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martedì 23 aprile 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (parte quarta): .....ancora sul personalismo - di Massimiliano Lorenzo


    

     Dopo aver tracciato nella parte terza di questa rubrica uno dei casi più eclatanti di personalismo (berlusconismo) e la politica che ne è conseguita, qui ampliamo l’orizzonte e guardiamo questo aspetto della politica in maniera da un lato con un respiro più ampio e dall’altra col tentativo di ricavarne un ordine sistemico.
    Ed in prima battuta va evidenziato che i politici e i partiti del ‘900, in Italia, nei primi anni Novanta, e cioè dopo la caduta del muro di Berlino e con esso del comunismo, lasciarono uno spazio vuoto, che venne subito occupato da nuove modalità di ricerca del consenso e del potere. Fu il personalismo ad irrompere tra le fila dell’agire politico, è la figura del capo partito o movimento ad attirare su di sé la massima attenzione. Questa pratica ha portato, praticamente, i sodali ed i simpatizzanti del nuovo uomo politico a identificarsi con lo stesso, quasi ad emularlo. Sebbene sia questo lo schema diffuso, può però prodursi in declinazioni differenti.
    Il passaggio dal partito “collettivo” al partito personale avvenuto sul finire del Novecento può probabilmente considerarsi uno degli aspetti, un sintomo, di un cambiamento più generale all’interno della società. In quegli anni, dopo la caduta della controparte orientale, l’individuo occidentale iniziò a porre la propria figura al centro, soprattutto, dell’economia, convinto di poter gareggiare e vincere, da singolo, la battaglia della competizione, sale del mondo capitalista. Allo stesso modo, in politica, il soggetto intenzionato ad imporre la sua idea, non si è più affidato all’organizzazione, o alla struttura, e all’elaborazione concettuale di un gruppo come nel passato, ma ha anteposto la sua figura carismatica dinanzi al partito.
    Così come era per i partiti del Novecento, anche per la “nuova” politica del personalismo, l’impegno profuso è stato indirizzato alla ricerca del potere. Un potere primariamente su coloro che il capo hanno seguito e legittimato per acclamazione, che vuol dire controllo degli individui e sui loro interessi. In seconda battuta, la ricerca del potere sulle istituzioni, proprio per difendere la propria posizione, i propri interessi particolari e quelli dei propri adepti. Gli interessi però, non sono da considerarsi necessariamente, o non soltanto, economici, perché nelle declinazioni del potere personalistico si possono rinvenire anche quelli di carattere politico-ideologico. Un po’ come la differenza che intercorre tra il personalismo di Berlusconi, di Renzi e di Salvini.
   Alla base del potere, che sia personalistico o di carattere collettivo, perché sia legittimo e legittimato, non può mancare il consenso. Anche su questo aspetto, dalla fine del Novecento, il personalismo ha mostrato le sue diverse facce. Lo schema ricorrente è quello dei cerchi concentrici: consenso nel gruppo e consenso tra gli “esterni”, alias potenziali elettori. Il politico personalista prospetta un’idea di società con all’origine la propria figura, la propria immagine. Si può infatti osservare e ritrovare politici industriali che illudono chi li guarda con la possibilità di divenire ricchi e longevi come loro. Oppure, politici che cercano di trasferire il proprio decisionismo in coloro che a lui si affidano, in maniera acritica. Gli uni e gli altri provano a smuovere gli istinti più profondi e grezzi, che siano quelli della ricerca di una posizione economica o della forza decisionale. Ma, tanto i sodali degli uni, tanto gli adepti degli altri, restano a bocca asciutta e, peggio, vengono schiacciati dai loro “eroi”, che racchiudono il loro lascito all’interno di gruppo ristretto.
    Come può vedersi, la figura del politico post-partiti novecenteschi è quella di un individuo che per quanto qui esposto, e si potrebbe indagare ancora, è lo specchio della società individualista e competitiva che viviamo. Gli schemi economici e politici si sono intrecciati, accorciando quella loro posizione di subalternità dell’uno rispetto all’altro. Proprio come i ruoli all’interno della società, dei tuttologi e dei laureati all’università della strada.
Massimiliano Lorenzo


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