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mercoledì 2 marzo 2022

Saper fotografare (parte quarta): storia di un fotografo… continua – di Mauro Ragosta

            Tutto accadde molto rapidamente. Già in settembre di quell’anno, il 1983 appunto, avevo un’attrezzatura fotografica di tutto riguardo: una reflex Yashica, due ottiche fisse ed uno zoom, l’esposimetro, due cavalletti, un flash, un ingranditore con tutti i marchingegni per la stampa in Bianco & Nero. Su tutti i fronti, “dal colore al Bianco & Nero, dal negativo alla diapositiva” le mie esperienze erano ancora minime, ma sufficienti a realizzare immagini di qualità discreta.

            La decisione di immergermi in maniera più pregnante nel mondo della fotografia venne presa in giugno di quell’anno, dopo aver frequentato per circa un mese lo studio pubblicitario di un noto fotografo pubblicitario napoletano, un certo Tanasi, che in ottobre di quell'anno si trasferì a Milano, affermando che la piazza napoletana offrisse poco. Mi ritrovai così nell’ultimo scorcio della sua attività, lì a Napoli, e ancora oggi non so se questa fu una reale fortuna o una vera sciagura.

            Approdai allo studio di Tanasi, grazie al prezioso ”ufficio” di Titti A., una ragazza che abitava al piano sottostante il mio, in via Altamura. Lei apprezzò molto le mie fotografie, soprattutto i nudi, realizzati ad alcune colleghe di università, compiacenti e desiderose di quest’esperienza, al tempo ancora nuova e molto limitata tra noi ragazzi… un’esperienza esclusiva direi!

            Di certo, il mio, era tutto materiale ascrivibile ad un principiante, che non possedeva neanche la macchina fotografica, ma Tanasi, quando vide il lavoro che avevo svolto in quei pochi mesi con attrezzatura imprestata, mi incoraggiò a proseguire e per questo a frequentare il suo studio, che sebbene in dismissione, aveva ancora del lavoro da svolgere sulla piazza napoletana.

            Tanasi aveva non più di quarant’anni e venti di esperienza da fotografo, io appena ventiquattro e tutti dediti allo studio e qualcos’altro di contorno a questo. Sicché, nei pomeriggi nei quali andavo da lui, mi limitai solo ad osservare come si muovesse nel suo studio, tra grafici, modelle e truccatori, tra lavoro sul set e in camera oscura. Era un mondo a me totalmente sconosciuto: impegnato, impegnativo e, allo stesso tempo, totalmente dissoluto, dunque assolutamente perfetto! E così, l’università divenne sempre più una questione noiosa, scontata, prevedibile, con i suoi raccomandati... I programmi poi cominciavano a farsi ripetitivi, e avendo sostenuto, su tutti i fronti -ovvero quello economico, quello giuridico e quello matematico- più di venti esami, questi si presentavano spesso tediosi, se non proprio occasione di pomeriggi avvilenti. Il mondo della fotografia, come fulmine a ciel sereno, mi apparve invece decisamente più ricco, in tutti i sensi, …anche di belle donne.

            E così vidi come si realizzavano le copertine dei giornali di moda e di cultura, come si produceva un catalogo per l’abbigliamento, ma anche per il design, sotto il profilo grafico e quello fotografico, come si progettava un book per modelle o per uomini pubblici. Appresi le problematiche per le foto di cosmesi e per la stampa di manifesti giganti. Insomma, in un mese e mezzo capii che quel lavoro presentava molti aspetti non solo interessanti, ma anche accattivanti, se non proprio ammalianti.

            Per l’estate del 1983 tornai a Lecce ed invece di godermi le vacanze sulle spiaggie di Gallipoli, rimasi in città e mi misi a dare "ripetizzioni private" a tutto spiano: servivano soldi! Tra preparazioni agli Esami di Stato, che mi fruttavano ciascuna tra le 700 e le 800.000 Lire, e le preparazioni agli esami di riparazione, in settembre, raggranellai circa tre milioni e mezzo (di Lire, ovviamente) che impiegai in massima parte per comprare tutta l’attrezzatura necessaria per un approccio di buon livello, all'arte fotografica.

            In ottobre, le mie esperienze in questo ambito cominciarono a crescere ad un ritmo che presto divenne esponenziale. Non era affatto semplice realizzare una buona fotografia: le varianti in gioco erano numerosissime e il materiale non consentiva né l’errore né un margine operativo ampio, al contrario di oggi dove gran parte dei problemi tecnici sono stati superati, grazie ad una tecnologia che a quel tempo non si riusciva neanche ad immaginare. Quello che oggi si può realizzare con un cellulare di medio livello, al tempo era pressoché irraggiungibile e ci si poteva avvicinare solo in virtù di una conoscenza molto profonda dei materiali a disposizione, un’assoluta precisione nell’utilizzo e una mentalità matematica spinta…

            Insomma, per me in autunno il tempo passò sempre più velocemente, tra prove e controprove, per comprendere le caratteristiche delle pellicole, e non solo in relazione alle marche, ma anche in funzione della loro sensibilità, le caratteristiche dei vari tipi di diapositiva, il tutto declinato tra materiale per produzione a colori e materiale per la produzione del Bianco & Nero. Per quest’ultimo poi, occorreva conoscere tutti i chimici per lo sviluppo non solo delle carte, ma anche delle pellicole, tutti diversi per marche e caratteristiche, e lo stesso valeva per le carte che si utilizzavano per la stampa.

            Il grande problema, che oggi pare essere superato, non stava soltanto nell’imparare a mettere a fuoco e trovare la giusta esposizione, che oggi si ottiene quasi sempre in automatico, ma si sostanziava soprattutto nella gestione della cosiddetta “latitudine di posa”, ovvero l’ampiezza tra il punto più chiaro e quello più scuro di una struttura fotografica. Questa al tempo era minima e poco modulata, nel materiale a disposizione sul mercato, al contrario di oggi, dove all’interno di un’immagine, da scattare o da stampare, l’ampiezza della “latitudine di posa” è cinquanta volte maggiore e spiccatamente più modulata. Chiunque, oggi, può realizzare una foto di buona qualità, un tempo, invece, prerogativa solo di fotografi molto esperti e meticolosi conoscitori di tutti i materiali necessari.

            Sicché, da ottobre del 1983 fino a marzo del 1984, gran parte del mio tempo lo trascorsi imparando l’uso di tutto quel materiale. E cioè fino a quando in aprile realizzai il primo lavoro per il quale vi fu un riconoscimento monetario, un sollievo finanziario che cominciò a compensare le mie fatiche di quell’anno trascorso ad apprendere l’arte della fotografia, quella dell’illudermi e dell’illudere...

 

A venerdì 18 marzo…

 

Mauro Ragosta

 

2310....

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