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sabato 22 aprile 2023

Post-Evento n°19: Serata antologica per Arnaldo Miccoli, ieri a Cavallino presso il Palazzo Ducale – di Mauro Ragosta

 

         Nella gremita sala consiliare del Comune di Cavallino sita nel Palazzo Ducale, ieri sera, a partire dalle ore 19:00, si è dato il via alla mostra di Arnaldo Miccoli, la quale insisterà nella Galleria dello stesso Palazzo dei Castromediano, fino al prossimo 12 maggio.

         Un vernissage del tutto particolare quello legato all’Opera di Miccoli. Per i lettori che non conosco Arnaldo, va brevemente detto che è un noto pittore di origini cavallinesi, ma che per oltre mezzo secolo è vissuto prevalentemente in America, dove la sua attività pittorica lo ha portato a frequentare, relazionarsi e confrontarsi con artisti del calibro di Andy Warhol. Attualmente, rientrato nella sua Cavallino, lavora e opera ancora in maniera alacre e vigorosa.

Ora, se il Nostro, di sicuro è artista di caratura internazionale, peraltro molto conosciuto a New York e nel New Jersey, ieri sera si è posto un accento marcato sulla sua attività poetica, che perdura sin dagli anni ’60. Anzi, egli, durante la serata ha “confessato” la sua preferenza per la poesia, che avrebbe voluto coltivare maggiormente e dalla quale avrebbe voluto avere più riscontri, rispetto all'attività di pittore. Querelle esistenziale, che risolve facendo risalire le cause di ciò alle congiunture della sua Vita, le quali hanno favorito e dato più spazio all’Arte, con le sue tele, i suoi pennelli…i tubi e i tubetti di colore, quasi tutti ad olio.

         Così, tuttavia, non appare a Noi di Maison Ragosta, che da più di un lustro seguiamo le attività espressive tout court del Miccoli. All’attento osservatore, infatti, non può sfuggire che la sua attività di pittore e quella di verseggiatore in vernacolo, non solo sono due aspetti della “stessa medaglia”, ma elementi inscindibili, facendo parte di un unico puzzle artistico-espressivo, quale appunto quello del nostro Miccoli.

Dove, dunque, il distinguo tra poesia e pittura in Arnaldo? Dove la stretta interdipendenza tra la poesia in vernacolo e l’attività artistica, nel Nostro? Ma sicuramente, nella proiezione temporale! Non può sfuggire all’attento osservatore che la poesia di Arnaldo Miccoli è centrata sulla tradizione religiosa e popolare -e nello specifico spesso cavallinese- sul ricordo, sulla memoria di una Cavallino di ieri, parametrata a quella di oggi. In due parole, la poesia per Arnaldo Miccoli è strumento che declina il passato. All’opposto troviamo la pittura, dove le sue tele declinano, invece, il futuro...

Arnaldo Miccoli, dunque, con un occhio al passato, verseggiando in vernacolo e un occhio al futuro, dipingendo opere, gran parte delle quali sono anticipatorie, non solo della sua vita, ma della società nella quale esiste ed insiste. Non a caso, durante questo vernissage, egli stesso sottolinea che alcune delle sue opere datate, anticipano e avvertono i nostri tempi di guerra a tutto tondo, ovvero non solo verbali e relazionali, ma anche svolte con cannoni e bombe vere.

Al riguardo, tuttavia, va rimarcato ancora e in più che gran parte dell’Opera del Miccoli si pone nel futuro. Basta osservare molti dei suoi quadri, soprattutto quelli che esprimono soggetti femminili, realizzati tra la fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70, ritrovando in essi non pochi abiti e le atmosfere di cui si circonda la nota cantante statunitense Lady Gaga. In più anche molte delle scenografie dei corto della nota star americana, adottati solo dopo il 2005, ricordano le opere degli anni ’60 di Miccoli. In tale direzione, si possono collocare anche molti degli ambienti e degli abiti indossati nei suoi cortometraggi, da Aaliyah, nota cantante internazionale newyorkese, deceduta prematuramente nel 2001

E così, se nella sua poesia in vernacolo, Miccoli esprime spesso una romantica nostalgia del tempo che fu, con le sue tele, invece, ci riporta nel futuro, tramite simboli, metafore, allegorie, destrutturazioni di cose e soggetti, con colori sovente pastellati, ora spenti ora accesi, dove emergono non solo le contraddizioni dell’Uomo moderno e che verrà, ma anche le ambivalenze, le follie dell’essere umano. E anche qui non è un caso e neppure una coincidenza che Arnaldo intitola questa sua Mostra “Patti e Ricatti: come al solito riesce a produrre sempre qualcosa che può essere letta a più livelli, e capace di far andare il pensiero nelle alte sfere dell’esistenza e dei meccanismi profondi della società e della stressa Civiltà.

Insomma, Miccoli è uomo che conosce profondamente la Vita. È uomo che vede lontano, ma è capace di guardale in maniera significante al passato e comprendere con grande perizia il presente, sicché l’appellativo di Maestro si deve dare in prima battuta per la sua sapienza e per la sua conoscenza, che trasudano in maniera abbondante e in una dinamica fortemente interconnessa in tutta la sua Opera, che a Noi appare quale promozione culturale di primo livello. Da qui, solo dopo va apposta la prestigiosa qualifica per la sua proiezione, sia essa poetica, sia essa pittorica.

Al di là di tutto questo, ieri sera la sala consiliare di Cavallino offriva presenze molto qualificate, non solo di noti scrittori, giornalisti e artisti locali, ma anche nazionali, fino ad alcuni ospiti e colleghi di Arnaldo, che son venuti sin dalla Spagna e dalla Russia.

Ad aprire la serata è stato il Sindaco di Cavallino, l’avvocato Bruno Ciccarese Gorgoni, che facendosi portavoce del Consiglio Comunale, ha voluto fortemente quest'evento. Il moderatore è stato il dott. Ludovico Malorgio. A dialogare con Miccoli è intervenuto, invece, il dott. Alessandro Laporta, Direttore Emerito della Biblioteca Provinciale “Nicola Bernardini”. Era previsto anche l’intervento di Toti Carpentieri, noto e storico critico d’arte della nostra Terra, ma gravi questioni personali hanno imposto la sua assenza. In ogni caso, Toti Carpentieri assieme a Stefania Maggiulli Alfieri hanno firmato il catalogo della mostra di MiccoliPatti e Ricatti”.

