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venerdì 30 agosto 2019

Un bilancio sul primo semestre d’attività di Maison Ragosta – di Mauro Ragosta


            E così Maison Ragosta con questo pezzo chiude il suo primo semestre di attività, che ha preso avvio, infatti, lo scorso marzo, con molte certezze alle quali si sono associati non pochi dubbi. Il gruppo di lavoro di partenza aveva le idee chiare sul programma da portare avanti, sul progetto complessivo che si proponeva di porre sul mercato dell’informazione, ovvero insediare un giornale on line fondato esclusivamente su articoli di fondo per un lettore più esigente, che aveva bisogno di andare oltre la cronaca tout court o associare a questa una lettura più qualificata e capace di sviluppare sintesi di un qualche valore sulla nostra società.
            A ciò il dubbio più significativo, e cioè che più spesso si è insinuato nelle nostre convinzioni, è stato quello che ci ha fatto chiedere se avessimo avuto la forza di portare a compimento i nostri intenti. Un conto sono, infatti, le buone intenzioni, i progetti e i programmi, un conto è l’implementazione di questi, che richiede sì competenze, tenacia, intelligenza e creatività, ma anche tanta fortuna, o in una prospettiva religiosa, molte benedizioni e una Grazia, efficiente in questo caso. Dubbi, in ogni caso, che ci hanno indotti alla prudenza e alla ponderazione, ma soprattutto ad investire in concentrazione. A tal riguardo, tuttavia, non poche volte i nostri articoli sono stati veri e propri fendenti culturali per il lettore, il quale non è rimasto indifferente, e non poche volte ha reagito con grande intelligenza.
Ed ecco che, per il momento, siamo arrivati al primo semestre d’attività con una produzione di oltre sessanta articoli e con un contatore dei visitatori del sito che ha superato abbondantemente le 12.000 visualizzazioni. E tutto ciò con dinamiche piuttosto regolari, sebbene il moto ondivago delle circostanze non sia mancato. Ma siamo riusciti, tutti assieme, a mantenere la rotta, anche quando l’entusiasmo ha ceduto il testimone alla forza d’animo, talché oggi ci troviamo a segnare il primo Punto Nave. Un risultato questo non scontato e non di poco rilievo dal momento che il nostro impegno non è sulla cronaca, molto più seguita e molto più popolare.
            Al di là del dato quantitativo, che pure dà indicazioni significative sul nostro operato, ciò che mette in luce la bontà e l’efficacia della nostra impostazione deriva dai tanti apprezzamenti che ci sono venuti da lettori particolarmente qualificati, che sempre hanno messo in evidenza la nostra chiarezza, la nostra semplicità e, allo stesso tempo, la profondità delle nostre asserzioni nonché la capacità di spiegare fenomeni complessi in maniera agile e comprensibile, senza alcun  tipo di panegirico. Certamente, la nostra formula letteraria ha richiesto una costante applicazione sia sotto il profilo della costruzione ragionata e modellizzata di ogni articolo, sia per la scelta del lessico che non è stata cosa facilissima. E ciò anche perché si è deciso che i nostri articoli non debbano superare le settecento parole. Insomma, è qui, sul lavoro letterario che s’è soffermata la nostra attenzione e che è stata risparmiata e ridotta al minimo sul piano della cura della grafica del sito, che, invece, come è evidente anche all’osservatore non specialista in materia, si presenta minima ed elementare, anche se prossimamente è previsto qualche passo in avanti in tale direzione.
            Per tutto ciò il mio ringraziamento più sentito va ad Andrea Antonello Nacci, che cura la rubrica di esoterismo, anche se al momento è in stand by; a Massimiliano Lorenzo, sempre al mio fianco, che cura la rubrica che ha per oggetto la recente storia politica italiana; a Danilo De Luca, la cui permanenza in Maison Ragosta è stata breve, ma decisiva per varare la rubrica sulla comunicazione, e al “piccolo genio” Andrea Tundo che da qualche tempo ha avviato la rubrica sulla storia dell’informatica. Ca va sans dire, che noi tutti ringraziamo con grande riverenza e -perché no?- anche con affetto chi ci segue ed ha riconosciuto il valore del nostro impegno. E ciò anche ai lettori più lontani, come gli statunitensi e gli irlandesi, che sempre hanno mostrato un interesse particolare per il nostro giornale.

