Con questo pezzo si avvia la prima di cinque riflessioni sull’Intelligenza Artificiale. Un argomento che, sollecitato qualche tempo fa da un avvocato leccese, un “antico” e caro amico, si presenta oggi decisamente molto frequente e di grande attualità su tutti i canali dei Media, e non solo, appassionando scienziati, studiosi, opinionisti e una buona fetta della nostra società. Certamente, per chi scrive si tratta di un tema molto intrigante, appassionante, che tuttavia non è privo di difficoltà di vario genere, per cui la sua trattazione si snoderà tra alcune tappe “lente”, pur rimanendo in una cornice di sintesi, e senza allontanarsi troppo dai caratteri di tipo divulgativo.
Per questo, è ancor più doveroso avviare come di consueto le riflessioni, ovvero secondo il solco tracciato dalle nostre prassi. È noto, infatti, che per Noi di Maison Ragosta, in occasione di elaborazioni di carattere concettuale e filosofico, ricorriamo sempre in via preliminare ad un inquadramento metodologico preciso e oramai, sovente anche molto condiviso e apprezzato. Un approccio che si sostanzia nel perimetrare e definire l’uso dei concetti e dei termini che di volta in volta vengono chiamati in causa. Tutto questo, non solo per evitare fraintendimenti, confusioni di vario genere, ma anche per tentare di dribblare basse strumentalizzazioni, al fine di offrire al Nostro lettore una comunicazione il più possibile compiuta, rispetto a quanto si afferma.
In tale quadro, va da sé che le cinque riflessioni sull’Intelligenza Artificiale non potranno prescindere dall’analisi del concetto di intelligenza, ovvero dal cosa si intenda e quale ne sia il suo valore. Al riguardo, moltissime le ipotesi e le teorie proposte in merito dagli studiosi: nella maggior parte dei casi, tuttavia, presentano una sola discriminante, oramai nota ai più.
Anche nell’immaginario popolare, una persona intelligente è quella che è capace, rispettando precise condizioni di partenza o fondamentali, di avere un ragionamento veloce e tale da essere in grado di dare risposte, di individuare soluzioni, di trovare espedienti ai vari quesiti posti, in tempi rapidi. Tuttavia, a tale concezione si è sommata quella che vede l’intelligenza e il suo grado, nella capacità di un individuo di accendere e mantenere in attività per un lungo periodo di tempo tutte le aree del cervello, condizioni che sono necessarie per risolve problemi molto complessi. E non solo, l’intelligenza rapida e quella che potremmo definire “potente” si pongono, poi, alla base della creatività, ma anche delle attività che richiedono grandi sforzi fisici e via dicendo…
Tale quadro non si esaurisce qui! A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, si è poi sottolineato che non esiste una sola intelligenza, ma più intelligenze, le quali spesso non albergano all’interno di un unico individuo o essere vivente. E così troviamo chi presenta un’intelligenza musicale, chi invece, quella matematica, chi quella filosofica e via discorrendo.
In estrema sintesi, l’intelligenza comunque si sostanzia, sempre, nella capacità di risolvere problemi e quesiti, rispettando alcune condizioni e determinati punti di partenza, dove in alcuni casi la discriminante del valore di questa si rifà alla rapidità, altre volte alla quantità e alla difficoltà di ottenere un risultato. Una distinzione che gli studiosi pongono come rilevante, perché in qualche modo è apparso evidente che, spesso un’intelligenza rapida non riesce a risolvere i problemi complessi, mentre “le menti potenti” il più delle volte fanno fatica a dare risposta a quesiti relativamente semplici.
Tutto ciò detto, l’essere vivente più intelligente che si conosca sulla Nostra Terra è per antonomasia, l’Uomo. È il più potente, anche perché riesce ad addomesticare, sfruttare, plasmare tutti gli altri esseri viventi del Pianeta e persino se stesso. Un concetto che non può essere invertito, non vale al contrario: è sotto gli occhi di tutti la circostanza che nessun essere vivente che non sia umano riesce ad addestrare un essere umano, figuriamoci poi, a sfruttarlo per le proprie necessità.