 

Mauro Ragosta

 

sabato 18 marzo 2023

Riflessioni intorno a Pippi Fasano in occasione del suo 86° compleanno – di Mauro Ragosta

 

      Oggi, 18 marzo 2023, Pippi Fasano, noto commerciante di Surbo è giunto a compiere il suo ottantaseiesimo compleanno. Un’occasione importante che Maison Ragosta coglie come pretesto non solo per porgergli gli auguri per il traguardo raggiunto e auspicargli lunga vita, ma anche per dedicargli una riflessione, come persona e come attore sociale che ha dato -e noi siamo sicuri che darà ancora per molto tempo- un contributo di sicuro significato e di rilievo sia per chi gli è stato a fianco, ma anche per tutti coloro che con lui hanno interagito.

      E tutto questo perché Pippi Fasano è stato, e lo è ancora, oggetto d’attenzione dello scrivente per un grappolo di motivi sia personali sia legati alle sue attività di studioso e scrittore. In effetti, la vita di Pippi Fasano non può non essere motivo di riflessione su più piani e a più livelli, perché in lui si sintetizzano bene molti degli ingredienti dell’Arte della Vita, ma anche non pochi elementi della nostra Cultura. Di fatto, non è un caso se Pippi Fasano, negli ultimi cinquant’anni è stato uno dei protagonisti di spicco della comunità di Surbo, la cui esistenza tuttavia ha avuto ed ha ancora una eco forte che supera abbondantemente anche i confini provinciali.

        Chi tra i lettori di Maison Ragosta non conosce Pippi Fasano, al proposito deve sapere che stiamo trattando di un commerciante, che per vocazione, per scelta e per passione, da sempre svolge tale attività in forma ambulante. Assieme alla moglie, è sì titolari di un negozio di abbigliamento nella sua Surbo, ma Pippi Fasano, essendo un “giocatore importante”, ha bisogno di larghi spazi: non può, infatti, giocare nei campi di periferia e neanche nei campi di calcetto; ha bisogno di un campo vero. E così, ha trovato congeniale per la sua attività commerciale la formula dell’ambulante e, io aggiungerei anche, di affarista, che gli consente di avere un respiro operativo ampio e diversificato. Un’attività, sempre nel settore dell’abbigliamento, nella quale Pippi insiste da più sessant’anni e che sino a qualche anno fa si è proiettata in molte delle aree commerciali del Meridione. Certamente, con l’avanzare dell’età, Pippi ha dovuto ridimensionare il raggio d’azione sul piano territoriale, intrattenendosi oggi sulle piazze di Frigole, Surbo, Lecce, Gallipoli e Trepuzzi, ma questo non ha intaccato il suo entusiasmo, la sua grinta. Tant’è che, tra le sue tante caratteristiche, ancora oggi per Pippi le condizioni atmosferiche sono variabili irrilevanti per lo svolgimento della sua attività.

            Ora, proprio questo dato, ovvero “il più di sessant’anni”, deve far riflettere, credo tutti, non solo perché per svolgere un’attività per più di mezzo secolo ci vogliono particolari abilità, ma soprattutto perché essa è stata ed è ancora svolta in ambito commerciale, questione ovvero ancora più complessa e difficile. In effetti, all’attento osservatore, Pippi Fasano più che un commerciante d’abbigliamento è un alchimista del commercio, capace di soluzioni inedite, spesso non contemplate in nessun manuale di tecniche di vendita e di marketing. E sottolineo alchimista e non artista del commercio, perché l’artista si avvale sempre di una tecnica, che puntualmente supera, ma Pippi Fasano, attraverso varie e spesso sconosciute combinazioni di elementi, fatti e cose, riesce a trovare soluzioni uniche e irripetibili: alchimia insomma….

            E non si sta sul mercato per così tanto tempo solo perché si è equilibrati e calcolatori. Per un uomo il mercato è come una donna, sicché spesso per mantenere il legame, si deve essere capaci di giocarsi tutto in un solo tiro di dadi, ma anche trovare le giuste soluzioni per rimettersi in gioco, quando si viene atterrati. E il mercato ti atterra ciclicamente… Non solo! C’è bisogno soprattutto essere capaci di trasformare l’entusiasmo giovanile in amore, dedizione, costanza, fedeltà………..che tanto spesso vengono messe a dura, a durissima prova.

            E nelle belle alchimie commerciali di Pippi Fasano, si trova poi tanta cultura contadina, spesso così snobbata, soprattutto dai cittadini, inconsapevoli e impossibilitati a connettersi e riconnettersi ad una cultura che rimanda alla terra. Se infatti, il cittadino vive di profitto e di cessione della forza lavoro, il contadino no, sostanzialmente no, perché è Madre Natura che compie quasi tutto il lavoro produttivo e cede a prezzi bassissimi il frutto della sua opera. In buona sostanza il contadino vive di Grazia, della Grazia di Madre Natura, che si riverbera nella sua vita sociale. Per i contadini il donare non solo è processo imitativo e di unione e ricongiungimento con la Natura, ma è anche un atto sacro e di ringraziamento, un atto necessario. Cosa questa che non accade nella città dove tutto è solo scambio, dove ognuno cerca di migliorarne le ragioni, ovvero pagare il meno possibile, il prezzo più basso e ottenere, al contempo, il massimo risultato, beneficio, la migliore contropartita a discapito degli altri.

            Ecco, in Pippi Fasano vive questa cultura contadina che si amalgama con la cultura commerciale riuscendo così a trovare delle soluzioni spesso sconosciute, che il più delle volte hanno in sé radici antiche, dimenticate, completamente ignorate dall’uomo d’oggi ….dai giovani….

            Ma Pippi Fasano non è solo questo!!! È anche attore primario nella storia calcistica di Surbo, uomo che ha lasciato una forte impronta riconosciuta da tutto il mondo calcistico salentino. Con i suoi quarant’anni di attività di presidenza del gruppo calcistico di Surbo, dal 1972 sino al 2007 circa è riuscito, infatti, a regalare ai tifosi e agli appassionati di calcio momenti spesso carichi di emozione, gioia, pathos, con grandi ricadute sulla vita sociale del piccolo centro salentino del circondario di Lecce. Una squadra, quella del Surbo che la presidenza di Pippi Fasano è riuscita anche a far giocare nel campionato dell’Eccellenza.            E per chiudere questo piccolo quadretto, che Maison Ragosta ha voluto offrire a Pippi Fasano stesso e ai propri lettori, va marcato con forza che egli, assieme a sua moglie, ha donato alla comunità di Surbo tre figli e sei nipoti, e soprattutto per questi ultimi, del nonno, con lo scorrere del tempo e quando la vita di volta in volta glielo consentirà, ne scopriranno sempre di più il valore e la ricchezza, che in loro stessi ritroveranno infusa, permettendogli quindi di apprezzarne in maniera vieppiù chiara, l’esempio e la forza, in tutti gli ambiti dell’esistenza….