Mauro Ragosta

martedì 27 agosto 2019

La Rivoluzione Informatica (parte seconda) – Gli anni ’50: i primi grandi progressi – di Andrea Tundo


Come s’è già chiarito nel precedente articolo di questa rubrica, le fondamenta per l’avvio della rivoluzione informatica, che ancora oggi si presenta in una progressione esponenziale, vengono gettate dalle idee e invenzioni di Alan Turing, tra la fine degli anni ’30 e gli inizi degli anni ’40 del secolo scorso. Certamente, Turing non fu l’unico studioso focalizzato sulle problematiche matematico-informatiche, ma di sicuro il più decisivo. E tuttavia è solo nel decennio successivo, negli anni ’50 appunto, che le nuove conoscenze si espandono in maniera più vasta e cominciano a radicarsi all’interno di alcuni comparti della società, soprattutto quelli più strategici per la gestione di un territorio, come da qui a breve si metterà in luce.
Si è anche accennato in precedenza anche all’invenzione e alla commercializzazione del primo computer, avvenuta nel 1941, ma è bene specificare che fino a tutti gli anni ‘50 per computer altro non si intende che un potente calcolatore e nulla più. Non si era ancora in grado, infatti, di realizzare dal punto di vista pratico una macchina che rispondesse a una sequenza di istruzioni, la quale operasse su entità diverse dai semplici numeri o meglio che interagisse coi numeri come entità. Insomma, non si andava al di là dell’elaborazione di codici numerici, al contrario di oggi in cui ad esempio in cui i computer hanno codici vocali, grafici, sonori e via dicendo sino alla robotica. Ciononostante, per l’umanità già questi progressi furono in grado di generare delle profonde modificazioni nelle principali istituzioni pubbliche e private e, tuttavia, solo di rimando ed indirettamente sull’intera società. Infatti, l’uomo comune non riuscì a percepire i grandi mutamenti, questi mutamenti che avrebbero da lì a qualche decennio e nella loro progressione, completamente rivoluzionato il suo modo di vita, sia sul piano lavorativo, ma anche su quello esistenziale e sociale.
Altro grandissimo risultato ottenuto nel campo dell’informatica, in questi anni, senza il quale la maggior parte delle successive scoperte e innovazioni non sarebbero state possibili, fu la Teoria dell’Informazione di Shannon. Essa presenta riscontri in varie discipline oltre a quella informatica, come la fisica e la matematica applicata, la statistica, lo studio della linguistica e in moltissimi altri campi. Ciò che è rilevante per il proseguimento del nostro percorso è che, di fatto, questa teoria offrì un modello di interazione tra intelligenze artificiali, ovvero essa descrive come due macchine potessero essere messe in comunicazione. Senza la formula elaborata da ShannonInternet non esisterebbe, così come non sarebbe possibile utilizzare un telefonino, e gli esempi potrebbero continuare all’infinito, fino ad arrivare all’oggi dove l’essere umano interagisce con la macchina in prima persona e colloquialmente. Al riguardo, si pensi a Siri della Apple o Alexa di Amazon, per giungere, chissà, magari in un futuro molto prossimo, quando l’uomo dovrà convivere con la volontà di un algoritmo.
Va da sé che le varie scoperte scientifico-matematiche e le relative applicazioni tecnologiche in questo periodo, negli anni ’50 appunto e come s’è avuto modo di sottolineare, non ebbero un evidente e visibile riscontro dal punto di vista sociale, nella vita di tutti i giorni dell’uomo comune, per intenderci, ma vennero utilizzate per potenziare la macchina burocratica e soprattutto militare dello Stato (in prima battuta negli Stati Uniti e subito dopo in URSS), sui piani, ad esempio, della velocizzazione dei censimenti della popolazione e dei calcoli balistici necessari per affinare i lanci di missili e i proiettili da artiglieria. In tale direzione, non è azzardato ipotizzare che, la Guerra Fredda, la quale, in questo decennio, registrò la parte più acuta della sua parabola, deve in maniera non irrilevante proprio ai progressi in campo informatico la sua accelerazione, in una riconcorsa agli armamenti sempre più sofisticati. Sicché, come è noto e come è ovvio, i primi e sostanziali progressi in campo informatico sono stati di ausilio e trovano applicazione nella soluzione di problemi tipici dei vertici della società, anche se non tarderà molto quando le tecnologie connesse all'informatica cominceranno a "scendere" nella piramide sociale ed interessare fasce di popolazione sempre più corpose.

