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martedì 14 gennaio 2020

Stile e Buongusto (parte settima): Intorno all’arte del conversare – di Mauro Ragosta

         E’ facilmente riscontrabile da tutti che il nostro tempo è caratterizzato in maniera vieppiù specifica dalle attività comunicative. Rispetto al mondo contadino o a quello industriale, non certo “rumorosi” come il nostro, a Noi sono richieste appunto strette e frequenti interazioni con le persone. D’altro canto, poi, anche attraverso l’avvento dei social, uno dei più frequenti esercizi dell’uomo comune, se non proprio il principale, è quello di esprimersi davanti ad un pubblico, anche se virtuale. Se tutto ciò sia cosa buona e giusta o un male, una condanna, in definitiva, e se il comunicare in maniera intensiva sia attività che genera più confusione che chiarezza, sono questioni da trattarsi separatamente e richiedono un’attenta riflessione e, soprattutto, il non dare nulla per scontato.
            Ad ogni modo, all’interno di questo quadro si colloca la conversazione, esercizio, ad avviso di chi scrive, poco praticato e diffuso, se non in chi ha superato le impellenze consumistiche e le necessità di ostentazione di status symbol e feticci di vario genere, ma soprattutto per chi ha un’identità forte ed una salda sicurezza in se stesso, che lo risolvono nell’uso della parola come agente di comunione, anziché come arma per scaricare tutta la propria violenza, il proprio furore, quello inespresso, soprattutto con  scuse pedagogiche e con le necessità che bisogni a tutti i costi acculturare e acculturarsi o allontanarsi dall’ignoranza. Ignoranza, poi, che ancora non s’è capito in cosa consista, se nella conoscenza del vocabolario e della grammatica e di qualche nozione di storia e materie affini o nell’assenza del “sapersi regolare”, del conoscere i meccanismi più profondi dell’esistenza. Eh sì, perché le due cose sono scarsamente correlate, a ben riflettere, ma anche a gran dispetto di chi pensa che la Conoscenza sia possibile solo in presenza di un ricco pensiero e dunque di una buona cultura. E poi, non si può pretendere che un comune operaio, con tutto il rispetto per gli operai, abbia le capacità espressive di un professore: i due hanno bisogni e funzioni diverse. Si immagini ad esempio un tubista che si esprime come un letterato e che magari è anche un profondo conoscitore della Divina Commedia………in tal caso, povero professore!
            Tutto ciò premesso, la conversazione attiene al piacere di parlare, formulando l’idea giusta al momento giusto e al posto giusto, intercettando la locuzione più efficace ed efficiente, il vocabolo più appropriato alla circostanza. E’ momento creativo per eccellenza. Va da sé che, a ciò si associa il piacere di intrattenersi con un’altra persona, con la quale, la conversazione è occasione di gioco, ma anche di leale confronto, come tra poco si dirà.
            Ed ecco che, nella conversazione è bandita qualsiasi ostentazione, ogni sfoggio del proprio vocabolario, della propria cultura, di qualsiasi intento e pratica pedagogica da pedante maestro, ogni scopo volto a conoscere la profondità culturale dell’interlocutore, da utilizzare poi per altri fini e altre faccende, ma anche per appropriarsi delle sue conoscenze, delle sue determinazioni ed informazioni. Quanti caffè si prendono al bar con lo scopo esclusivo di cercare di conoscere e scoprire le faccende e l’economia del nostro “amico”, per poi in conseguenza prendere le nostre decisioni, o rubacchiare qualche idea?
            Nella conversazione, anche quando è decisa in anticipo sia con riferimento al luogo, all’ora e all’argomento in cui intrattenersi, la prima regola è quella di evitare rigorosamente le verticalizzazioni intellettuali, spinte, sia verso l’alto sia verso il basso. In altre parole, non bisogna mai intrattenersi in questioni di principio, fondanti questi per l’identità, o estremamente volgari e imbarazzanti. E siccome la conversazione è un gioco, non è quasi mai prevista in essa una posta così alta come uno o più dei mattoni importanti e fondanti della propria identità o sobbarcarsi di inquietanti, e a volte anche angoscianti, scene argomentative triviali e rozze.
            Nella conversazione non deve mai mancare il colpo di scena e l’ironia, e soprattutto l’autoironia. A volte, molto efficace è far passare ciò che è normale per folle e ciò che è folle per normale, o ciò che è naturale per ciò che non è naturale e viceversa, ma anche ciò che è logico per non logico e ciò che è illogico per ciò che è logico. In tale arte, un Maestro è stato Pirandello! Va da sé che, l’utilizzo di metafore, allegorie, translati rendono il conversare molto più ricco e sorprendente.
            Da qui, nella conversazione si può giocare a percorre dei sentieri intellettuali dove si aggiunge la propria proposizione a quella del proprio interlocutore, ma ci si può anche confrontare. In tal caso ci vuole l’accortezza di dichiarare la propria resa, quando non si hanno più argomentazioni a supporto del proprio dire. E’ dunque da evitare rigorosamente in caso di sconfitta qualsiasi manifestazione di nervosismo o l’abbandonare il campo fisicamente…scappando… Bisogna sempre ricordarsi che si sta giocando, e il buon giocatore sa riconoscere lo “scacco matto”. E poi, ci sarà sempre l’occasione di una nuova “partita”, un nuovo sentiero da percorrere. E’ ovvio che non bisogna prendere ad esempio i talk show televisivi soprattutto quelli tra politici: qui, il più delle volte, la questione è decisamente volgare e di basso profilo. La conversazione è ben altra cosa: si avvicina molto ad un atto amoroso, ad una danza, magari ad un tango…ad un duello a punta di fioretto.
            E per concludere occorre marcare qualche indizio circa il luogo e il tempo da deputare alla conversazione: è preferibile che l’ambiente sia quello di un salotto privato; mentre l’ora giusta è quella del tè, in inverno, e del tramonto, in estate. Ad ognuno poi la scelta di come proporre e accessoriare gli ambienti destinati all’ameno momento.

Mauro Ragosta

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