Non è un prodotto leccese o salentino l’ultimo
esercizio letterario di Lea Barletti. E Carmelo Bene direbbe che non è
azzardato, perché eccede l’azzardo stesso, affermare che quest’ultimo lavoro
della Barletti non è neanche un prodotto per i leccesi o per i salentini, con
le dovute eccezioni, ovviamente. Tuttavia, è un prodotto che ha radici, quelle più importanti, forse, qui, da noi, nel
leccese.
Lei,
la Barletti, è di Roma, ma vive a Berlino, mentre suo padre è originario e vive
a San Cesario di Lecce. Sicché, la nostra Lea si divide tra le due capitali
europee ed il Salento, dove qui si sono trovate tutte le condizioni per
pubblicare, l’anno scorso in primavera, il suo ultimo diletto narrativo, Il libro dei dispersi e dei ritornati.
Si tratta di un prezioso e agile volumetto di oltre 140 pagine, fruibile grazie
all’impegno di Luciano Pagano, al quale sono ascrivibili le edizioni Musicaos di Neviano.
Molti
leccesi, in senso lato, credo che in tema di narrativa amino ancora e troppo
-fatta esclusione per la poesia, che è discorso altro- gli elaborati costruiti
su schemi di una razionalità stringente e con una forte coerenza interna,
accessoriati, dunque, di finale, ovviamente consolatorio, che magari faccia
versare anche qualche lacrima. In tale prospettiva, il lavoro della Barletti,
per usare un eufemismo, è un prodotto di nicchia, ché devia seccamente da
queste coordinate, così canoniche e prevedibili. E’ un elaborato, quello della
Barletti, per chi ama andare oltre un impianto narrativo dotato di una trama e di
un epilogo. Consente, infatti, di soddisfare le esigenze dei “turisti letterari
più esigenti”, che gradiscono nel tempo della lettura immergersi in dimensioni
e scenari inediti, imprevedibili e che riescono a colpire simultaneamente tutti
i sensi. Per questi lettori il lavoro della Barletti è paragonabile ad un’oasi
narrativa rispetto allo scenario generale, perché si presenta imprevedibile,
riserva stupore e meraviglia ad ogni pagina. Ma che dico?! Ad ogni pensiero.
Ma
come nasce Il libro dei dispersi e dei
ritrovati? Un grappolo di elementi psicologici, esistenziali, ambientali e
circostanziali si combinano e convergono in un gesto di Lea, che pare privo di un
significato preciso ed individuabile, anche se non automatico. Siamo a Berlino,
corre il 2013 e lei, Lea, si trova, in compagnia di un suo amico, da un
rigattiere. Qui, la colpisce un baule zeppo di album fotografici, che comincia
a sfogliare, e, rapita da quelle foto abbandonate, prevalentemente foto di
famiglia, perde il senso del tempo, non accorgendosi che, a un tratto, è
arrivato l’orario di chiusura. Sollecitata a lasciare quel posto, va via, non
senza aver prima acquistato tre foto, scelte velocemente tra le migliaia e
senza pensarci su: le mette in borsa. Dimentica quel momento e le tre foto, che,
ignorate, rimangono nella sua borsa, quando, come per incanto, un anno dopo, la
sua attenzione ritorna su queste. E’ un attimo, nel quale guardando le tre immagini,
le scatta una corposa, inusitata e
attraente riflessione, che mettere su carta: è qualcosa che l’entusiasma, ed è
entusiasmante. Ritorna dal rigattiere, compra altre foto e la magia delle sue
elucubrazioni riflesse in queste si ripete. E nuovamente Lea le mette su carta.
E’ così, da qui, nascono gli undici racconti di cui si compone Il libro dei dispersi e dei ritrovati.
Ma
cos’è successo realmente a Lea? Quelle foto, per lei, sono diventate, come per
incanto e senza una precisa volontà, simbolo, e simbolo potente, dove per
simbolo si intende qualcosa che rimanda a qualcosa altro. Nel suo caso, quelle
foto la rimandano nella zona più profonda di sé stessa. E Lea raccontando si
racconta, non potendo, ovviamente, non ricorrere all’utilizzo di metafore ed
allegorie, che sono poi i racconti. Naturalmente, Il libro dei dispersi e dei ritrovati, trattando e specchiando la
parte più profonda e magmatica dell’anima di Lea, non si sviluppa su un piano
in cui la ragione può com-prendere pienamente. Ci vuole qualcosa d’altro. Tutto
dipende dallo stato di coscienza con cui si leggono i racconti di Lea. E non
finisce qui! Il libro dei dispersi e dei
ritrovati permette al lettore, attraverso un gioco di specchi, di
ritrovarsi, come ad uno speleologo, nel profondo di se stesso, nelle parti più
nascoste, arcane e misteriose, dove magicamente Lea ti lega a sé, dove ti incontri,
su di un piano inedito e sconosciuto, con lei.
Insomma,
Il libro dei dispersi e dei ritrovati
è un’esperienza letteraria singolare, avvincente, da centellinare, ed anche
forte. E’ un libro che non fa sognare, pur non mancando di respiri eleganti ed
atmosfere raffinate, ma permette al lettore attento ed evoluto di percepire, ed
anche bene, ciò che non può essere concettualizzabile, ciò che non può essere
oggetto del linguaggio. E proprio il non detto e il non dicibile, alla fine,
sono lo specifico del lavoro della Barletti.
Mauro Ragosta
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