Andrea Tundo

domenica 25 agosto 2019

La famiglia: una possibile chiave di lettura per la politica – di Mauro Ragosta


            In prima battuta va messo in luce che, per analizzare un fenomeno sociale e poter realizzare proficue speculazioni occorre fare riferimento ad un modello di lettura del fenomeno stesso. Modello che è un’esemplificazione della realtà, ma che dà la possibilità di formulare riflessioni di ampio respiro, le uniche in grado di permettere di tarare l’agire politico. Se si entrasse nel caso concreto saremmo, invece, nel campo della cronaca, che di per sé non può dare o far accedere a visioni d’insieme. E qui va ancora specificato che cosa si intenda per politica. Se nella Prima Repubblica si attribuiva il significato di arte dell’amministrazione dello Stato, con la Seconda Repubblica, avendo questo dismesso molti settori prima di sua pertinenza in favore delle grandi e potenti famiglie italiane, che oggi determinano le sorti di molti comparti della vita nazionale, per politica si deve intendere la visione che si ha della società nel suo insieme.
            Ciò premesso, utile per la nostra breve disquisizione si presenta la schematizzazione della famiglia nelle sue attuali varianti, almeno in Italia, prodotti delle recenti modificazioni culturali, avviatesi negli anni ’70 del secolo scorso. E così, un primo tipo di famiglia che si può trovare nella nostra società è quella tradizionale, tendenzialmente deputata alla procreazione. Questa è composta da una donna, che ha la funzione “dell’accoglienza” che mette al mondo dei figli e li accompagna alla vita sociale, e un uomo che rappresenta la parte spirituale di questo piccolo aggregato umano, il quale ha la funzione di rimanere elemento fisso attorno al quale ruota tutta la famiglia, che viceversa si disperderebbe. A questa si associa la famiglia mista, senza precisi ruoli specifici tra maschio e femmina e senza un preciso perimetro. Si parla spesso in tali casi anche di famiglia allargata. Anche questa famiglia, comunque, tendenzialmente è vocata alla procreazione. A queste due si associa la famiglia senza identità di genere, sovente sterile, ma che può educare dei bambini. Si pensi alle coppie gay e tutto ciò che a queste si assimila.
            Tale schematizzazione, sebbene esemplifichi molto la realtà, dà la possibilità tuttavia di formulare le direttrici della politica. A questo punto però accorre definire se la politica debba adottare orientamenti propositivi, e cioè debba rifarsi a valori ed obiettivi formulati a tavolino ed ideali, o procedere in un’ottica che strumentalizza la realtà, ovvero verifica la morfologia sociale del fenomeno famiglia e formula una politica sulla base dell’incedere popolare, che dunque segue e promuove.
            Nell’una e nell’altra ipotesi, la politica, e quindi l’orientamento delle grandi famiglie italiane e dei grandi aggregati religiosi e spirituali, deve definire se essa deve passare dallo Stato, che si fa carico del processo evolutivo della famiglia, o essere oggetto di azione fondamentalmente privata. In tale direzione la politica, con i suoi principii e i suoi alfieri, dovrà decidere come intervenire sugli aggregati familiari individuati poco sopra.
            In tutto questo non si può tener conto della diminuzione della popolazione italiana, che, dal 1993 ad oggi, vede perdere, per effetto della diminuzione delle nascite, sei milioni di unità, circa il 10% della popolazione. Tutto ciò compensato solo dalla grande immigrazione, tale che negli ultimi trent’anni ha fatto mantenere invariato il numero di abitanti in Italia, e cioè a livello di 63 milioni di unità. Naturalmente, la diminuzione delle nascite di italiani è dovuta solo in parte a cause strettamente economiche. A queste vanno aggiunte altre cause, tra le quali vanno segnalate la modificazione della cultura in senso individualistico ed edonistico, ma anche la mancata emancipazione, in senso esistenziale, dei giovani, che rimangono a livelli adolescenziali anche a tarda età, lo sviluppo di forme alternative della vita sessuale.
            E così, per concludere, non è facile intercettare una politica, soprattutto oggi, che soddisfi la complessa articolazione del fenomeno famiglia nel suo insieme, ma non è neanche impossibile dare più significative direttive, capaci, se si tiene alla sopravvivenza del popolo italiano, di dare impulso a certi orientamenti. Certamente, se la sussistenza del popolo italiano non è una priorità, allora, si provvederà diversamente e così nel giro di vent’anni al massimo, di italiani ne rimarranno meno della metà di oggi e si avrà un gran meticciato, tanto agognato da certe componenti politiche.

Mauro Ragosta

venerdì 23 agosto 2019

Pot-pourri di artisti da Alex Hairstylist a Lecce - redaz.


