrei che il lettore si divertisse a leggere almeno quanto io mi sono divertito a scrivere”.  


 E non sono difficili da indovinare la sua ammirazione per l’autore di un successo letterario come “Il nome della rosa” e la sua tensione, tutta positiva, a seguirne le orme. Cosa lo può spaventare? Ciò che non riesce a condurre a termine: che sia un articolo o un romanzo, o che sia qualcosa di più profondo, intimo ed esistenziale. Gli chiedo, a tale proposito, di farmi partecipe di un suo ricordo d’infanzia e allora mi parla dei pomeriggi all’imbrunire e dei tetti, dei terrazzi e dei comignoli, che amava ammirare, passando, come in una dimensione incantata, perché gli davano una sensazione onirica, come di un mondo nel mondo.  E qui, da scrittori, conveniamo sul fatto che molto, anzi moltissimo del vissuto personale viene trasferito nei personaggi dei romanzi e che quindi ogni storia raccontata ha comunque una forte valenza autobiografica. 

Infatti sarà Caterina Cavazza, la protagonista del suo ultimo romanzo, a ereditare questa piacevole abitudine. Durante la nostra chiacchierata il sorriso non ha mai abbandonato il suo volto e una sana cordialità ha ravvivato il nostro dialogo, perciò mi confida apertamente che uno dei suoi vezzi prediletti consiste nel collezionare pipe, penne e cappelli di cui fa poi uso. E mi pare di fare un salto nel tempo. 
Lo vedo d’improvviso come qualcuno vissuto in altre epoche, lontane e diverse, in cui questi oggetti possedevano fogge e forme differenti. Me lo immagino come uno dei suoi personaggi, in quello cioè in cui Giuseppe, dando forma, si trasforma, divertendosi un mondo a scriverne. 
Rossella Maggio

sabato 4 luglio 2020

Ritratto foto-letterario n°8 : Livio Romano – di Rossella Maggio

C’è un prima, c’è un poi nella Letteratura salentina e il punto di svolta ha un nome: Livio Romano. Con lui si avvia la Letteratura salentina declinata al salentino, cioè centrata sugli scenari salentini e che dà voce al linguaggio dialettale salentino. Illustri precursori erano stati Vittorio Bodini, Maria Corti, Rina Durante che però restavano casi isolati. Invece “Mistandivò” (Einaudi Edizioni 2001), cui dedicai su “Il Corsivo”e all’insaputa dell’autore che ancora non conoscevo, una recensione nella quale salutavo con entusiasmo il primo dei giovani scrittori che, nella narrativa, ponevano l’accento sulla propria terra, avendo il coraggio di raggiungerne le radici e di portarne in superficie con forza descrittiva e sapienza introspettiva le contraddizioni. Qualche anno dopo non si contavano gli autori che riscoprivano le infinite risorse letterarie, poetiche, narrative, sociologiche, antropologiche di un giacimento, quello salentino appunto, su cui avevano avuto la controversa sorte di posare, sin dalla nascita, i piedi.
Il centro commerciale, alle porte di Lecce, in cui ci diamo appuntamento è in delirio per l’imminenza delle ferie estive, ma Livio che conserva l’aspetto del ragazzo padre di tre “figlie femmine”, ha considerato quello, in base alle reciproche esigenze, il posto migliore per incontrarci. Mentre le ragazze restano all’interno per completare i loro acquisti, noi ripieghiamo, per fare quattro chiacchiere, su una panchina all’aria aperta, lontana dal frastuono e dalla folla.
 Ci immergiamo in una dimensione nostra, quella del mondo letterario che accomuna gli scrittori di ogni genere e latitudine. Così s’infervora nello spiegarmi che la sua resta e sempre resterà una scrittura vera o comunque verosimile, aderente il più possibile alla realtà, lontanissima dal realismo magico alla Murakami, tanto per intenderci, ma anche da quei generi che vanno sotto il nome di Fantasy o Thriller. E resterà sempre anche una scrittura di denuncia, d’impegno politico e civile, di satira. Continuando a chiacchierare salta fuori un percorso di formazione vasto e variegato che va dalla laurea in Giurisprudenza, sicuramente responsabile del robusto e solido impianto narrativo dei suoi romanzi, all’attività di ricerca nel campo dell’Italianistica con un dottorato in Filologia e a quella di editor freelance, alla più che decennale esperienza come maestro elementare di Lingua Inglese e all’attuale incarico, nei corsi serali per adulti, per Italiano, Diritto, Storia e Geografia.
Un‘osmosi continua tra questi universi lo porta ad essere depositario di storie di vita che sono dei veri e propri romanzi.
Mi svela poi, sempre con quell’aria da ragazzino cresciuto, che da tempo immemorabile è soggetto alla regola del tre: tre “figlie femmine”, tre fidanzate (non tutte in contemporanea) e la ex moglie dotate ciascuna di due sorelle per un totale di tre, l’attuale compagna che pure ha tre figlie. Quando gli domando se, a questo punto della ricorrente trinità al femminile, conosce bene le donne, con fare arreso mi risponde che gli restano un mistero, un mondo complesso e affascinante e aggiunge: “Siamo troppo semplici, noi maschi”.
“Siete troppo semplici, è vero”, dico, “e noi facciamo fatica a capirlo”.
 “Bella questa!” Mi fa. E ci viene da ridere.
 