         Per tutto questo, oggi, 18 marzo, più che la festa di Pippi Fasano, è la nostra festa perché lui è tra noi…. non credo infatti che sia azzardato affermare che egli sia un luminoso punto di riferimento. Questo non significa che il Nostro non abbia una certa difettistica, ma di sicuro è persona a cui rivolgere lo sguardo, ispirarsi, rapportarsi e …parametrarsi, anche. Auguri, caro Pippi……..

 

Mauro Ragosta

sabato 25 febbraio 2023

Post-Evento n°18: Con Salvatore Luperto alle soglie del Mistero, ieri ad Arnesano – di Mauro Ragosta

 

            Serata di taglio molto alto quella di ieri al Palazzo Marchesale Bernardini di Arnesano in occasione della presentazione del cortometraggio “di-segni mistici” per la Regia di Salvatore Luperto, noto critico d’arte salentino, che da oramai un ventennio e più, è impegnato in molte attività di diffusione e divulgazione delle specificità della cultura locale, non mancando di avere un’attenzione e un respiro di caratura nazionale e non solo. Peraltro, con Anna Panareo e Cristina Caiulo, Salvatore è responsabile dei Venerdì Letterari che si tengono mensilmente a Magliano, presso La Serrezzula di Anna Misurale, nonché direttore del Museo Cavoti di Galatina.

            Un parterre molto qualificato, composto anche di noti scrittori leccesi e docenti universitari, è stato dapprima orientato alla visione del Corto e successivamente ha potuto godere della disamina critica dello stesso da parte del professore Carlo Alberto Augeri, oramai da più di un decennio, uno dei più importanti pilastri del mondo culturale salentino. 

            “di-segni mistici”, della durata di circa venti minuti, si sostanzia nella ripresa di alcune delle maggiori opere verbo-visive italiane all’interno della chiesa della Trinità dei Monti a Roma. Un corto che si sviluppa su quattro livelli, che si intersecano, si sovrappongono e si disarticolano in un gioco di immagini-momento di grande tensione spirituale. In particolare, il mix è composto dalle riprese di alcuni particolari della chiesa romana, delle opere artistiche qui contestualizzate, alle quali si accompagnano, e non come sottofondo, ma come parte integrante del corto, degli stralci di musica gregoriana e due voci fuori campo, che esplicitano in maniera combinata dei passi tratti dai Salmi ed altri di composizione dello staff di Salvatore Luperto.

            Si tratta di un elisir, “di-segni mistici”, inedito nel mondo verbo-visivo, che di solito si propone nelle forme classiche e canoniche nella sua somministrazione al pubblico. Nel suo corto, Salvatore, invece, ha voluto dare una forma diversa e tutto sommato, nuova e sorprendente.

            A tutto questo, Carlo Alberto Augeri nella sua visione critica ha dato, con un carattere esponenziale, spessore e sostanza, producendosi in una significativa dissertazione sul concetto di mistico, non mancando di offrire gli aspetti storici e sociologici del fenomeno, rifacendosi da una parte alla cultura tardo-medioevale ed eremitica, e dall’altra rapportandola alla cultura moderna e contemporanea. Ma c’è di più! Augeri giunge ad illustrare un possibile sentiero, che la struttura verbo-sonora del corto di Luperto, offre a chi lo guarda e osserva, per giungere così alle soglie del mistico, alle soglie del Grande Mistero, ovvero della possibile fusione col divino.


            E così, approfittando delle immagini di apertura e di chiusura del “di-segni mistici”, che riprendono il Santo Eremita, San Francesco di Paola, il nostro Augeri si è intrattenuto su un mix di temi, quali il silenzio, i limiti dei sistemi simbolici atti alla comunicazione, le possibilità di un’interpretazione del segno, di qualsiasi genere, nella prospettiva dell’ambivalenza, dove moltissimi sono stati i riferimenti storici e biografici, riuscendo a far entrare gli astanti in una dimensione esistenziale a molti sconosciuta. In tale direzione, Augeri ha più volte sottolineato, anche in una prospettiva provocatoria, che all’Uomo moderno e contemporaneo è di fatto negata ogni proiezione mistica del vivere, pur non mancando a ciò delle eccezioni.

            Insomma, una serata veramente speciale, forse esclusiva a tratti. Una serata che, con molta probabilità, Salvatore ha voluto fortemente nell’intenzione di superare molte delle défaillance dell’arte modera, che molti oramai definiscono ripetitiva e senza nessuna novità o nota che la proietti nel futuro. E tutto sommato a chi ha “occhi attenti” Salvatore è riuscito a colpire l’obiettivo, se non in pieno, in molte parti di sicuro. In tutto questo, un ruolo di sicuro rilievo l’hanno avuto Anna Panareo, Roberto Lupo, Liliana Elbaginelli, che con lui hanno attivamente collaborazione per la realizzazione del particolare corto, “di-segni mistici”, che per lo scrivente si sostanzia in una traccia importante della fine della nostra Civiltà, e che in sé contiene gli elementi di quella nuova, nuovissima, che è alle porte e che vuole un Uomo nuovo, probabilmente capace di superare con agilità il pensiero logico-discorsivo e la stessa Ragione.

 

Mauro Ragosta

venerdì 17 febbraio 2023

Post-Evento n°17: Ieri, un tuffo nell’Eternità con Valentina Ronzino, presso la Biblioteca Bernardini - di Mauro Ragosta

 

          Spesso ci si affaccia sull’Eternità, talvolta, anche se molto raramente, ci si cade dentro! È ciò che è accaduto ieri, 16 febbrai 2023, presso la Biblioteca Bernardini di Lecce, in occasione della presentazione della seconda pubblicazione di Maria Valentina Ronzino per Edizioni Esperidi.