            Giovedì prossimo, 29 agosto, serata di sicuro interesse da Alex Hairstylist a Lecce in Piazza Libertini al primo piano del civico 10. A partire dalle 18:00 sono in programma una sequenza di momenti artistico-culturali, tarati su varie sensibilità per soddisfare un pubblico esigente e raffinato. Una delle ricche serate ideate ed organizzate da Alex Margiotta, cui ne seguiranno delle altre fino a dicembre, seguendo un file rouge innovativo e all’avanguardia nel contesto leccese. Per il resto, sarà tutto da scoprire.
            Ciò detto, si parlerà della visione della donna da parte di Alex Margiotta e le soluzioni migliori per le acconciature dei capelli, in grado di dare risalto, di volta in volta, alle qualità ed alle esigenze comunicative tipiche femminili. In tale direzione, va subito fissato che nella prospettiva di Alex particolare accortezza ci vuole nell’impostazione artistica delle acconciature per le donne ovviamente, che si muovono all’interno di una proiezione classica dell’esistenza e della comunicazione. Qui decisive si presentano le capacità del parrucchiere di andare al di là della tecnica, senza tuttavia prescindervi. La donna classica, infatti, si muove all’interno di un perimetro comportamentale fatto di sobria eleganza e femminilità, mettendo in risalto le sue qualità animiche ed intellettuali, tali da porla nel dialogo sociale ad un livello più alto. Naturalmente, questo è solo uno dei tanti registri che pone in essere Alex, possedendo una tavolozza espressiva veramente ampia.
            Un altro momento della serata sarà centrato sull’opera di Marina Colucci, tarantina, ma leccese d’adozione. E proprio qui, nel capoluogo salentino (ma non solo), la Colucci è una nota pittrice per le sue capacità metaforico-allegoriche nel rappresentare la nostra società, quella del nostro tempo, in produzioni pittoriche ricche cromaticamente e dotate asimmetrie, all’interno di un’economia -la sua opera d’arte appunto- che riesce sempre a muoversi su due piani, quello intellettuale e quello emotivo, che difficilmente lasciano indifferente l’osservatore. Va da sé che, i suoi quadri più che collocarsi in una prospettiva descrittiva e spirituale, presentano forti i segni del simbolico e del simbolismo, ed in quanto tali destinati ad importanti speculazioni artistico-intellettuali.
            Chiude il trio Mauro Ragosta, scrittore noto in molti circuiti leccesi e della provincia salentina, ma anche lui come la Colucci con liaison di caratura nazionale ed internazionale. Ragosta, però, più che scrittore ama definirsi un pensatore, trovando più emozionante la produzione intellettuale rispetto all’arte dello scrivere, che pure presenta soddisfazioni importanti, ma mai apicali come la produzione delle idee. Al centro del suo frangente culturale da Alex, sarà, a piacimento degli ospiti, messo al centro della conversazione uno dei suoi ultimi lavori. A partire dal 2017, varie sono state le sue pubblicazioni nelle proiezioni narrativa, saggistica, storico, economico. Tra queste vale la pena qui segnalarne alcune, come L’arte dello Scrivere; L’arte del Conversare; L’arte del leggere; L’arte della Vita; A spasso per Gallipoli (romanzo). Insomma, uno scrittore che ama speculare e costruire idee e pensieri, non mancando, a volte e in maniera spregiudicata, di sforbiciare delle verità inquietanti sulla persona e sulla società, quella di sempre.
            Insomma, una serata, se non obbligatoria per gli amanti del bello, sicuramente da tenere in debita considerazione nelle intenzioni progettuali di un giovedì sera di fine agosto. Ovviamente, per questioni organizzative del momento mondano-culturale, chi volesse partecipare è pregato di segnalare le proprie intenzioni, telefonando al 340-5230725/347-9373804

mercoledì 21 agosto 2019

Lecce? Forse, meglio che non sogni………- di Mauro Ragosta



         Per molti decenni Lecce s’è rifugiata nel posto statale. Ambìti, poi, a partire dagli anni ’90, sono stati gli impieghi negli istituti bancari e presso l’Università. Insomma, Lecce, negli ultimi sessant’anni si è prodotta in una frenetica corsa al posto fisso, alla fissità appunto. La coppia perfetta leccese è, lui alto funzionario dello Stato e lei professoressa di lettere alle superiori.
         Da qui, la naturale tensione di Lecce verso tutto ciò che non si muove, verso tutto ciò che è conservazione. I valori leccesi per eccellenza sono la sicurezza, la sistemazione, l’ordine. Nessuno spazio ai sogni, nessuno spazio alle avventure, se non in un contesto protetto e prevedibile. Non a caso i leccesi, anche nel tempo libero, scelgono vacanze programmate, crociere: tutto in estrema sicurezza e prevedibilità. Forse come allo zoo? E tutto ciò che è incerto e avventura, è bandito, è un disvalore. Guai a parlare di progresso e progressisti. Non a caso, poi, chi esercita un’impresa viene visto con sospetto. Ed è per questo che le imprese a Lecce sono poche: mancano all’appello, rispetto alle medie nazionali, un 20% di imprenditori.
         Lecce ha voluto così, nonostante il prezzo alto in termini di disoccupazione e sacrificando i giovani ad un ingresso nel mondo del lavoro, faticoso, doloroso, drammatico spesso. Peraltro, questi, educati alla fissità, si sono ridotti in uno stato in cui è assente qualsiasi slancio creativo, qualsiasi slancio avventuroso e avventuristico, se non all'interno di un paradigma ludico.
         Scelte queste apparentemente giuste, dal momento che nel 2016 la nostra città ha registrato un dato importante: è il capoluogo e il centro abitato più ricco di Puglia, con un reddito procapite superiore a quello di Bari e che supera, appunto, i 21.000 euro.
         Ma ad un certo punto la ricchezza, acquisita nell’ultimo decennio, ha prodotto uno strano effetto: sempre più Lecce apprezza i sogni e i sognatori, il progresso e i progressisti. Da un momento all’altro, Lecce vuole cambiare, pur non avendo nessuna esperienza in tema di cambiamento. La ricchezza le ha dato sicuramente alla testa. Da qui il disastro. Lecce si abbandona ai sognatori, che non hanno tradizione avventuriera, imprenditoriale, ma solo piccolo-amministrativa, e manageriale di cabotaggio di periferia. Lecce non sa che perseguire un sogno bisogna essere virili e disposti a pagare prezzi altissimi. Ciò lo dimostrano i grandi sognatori!
         Cosicché, oggi, Lecce è sporca, le sue strade sono sporche, infatti, e nella maggior parte dei casi sono dissestate, le sue tasse sono ai massimi livelli, molti dei suoi beni culturali, poi, non sono fruibili, la viabilità non è più comprensibile. Insomma, Lecce da piccolo centro di periferia, benestante, tranquillo ed ordinato, s’è trasformato in quello che non è azzardato definire un piccolo inferno.
         Lecce credeva che bastasse la ricchezza per sognare, per cambiare, per ambire al progresso. Lecce non sa che il sogno è una questione di educazione, è un prodotto culturale, è qualcosa che va seminato nel profondo, nei recessi più nascosti della sua popolazione e in tutto questo il denaro ha una rilevanza minima. E non basta essere uomini di lettere o colti o ancora poeti, per orientarsi verso lo sviluppo, che implica crescita e cambiamento. E non basta andare alla Bocconi………
         Verrebbe da affermare che Lecce, forse, non deve sognare, non è nelle sue corde, non a caso i suoi antenati, i messapi, erano un popolo, che nonostante fosse circondato dal mare non praticava la navigazione, né era un popolo di conquistatori: giocava in difesa.
         Tornare sui propri passi si può? Forse! Certamente, se Lecce vuol proprio sognare, che impari a sognare. E per imparare ci vogliono decenni e grandi sacrifici…ci vuole un’azione che si sviluppi alle fondamenta, nei giovani dunque, da educare, non al posto fisso, ma a guardare all’orizzonte, in un atteggiamento di sfida.

