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sabato 17 ottobre 2020

Saper comunicare (parte ottava): la pausa e…il silenzio – di Mauro Ragosta

 

            Si sa, la comunicazione è cosa alquanto complessa e capace, se utilizzata con professionalità ed esperienza, di gestire con destrezza il dialogo, e non solo. Qui tratteremo, si pur in maniera succinta, sinottica, quali sono le portanze della pausa all’interno di un dialogo, ma anche nella lettura di brani e poesie, fino a giungere al silenzio, che non verrà ovviamente trattato quale ultimo stadio della Ragione né come momento d’attesa dell’intuizione, e cioè come ultima fase nei processi di crescita personale, rientrando ciò in pratiche e ménage esoterici. Accenneremo, invece, al silenzio solo come strumento comportamentale.

            Ad ogni buon conto, va subito sottolineato che chi non usa le pause in una relazione verbale ha in genere una visione indifferenziata della Realtà e processi cognitivi alquanto alterati e, proprio per questo, occorre interfacciarsi più che con strumenti verbali, con strumenti emozionali. Ci si è in presenza di un soggetto, infatti, che non ascolta o ha reazioni spropositate rispetto a quanto gli viene comunicato. Inoltre, per lo più va per luoghi comuni, emozionali, che si distribuiscono in un chiaro scuro tra il tragico e l’esaltante.

            Ed ecco che, escluso il caso del logorroico, ma anche di chi è affetto da alti gradi di autismo, la pausa è uno strumento che produce una serie di effetti sull’interlocutore, di cui qui tratteremo solo i principali. In ogni caso, un dialogo o una conversazione nella quale non si fa uso delle pause, diventano un “botta e risposta”, che attiene più al confronto, al muro contro muro, anziché ad una meravigliosa disputa a punta di fioretto.

            All’interno di questo quadro, il primo effetto che produce una pausa è quello di sottolineare con forza quanto si è detto ed offrire all’interlocutore la possibilità di ben riflettere e meditare un’eventuale risposta. La durata della pausa, in questo caso, varia sulla base delle peculiarità di chi conversa o discute. Se questi molto forti emotivamente ed intellettualmente, solitamente si concedono momenti moto lunghi di silenzio, spesso rassomigliando a degli scacchisti. Un’asserzione, infatti, presenta, sovente, più risposte e più possibilità di orientamento del dialogo e pertanto richiede una riflessione sia nel momento affermativo, sia nel momento della risposta. Emotività salda e buona cultura consentono all’interlocutore un utilizzo frequente di pause, soprattutto nei momenti topici del dire e da qui una relazione verbale chiara e allo stesso tempo complessa ed articolata.

            La pausa, tuttavia, molte volte viene utilizzata come mezzo di compressione emotiva da parte dell’interlocutore; una compressione tale da indurlo ad una reazione, che spesso si presenta spiazzante per chi cede alla pressione. Il silenzio, il più delle volte “pesa” come un macigno e non sono molti quelli che riescono a reggerlo a lungo. La pausa ed il silenzio in questi casi sono “armi” aggressive, che tendono a far aprire tutte le difese di chi ci è di fronte.

            Da possibilità di ascolto e riflessione a momento aggressivo, nella lettura ad alta voce di un brano o di una poesia, come in un discorso, la pausa si trasforma, invece, in tecnica che tende a sottolineare quanto si dice, a far imprimere con forza il proprio dire nell’ascoltatore. In altre circostanze è strumento che crea suspense, mentre all’inizio di un discorso una pausa più o meno lunga serve ad attirare l’attenzione su di sé e a far predisporre il pubblico all’ascolto.

            Cambiando prospettiva, invece, la pausa e il silenzio all’interno di una relazione, che possono avere durata variabile, ma sempre significativa, assurgono a strumenti che se da un lato sono utilizzati sempre per comprimere l’interlocutore, mettendo in risalto la propria assenza, dall’altro equivalgono ad attrezzature comportamentali volte a prendere “le distanze” dalla relazione stessa ed avere di questa una visione più lucida, e da qui la possibilità di intercettare un’azione più efficace.

            E per concludere, pause e silenzi ripetuti e sempre più lunghi nella durata rappresentano una tecnica per abbandonare una relazione senza creare tensioni rilevanti, abituando l’interlocutore, infatti, alla propria assenza in maniera progressiva e che alla fine diventa definitiva.

            Va da sé che, l’argomento qui trattato è estremamente vasto, ma l’intenzione alla base di quanto si è messo in luce è solo quella di stimolare una riflessione e magari un approfondimento attraverso la consultazione di specifici testi a ciò dedicati.

 

Mauro Ragosta

Nota: chi fosse interessato alla mia produzione di saggi può cliccare qui:
https://youtu.be/lhdKGKUfH6Q 

 


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