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mercoledì 10 novembre 2021

Saperi & Sapori (parte nona): la frisa – di Antonella Ventura

 

      È interessante sapere sin da principio, trattando della notissima frisa -soprattutto quella salentina tanto rinomata tanto qualitativamente superiore- che essa rientra in una categoria di alimenti che oggi si denominano comfort-food. E così anche questo alimento, un tempo prerogativa importante, soprattutto per braccianti e contadini di terra e di mare, viene ad acquisire una dignità tutta british.

I cibi che, infatti, rientrano nel cosiddetto comfort-food -va doverosamente esplicitato- sono quelli che ci si concede quando vogliamo eludere il quotidiano o l’ordinario, per vivere un’esperienza anche culinaria che ci porti o riporti in ambienti e tempi diversi dal nostro. Nello specifico, la frisa evoca antichi e piacevoli sapori, e non solo contadini, odori ed emozioni forse dimenticate, atmosfere e ritualità di un tempo oramai remoto, lontano dal nostro tempo, opulento e tecnologico, fatto di proiezioni future infarcite di intelligenza artificiale e robot.

Parlare di frise o di friselle è ricordare l’arte d’arrangiarsi degli esseri umani, grazie alla quale la nostra specie è riuscita a distinguersi dagli altri esseri viventi, quanto a capacità di adattamento alle circostanze e di sviluppo in un processo evolutivo di diverse migliaia di anni, dovendosi qui ricordare che esistono due ipotesi che giustificano l’esistenza dell’Uomo sul pianeta Terra, ovvero quella più tipicamente evoluzionistica e quella spiccatamente creazionista.

È con questo spirito di adattamento, per l’appunto, che circa 3000 anni fa nasce la frisella, come alimento principe sulle navi fenicie, in sostituzione del pane, che si deteriora velocemente.  La sua doppia cottura in forno le permette di potersi conservare a lungo senza ammuffire. Tipica è poi la sua forma con il buco al centro, che la dotava della possibilità di essere facilmente trasportata, in quanto poteva essere appesa, come le perline di una lunga collana. Nel tempo, divenne poi alimento di braccianti e contadini, ma anche di pellegrini e viaggiatori in genere.

La storia ci insegna che quando ad un individuo viene negato il diritto di esprimersi nella propria interezza e peculiarità, relegandolo in uno stato di segregazione, costui si adatterà al nuovo ambiente conformandosi con esso, conservando però le proprie potenzialità inespresse e il proprio animo selvaggio pronto a ritornare in superficie qualora l’ambiente lo permettesse nuovamente. Paradossalmente e metaforicamente lo stesso fenomeno caratterizza proprio la nostra frisella, che per questo potremmo definire intelligente: non riuscendo a sopportare situazioni ambientali ostili per la conservazione della sua caratteristica fragranza e morbidezza tipica del pane, essa trova attraverso la biscottatura il modo per preservare le sue potenzialità da tirare fuori una volta che viene opportunatamente bagnata.

Questo prodotto, come già citato, nasce quindi come alimento per i marinai imbarcati sulle navi fenicie, passando poi a quelle greche, crociate, ma anche ai pescherecci della gente comune, di ieri e di oggi, che la portavano con sé, durante le lunghe “mattanze” o viaggi commerciali, rimanendo, infatti, lontani da casa e da riva per giorni. E questo per mangiarle al bisogno, bagnate con acqua di mare e condite con olio d’oliva e altri alimenti poveri recuperati al momento.

Si racconta che siano state introdotte in Puglia da Enea, durante la fuga da Troia. Da qui hanno varcato i confini regionali e forse anche nazionali, assumendo forme e pezzature lievemente differenti in base al luogo di appartenenza, rimanendo pur sempre un semplice impasto di farina di grano duro, sale, lievito e acqua. Tra le altre, attualmente, per la sua produzione si utilizza anche la farina di orzo o integrale.

            Appare interessante qui sapere che la denominazione frisa riviene da una delle particolari operazioni nella sua produzione: tra la prima e la seconda cottura le friselle vengono divise in due con uno spago e che ne connoterà la tipica forma. Proprio la separazione, specifica della sua produzione, ha portato a definirne il suo nome: frisa, appunto, da fresa, fendere, tagliare.

 Molte sono le curiosità che ruotano intorno al mondo della frisa. Non tutti sapranno, ad esempio, che nell’antica Roma esse venivano consumate nelle “cauponae”, una sorta di autogrill, luoghi di sosta nei quali si consumava il pasto servito dalle “ministre” che avevano anche il compito e la possibilità di intrattenere l’ospite in intimità con o senza compenso. Ed ancora, altra curiosità interessante è che nel Salento si usava conservarle nelle capase, tipici recipienti di terracotta smaltati che avevano il dono di preservare i cibi dall’umidità.

Il turista forse no, ma un salentino invece sa bene riconoscere una buona frisella dal modo in cui si “sponza”, che deve essere uniforme e non eccessivo, perché se dovesse spappolarsi alla prima immersione in acqua, sarebbe una frisella impastata con il grano troppo tenero, mentre al contrario se dovessero rimanere in essa delle “zone dure”, ovvero non ha trattenuto acqua, si tratta di una frisa “mpitrata”, ovvero che ha preso aria o è troppo vecchia. È quindi importante il momento della bagnatura, la sponzatura per l’appunto, tanto che in Puglia si possono comperare i tipici “Sponzafrisa”, ovvero ciotole in terracotta con un semicoperchio forato per la scolatura dell’acqua in eccesso.

Regole ferree per la sponzatura! Esattamente l’opposto si ha per il condimento. La frisa si presta alla massima libertà d’espressione nel condimento. Una gran bella “donna intelligente” quindi la nostra frisella, che merita il giusto approccio iniziale discreto ed etichettato, per liberarsi, poi, e far emergere gli aspetti creativi, per chi ce li ha com’è ovvio, …in piena libertà di “gusto e sapore”.

Oggi elegante regina delle tavole dei lidi in estate, la si può gustare condita con ogni sorta di verdure, pinzimoni e sott’aceti di ogni genere, ma anche con tonno, gamberi e perché no, caviale e ostriche, anche se resta unica ed inconfondibile la ricetta tradizionale con pomodorini e basilico. Insomma un modernissimo e brioso pasto, dei nostri tempi moderni, tanto accelerati, e che proprio nella “frisella” possono trovare il momento del “ri-poso”.

 

Antonella Ventura

 

 

1 commento:

  1. Molto interessante. Un'altra curiosità: i nostri avi solevano sponzare le frise in acqua di mare perché il sale era bene prezioso

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