E
mentre nel capoluogo salentino trionfano in particolar modo la narrativa e la
saggistica orientate all’esaltazione degli esercizi erotico-sessuali, in tutte
le salse, e dall’altra quelli pedagogici sui rimedi per le anime smarrite,
perse, Il Caffè delle Rose di Piero Grima, originario di Bari, ma leccese di
fatto, declina, in sartriana prospettiva, la condizione umana, quella di
sempre, quella irrimediabilmente sempre uguale a se stessa.
E’ un racconto, quello di Grima, Il
Caffè delle Rose appunto, orfano del tempo, infatti. In nessuna parte del testo
è possibile rintracciare quale sia il momento storico in cui si muovono i suoi
personaggi. Assente si presenta non solo qualsiasi datazione, ma anche
eventuali ed utili indizi tecnologici o riguardanti la moda e quant’altro, che
possano riportare ad un tempo. E persino il bel volume edito da Salento Books di Nardò (titolare anche
del marchio Besa) è avaro di riferimenti temporali circa la sua pubblicazione,
che si riescono ad intercettare nel primo risvolto, con caratteri vicini al
microscopico, in cui a malapena si riesce a leggere: 7/2018. Ma c’è di più. Non
avendo un tempo, il racconto di Grima pare privo addirittura di un principio e di
una fine.
Per di più, anche le coordinate
spaziali del racconto paiono ignote, prossime al mistero. Da alcuni indizi si
intravede che i luoghi del racconto, con molta probabilità, siano in Italia, ma
non si riesce a capire se al Sud o al Nord, e nello specifico se nel fiorentino
o nel Salento. L’unica cosa che si sa è che tutte le scene del racconto si sviluppano in un
piccolo centro abitato, dove però non sono assenti figure tipiche della città.
Ed ecco che, mancante di spazio e di
tempo, il racconto di Grima rimane sospeso, e come sospeso, senza perché, aleggia
in questo il dolore della vita e per la vita. D’altro canto, Piero Grima, da
attento osservatore coglie, in ciò, soprattutto la sospensione del popolo
italiano, che dimentico del suo passato, galleggia, rimane in bilico in un
presente, che proprio per questo è privo di un reale senso.
E' dunque, in questo scenario sconosciuto, metareale, che Grima, con sapiente e raffinata scrittura, per nulla riconducibile
alla tradizione salentina, né alle sue alchimie contemporanee,
narra le vicende di Geremia, la figura principale e portante, e dei suoi
compagni di viaggio, sotto il profilo esistenziale, dove tutti si muovono
attorno al Caffè delle Rose, che, a dire dell’autore, esiste nella realtà.
Se questo lavoro di Grima si dovesse
paragonare ad un brano musicale, non si farebbe fatica ad accostarlo ad Adagio For Strings di Samuel Barber. Il
Caffè delle Rose offre una lettura che scorre veloce sino alla fine, perché terribilmente
affascinante e, allo stesso tempo, decisamente melanconica, senza mai tracimare,
tuttavia, nella tristezza. E ciò possibile, in parte per lo stile letterario
che utilizza qui il Nostro Grima, decisamente sapiente e che, in ogni caso, si
richiama ai più noti scrittori francesi ed americani dei primi decenni del
Novecento, in parte perché dietro ogni soggetto del racconto si cela una parte
del lettore, di noi. Ma Grima va oltre, e, nel suo Il Caffè delle Rose, lascia
intravedere, sebbene solo all’occhio attento e all’intelletto raffinato e
colto, i grandi e sconosciuti meccanismi portanti del Mondo Occidentale, peraltro
riassunti, qui e lì, in poche battute, favorendo il più delle volte, una speculazione che
con facilità porta a trascenderli.
Le varie vicende nelle quali si
muovono Geremia e i suoi “compagni” non vengono mai trattate come il risultato
del gioco della vita. Il gioco, infatti, è questione ludica, infantile, al
massimo, adolescenziale. La loro prospettiva invece, è quella dello scherzo,
attinente questo al mondo degli adulti, che ha all’interno non solo il comico,
ma anche il tragico.
Al di là di ciò, Piero Grima è uomo
con simpatie sinistrorse, che pur trasudando nella narrazione de Il caffè delle
Rose, questa tuttavia trascende la colorazione politica tout court, per entrare in una visione della società, o forse
meglio dire dell’umanità, dove la realtà, una volta tradotte tutte le metafore
e le allegorie, appare per quella che è, e dove l’unico rimedio possibile pare
ritrovarsi all’interno anziché all’esterno. Potrebbe arguirsi che il racconto
di Grima sia quello dei nostri tempi, nei quali, in maniera oltremodo evidente, ci
si aggira in una società oramai mancante di un perimetro ed in cui è assente
qualsiasi perno, dove l’unica spiaggia cui approdare pare essere se stessi.
Tra i volumi pubblicati
dall’editoria salentina, questo lavoro di Grima si accosta facilmente a quello
pubblicato da Musicaos e scritto da Lea Barletti (recensito da Maison Ragosta in luglio dello scorso
anno). Due lavori, insomma, di altissima qualità culturale e letteraria, nello
specifico, destinati ad un pubblico particolarmente esigente, capace di
cogliere le delicatezze e le nuances
pastellate, che questi due autori offrono e sanno produrre con eloquente
destrezza.
E per concludere, sebbene superfluo,
Il Caffè delle Rose -il cui valore non è una questione casuale, ma frutto di
diuturni esercizi di riflessione, studio e pratica scrittoria- è uno dei tantissimi lavori di Piero Grima,
pubblicati durante il corso della sua lunga ed intensa vita, trascorsa negli
anni degli studi universitari tra Bari, Firenze e Parigi, e per il resto nel
capoluogo salentino, dove s’è intrattenuto come medico.
Mauro
Ragosta
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