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venerdì 19 luglio 2019

Recensione n°6 – L’ultimo lavoro di Lea Barletti, tra l’incanto e l’inusitato – di Mauro Ragosta


            Non è un prodotto leccese o salentino l’ultimo esercizio letterario di Lea Barletti. E Carmelo Bene direbbe che non è azzardato, perché eccede l’azzardo stesso, affermare che quest’ultimo lavoro della Barletti non è neanche un prodotto per i leccesi o per i salentini, con le dovute eccezioni, ovviamente. Tuttavia, è un prodotto che ha radici,  quelle più importanti, forse, qui, da noi, nel leccese.
           Lei, la Barletti, è di Roma, ma vive a Berlino, mentre suo padre è originario e vive a San Cesario di Lecce. Sicché, la nostra Lea si divide tra le due capitali europee ed il Salento, dove qui si sono trovate tutte le condizioni per pubblicare, l’anno scorso in primavera, il suo ultimo diletto narrativo, Il libro dei dispersi e dei ritornati. Si tratta di un prezioso e agile volumetto di oltre 140 pagine, fruibile grazie all’impegno di Luciano Pagano, al quale sono ascrivibili le edizioni Musicaos di Neviano.
           Molti leccesi, in senso lato, credo che in tema di narrativa amino ancora e troppo -fatta esclusione per la poesia, che è discorso altro- gli elaborati costruiti su schemi di una razionalità stringente e con una forte coerenza interna, accessoriati, dunque, di finale, ovviamente consolatorio, che magari faccia versare anche qualche lacrima. In tale prospettiva, il lavoro della Barletti, per usare un eufemismo, è un prodotto di nicchia, ché devia seccamente da queste coordinate, così canoniche e prevedibili. E’ un elaborato, quello della Barletti, per chi ama andare oltre un impianto narrativo dotato di una trama e di un epilogo. Consente, infatti, di soddisfare le esigenze dei “turisti letterari più esigenti”, che gradiscono nel tempo della lettura immergersi in dimensioni e scenari inediti, imprevedibili e che riescono a colpire simultaneamente tutti i sensi. Per questi lettori il lavoro della Barletti è paragonabile ad un’oasi narrativa rispetto allo scenario generale, perché si presenta imprevedibile, riserva stupore e meraviglia ad ogni pagina. Ma che dico?! Ad ogni pensiero.
   
            Ma come nasce Il libro dei dispersi e dei ritrovati? Un grappolo di elementi psicologici, esistenziali, ambientali e circostanziali si combinano e convergono in un gesto di Lea, che pare privo di un significato preciso ed individuabile, anche se non automatico. Siamo a Berlino, corre il 2013 e lei, Lea, si trova, in compagnia di un suo amico, da un rigattiere. Qui, la colpisce un baule zeppo di album fotografici, che comincia a sfogliare, e, rapita da quelle foto abbandonate, prevalentemente foto di famiglia, perde il senso del tempo, non accorgendosi che, a un tratto, è arrivato l’orario di chiusura. Sollecitata a lasciare quel posto, va via, non senza aver prima acquistato tre foto, scelte velocemente tra le migliaia e senza pensarci su: le mette in borsa. Dimentica quel momento e le tre foto, che, ignorate, rimangono nella sua borsa, quando, come per incanto, un anno dopo, la sua attenzione ritorna su queste. E’ un attimo, nel quale guardando le tre immagini,  le scatta una corposa, inusitata e attraente riflessione, che mettere su carta: è qualcosa che l’entusiasma, ed è entusiasmante. Ritorna dal rigattiere, compra altre foto e la magia delle sue elucubrazioni riflesse in queste si ripete. E nuovamente Lea le mette su carta. E’ così, da qui, nascono gli undici racconti di cui si compone Il libro dei dispersi e dei ritrovati.
            Ma cos’è successo realmente a Lea? Quelle foto, per lei, sono diventate, come per incanto e senza una precisa volontà, simbolo, e simbolo potente, dove per simbolo si intende qualcosa che rimanda a qualcosa altro. Nel suo caso, quelle foto la rimandano nella zona più profonda di sé stessa. E Lea raccontando si racconta, non potendo, ovviamente, non ricorrere all’utilizzo di metafore ed allegorie, che sono poi i racconti. Naturalmente, Il libro dei dispersi e dei ritrovati, trattando e specchiando la parte più profonda e magmatica dell’anima di Lea, non si sviluppa su un piano in cui la ragione può com-prendere pienamente. Ci vuole qualcosa d’altro. Tutto dipende dallo stato di coscienza con cui si leggono i racconti di Lea. E non finisce qui! Il libro dei dispersi e dei ritrovati permette al lettore, attraverso un gioco di specchi, di ritrovarsi, come ad uno speleologo, nel profondo di se stesso, nelle parti più nascoste, arcane e misteriose, dove magicamente Lea ti lega a sé, dove ti incontri, su di un piano inedito e sconosciuto, con lei.
            Insomma, Il libro dei dispersi e dei ritrovati è un’esperienza letteraria singolare, avvincente, da centellinare, ed anche forte. E’ un libro che non fa sognare, pur non mancando di respiri eleganti ed atmosfere raffinate, ma permette al lettore attento ed evoluto di percepire, ed anche bene, ciò che non può essere concettualizzabile, ciò che non può essere oggetto del linguaggio. E proprio il non detto e il non dicibile, alla fine, sono lo specifico del lavoro della Barletti.

Mauro Ragosta

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