In
un’epoca di transizione come la nostra, anche l’uso dei titoli accademici, di studio e di status deve essere soggetto a rivisitazione. A tal riguardo, l’ultima riqualificazione è stata fatta circa 70 anni fa,
con la fine del Regno d’Italia e l’insediamento della Repubblica. E ciò sia per
motivi politici, ma anche per questioni sociali. Infatti, l’Italia di cento,
centovent’anni fa, ancora profondamente legata al mondo agricolo e in una fase
di decollo dell’industria. non era quella di oggi, postindustriale ed opulenta.
E, al cambiamento socio-economico e politico, si associa anche il mutamento dei
costumi, e da qui, anche quello dell’uso dei titoli, dove quest'ultimo, attualmente, pare stia mostrando i suoi primi segni evidenti.
A tal
proposito, è bene marcare sin da principio che, oggi, l’appellativo di dottore
va nella maggior parte dei casi eliminato, Il titolo di studio, pur avendo
valore legale, non rappresenta più una nota distintiva, indicativa del proprio
grado culturale né tantomeno del proprio status
e retroterra familiare. A ciò, basti considerare ed elaborare che, se fino agli
anni ’80 del secolo scorso il numero dei laureati in Italia non superava il 3%
della popolazione, oggi questi ascendono ad oltre il 20%. Mentre prima il
laureato era destinato alla dirigenza, oggi non più, avendo l’università quasi
esclusivamente il compito di alfabetizzare la popolazione. In più, va tenuto
conto che, circa l’80% della popolazione italiana è analfabeta
sotto il profilo funzionale e cioè sa leggere, scrivere e far di conto, ma non
capisce con esattezza quello che dice e si dice, quello che legge. Gran parte
della popolazione, in più, non utilizza e conosce più di mille, millecinquecento parole, quando va bene. Da qui è facile capire che il titolo di
dottore non è distintivo e non è garanzia di un certo status socio-culturale e professionale, e rappresenta di fatto ben
poca cosa. Al riguardo, sono altri gli indicatori circa la propria
professionalità e la propria cultura, ma anche il proprio status sociale. Va da sé, che quanto sottolineato non implica che
non siano necessari gli studi universitari, anzi…….tutt’altro, anche se oggi
hanno un significato diverso rispetto agli anni ’30 o ’60 del secolo scorso.
Analoghe
considerazioni si possono fare per quanto riguarda i titoli di avvocato,
farmacista, giornalista, medico, i quali sono da utilizzarsi nelle varie
circostanze lavorative, ma non oltre, data la grande inflazione, che ne annulla
ogni valenza sul piano sociale e relazionale. Diversa è la situazione per i
notai, rappresentando questi una ristretta casta, tutti con redditi
elevatissimi e un background familiare quasi sempre di primissimo livello. In
questo caso, il titolo è effettivamente distintivo ed indicativo, anche se come
vedremo, la persona di buon gusto, di grande stile, nelle situazioni informali
e conviviali ama più nascondersi che mettersi in mostra, più farsi scoprire
anziché dichiararsi.
In
tale prospettiva, fuori da ogni contesto è il tentativo rimettere in ballo gli
antichi titoli nobiliari, peraltro senza alcun valore legale, in Italia, con la
nascita della Repubblica. Nella stessa direzione bisogna considerare i titoli
di appartenenza ad ordini cavallereschi, massonici e laico-religiosi (come
quelli di appartenenza all’Opus Dei ed assimilati) da utilizzare in ristrettissimi
ambiti e con estrema parsimonia e discrezione. Circa i titoli religiosi e le
cariche dello Stato si consiglia la massima attenzione, per motivi facilmente
comprensibili. Diversa è la questione per la qualifica di presidente. Al
riguardo, va considerato che molti posteggiatori abusivi, accattoni e
questuanti vari, qualificano il proprio “benefattore” col titolo di presidente,
dal momento che di questo titolo se ne fa un uso indiscriminato ed vi è un
proliferare spropositato di tale attribuzione, talché oggi non evidenzia più
alcunché.
Per
finire va considerato il titolo di professore, che aveva un alto valore
distintivo fino agli anni ’70 del secolo scorso, ma che dopo l’innalzamento
dell’obbligo scolastico e la grande e popolare espansione dell’università negli
anni ’90, in termini di incarichi e formazioni di cattedre, ha perso molto
della sua carica di significati distintivi e non è più indicativo di uno status sociale, culturale ed economico.
Sull’argomento
v’è ancora molto da dire. Qui ci si limitata all’essenziale, e per il resto
viene demandato alle capacità deduttive del lettore, che potranno esercitarsi
durante la lettura di questo testo, per definire le ovvie implicazioni.
A
quanto esposto, conviene aggiungere che, con riferimento alle circostanze
lavorative, qui va solo detto che è decisamente utile e funzionale nelle
presentazioni, una volta “scansato” il proprio titolo, qualificarsi facendo
riferimento esclusivamente alle funzioni aziendali o professionali o ancora
istituzionali. Nel caso, invece, si presenti un terzo, evitare sempre di citare
il titolo e quanto più possibile possibile le note curriculari, mentre sarebbe
auspicabile esplicitare il vostro legame con la persona che state presentando e
i motivi dell’incontro. Al riguardo, le note curriculari sono molto spesso
controproducenti, perché l’attento interlocutore sa che sovente sono annacquate
e quindi scarsamente indicative. In ogni caso rappresentano una forma di
sfoggio decisamente sgradevole. Altamente indicativo sono, invece, il
linguaggio utilizzato, e di seguito, le sequenze logiche del proprio dire, la
scelta dei contenuti, l’estro e la creatività, che definiscono le vostre e le
altrui posizioni in termini economici, culturali e sociali. In tale direzione
evitate un linguaggio artatamente aulico e cercate di essere quanto più logici
possibile: semplicità e profondità sono le carte vincenti.
L’assenza di
caratterizzazione nelle prime battute di una relazione, non solo è chic, ma consente alla relazione stessa
di costruirsi in maniera concreta ed efficace, ed anche significativa e
soddisfacente per tutti.
Andando avanti negli accorgimenti da
adottarsi, particolare attenzione bisogna porre al
bigliettino da visita, che in genere va dato o scambiato alla fine
dell’incontro, dopo che ci si è conosciuti. Qui, la persona di buon gusto si
doterà di due bigliettini da visita, uno per gli incontri di lavoro, sul quale
dovrà indicare, oltre al nome e cognome, anche la sua professione o il suo
ruolo aziendale o istituzionale, nell’altro, quello per le occasioni
conviviali, solo nome e cognome. In entrambi i casi, evitare di adottare i
titoli, mentre invece, è di buon gusto, indicare sul bigliettino, in alto a
destra, l’università presso la quale si sono compiuto gli studi.
Di
pessimo gusto è, al contrario, dotarsi di un bigliettino da visita costellato
di troppe informazioni e magari presentarlo all’inizio dell’incontro, quasi ad
avvertire l’interlocutore della propria
grander……….
E
per concludere, anche succinte devono essere le informazioni circa i propri
recapiti, che devono essere quelli strettamente essenziali. Se una persona
vuole mettersi in contatto con voi, troverà il modo di farlo anche senza il vostro
bigliettino, che è un fatto solo di pura cortesia e forma.
Mauro Ragosta
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