Una personalità interessante, caleidoscopica e profonda, ironica e impegnata la sua.  La preoccupazione per la difficile congiuntura politica e culturale in cui viviamo e in cui “Per troppa luce” (Fernandel Edizioni 2016), dal titolo del suo ultimo romanzo, anziché vivere si muore, non lo abbandona mai. Però La nota inconfondibile di una mente comunque votata all’ottimismo e al bello e al buono si alza netta e squillante, come pizzicata dalle corde di una delle sue numerose chitarre, acquistate e suonate, a parer suo, senza troppa perizia e poi subito rivendute per far spazio a una nuova, a quella successiva.  Che ne è stato della regola del tre? Persa nelle infinite galassie dell’universo chiamato Livio Romano.
  
Rossella Maggio

Note: elaborazioni fotografiche di Mauro Ragosta


mercoledì 17 giugno 2020

Ritratto foto-letterario n°7: Alberto Bevilacqua - di Rossella Maggio


Alberto Bevilacqua! Chi era? L’affermato narratore, il poeta, il noto regista, il giornalista o tanto altro ancora?  Possiamo, senza ombra di dubbio, affermare che era e resta letteratura nell’atto stesso di farsi, di accadere. Ad averci la fortuna di averlo conosciuto, ci si rendeva immediatamente conto che per Alberto non c’era differenza tra la letteratura e la vita perché le incarnava. Così, nel suo essere trovavano congiunzione: la prima smetteva di essere una cosa morta e lontana per diventare pulsante e reale, la seconda si trasformava nel contenitore vivente di ogni possibilità d’invenzione. Aveva una formidabile capacità di cogliere, in anticipo sui tempi, i nessi e le relazioni tra le cose, i fatti, gli stati emotivi individuali e collettivi, tale da giustificare le sue qualità sensitive, quasi medianiche, che erano soprattutto espressioni di una straordinaria intelligenza. Il suo più noto romanzo, La Califfa (Rizzoli 1964), che lo vide regista del film omonimo con Romy Scheider e Ugo Tognazzi, candidato a Cannes nel 1970, traccia la previsione di un Italia che sarebbe cambiata nei rapporti sociali ed economici, come poi è effettivamente accaduto. Il profetico poemetto “Essere Papa – Nuova Lettera ai Galati (Immagine e somiglianza), pubblicato sull’Osservatore Romano in occasione del settantacinquesimo compleanno di Paolo VI, suscitò un caso di larga risonanza. “Fui criticato, ma Paolo VI - diceva Alberto - in seguito, mi ringraziò!” - La sua forza intuitiva unita a una effervescente e variegata produzione, tutta di livello elevatissimo, trovava origine nella sua vulcanica vitalità e nella sua inarrestabile creatività. 
La sua produzione è sterminata, perché sterminata era la sua voglia e la sua capacità di vivere intensamente, di osservare, leggere e interpretare l’esistenza. Aveva due occhi di un blu profondo, emanava una forte sensualità, era magnetico e sapeva di poter essere, quando lo voleva, molto affascinante. Di questa sua qualità si serviva meno di quanto si possa pensare con le donne, con le quali stabiliva un rapporto di privilegiata comprensione, grazie ad una spiccata sensibilità, una grazia innata, la capacità d’ascolto. Gli veniva, invece, immancabilmente in soccorso e ne faceva sapiente impiego di fronte alle platee pubbliche e televisive, dove i suoi interventi risultavano brillanti, incisivi e spesso determinanti, anche perché animati da un vibrante e gradevole sentimento dell’ironia. Sapeva essere spiritoso e non mancava di una certa intelligente allegria. 
 