Mauro Ragosta

lunedì 19 agosto 2019

Post-evento n°4 – Meo-Mastria: tandem vincente alla Sagra del Diavolo – di Mauro Ragosta


        Per antonomasia il Diavolo è colui che divide, frammenta, disperde, rende liquido. Sabato e domenica scorsi, ovvero il 17 ed il 18 agosto, il Diavolo alla sua Sagra, tenutasi a Galatone in contrada Bascetta, invece,  è venuto meno, almeno per lunghi tratti, alle peculiarità della sua Natura. La Sagra del Diavolo, infatti, è stato un grande evento organizzato dal collettivo Sbam con la direzione artistica del musicista Luigi Bruno ed è alla sua ottava edizione. Ha visto la partecipazione di numerosi ed eterogenei operatori artistici assieme ad un corposo gruppo di artigiani, singolari nelle loro produzioni, che hanno dato vita a momenti culturali decisamente armoniosi e, comunque,  singolari. Particolarmente interessante, dall’altra, è stata la partecipazione di un pubblico sempre composto e garbato, che ha fruito di oltre 5.000 mq di postazioni destinate ad eventi di varia caratura e natura.
Uno dei momenti sicuramente significativi, all’insegna dell’unità e della convivialità culturale, si è avuto durante la rassegna letteraria organizzata, nei due giorni, da Giorgia Meo, titolare della casa editrice leccese I libri di Icaro. La Meo, infatti, è riuscita a catalizzare la partecipazione di un folto gruppo di scrittori (18), peraltro collegati a varie case editrici. Tra queste vanno annoverate I Quaderni del Bardo, Salento d’Esportazione, Milella, Il Raggio Verde. Ovviamente, non sono mancati autori che hanno pubblicato con I Libri di Icaro.


Con riferimento ai due gruppi di scrittori, che hanno presentato i loro lavori più recenti, v’è da marcare che la composizione è stata ben orchestrata dalla Meo, che è riuscita a creare nelle due serate un mix tra autori oramai collaudati e giovani esordienti, tutti, in ogni caso, proponenti idee e racconti significativi ed indicativi dell’attuale corso culturale del nostro territorio. Tra gli autori più esperti vanno citati Stefano Delacroix, Giuseppe Resta, Maria Carrassi, Antonella Tamiano e l’elegantissima Bruna Malizi Caroli. Tra gli esordienti, tutti bravi, vanno menzionati sicuramente Annatonia Margiotta, Vanessa Paladini e Antonio Galati. Un cenno a parte merita Fabio Siciliani, protagonista di una performance poetico-attoriale di particolare pregio.

                                                                                                 Ph Luca Vetere

Anello di collegamento delle due serate è stata Fiorella Mastria, oramai decisamente matura nella sua attività di presentatrice e conduttrice di serate, sebbene abbia esordito poco più di tre anni fa. La Mastria, infatti, ha saputo dosare sapientemente tempi e ritmi dei vari interventi nei quali si sono susseguiti gli autori, riuscendo sempre a tenere alto il livello di attenzione della platea e non mancando di modulare le varie conversazioni in relazione alle atmosfere che si contrassegnavano e si addicevano alle serate. E’ lei che ha rappresentato magistralmente la parte più avanzata di questa iniziativa di I Libri di Icaro, sebbene attorno a lei s’è mossa un’organizzazioni di non poco conto.