            Una presentazione speciale, almeno per quel che riguarda lo scrivente, perché ci si è trovati in una situazione felicemente paradossale. Valentina, trentatré anni, è una “non vedente”, ma la serata si è sviluppata in una prospettiva assolutamente imprevedibile, perché, a tutti gli effetti e sotto tutti i profili, lei era la vedente assisa di fronte ad un pubblico che con molto probabilità non è azzardato definire, pur contemplandosi le dovute eccezioni, cieco o meglio accecato dai luoghi comuni, dai preconcetti  e comunque chiuso in sovrastrutture culturali, spesso di stampo consumistico, capitalistico, soffocato da necessità omologanti e di omologazione. Pareva di essere in Uno Contro Tutti di Costanzo.

            La serata, come è ovvio, ha preso spunto dall’ultima pubblicazione di Valentina: Estratti dall’Anima. Un volume che Valentina definisce come un pot-pourri di pensieri in versi, dimostrando tutta la sua onestà intellettuale. Lei, donna molto colta, ma soprattutto di rara intelligenza, rendendosi conto che è impossibile definire cosa sia poesia, ha trovato per il suo elaborato, quest formula che parrebbe un escamotage, ma di fatto non lo è, perché alla fine, come per tante parole, anche per il termine poesia non esiste un significato unico e condiviso, nonostante molti si affannino a definire e perimetrare, ma inutilmente tuttavia. Di fatto, non esiste un significato di poesia, o meglio la poesia è qualcosa solo passibile di percezione, di intellezione, ma non di concettualizzazione.


            A presentare Estratti dall’Anima, con il conforto di Roberta Marra, uno dei titolari delle Edizioni Esperidi, vi è stata Anna Rita Favale, nota giornalista e scrittrice, che con delicatezza e, sostanzialmente con fare molto prudente ha offerto a Valentina, come si direbbe nella retorica calcistica, degli assist favolosi. Sicché Valentina ha sottolineato con raffinata dolcezza, ma al tempo stesso con forza e in maniera secca precisa e senza orpelli, alcuni concetti rivoluzionari presenti nel suo volumetto, perché disvelanti una Realtà che molti non hanno la possibilità di vedere mentre questa scorre dentro e sotto di noi.

            Valentina ha affermato con forza che l’anima non muta, è fissa, ferma, come il sole. Un concetto di portata deflagrante, per noi che concepiamo la vita in termini di sviluppo, di crescita, di evoluzione, per noi che guardiamo al passato come qualcosa di insufficiente e deficitario e al futuro come l’occasione per il compimento di ciò che effettivamente siamo.

            Da qui, si è creata una frattura tra il pubblico e Valentina, soprattutto quando ha marcato più volte di non aver bisogno di niente. Un’affermazione che, come si evidenzia nel prologo del Vangelo di Giovanni, “…le tenebre non l’hanno accolta.”. Noi concepiamo l’esistenza come mancanza e bisogno, insufficienza. Una concezione, che si potrebbe definire, della disperazione…

            Ma ricuciamo tutto, partendo dal fatto che pochi sono stati i filosofi, gli storiografi e gli scienziati che hanno avuto il coraggio di mettere in evidenza che la Storia non esiste, se non nella prospettiva formale. Lo stesso Zichichi afferma che l’idea dell’evoluzione rientra solo nella prospettiva delle opinioni: non è una verità, perché è qualcosa non dimostrabile con metodo certo e scientifico. Non esiste progressione dunque. Da altro verso, il noto storiografo Marc Bloch, nel suo famoso volumetto l’Apologie pour l’Histoire ou Métier d’Historien, sottolinea che non si può conoscere il presente se non si conosce il passato, ma del pari non si può conoscere il passato se non si conosce il presente, definendo così, in maniera sottile e non esplicita, che la storia non esiste, sono sempre, nella buona sostanza, gli stessi giochi e gli stessi meccanismi, seppur “in salsa diversa”. E potremmo andare avanti, ma non per molto. In ogni caso, la Nostra Valentina, giovane donna di trentatré anni sa perfettamente tutto questo, anche attraverso una proiezione intuitiva e visionaria.

            E così Valentina è conscia della sua perfezione che si produce in un’eternità fatta di studio e musica, dove queste non vengono concepite nella prospettiva della mancanza, ma semplicemente come esplicitazione del suo essere immutabile nel tempo, che si palesa di volta in volta in uno dei suoi aspetti. Lei dunque un diamante che, nella sua unità, di volta in volta mostra una delle sue numerosissime sfaccettature………….

            Un volumetto prezioso quello di Valentina, che si sostanzia in una presa d’atto della Realtà, nel quale con destrezza riesce a far intravedere, avvalendosi di un incedere sovente ossimorico, le contraddizioni della nostra esistenza e al tempo stesso, la sua unità. Si potrebbe giungere ad affermare che in molti tratti del suo scritto viene a compiersi la famosa coincidentia oppositorum di cusaniana memoria.

            Stride forte il suo rimarcare che le relazioni non cessano mai di esistere. Un’affermazione contundente, per noi che viviamo in una dimensione cotica, per noi che vogliamo dimenticare, per noi che vogliamo vivere senza memoria e senza passato, per noi che, in ultima istanza, volgiamo un prima, un dopo e un durante, senza comprendere che l’esistenza è un fluire senza un principio e senza una fine, ed in quanto tale è solo un eterno presente.

            Insomma e per concludere, e per concludere paradossalmente, il piccolo e prezioso libricino di Valentina, Estratti dall’Anima, è tecnicamente un conforto che lei ci offre, che offre a gente che vede nell’omologazione l’unica possibilità di esistenza e salvezza, quando invece è l’unica strada per non vivere o per vivere da morti, ciechi e sordi….immobili!!!

 

Mauro Ragosta

 

mercoledì 28 dicembre 2022

Saper Fotografare (parte tredicesima): realizzare un book di ritratti – di Mauro Ragosta

 

            Fatta eccezione per gli specialisti, un professionista come un dilettante a volte si trova di fronte alla richiesta di realizzare un book fotografico, composto prevalentemente da ritratti. Tale richiesta, nella normalità dei casi, viene avanzata da persone che svolgono un’attività con forte esposizione pubblica, avendo questa bisogno infatti di un buon numero di fotografie, non potendo utilizzarne una o due, e sempre le stesse, per l'alto numero di occasioni, soprattutto ufficiali, da esperire. Può accadere che la richiesta venga anche da persone ordinarie, sotto questo profilo, che tuttavia appartenendo a ceti molto alti, hanno bisogno di un ventaglio di immagini di vario significato, da utilizzare nelle diverse situazioni, intrattenendo infatti rapporti di alto profilo, dove ognuno di questi necessita la somministrazione di un’immagine di sé specifica e funzionale alla o alle relazioni.

