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sabato 30 marzo 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (parte seconda): Il dissolvimento delle tradizionali figure politiche - di Massimiliano Lorenzo



Antonio Gramsci, Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Sandro Pertini, sono solo alcune delle figure più importanti che la politica italiana ha conosciuto nella sua storia novecentesca. Uomini e politici capaci di portare con sé quel senso della vita pubblica e delle istituzioni che oggi praticamente non è più possibile rivedere in nessuna delle figure del ventunesimo secolo.
Il fatto che non si riescano a ritrovare figure di tale levatura e tale acume, però, non è un caso, non è il semplice seguire degli anni. Elementi e decisioni ai più alti livelli delle gerarchie hanno condotto a quanto siamo costretti a sentire e vedere, oggi.
Un primo fondamento verso cui volgere lo sguardo? Alla cultura, al suo peso ed alla sua importanza. Il suo declino è piuttosto un appiattimento, un livellamento verso il basso, del neppure troppo lento sprofondare nel buio della ragione, quello che “genera i mostri”! Se prima i nostri politici, non necessariamente laureati nelle più grandi università del globo, erano in grado di muoversi sui vari livelli della discussione pubblica, sui vari temi, lo dovevano soprattutto al grande studio alla base dei loro assunti. Poche erano le enunciazioni vuote e scarne di significato, pochi i “verbi” lasciati volare per caso. La cultura ed il suo peso erano centrali nel loro agire, pur negli errori e nelle scelte sbagliate.
Proprio Gramsci spiegava cosa fosse la cultura, nel suo articolo “Socialismo e cultura”, del 1916: «È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri.» È ovvero elaborazione, riflessione e non scimmiottamento, o superficialità o “copia-incolla”.
L’ultimo decennio del secolo scorso, però, portò con sé, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, anche la fine di uno schema, la fine della contrapposizione tra due distinte proposte di organizzazioni dello Stato, dell’economia e della società, insomma di due alternative: Occidente contro Oriente, liberismo e liberalismo contro comunismo.
Non a caso la parabola discendente della qualità dei politici parte dai primi anni Novanta, dalla perdita del vecchio schema. Politici di destra e di sinistra, da allora, iniziarono la rincorsa verso il centro e le idee liberal-democratiche, oramai diventate unico regime. La sinistra e, nello specifico, il Pci con la “svolta della Bolognina” e Occhetto con “la cosa”; la destra col Congresso di Fiuggi, con il predellino, Silvio Berlusconi e le sue aziende di famiglia.
Il primo lustro ’90 per l’Italia significò dunque la distruzione di un modo di pensare e fare politica e la nascita di uno totalmente nuovo. Si sviluppò quella vuota politica dell’alternanza, tanto acclamata dalla democrazia occidentale, e del personalismo. Perché vuota? Perché l’alternanza non ha mai significato “alternativa!” Anzi, ha portato alla ricerca della conquista di piccoli potentati economici, dove la qualità del politico e del rappresentante non si quantificano in idee e spessore morale, ma in sacche di voti da assicurarsi, costi quel che costi. Si è passati dunque, da un conglomerato di filosofie e di modi di concepire lo Stato e la società, ad una competizione tra “amministratori di condominio”, con tutto il nostro rispetto per gli amministratori di condominio.
Massimiliano Lorenzo

1 commento:

  1. Bella iniziativa giornalistica: portare per mano il lettore per un percorso storicamente complesso con narrazione chiara e contemporaneamente profonda. Complimenti

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