Mauro Ragosta

giovedì 15 agosto 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (undicesima parte)- L’emergere delle nuove funzioni dello Stato: il gioco d’azzardo- di Massimiliano Lorenzo


Dopo aver tracciato un breve quadro circa le dismissioni delle funzioni politiche in ambito economico da parte dello Stato a favore dei privati ed in particolare delle grandi famiglie italiane tramite un gruppo di operazioni che si avviarono con la liquidazione dell’IRI, ora ci si soffermerà su una delle nuove funzioni dello Stato italiano, che prende corpo a partire dal 1992.  Si allude al gioco d’azzardo, che in Italia diventa fenomeno dilagante con l’avvio della Seconda Repubblica e rispetto al quale se da un lato lo Stato si erge a controllore del fenomeno dall’altra mette in moto tutta una serie di provvedimento che hanno portato il gioco d’azzardo a svilupparsi in maniera ipertrofica, divenendo una piaga sociale, rispetto alla quale però pare che i costi generati dai malcapitati impegnati in queste attività “ludiche”, siano inferiori ai profitti e ai benefici per le casse dello stesso Stato e delle imprese che attorno alla questione vivono. Ovviamente, né destra né sinistra hanno sollevato alcuna questione sul fenomeno…..tutto tace, nonostante sia argomento che riguardi le fasce più deboli della popolazione.
Quella delle scommesse è un’antica pratica che alcuni fanno risalire a diverse migliaia di anni fa, giunta fino a noi e regolamentata in maniera diversa, nel corso del tempo, dai governanti, che si trattasse della Chiesa o dello Stato. Le autorità hanno sostanzialmente sempre osteggiato le attività che oggi chiamiamo gioco d’azzardo, anzitutto perché intravedevano una perdita di potere e controllo. Quando poi nel corso della storia, le organizzazioni territoriali iniziarono a strutturarsi e ad imporre anche una tassazione, il gioco d’azzardo venne più o meno regolato.
Venendo ai giorni nostri e al nostro Bel Paese, i primi interventi indirizzati al gioco d’azzardo vennero intrapresi nei primi anni ’90 dello scorso secolo e a qualcuno sfuggirà cosa visse l’Italia in quegli anni. È d’obbligo allora far presente in quale cornice lo Stato italiano decise di mettere sotto il proprio controllo scommesse e giochi simili. Il gioco d’azzardo in Italia venne liberalizzato e sottoposto a tassazione durante la crisi valutaria della lira e delle speculazioni sui titoli di Stato, che stavano colpendo fortemente le casse pubbliche. Insomma, la decisione di regolamentare e imporre dei prelievi sulle giocate ebbe tra i suoi obbiettivi quello di rimpinguare le casse statali. Praticamente, un “obolo” dei cittadini, convinti di poter incontrare la “dea bendata” e fare il colpo della vita, che potesse risolvere tutti i problemi del precario vivere.
Detto questo, parlando di bilanci statali e di un’autentica industria è necessario snocciolare qualche dato, per fare una rappresentazione del fenomeno e dare un’idea di cosa sia il gioco d’azzardo e le scommesse per lo Stato italiano. In queste attività sono ben 6600 le imprese coinvolte a più livelli, con un numero di occupati nel settore che si aggira intorno alle 100 mila unità. Parliamo insomma di una importante fetta dell’occupazione e del bilancio statale. E ancora. Se nel 2000 la somma scommessa dai giocatori, più o meno incalliti e patologici, si attestava intorno ai 20 miliardi di euro, dopo vent’anni la cifra si è quintuplicata, raggiungendo “quota 100” (miliardi).
Si parlava di tasse e prelievi sulle giocate, ovviamente imposte agli enti che offrono i servizi scommesse e giochi d’azzardo, scaricate sui giocatori. E qui, ça va sans dire. Bene, di quella quota 100 circa il 20% si divide tra entrate per lo Stato e fatturato del settore. Facendo due conti rispetto agli ultimi dati rinvenuti riguardanti il 2016, sui 96 miliardi di euro che componevano la somma delle giocate, le entrate per lo Stato corrispondevano a quasi 10 miliardi l’anno (0,6 % del PIL e l’1,3% delle entrate dello Stato), contro i 9 miliardi per le aziende di servizio. Il playout - la percentuale raccolta e restituita ai giocatori sotto forma di vincita o premio – si aggirava intorno a 77 miliardi. In breve i giocatori esborsano cifre che gli vengono restituite solo per un 75% e quindi nel complesso i giocatori mediamente perdono il 25% delle somme scommesse.
La situazione diviene però più chiara quando si legge invece il dato delle perdite degli italiani negli ultimi 10 anni, parliamo di una cifra che supera i 180 miliardi di euro. Gli utenti di questi servizi crescono di anno in anno, specie perché il mercato ha abbracciato ormai da tempo la digitalizzazione e l’online, così come la possibilità di giocare su piattaforme estere. Purtroppo, conseguentemente, si sono quadruplicati i ludopatici, con un importante impatto per gli istituti di salute.
A conclusione, quindi, cosa sono per lo Stato italiano scommesse e gioco d’azzardo se non una forma di prelievo indiretto, tra tasse e percentuali sulle giocate di tanti cittadini? A guardare i dati, infatti, viene da dire che lo Stato italiano, nonostante gli avvertimenti della scienza sulla ludopatia, continua a permettere queste pratiche perché gli garantiscano un ulteriore tesoretto, oltre a quello di tasse ed imposte, per le proprie politiche (solo in parte di contrasto). È insomma un settore in continua espansione, in termini di denaro e giocatori, al quale uno Stato con le casse perennemente in deficit difficilmente contrasterà seriamente, nonostante tutto quello che ne consegue.
Massimiliano Lorenzo