Non lo ricordo scontroso, anche se poteva esserlo, quando percepiva nell’interlocutore una meschinità di fondo, una cattiveria d’intenzione, ma sempre gentile e in genere accomodante. Il che non significava che, essendo un uomo profondamente libero e votato all’onestà interiore oltre che intellettuale, rinunciasse a affermare le proprie convinzioni. Non era uno scrittore compulsivo, no. Ma annotava mentalmente o a penna tutto quanto lo colpisse. Ed era ordinato, preciso, aveva le sue ritualità del mattino: Il caffè al bar, i giornali all’edicola della piazzetta di Vigna Clara. Li avrebbe letti seduto nella sua poltrona della sala, gustando il secondo caffè della giornata, prima di salire nel suo studio, nel superattico della sua casa romana. Lì smistava le telefonate e la posta e infine, dopo aver inserito la segreteria telefonica, si dedicava alla scrittura. Scendeva per pranzo e, salvo impegni, dedicava la seconda parte della giornata “al vivere”, come amava dire, e cioè a divertirsi, uscire, ridere, scherzare. Anche se da giovane - ricorda Indro Montanelli - era stato capace di scrivere “Una città in amore”, ritratto memorabile della sua Parma, nel bailamme della sala stampa di uno studio cinematografico.  Mi piace che venga ricordato seduto al suo tavolo da lavoro, con le sue belle matite colorate ben allineate, i suoi sigari, la sua Olivetti Studio 44, di cui diceva: “Fa i capricci, ormai. Sa che sarà sostituita dal computer e si ribella. Anche gli oggetti hanno un’anima.”

Rossella Maggio

martedì 29 ottobre 2019

Ritratto foto-letterario n°6: Pina Petracca – di Mauro Ragosta

          Dopo un certo periodo di silenzio, eccoci nuovamente attivi sul fronte dei ritratti foto-letterari, che si pongono come scopo quello di offrire al lettore di Maison Ragosta una visione più “tonda” di alcuni personaggi del ricco mondo dell’Arte, della Cultura e dello Spettacolo del nostro Salento, intercettando però quelli più emblematici, quelli in cui si distilla il nostro distretto culturale, oramai noto in tutt’Italia.
            Questa volta la scelta è caduta sulla poetessa Pina Petracca, donna matura la cui presenza sulla scena poetica leccese, intesa in senso ampio, perdura oramai da circa un ventennio, nel quale con i suoi versi, e non solo, ha prodotto un tracciato nella letteratura contemporanea locale, che non può non considerarsi. Tra le altre, va segnalato che, Pina è una delle poetesse preferite, forse quella in pole position, dalla grande Paola Pitagora. Ad ogni modo, di tutta la sua produzione, che sempre ha registrato un gran successo e consenso dei critici, va segnalata Inno alla Vita, la sua prima pubblicazione “benedetta” da uno dei personaggi più interessanti della nostra cultura, ovviamente ancora non riconosciuto solo per “questioni” tipicamente leccesi, quale appunto Roberto Antonucci, titolare della nota casa editrice leccese Liber Ars e scrittore raffinato, che pochi anni fa ha chiuso la sua esperienza terrena.
            Da Pina, dalla sua dolcezza, dalla sua mansuetudine e dal suo dire caldo, pacato e profondo ho ascoltato la più bella definizione di poesia. Al riguardo, molti grandi poeti e grandi poetesse in ciò hanno spesso utilizzato il famoso, per i professionisti della penna e dell’oratoria, “colpo di scena”. Ecco, Pina nel suo perimetrare la poesia, si trova agli antipodi. Senza stupire, stupisce anche le menti più acute! La sua semplicità, che in lei non è mai forzata o banale, giunge diretta a quello che è sintesi e distillato della Vita. E così, modulando la sua voce in uno scenario tutto levantino, quale quello di Santa Cesarea Terme, afferma che la poesia è la compagna della sua esistenza. Ed ecco che, la poesia si pone per Pina quale sua principale e privilegiata referente, che custodisce la parte più recondita e sincera della sua anima, ma anche del suo intelletto.
            Già su Maison Ragosta s’è trattato sulla poetica di Pina Petracca. Qui va solo segnato che “la sua compagna”, la sua poesia appunto, si dispiega in tutte le direzioni, da est ad ovest da sud a nord, come un diario senza fine dei suoi viaggi emotivi ed intellettuali, del suo cuore, in definitiva, che pulsa al ritmo del Mondo. Versi, i suoi, che nel loro dipanarsi acquisiscono nella loro interezza valore universale, in respiri sempre aderenti alle condizioni dell’Uomo e, allo stesso tempo, specchio dei tempi moderni.
            Il focus esistenziale di Pina si circoscrive nel sud-est salentino, tra Otranto, Castro, Tricase e Maglie. Vive, infatti a Surano, ma è ben conosciuta in Puglia ed anche al di là di “Candela”. Più volte mi sono incontrato con lei per realizzare le foto da riportare in questa rubrica, ma l’impresa fotografica tutte le volte è fallita. Perché? Semplice: è prevalso nei nostri incontri il piacere di conversare al tavolo di un bar davanti ad un caffè. E tutto ciò è stato motivo per il quale il tempo dedicato agli scatti è stato veramente esiguo, quasi rubato alla sete di scambiare le nostre idee, che  sparse, come la sua poesia, hanno fatto luce sul nostro vivere.
            Nel pirotecnico, “brilloso”, “scintilloso”, illuminatissimo ed infuocato scenario della poesia leccese, credo che la pacatezza e la grande riservatezza di Pina Petracca la pongano, assieme alla sua “compagna”, quale tesoro nascosto che solo pochi, nelle frenesie di questi ultimi tempi, in un andar dove nessuno sa, riescono ad individuare quale punto di partenza………..