E veniamo al punto. Quello che tanto accende l’odierno dibattito pubblico e privato sull’IA sta proprio qui, ovvero quello basato sull’ipotesi di aver creato una caratteristica specifica dell’Uomo ed averla affidata per il suo espletamento ad una macchina. Sicché, il vero problema dell’intelligenza artificiale è quello trasposto, ovvero delle macchine intelligenti, dove molti ipotizzano per queste anche una certa autonomia operativa, rispetto all’Uomo. Inquieta molto questo tipo di ragionamento, che anche attraverso ragionamenti sempliciotti, o forse terroristici, giungono ad ipotizzare un “regno delle macchine” capace di subordinare l’Uomo e il Creato.
Basta poco per dimostrare che mai le Macchine, per quanto intelligenti, subordineranno l’Uomo! A ciò basti pensare che tutte le Civiltà, compresa la nostra, si sono strutturate socialmente in forma piramidale e la discriminante della stratificazione sociale non si è mai basata sull’intelligenza di chi compone tali strati. Al riguardo, va evidenziato che mai una società si è basata sull’unico principio della meritocrazia, un concetto messo “in piazza” dalla classe dirigente solo per giustificare il proprio status alle masse e, spesso, mutuato malamente da intellettuali che le difendevano, per farne uno strumento di rivalsa. Un concetto, insomma che oggi è stato decisamente superato: è opinione diffusa, e a giusta ragione, che l’intelligenza e la meritocrazia non garantiscono successo, ricchezza e potere, di contro, in ogni strato sociale, esse infatti, rappresentano solo uno degli ingredienti.
In realtà, le componenti dei vari strati della piramide sociale sono molte e di varia natura, e peraltro non stabili nel tempo e nello spazio. Certamente, una di queste è proprio l’intelligenza, ma di sicuro non è quella decisiva né presenta un carattere diffusivo. E a tale conclusione si giunge facilmente speculando sul taylorismo e il fordismo, che introdotti a partire dal 1911-13, di fatto mettono in luce una realtà che esiste da sempre e in tutti i campi dello scibile umano, dove lavoro e cultura, insomma, non hanno nulla a che vedere con l’uso esclusivo dell’intelligenza. Concetti che vengono implementati da sempre, anche in ambito religioso ed esoterico, con le loro Istituzioni, e anche ben messi in evidenza dalle principali Sacre Scritture, delle confessioni e dagli ordini di tutti i tempi.
In realtà, il fattore decisivo, che rende possibile qualsiasi Civiltà, nonché la sua creazione e la tenuta di una piramide sociale, è rappresentato da un mix di elementi, in cui forse quello più rilevante è proprio quello “sistemico”, quello attinente all’ingegneria gruppale, che tutto tiene assieme, dove peraltro anche la casualità e la caoticità hanno un valore positivo e, a volte, rilevante, e poco hanno a che vedere con l’intelligenza, la quale è tale solo di fronte ad un problema sempre codificabile o codificato. Sicché, per quanto intelligenti, le macchine rimangono le macchine e nulla hanno a che vedere con ciò che è umano.
La Civiltà, dunque, attiene all’Uomo e solo all’Uomo, dove le macchine oggi, intelligenti o meno, ne definiscono la caratteristica, ma non le specifiche, che rimangono sempre uguali e solo uguali all’Uomo, che proprio perché tale non può che essere mistero a se stesso: se così non fosse, non avrebbero modo e ragione di esistere neanche le macchine, uno dei suoi tanti prodotti, necessari al “Suo percorso”! E non solo, un Uomo privo del Mistero, stricto sensu, altro non sarebbe che una Macchina, dove la Macchina, poi, ha un senso solo in presenza dell’Uomo… Niente Uomo? Niente Macchine!
Mauro Ragosta