E’
facilmente riscontrabile da tutti che il nostro tempo è caratterizzato in
maniera vieppiù specifica dalle attività comunicative. Rispetto al mondo
contadino o a quello industriale, non certo “rumorosi” come il nostro, a Noi
sono richieste appunto strette e frequenti interazioni con le persone. D’altro
canto, poi, anche attraverso l’avvento dei social,
uno dei più frequenti esercizi dell’uomo comune, se non proprio il principale, è
quello di esprimersi davanti ad un pubblico, anche se virtuale. Se tutto ciò
sia cosa buona e giusta o un male, una condanna, in definitiva, e se il
comunicare in maniera intensiva sia attività che genera più confusione che
chiarezza, sono questioni da trattarsi separatamente e richiedono un’attenta
riflessione e, soprattutto, il non dare nulla per scontato.
Ad ogni modo, all’interno di questo
quadro si colloca la conversazione, esercizio, ad avviso di chi scrive, poco
praticato e diffuso, se non in chi ha superato le impellenze consumistiche e le
necessità di ostentazione di status
symbol e feticci di vario genere, ma soprattutto per chi ha un’identità
forte ed una salda sicurezza in se stesso, che lo risolvono nell’uso della parola
come agente di comunione, anziché come arma per scaricare tutta la propria
violenza, il proprio furore, quello inespresso, soprattutto con scuse pedagogiche e con le necessità che
bisogni a tutti i costi acculturare e acculturarsi o allontanarsi dall’ignoranza.
Ignoranza, poi, che ancora non s’è capito in cosa consista, se nella conoscenza
del vocabolario e della grammatica e di qualche nozione di storia e materie
affini o nell’assenza del “sapersi regolare”, del conoscere i meccanismi più
profondi dell’esistenza. Eh sì, perché le due cose sono scarsamente correlate,
a ben riflettere, ma anche a gran dispetto di chi pensa che la Conoscenza sia
possibile solo in presenza di un ricco pensiero e dunque di una buona cultura.
E poi, non si può pretendere che un comune operaio, con tutto il rispetto per
gli operai, abbia le capacità espressive di un professore: i due hanno bisogni
e funzioni diverse. Si immagini ad esempio un tubista che si esprime come un
letterato e che magari è anche un profondo conoscitore della Divina
Commedia………in tal caso, povero professore!
Tutto ciò premesso, la conversazione
attiene al piacere di parlare, formulando l’idea giusta al momento giusto e al
posto giusto, intercettando la locuzione più efficace ed efficiente, il
vocabolo più appropriato alla circostanza. E’ momento creativo per eccellenza.
Va da sé che, a ciò si associa il piacere di intrattenersi con un’altra
persona, con la quale, la conversazione è occasione di gioco, ma anche di leale
confronto, come tra poco si dirà.
Ed ecco che, nella conversazione è
bandita qualsiasi ostentazione, ogni sfoggio del proprio vocabolario, della
propria cultura, di qualsiasi intento e pratica pedagogica da pedante maestro,
ogni scopo volto a conoscere la profondità culturale dell’interlocutore, da
utilizzare poi per altri fini e altre faccende, ma anche per appropriarsi delle
sue conoscenze, delle sue determinazioni ed informazioni. Quanti caffè si
prendono al bar con lo scopo esclusivo di cercare di conoscere e scoprire le
faccende e l’economia del nostro “amico”, per poi in conseguenza prendere le
nostre decisioni, o rubacchiare qualche idea?
Nella conversazione, anche quando è decisa
in anticipo sia con riferimento al luogo, all’ora e all’argomento in cui
intrattenersi, la prima regola è quella di evitare rigorosamente le verticalizzazioni
intellettuali, spinte, sia verso l’alto sia verso il basso. In altre parole,
non bisogna mai intrattenersi in questioni di principio, fondanti questi per
l’identità, o estremamente volgari e imbarazzanti. E siccome la conversazione è
un gioco, non è quasi mai prevista in essa una posta così alta come uno o più
dei mattoni importanti e fondanti della propria identità o sobbarcarsi di
inquietanti, e a volte anche angoscianti, scene argomentative triviali e rozze.
Nella conversazione non deve mai
mancare il colpo di scena e l’ironia, e soprattutto l’autoironia. A volte,
molto efficace è far passare ciò che è normale per folle e ciò che è folle per
normale, o ciò che è naturale per ciò che non è naturale e viceversa, ma anche
ciò che è logico per non logico e ciò che è illogico per ciò che è logico. In tale arte, un Maestro è stato Pirandello! Va da sé che, l’utilizzo di metafore,
allegorie, translati rendono il conversare molto più ricco e sorprendente.
Da qui, nella conversazione si può
giocare a percorre dei sentieri intellettuali dove si aggiunge la propria
proposizione a quella del proprio interlocutore, ma ci si può anche
confrontare. In tal caso ci vuole l’accortezza di dichiarare la propria resa,
quando non si hanno più argomentazioni a supporto del proprio dire. E’ dunque
da evitare rigorosamente in caso di sconfitta qualsiasi manifestazione di nervosismo
o l’abbandonare il campo fisicamente…scappando… Bisogna sempre ricordarsi che si
sta giocando, e il buon giocatore sa riconoscere lo “scacco matto”. E poi, ci
sarà sempre l’occasione di una nuova “partita”, un nuovo sentiero da
percorrere. E’ ovvio che non bisogna prendere ad esempio i talk show televisivi soprattutto quelli tra politici: qui, il più
delle volte, la questione è decisamente volgare e di basso profilo. La
conversazione è ben altra cosa: si avvicina molto ad un atto amoroso, ad una
danza, magari ad un tango…ad un duello a punta di fioretto.
E per concludere occorre marcare
qualche indizio circa il luogo e il tempo da deputare alla conversazione: è
preferibile che l’ambiente sia quello di un salotto privato; mentre l’ora
giusta è quella del tè, in inverno, e del tramonto, in estate. Ad ognuno poi la
scelta di come proporre e accessoriare gli ambienti destinati all’ameno momento.
Mauro
Ragosta
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