Mauro Ragosta
           

mercoledì 11 settembre 2019

Ritratto foto-letterario n°5: Manuela Del Coco – di Mauro Ragosta

         Immanente e assieme trascendente; presente e allo stesso tempo assente; distaccata eppure piena di passione, entusiasmo. Insomma, Manuela c’è, ma è altrove….sempre! Questa è la Del Coco, e questo trasuda -oserei dire, tracima- abbondante dalla sua prima produzione letteraria, dal suo esordio libresco-librario nel mondo della cultura leccese Un volume -edito, in giugno di quest’anno, da Claudio Martino di Edizioni Esperidi-  nel quale, in ogni caso, è difficile cogliere questa sua dimensione non-dimensione, se non ai lettori più raffinati, quelli che sanno intra-vedere, o meglio sarebbe dire, respirare, o meglio ancora, percepire gli aromi che connotano le sequenze narrative che la Del Coco propone e che con acume nasconde, dando così alla sua opera orizzonti arcani, ma non misteriosi.
         Di certo è donna singolare! Perché? Lei, la Del Coco, di poco sotto i cinquanta, ha mitizzato e cultualizzato gli anni ’80: vive l’oggi in quel tempo, in quella Lecce! Non si è evoluta? Non è cresciuta? E’ la prima ipotesi a cui viene da pensare, ma è un’ipotesi solo illusoria e fuorviante. La De Coco, invece, vive il mito delle origini e si modifica all’interno di questo mito. Quale? Ma quello delle origini della Civiltà dei Consumi e dell’Opulenza, delle origini della Civiltà Contemporanea, che ha preso l’avvio con la produzione della famosa Ford T nera nel 1923 e che si è palesata a Lecce solo cinquanta anni dopo, negli anni ’80 appunto e che oggi è nel suo pieno.
         In tale direzione, è una motorista, è una rocchettara, ama David Bowie, ama il lusso e parimenti la negazione di questo, i jeans logori, le atmosfere annoiate, il disorientamento come atteggiamento e come rappresentazione non di sé, ma di una certa cultura, elevata, come accennato, a mito. Sia ben chiaro, lei sa perfettamente cosa vuole dalla vita! Ed in effetti, ha due splendidi bambini ed un solido matrimonio. Insomma, Lei rappresenta, mitizza la Lecce degli anni ’80, apparentemente stanca e scocciata, persa e spaesata, e allo stesso tempo che ostenta una durezza e una forza, che ovviamente nasconde le tipiche fragilità dei nostri tempi. E tutto questo con grande lucidità.
         All’interno di questo quadro ho realizzato i primi di questo mese le foto per Manuela. Anche lei con me è docile e mi ha assecondato con grande puntualità e attenzione. Ed ecco che, ho potuto realizzare degli scatti, che in sostanza, racchiudono le atmosfere di quegli anni ’80 intrise dell’oggi, di cui Manuela ne è l’icona vivente.

Mauro Ragosta