lunedì 12 agosto 2019

Saper comunicare (parte quinta)- L’ascolto: primi rudimenti – di Andrea Tundo


         E’ sempre più frequente sentirsi dire che nella comunicazione bisogna saper ascoltare. E questo è vero, ma in pochi ci dicono in cosa consista veramente, cosa significhi ascoltare. E ancor meno, ci evidenziano che prima di ascoltare occorre che la nostra comunicazione deve avere degli obiettivi. Ed in effetti, mancando di precise necessità la nostra attività di ascolto è del tutto inutile, perché in definitiva non vogliamo comunicare nulla di significativo e preciso.
In linea generale, quando non abbiamo intenti precisi nella comunicazione il nostro dire è fortemente inquinato dalle necessità istintive, dalla necessità di sopraffare alla ricerca d’affetto, al consenso, al sesso. E questo non vale solo per noi, ma anche per il nostro interlocutore. Non a caso, molto spesso siamo catapultati in discussioni che non portano da nessuna parte. E questo perché il nostro interlocutore non ha nessuna intenzione di arricchirci tramite le sue parole, i suoi pensieri e cogitazioni, non ha nulla da dirci, in definitiva. Sovente il suo unico scopo, infatti, è quello di “vomitarci” addosso i suoi rancori, i suoi dolori e le sue frustrazioni, non poche volte parlando male dell’altro e, soprattutto, senza andare al sodo, ma facendo infiniti giri di parole. Un incedere impossibile a dargli corso, ovvero una risposta, anche perché in questi frangenti il nostro interlocutore “mettere a cuocere” moltissimi argomenti tutti assieme, senza una precisa intenzione e strategia comunicativa. Da qui, prendono corpo le cosiddette “orge verbali”.
         Mettersi in posizione d’ascolto, quindi, presuppone, quasi sempre, avere dei precisi obiettivi da raggiungere nell’interlocuzione. Anzi, più sono netti tali obiettivi, più efficiente ed efficace diventano le nostre facoltà nell’ascoltare. Ma da che cosa dipende la nostra capacità d’ascolto?
         Saper ascoltare, ed in definitiva comprendere gli obiettivi e le intenzioni della nostra controparte per cercare una possibilità di scambio, dipende in prima battuta dal nostro grado di cultura in merito all’argomento oggetto della conversazione. Qui potremo rilevare una posizione di superiorità, che facilità molto le nostre strategie comunicative, ma anche una posizione di inferiorità, che ci deve indurre a molta prudenza e attenzione. Non capire in che rapporto è la nostra cultura rispetto a quella della nostra controparte comprometterà sicuramente il raggiungimento dei nostri obiettivi e darà corso ad una strategia comunicativa del tutto errata.
         Saper ascoltare dipende anche dal nostro stato di coscienza o dalla nostra lucidità mentale ed intellettiva. Qui, va da sé, che bisogna essere in grado di comprendere il nostro grado di lucidità nel dettagliare la realtà e dunque le manifestazioni verbali del nostro interlocutore ed i retrostanti obiettivi. Ci sono momenti in cui siamo più lucidi ed altri meno. E non sempre ciò è dovuto a fattori, tipo la stanchezza. Bisogna conoscersi bene dunque, altrimenti saremo poco efficaci e poco efficienti. Peraltro, va aggiunto a ciò, che vi sono cose che potranno essere comprese solo se si è particolarmente lucidi, più del normale. E quando le nostre capacità di comprendere sono molto acuminate viene da dire che siamo stati “illuminati”. Quindi, prudenza nel comunicare quando non abbiamo uno stato di coscienza in allerta e tale che ci permetta di ascoltare in maniera adeguata.
         L’ascolto, infine, dipende molto anche dalla nostra capacità di comprendere l’animo umano, di inquadrare il soggetto che interagisce con noi, nelle sue peculiarità caratteriali, psicologiche e comportamentali. Queste nostre qualità ci permetteranno di capire le sensibilità e gli snodi sensibili del nostro interlocutore e da qui il suo modo e le sue tecniche verbali con cui ci parla e comunica. Insomma, capire la persona nei suoi aspetti animici ci permette di ascoltarla e recuperare molte informazioni per decidere la nostra comunicazione in termini di strategie e tattiche.
         Fin qui, dunque, i principali elementi, anche se ve sono molti altri, dell’ascolto, che ci permetteranno più in là di affrontare temi, ad esempio, sulle strategie e sulle tecniche d’ascolto e da qui sulle strategie e sulle tecniche comunicative, sulla scelta del linguaggio e del lessico……….come si formula un pensiero da comunicare.