            Nello specifico, il cliente-committente, in generale richiede un numero che va dalle trenta a alle quaranta pose da utilizzare nelle più disparate circostanze, a volte codificate a volte estemporanee. Fuori gioco è il ricorso al selfie, soprattutto perché non si ha la preparazione per realizzare ritratti tutti diversi. Nella generalità dei casi, ed è facile notarlo, chi si produce nel selfie realizza sostanzialmente sempre la stessa foto, replicata all’infinito, magari cambiando solo dei dettagli del tutto insignificanti.

            Il book di ritratti, infatti, altro non è che la narrazione di una persona attraverso la fotografia, e qui, non solo bisogna essere capaci di “scattare” con cognizione di causa, ma bisogna saper anche raccontare, comporre un pot-pourri, che dia l’idea della persona nei suoi vari aspetti, ovviamente tutti centrati sul tipo di book da realizzare e funzionale ad un preciso obiettivo.

            Ma da dove partire per costruire un book fotografico? Prima di entrare nello specifico tecnico e delle riprese, bisogna in primo luogo comprendere perché vi è stata fatta tale richiesta.

            Ovvio che il costo di un book fotografico è molto alto. In genere, va dalle duemila euro in su. Una cifra che si giustifica solo se il ritorno dell’utilizzo delle immagini è di molto superiore. Ora, proprio perché il costo di un book è molto alto, i processi di lavorazioni sono lunghi e particolari e non a tutti accessibili. Insomma, per realizzare un book non basta saper fotografare: questo si dà per scontato.

            Ciò premesso, saranno necessari almeno due o tre incontri preliminari col cliente-committente per scoprire il ventaglio dei motivi per cui vi è stata fatta questa richiesta. E così, come molti saranno i motivi che lo hanno mosso a scegliere voi, altrettanti motivi lo hanno spinto a realizzare una serie abbastanza lunga di fotografie su di sé.

            Compresi quindi i motivi che stanno alla base della richiesta, si entra nella fase più complessa. Qui a fondamento vi stanno quattro domande alle quali bisogna dare una risposta, che a seconda dei casi va progressivamente approfondita. E cioè, bisogna capire se il cliente-committente vuole essere rappresentato:

-       - nella prospettiva nella quale si vede o vuole che gli altri lo vedano

-       - nella prospettiva nella quale lo vedono gli altri

-       - nella prospettiva nella quale lo vede il fotografo

-       - nella prospettiva reale, così per come è realmente.

In tutti i casi, si presenta necessaria un’indagine sulle sue caratteristiche estetiche, psicologiche, culturali, sociali e financo storiche. Talvolta, nei casi più rilevanti e nell’ipotesi di costruzione di un personaggio, bisogna avvalersi di un consulente d’immagine, ovvero di colui che è specialista nel trovare le idee portanti dei vari ruoli sociali nel nostro sistema di comunicazione. Insomma, un esperto dei Nostri "giochi di ruolo".

Al di là di ciò, l’ipotesi più insidiosa è quella nella quale il soggetto vuole essere rappresentato per come è, in quanto qui le soluzioni fotografiche richiedono più impegno e creatività, dovendo “far saltare fuori”, mettere in evidenza ovvero, le principali contraddizioni e ambivalenze del cliente-committente, molto spesso financo a lui sconosciute.

Messo ciò in luce, e scendendo sul piano più tecnico, i ritratti sono di varie specie: si va dal primo piano spinto, al primo piano classico, al mezzo busto, al taglio all’americana (che prevede la ripresa di ¾ della persona) sino alla persona intera. In un book, vanno esperiti vari tipi di ritratti. Di questi i più semplici sono quelli da realizzare in studio, perché tutte le variabili sono sotto controllo e non richiedono particolare contestualizzazione.

Più complesse appaiono le riprese all’esterno, non solo perché gran parte delle variabili della ripresa non possono essere messe sotto controllo, ma anche perché sono più numerose.

In ogni caso, su un totale di quaranta immagini da realizzare, almeno sei o sette devono essere realizzate in studio. In genere, queste sono le più classiche, mentre per quelle in esterno è difficile trovare delle situazioni codificate e prestabilite, per cui, come si dice in gergo, “si va in performance”, per la quale bisogna accuratamente prepararsi.

Infatti, se in studio la principale preoccupazione è il soggetto da ritrarre, all’esterno l’attenzione va divisa fra varie circostanze, non tutte riconducibili solo al nostro cliente-committente, anzi...

Qui, dunque, i primi spunti per cominciare a pensare e a ragionare in termini di book fotografico, di narrazione del soggetto tramite le immagini, lasciandoci per gli altri appuntamenti una serie di approfondimenti, utili per scendere sul piano più concreto.

 

Mauro Ragosta

domenica 18 dicembre 2022

Post-Evento n°16: Al Ducale di Cavallino, ieri in scena i Cosentino, padre e figlio – di Mauro Ragosta

        “Addirittura padre”, l’ultima creazione da teatro di Salvatore Cosentino, scritta in una proiezione sinergica col figlio Francesco Saverio, è stata messa dai due in scena ieri sera al Ducale di Cavallino. Sebbene non fosse una prima, la pièce ha destato non poco interesse e una eco di sicuro rilievo. Un ricco parterre, non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche qualitativo, si è mostrato molto sensibile alle sollecitazioni che venivano dal proscenio, da un Salvatore assolutamente padrone della scena e da Francesco Saverio sempre all’altezza anche sul piano della tempistica e del ritmo, peraltro molto serrati. Un pubblico, dunque, molto attento, soprattutto perché l’alchimia dei Cosentino, sia sotto il profilo contenutistico sia sotto quello più strettamente “teatrale”, presenta tutte le caratteristiche del fenomeno evergreen.

            D’emblée va marcato che “Addirittura padre” si pone nel grande solco della produzione di Salvatore Cosentino, questa volta però in una prospettiva di superamento delle specificità compositive del Nostro giudice. Superata la noiosa querelle se Cosentino sia o no un attore -dove i più arguti possono comprendere con una certa agilità che ci si trova di fronte ad un fenomeno nuovo e innovativo nel mondo del teatro, che poco ha a che vedere con la recitazione e, allo stesso tempo, apre scenari inediti e tutti da scoprire ancora, per il rinnovamento e l’arricchimento di questo specifico segmento dello spettacolo- ieri sera al Ducale la performance di padre e figlio ha mostrato valenze a più livelli.

