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giovedì 17 febbraio 2022

Saper fotografare (parte terza): storia di un fotografo …continua – di Mauro Ragosta

         Spesso la vita ti prende tanto dolcemente che tu non te ne accorgi se non molto tempo dopo, a volte anni, quando oramai non ti è consentito più tornare indietro dal mondo nel quale lei ti ha inserito. Così fu per me che non compresi subito il valore e la portata di quel piovoso martedì del marzo 1983. Non ebbi alcun sospetto, e per lungo tempo, che quell’incontro, quello con l’attrezzo fotografico e dunque col mondo della fotografia, fu il primo di una serie interminabile di giornate passate con lui e tutti i suoi accessori. Certamente, come le grandi storie d’amore, la relazione con la parte amata è come ad un elastico che a tratti si accorcia e a tratti si allunga, a volte si tende, altre si addolcisce, non mancando lunghe pause e silenzi e assenze, che si contrappongono a notti infuocate di passione.

         Ad ogni modo, due settimane dopo quel fatidico incontro, Raffaele, il mio compagno di camera, lì a Napoli dove frequentavo la Facoltà di Economia, un lunedì si palesò con una “vera” macchina fotografica, una fiammante reflex che suo zio gli aveva imprestato per qualche tempo. Non era un attrezzo di grido, come una Nikon o una Canon, o meglio ancora come una Leica o una Contax, o addirittura come una Rolleiflex o una Hasselblad, ma neanche un tipo di marche più abbordabili ed economiche, come la Yashica o la Olimpus. Era una Zenit, una fiammante Zenit di produzione russa, che costava circa ottantamila Lire. Molto economica rispetto alle altre, ma l’aspetto -almeno così m’apparve- era proprio quello di una reflex importante. Il suo prezzo era di molto al di sotto rispetto a quello di una ordinaria, che variava partendo da trecentomila Lire per superare il milione di Lire e a volte i milioni di Lire, ma aveva tutto quello che mi interessava: il mirino col pentaprisma e il pulsante di scatto. E questo bastava!!!

            Nei giorni seguenti, nel tempo libero, mente mi divertivo a guardare la Realtà dalla finestrella della fotocamera, mi feci spiegare i rudimenti tecnici per realizzare una fotografia. Così seppi che bisognava sempre misurare la luce e decidere la coppia di diaframma e di tempo dello scatto. Nelle settimane che seguirono cominciai ad acquistare i giornali specializzati, come Fotografare, Reflex, Il Fotografo, e leggendoli appresi che esistevano diversi obiettivi, che si identificavano con la distanza tra la lente e la pellicola. Ognuno di essi offriva una versione diversa della Realtà, e la “questione” mi intrigò ancora di più: diverso era osservarla con un obiettivo da 50 mm, rispetto a quella offerta da un 135 mm o un 28 mm e via dicendo.

Non tardò molto tempo quando acquistai un rullino da 36 fotogrammi per fare i primi esperimenti. Qui, immediatamente si palesò la grande delusione, quella che segue l'innamoramento e ti permette di entrare nel mondo dell'amore! Quello che vedevo dal mirino non coincideva con la foto stampata su carta fotografica. Insomma, le emozioni che mi dava la Realtà vista dal mirino della Zenit non coincidevano con quelle che dava la stampa dell’immagine impressa sulla pellicola e trasportata su carta fotografica.

E la cosa si complicava: di fatto ero impedito a poter conservare quelle emozioni che mi aveva provocato la Realtà vista dal mirino. Ecco, ero impossibilitato a proiettare per lungo tempo quello che la Realtà mi concedeva tramite la Zenit.

Insomma, con sempre più insistenza, mi interessava proprio questo, ovvero congelare, fissare, rendere “immortali” certi momenti vissuti con la Zenit e per mezzo della Zenit, ma ciò non pareva possibile. E così le illusioni che produceva e concedeva l’attrezzo fotografico, come nascevano così morivano, avevano una vita effimera…istanti, solo istanti, che dovevo lasciare andare: cercavano e ottenevano la loro libertà!

            La vita dietro la fotocamera, poi, in breve tempo si era trasformata in una vita parallela, che, come quella reale, non poteva essere fissata, ma al contrario di questa, la vita “alternativa”, la vita delle illusioni aveva qualche spiraglio operativo e d’azione per la sua fissità e fissazione, in virtù delle opportunità tecnologiche che il grande mondo della fotografia offriva.

            La possibilità di fissare e riprodurre un’illusione mi apparve subito una questione di capitale importanza nella mia vita.  La Realtà, d’altro canto, non filtrata dalla fotocamera era in parte oramai noiosa, in parte troppo dolorosa. E poi, l’università a quel tempo non dava più alcuna emozione: studiavo meccanicamente come ad un operaio con un salario garantito: sapevo lavorare, lavoravo e guadagnavo poco rispetto alle mie aspettative: il 30/30 non mi bastava più, mentre l’attrezzo fotografico, col suo mirino dava emozioni, anche importanti, e a ripetizione.

            Sicché, il vero problema che si pose in quel tempo della mia vita napoletana ed universitaria, fu quello di eternare, ed in definitiva dominare, le illusioni di pregio che offriva la Realtà vista dal mirino della Zenit. Vivere di illusioni, dunque? Volevo questo? Ebbene, sì! …e capii subito che quella era una possibilità per farla franca rispetto alla Vita…

Mauro Ragosta (2310)

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