HOME PAGE

venerdì 25 marzo 2022

Saper Fotografare (parte quinta): Storia di un fotografo …continua – di Mauro Ragosta

 

            Illudersi e illudere!!! Questo fu il primo epilogo del tempo in cui mi produssi nell’attività fotografica, nella prospettiva da professionista. Come da manuale, per i grandi amori insomma, dove all’inizio ci si illude da soli, poi si illude l’amata/o ed infine si illude tutto l’entourage. E tutto funziona fino a che le energie creative che sostengono l’impianto illusorio sono attive e fervide. Nel momento in cui invece, queste si spengono, crolla l’intero castello, che può essere più o meno imponente, con conseguenze, ovviamente non piacevoli per tutti. In questo caso, ovvero quando le spinte illusorie vengono meno, è bravo chi riesce ad uscire di scena senza farsi male.

            Nel 1984, spinto dai successi artistici e remunerativi, volli entrare con più forza nell’ambiente leccese e napoletano come fotografo di livello e di valore. Riuscii a produrre tre calendari d’arte, targati 1985, e una serie di cartoline innovative per qualità dell’immagine, ma anche per la grafica, che piazzai nel Salento e in Campania. Fu così che a Lecce si videro per la prima volta le cartoline artistiche ed in un solo anno due calendari con foto d’autore, stampati dalla nota Tipografia Conte di Lecce, di cui uno, in Bianco & Nero, destinato agli esercizi commerciali e l’altro marchiato Fedelcementi. In quest’ultimo caso, fu il risultato di una scommessa tra me e Gimmy Fedele, il quale affermò, sbagliandosi, che mai sarei riuscito a fotografare la grande industria cementiera di Galatina, di cui lui al tempo era proprietario, facendola uscire a colori, in quanto tutto il plesso industriale era di un grigio triste. Perse e si complimentò con me per essere riuscito a realizzare immagini della Fedelcementi di colori gradevoli e inediti, benché reali. Si era così prodotta una delle mie migliori illusioni, anche perché riuscivo a vedere quello che gli altri non vedevano…

            Gli affari andavano bene, e fin troppo pure, sicché fu così che mi si impose di “prendere” la Partita Iva. Il giro finanziario era tale che non si poteva più ricorrere a piccoli espedienti fiscali per rimanere nell’ombra. Da qui la mia storia di fotografo professionista prese una velocità inaspettata e insospettata.

Nei primi giorni del 1985 decisi di abbandonare l’università, benché mi mancassero solo un esame e la tesi di laurea, e di aprire uno studio fotografico specializzato per l’industria. Tre mesi dopo tutto era compiuto: avevo una sala da posa ben attrezzata, un impianto luci considerevole, fatto peraltro di due bank da un metro per tre, cavalletti, fondali, un banco ottico 13x18 (che tra le altre ho ancora come pezzo da museo) e una camera oscura capace di realizzare anche gigantografie in Bianco & Nero fino a quattro metri. Circa le reflex, mi dotai di due Contax RTS II con ottiche Zeiss, dal 25 millimetri sino ad un 200 mm made in West Germany. Il tutto si localizzava a Lequile, nella periferia.

In giugno di quell’anno, Toti Carpentieri, oggi tra i più insigni critici d’arte leccesi, mi invitò a partecipare ad uno stage tenuto da Uliano Lucas, noto fotoreporter italiano, e Carla Cerati, fotografa e scrittrice, che si sarebbe tenuto tra Maglie e Galatina. Accettai. Fra i vari partecipanti, tutti principianti, c’era Caterina Gerardi con la quale simpatizzai immediatamente, a tal punto che successivamente le diedi alcune lezioni, attraverso le quli apprese e si perfezionò nella stampa del Bianco & Nero. Poco sapevo che Caterina sarebbe diventata un’icona della fotografia leccese e conosciutissima in ambito nazionale ed internazionale.

Quello stage fu una “bomba ad orologeria”. Non esplose subito, ma tre anni dopo. Per lungo tempo rimase silente nella mia attività professionale, ma quando si innescò distrusse tutto il mio mondo di illusioni. Uliano Lucas, prima di essere un fotografo era un fine intellettuale. Dietro ogni sua fotografia esisteva un pensiero preciso. Le sue fotografie erano pensieri. Ogni suo scatto, in cui l’emozione giocava un ruolo secondario e marginale, era premeditato e veniva da lontano, da studi e convinzioni maturate negli anni. Non fotografava per illudersi, ma forse per illudere. Proponeva, attraverso una precisa grammatica, la sua visione del mondo, una precisa visione del mondo.

Capii subito il sistema Lucas, ma questo non fu in grado di intaccare il mio mondo da fotografo che rimase inalterato. E qui, la cultura non aveva grande cittadinanza. Il mio fare fotografico rimaneva fortemente emotivo e ancorato ad alcune atmosfere sognate durante la lettura della narrativa francese di fine Ottocento e i primi Novecento, di qualche anno prima. Le mie atmosfere, erano atmosfere Liberty, da Belle Époque. Erano atmosfere che volevo vivere e far vivere, e rimasero tali fino al 1988. È Vero, furono la chiave del mio successo, ma, del pari, risultarono incapaci di farmi evolvere. Furono un sogno dal quale prima o poi ci si risveglia, come io mi risvegliai qualche anno più tardi…

 

Mauro Ragosta

 

Nota: da qui l’appuntamento con Saper Fotografare si sposta al terzo venerdì di ogni mese.

Nessun commento:

Posta un commento