            Con “Addirittura padre” i Cosentino compiono due operazioni sottili e molto raffinate, precluse a molte opere teatrali messe in scena in questi anni, perché fin troppo infarcite di politica. I Cosentino vanno molto oltre, non mancando in questa loro pièce, importanti e significativi “squilli di tromba” sebbene non rappresentino questi lo specifico. Ma veniamo al dunque...

         La prima e significativa “manovra” che compiono i Cosentino con “Addirittura padre” è quella di tracciare una possibile via per ricucire i rapporti tra generazioni, un problema oggi che affligge la società moderna e soprattutto italiana, dove spesso i giovani galleggiano in un presente privo di senso, gli anziani che vedono la loro principale ricchezza, l’esperienza, buttata al vento o a marcire nella loro solitudine e le generazioni di mezzo, i veri protagonisti della nostra società, senza i giovani e senza gli anziani, proiettati in un consumismo sin troppo feticistico. I Cosentino mostrano una possibile strada, una possibilità sulla quale bisogna riflettere, ed eventualmente avventurarsi nella costruzione di questo “Grande Ponte” generazionale.

            Il focus messo in evidenza ieri sera, per adoperarsi in questa grande costruzione intergenerazionale, per la quale è stata utilizzata l’immagine del passaggio del testimone, nella prospettiva simbolica, è nel concetto di “strumento”, del “passaggio di strumenti”. In tutto questo ovviamente non è stata trascurata la prospettiva più sentimentale e affettiva, nelle sue varianti in positivo ed in negativo, dei rapporti tra generazioni, ma questi mai nello spettacolo dei Cosentino hanno avuto una dissonante predominanza.

            Sotto questa luce “Addirittura padre” è uno spettacolo decisamente moderno, una risposta ad uno dei grandi problemi che pone il nostro tempo. Tempi difficili? …forse. E proprio qui lo spettacolo dei Cosentino compie un’altra operazione di grande raffinatezza. Padre e figlio guardano al presente dal passato, ma non mancano di guardare al passato dal presente, ponendo una struttura interpretativa della realtà circolare tra presente e passato, dove per comprendere il passato bisogna conoscere il presente e per conoscere il presente si deve conoscere il passato. Un metodo sul quale soffermarsi, riflettere ed elaborare per capire e comprendere la portata dello spettacolo dei Cosentino

            E così, i Nostri protagonisti con estrema agilità vanno dai Caroselli degli anni ’60 al rapping, passando in veloce rassegna la cultura e i ricordi degli anni ’80 e ’90. Un mix narrativo che ovviamente chiama in causa i protagonisti negli addendi comuni alla vita di tutti noi.

            Insomma, “Addirittura padre”, uno spettacolo da vedersi, un’ora e mezza stimolante, che dà il coraggio e la voglia di guardare e di guardarsi, che risparmia il pubblico di virtuosismi tecnici oramai fin troppo ordinari, puntando dritto al cuore.

 

Mauro Ragosta

 

Nota: le foto, come al solito per gli eventi, sono state realizzate volutamente con la tecnica del mosso, perché si è privilegiata la prospettiva evocativa anziché quella descrittiva strcto sensu.

 

sabato 26 novembre 2022

Punti, appunti e …puntini (parte quarta): il Tempo nella prospettiva romantica – di Mauro Ragosta

 

      D’emblée ci si deve chiede se oggi abbia senso interrogarsi sul significato del Tempo nella nostra vita, nel nostro scorrere nell’ultimo tratto di una Civiltà fondata essenzialmente sul lavoro e che oramai sta per superare la soglia del 1500 anni. Una Civiltà, quella Occidentale, che ha reso compulsiva l’esistenza del comune individuo; una Civiltà compulsivizzante, nella quale, lanciati in una folle corsa, i piaceri-dovere dell’arricchimento, del carrierismo, dell’illusoria scalata sociale, del presenzialismo e per giunta del sesso, sono tutti fortemente sbilanciati sul dovere, mentre il piacere rimane relegato alla sola rappresentazione di sé stesso e dunque in buona parte mancante.

Quest’individuo Occidentale che poco ha di individuale, in quanto si rifugia in ricette della Salvezza e della Felicità sostanzialmente precotte, prive di nerbo, prese a prestito dal mercato, perché incapace di esprimersi se non nella prospettiva proposta dal trading e per questo precotta, appunto, ponendosi così fuori tempo, anzi senza Tempo.

            Ebbene sì, il sovradimensionamento del Tempo vissuto nella prospettiva cronologica, ovvero rapportando tutto al “ticchettio” di un orologio o allo scorrere delle “caselle” di un calendario, in definitiva si giunge alla perfetta assenza di sé, così tanto cara al cristianesimo e ai suoi pensatori di un tempo e di oggi, come Gianteresio Vattimo.

            In molti sanno, pur non comprendendo più, che i greci utilizzavano per il Tempo sostanzialmente due espressioni, con accezioni profondamente diverse, ovvero Chronos e Kairos, alle quali si aggiungeva una terza, Aion. E così per i greci esisteva un Tempo, Chronos, che si esprimeva in termini quantitativi, ovvero in secondi, minuti, ore… e un Tempo, invece che era qualitativo e indeterminato, Kairos appunto, che indicava il Tempo giusto, il Tempo delle cose, il Tempo della Natura dove nulla è uguale. Alle due si sovrapponeva Aion, che indica l’eternità, oggi ampiamente confusa con l’immortalità, pia illusione dell’Uomo moderno. Eternità sostanzialmente sconosciuta ai più, perché contrapposta alla credenza della progressione delle cose e da qui dell’evoluzione, che di fatto non esistono se non nella mutazione formale della vita e nulla più. E qui, è bene fermarsi.

            Per noi Occidentali, quindi, esiste quasi unicamente il Chronos, che ci piace utilizzare in tutte le salse a vari fini, tra i quali modificare la stessa Natura, ma anche per creare un sistema umano industriale. A ciò basti pensare, per esempio, al nostro sistema formativo, che si scandisce sulla base del Tempo cronologico, somma regola che include ed esclude, premia e punisce. Regole cronologiche tuttavia che portano alla perdita di sé stessi, proprio perché ridotti a ingranaggi e meccanismi regolati sulla base della Legge strutturata sul Tempo cronologico.