 Andrea Tundo

lunedì 5 agosto 2019

Evento-avvenimento: Scena Muta di Ivan Raganato per Copertino – di Mauro Ragosta


Si sa, nemo propheta in patria! Carmelo Bene, come Tito Schipa, non ebbe in vita fortuna a Lecce e nella sua terra in generale. Tutte le eccellenze non hanno vita facile in “casa”. Grazie a Dio, tuttavia, non mancano le eccezioni. E una di queste è per Ivan Raganato con la sua compagnia teatrale, Scena Muta di Copertino, perché mercoledì prossimo, 7 agosto, sarà, per la prima volta dopo aver maturato una lunga carriera, in Piazza del Popolo proprio a Copertino, la sua città. Questione non semplice, per un artista, essere sdoganato e riconosciuto nella propria comunità, ma Ivan Raganato, finalmente e dopo un interminabile e duro lavoro, ce l’ha fatta ed esordirà dunque, domani, col suo gruppo di attori, con una pièce interessantissima. Si tratta di una rivisitazione in chiave ironica, e in molti tratti esilarante, del famosissimo elaborato di fine  Cinquecento, di Shakespear, ovvero Romeo e Giulietta. Il titolo dell’opera del geniale autore inglese è stato ribattezzato Giulietta, Romeo e….Giuliana. Uno spettacolo che susciterà sorrisi ed ilarità di vario genere, ma anche tante riflessioni. Insomma, un momento teatrale di qualità ed in quanto tale per tutti e per nessuno, ovviamente nel perfetto stile di Ivan Raganato. Ecco dunque, una serata da non perdere, la prima di una terna che Copertino saprà apprezzare e, nell’occasione, conoscere meglio le sue capacità artistiche. Sipario, ore 21:30.

Mauro Ragosta

giovedì 1 agosto 2019

Politica leccese: il punto della situazione prima della pausa estiva – di Mauro Ragosta


        Nelle linee portanti, oramai chiare nel febbraio scorso, la politica leccese prosegue nel suo percorso senza grossi scossoni, sostanziandosi, infatti, nel progressivo sbancamento della vecchia classe dirigente che si sintetizzava nel centrodestra, dove però qui non mancano i segnali di un nuovo corso, all’interno di un contesto di completo rinnovamento, lontano e sganciato dalla tradizione del centrodestra leccese.
            E così, prosegue la politica di contenimento delle spese dell’Amministrazione Comunale, che mette in sofferenza tutti gli snodi economici a questa connessi, dove però quelli collegati al centrosinistra paiono sostanzialmente esonerati dalla pena, in virtù dell’azione della Regione, che in maniera sapiente, continua a dare certa linfa. A tal proposito, si pensi, ad esempio, a tutti quegli operatori economici del comparto dell’Arte, dello Spettacolo e della Cultura, che a Lecce occupano un ruolo di non poco conto nel tessuto produttivo della città. Ma lo stesso vale anche negli altri segmenti produttivi. Ecco che quindi l’asse Salvemini-Emiliano, in tale rappresentazione, appare vincente e strategico per portare a termine il rinnovamento del quadro politico leccese.
            A ciò va aggiunto che, pregnante appare anche la questione Lupiae, agar nutritizio per il voto al centrodestra, per la quale pare siano oramai pronte le misura per un sostanziale “dimagrimento”. E tutto lascia intravedere che, a breve, tra ottobre e novembre, inizieranno le altre manovre, molto simili, per la SGM, dove però la situazione sarà meno tensiva, anche perché il management pare presentarsi decisamente versatile.
            Sul fronte opposto, vari sono i tentativi formali per il rilancio in un’ottica rinnovata del centrodestra. Abbastanza roboante è stato l’annuncio congiunto di Pala e De Benedetto. Tuttavia, voci di corridoio danno Pala in quota alla Lega, fra qualche tempo. Uno scambio importante per il Consigliere, ma solo temporaneo, dal momento che tutto lascia pensare che la corazzata di Salvini, una volta portate a termini un paio di importanti operazioni, venga progressivamente messa in disarmo.
            Inoltre, tutto lascia immaginare che Perrone, invece, da qui a poco, si defilerà dalla scena politica, come altri soggetti, che hanno incassato il rifiuto dell’elettorato, nella tornata scorsa.
            Ma la vera novità nel centrodestra è Messuti. Tutto lascia prevedere che da lui ripartirà la ricostruzione del conglomerato politico destrorso, ovviamente in una prospettiva completamente inedita. Messuti, infatti, come s’è messo già in evidenza in Maison Ragosta con un precedente articolo, sta sperimentano una nuova figura di politico, non più rappresentante, ma intermediario. Una figura sulla quale progressivamente si sta investendo e che ha cominciato a prendere forma e consistenza intorno a febbraio scorso, ma sulla quale, come è noto, si sta lavorando da tempo. Non è un caso, nella fattispecie, il suo recente incarico in Forza Italia.

Mauro Ragosta