            Insomma, il Kairos e l’Aion sono estromessi dalle cognizioni dell’Uomo moderno comune. E ciò nonostante le recenti acquisizioni della matematica in ambito quantistico, applicate ampiamente soprattutto in campo informatico, tra le quali i principi della relatività e dell’indeterminatezza che dovrebbero allontanarci dal Tempo vissuto in maniera esclusiva come Chronos.

            E a questo punto ci si chiede se sarà possibile per l’Uomo riappropriarsi del Kairos, che tuttavia sussiste in ristrettissime élite, per le quali mai è morto. E ci si chiede ancora se questo potrebbe essere compatibile con la nostra società standard e standardizzante. E ancora, sarà possibile per l’Uomo del futuro osservare il Tempo nel consumarsi delle cose?  ...in questa dimensione assolutamente romantica, che richiede una sviluppata capacità di saper attendere e consente l’assaporare in pienezza la vita istante dopo istante.

            Certamente, il relativismo introdotto da Einstein e tradotto da Popper, pare che non sia andato al di là del semplice “rumore” nelle fasce sociali più numerose, quali quelle medie e basse, le quali continuano a mostrarsi come masse indistinte. C’è solo da auspicarsi che la Nuova Civiltà, che è già alle porte, ovvero quella delle macchine, liberi l’Uomo dall’essere macchina o dall’aspirare esso stesso all’essere macchina, avvalendosi infatti solo del Chronos, per entrare finalmente nella dimensione del Kairos, e forse anche in quella dell’Aion, prerogativa quest’ultima, oggi, di pochi club.

           

Mauro Ragosta

domenica 30 ottobre 2022

Punto Nave: il 2022 – di Mauro Ragosta

 

           Dopo circa due anni silenzio sui temi di politica, economia e società, Maison Ragosta riattiva questi comparti culturali, composti quasi esclusivamente di spunti e di riflessioni, che sono stati centrali nei suoi due primi anni di attività, ovvero nel 2019 e nel 2020, in linea con la sua strategia di fondo che mira sostanzialmente all’intrattenimento.

            Questo ritorno è caratterizzato da una marcatura ancora più forte sull’assenza di uno specifico orientamento politico, in linea con le dinamiche di scenari più ampi, che vedono l’intellettuale posto nel ruolo dell’osservatore, quasi asettico. Un orientamento dichiarato oramai pubblicamente sia da noti intellettuali sia di destra sia di sinistra. Da Veneziani a Cacciari il mestiere dell’intellettuale è quello della sintesi e della presa d’atto, di colui che riesce ad avere una visione d’insieme. Un ruolo non sposato da tutti, ma oramai il processo è stato avviato e, dato lo scenario, difficilmente potrà essere arrestato.

            E così dopo oltre cento anni di attività in prima linea, a partire con la Seconda Repubblica, gli intellettuali sono stati relegati al ruolo di “supporter” dei politici. Un processo lento che si è evoluto nella Terza Repubblica portando a fargli svolgere, soprattutto a quelli di prima linea, un ruolo tecnicamente di “commentatore” di ciò che succede in politica, in economia, nella società. Una crescita o una deminutio?

            Sulla domanda si tornerà in seguito, anche se molto stimolante si presenta per chi scrive e ci si immagina, anche per chi legge. Ma veniamo al punto di questo pezzo, che tenta di produrre una sintesi del 2022.

            Ora, premesso che nel 2020 e nel 2021, a seguito della Covid-Economia, che ha fatto schizzare in alto, come mai si era visto prima, il debito dello Stato e ha permesso un possente trasferimento di ricchezza nel settore sanitario, la vera novità del nostro tempo è rappresentata da una modificazione strutturale dell’economia, che ha visto l’avvio delle pratiche del Telelavoro e del Bonus Statale. Due elementi questi che saranno strutturali negli anni che verranno, per molte ragioni, ed in primis per il premere dell’informatizzazione e della robotizzazione dei processi produttivi, che saranno sempre più pregnanti ed inarrestabili nel futuro. Nel 2022, invece, sono emerse altre due novità.

            Il 2022 si è aperto con la guerra in Ucraina, che mese dopo mese ha mostrato il suo vero volto, ovvero quello di “momento flettente” -usando un linguaggio da ingegneri civili- dove si scaricano tutti i processi di aggiustamento delle posizioni di potere politico ed economico delle aree più sviluppate del Globo. Per i più attenti osservatori è evidente che gli sviluppi della scienza e dell’applicazione tecnologica hanno fortemente compromesso le relazioni tra i vari blocchi di controllo dei vari territori, le cui tensioni emergono in Ucraina, come momento “dialogante”.

            Da questa lettura, va da sé che la guerra in Ucraina durerà fino a quando non si troveranno nuovi equilibri economici e di potere a livello globale, che porteranno quasi sicuramente una potente accelerazione degli sviluppi della società, di una società nuova, magari dove saranno centrali, tra gli altri, il Bonus Statale e il telelavoro.

            Ad aiutare il consenso popolare per queste soluzioni, vi sarà l’inflazione, che già oggi in Italia ha superato il 10%. Inflazione che, in qualche modo pilotata, fa sentire tutto il suo peso sui portatori dei redditi più bassi, quelli che si adeguano molto lentamente all’aumento dei prezzi, invogliando così il comune cittadino a riorientare le sue scelte di vita, ovviamente nella direzione indicata dalle nuove tecnologie e dalla nuova economia, che stanno velocemente prendendo piede e diffusione.

            Il 2022, e almeno rispetto al caso italiano, può essere preso come momento d’avvio effettivo della crisi della politica popolare. Il basso tasso di afflusso alle urne nell’ultima tornata elettorale, il più basso da che esiste la Repubblica, da un lato, e dall’altro una scarsa partecipazione e sensibilità nei confronti di coloro che si autodefiniscono complottisti e contro il Sistema, mette in luce che una fetta importante della popolazione italiana ha messo in soffitta qualsiasi argomento politico. Molti sono i cittadini che non vogliono più “giocare” né al gioco della democrazia, ma neanche al gioco del sovversivo, dell’antisistema, chiudendosi in una sorta di autismo sociale più soddisfacente dal punto di vista esistenziale.

            Certamente, lo sviluppo culturale della popolazione è la prima causa di tale situazione, in quanto mette in luce le incongruenze strutturali della Costituzione (si veda ad esempio la questione legata al vincolo di mandato, art.68 della nostra costituzione) e del sistema politico ufficiale preso nel suo complesso, che non convince più…

 

Mauro Ragosta

mercoledì 12 ottobre 2022

Saper Fotografare (parte dodicesima): il ritratto – di Mauro Ragosta

 


           Un “clauster” nell’arte della fotografia, ma non solo, è rappresentato dalla ritrattistica, la quale richiede molte abilità e non solo tecniche, ma anche sul piano delle competenze trasversali fino ad arrivare alle metabilità. Si è detto molto sull’arte del fotografare in questa rubrica, con la scusa di affrontarne i suoi vari argomenti e partizioni, ma molto altro v’è da dire e questa volta con la scusa di dare delle “dritte” per la realizzazione di un ritratto, si affronteranno alcuni temi fondamentali.

            Per tenere a mente le più importanti asserzioni formulate fino ad ora, qui ricorderemo che l’arte della fotografia possiamo distinguerla in Arte Bassa e Arte Somma, dove la prima ha come obiettivo principale il riprodurre in maniera quanto più fedele ciò che si vede, mentre la seconda tende ad interpretare quanto si osserva. L’Arte Bassa tende, insomma, a fare una fotocopia perfetta dell’osservato, mentre l’Arte Somma va in profondità e cerca di avvicinarsi alla Realtà con varie tecniche, retoriche e stratagemmi, senza mai riuscirci, ovviamente. Certamente, l’Arte Fotografica Somma di certo riesce a fornire un’immagine molto vicina alla realtà, sia sotto il profilo intellettivo, ma anche sotto quello emotivo. Da qui, va da sé che l’Arte Bassa dipende esclusivamente dalla tecnologia in possesso, l’Arte Somma dipende, invece, dal proprio bagaglio culturale e speculativo.

           Dal punto di vista comunicativo, invece, l’Arte Fotografica si può distinguere tra ciò che si vuol comunicare a sé stessi, ovvero l’arte di prendere appunti a proprio uso esclusivo, oppure ciò che si vuol comunicare agli altri. In molti affermano, in una prospettiva onanistica, che la Cultura come l’Arte non devono avere intenti comunicativi, ma il solo scopo di creare. Ovvio che tali affermazioni sono smentite senza grande difficolta dal dispiegarsi della Realtà stessa e dei fatti. Anche l’art therapy ha forti valenze comunicative…

         Tutto ciò premesso, entriamo nel vivo del tema oggetto del presente “pezzo”. E qui va subito evidenziato, nella prospettiva dell’Arte Fotografica Alta, che ogni primo piano richiede una sua elaborazione, una propria speculazione. E questo perché un primo piano non spiega in toto il soggetto ritratto, ma uno dei suoi aspetti. L’essere umano, a tal riguardo, è come una pietra preziosa, una gemma col taglio brillante. Peraltro, l’essere umano, nonostante gli sviluppi della robotica e dell’intelligenza artificiale, conserva un quoziente molto alto di Mistero. Ne deriva che i volti di un soggetto sono numerosissimi.

            E qui, la prima cosa da fare è capire quali dei tanti aspetti far emergere dal Nostro primo piano. Una volta definito tale obiettivo, si passa alla costruzione dell’immagine. Ora, per la sua realizzazione si può partire da una prima speculazione, che giunge ad una triade di domande da farsi. In genere i fotografi meno esperti mostrano un carattere e un’impostazione dispotici o interagiscono col soggetto da ritrarre lo stretto indispensabile per realizzare lo scatto.

            In un rapporto professionale, il fotografo prima di realizzare un primo piano deve instaurare una vera e propria relazione col soggetto. Deve conoscerlo se non bene, quanto meno a sufficienza e da qui giungere, dopo aver inquadrato che tipo di aspetto far emergere, se questo deve conformarsi a come lo vede il soggetto ritratto o a come lo vede il fotografo ritrattista, oppure ancora a come lo vede il prossimo, magari una cerchia ristretta di persone o anche un vasto pubblico.

            Questo appare un passaggio fondamentale. Spesso il fotografo dà una sua interpretazione del soggetto fotografato, nella quale lo stesso non si ritrova, volendo far emergere di sé magari la sua visione di sé medesimo.

            Ora, al di là delle diverse espressioni da ritrarre, va sottolineato che l’intero ritratto è un complesso simbolico che va costruito con attenzione ed intelligenza. Al riguardo, i primi tre gruppi di simboli attengono al piano delle luci, dei cromatismi e dei simboli stricto sensu.

            A tal riguardo e con riferimento alle luci, sia naturali che artficiali, bisogna tenere sempre presente che un conto è far giungere la luce principale sul volto del soggetto da destra, o da sinistra, o in maniera centrale. E ancora valenza importante ha l’operare anche con una luce posteriore, o con degli spot.

            Con riferimento ai cromatismi, qui oltre a trovare il giusto equilibrio tra i colori messi in campo, bisogna avere chiare le idee sulla valenza concettuale di ciascun colore. E ciò vale anche sugli accessori usati dal soggetto da ritrarre, dove ciascuno deve avere il giusto significato.

            Ma non finisce qui. I ritratti, in linea generale si distinguono in tre categorie o tre tipi di inquadratura: i primi piani più o meno spinti; il mezzo busto; all’americana, ovvero inquadrando tre quarti dell’intera persona, dal ginocchio in su, insomma.

         Tra le varie considerazioni da farsi, nel primo piano, anche spinto, molta attenzione bisogna riporre nella posa del volto e da qui alla posizione degli occhi. Tra i tanti esempi che si possono fare è quello dello sguardo di traverso, che può essere fatto con l’occhio destro o sinistro. Ovviamente, privilegiare uno o l’altro ha valenza diversa.

        E seguendo, nel mezzo busto e nell’inquadratura all’americana, molta attenzione va fatta alla gestualità. Qui bisogna sapere il valore di tutti i gesti, o della maggior parte di questi. Con riferimento allo sfondo, anche qui, ogni sfondo ha significati precisi e che magari si amplificano o si annullano con altre componenti dell’inquadratura.

           Per finire, un cenno merita l’angolo di ripresa, che come è ovvio può essere dall’alto, dal basso e in linea. Anche qui i significati variano e sono tutti diversi.

           Come al solito, Maison Ragosta non offre disamine specifiche ed analitiche, ma una serie di spunti di riflessione e utili sintesi per i suoi lettori, che, sempre molto esigenti, pare gradiscano questo tipo di impostazione. Così, nell’augurarci di aver colto ancora una volta nel segno, ci riaggiorniamo al prossimo appuntamento, nel quale ci si intratterrà sul come costruire un book fotografico.

 

mauro ragosta