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giovedì 30 gennaio 2020

Stile e buongusto (parte ottava): Appunti sull’uso dei titoli… - di Mauro Ragosta

         In un’epoca di transizione come la nostra, anche l’uso dei titoli accademici, di studio e di status deve essere soggetto a rivisitazione. A tal riguardo, l’ultima riqualificazione è stata fatta circa 70 anni fa, con la fine del Regno d’Italia e l’insediamento della Repubblica. E ciò sia per motivi politici, ma anche per questioni sociali. Infatti, l’Italia di cento, centovent’anni fa, ancora profondamente legata al mondo agricolo e in una fase di decollo dell’industria. non era quella di oggi, postindustriale ed opulenta. E, al cambiamento socio-economico e politico, si associa anche il mutamento dei costumi, e da qui, anche quello dell’uso dei titoli, dove quest'ultimo, attualmente, pare stia mostrando i suoi primi segni evidenti.
A tal proposito, è bene marcare sin da principio che, oggi, l’appellativo di dottore va nella maggior parte dei casi eliminato, Il titolo di studio, pur avendo valore legale, non rappresenta più una nota distintiva, indicativa del proprio grado culturale né tantomeno del proprio status e retroterra familiare. A ciò, basti considerare ed elaborare che, se fino agli anni ’80 del secolo scorso il numero dei laureati in Italia non superava il 3% della popolazione, oggi questi ascendono ad oltre il 20%. Mentre prima il laureato era destinato alla dirigenza, oggi non più, avendo l’università quasi esclusivamente il compito di alfabetizzare la popolazione. In più, va tenuto conto che, circa l’80% della popolazione italiana è analfabeta sotto il profilo funzionale e cioè sa leggere, scrivere e far di conto, ma non capisce con esattezza quello che dice e si dice, quello che legge. Gran parte della popolazione, in più, non utilizza e conosce più di mille, millecinquecento parole, quando va bene. Da qui è facile capire che il titolo di dottore non è distintivo e non è garanzia di un certo status socio-culturale e professionale, e rappresenta di fatto ben poca cosa. Al riguardo, sono altri gli indicatori circa la propria professionalità e la propria cultura, ma anche il proprio status sociale. Va da sé, che quanto sottolineato non implica che non siano necessari gli studi universitari, anzi…….tutt’altro, anche se oggi hanno un significato diverso rispetto agli anni ’30 o ’60 del secolo scorso.
         Analoghe considerazioni si possono fare per quanto riguarda i titoli di avvocato, farmacista, giornalista, medico, i quali sono da utilizzarsi nelle varie circostanze lavorative, ma non oltre, data la grande inflazione, che ne annulla ogni valenza sul piano sociale e relazionale. Diversa è la situazione per i notai, rappresentando questi una ristretta casta, tutti con redditi elevatissimi e un background familiare quasi sempre di primissimo livello. In questo caso, il titolo è effettivamente distintivo ed indicativo, anche se come vedremo, la persona di buon gusto, di grande stile, nelle situazioni informali e conviviali ama più nascondersi che mettersi in mostra, più farsi scoprire anziché dichiararsi.
         In tale prospettiva, fuori da ogni contesto è il tentativo rimettere in ballo gli antichi titoli nobiliari, peraltro senza alcun valore legale, in Italia, con la nascita della Repubblica. Nella stessa direzione bisogna considerare i titoli di appartenenza ad ordini cavallereschi, massonici e laico-religiosi (come quelli di appartenenza all’Opus Dei ed assimilati) da utilizzare in ristrettissimi ambiti e con estrema parsimonia e discrezione. Circa i titoli religiosi e le cariche dello Stato si consiglia la massima attenzione, per motivi facilmente comprensibili. Diversa è la questione per la qualifica di presidente. Al riguardo, va considerato che molti posteggiatori abusivi, accattoni e questuanti vari, qualificano il proprio “benefattore” col titolo di presidente, dal momento che di questo titolo se ne fa un uso indiscriminato ed vi è un proliferare spropositato di tale attribuzione, talché oggi non evidenzia più alcunché.
         Per finire va considerato il titolo di professore, che aveva un alto valore distintivo fino agli anni ’70 del secolo scorso, ma che dopo l’innalzamento dell’obbligo scolastico e la grande e popolare espansione dell’università negli anni ’90, in termini di incarichi e formazioni di cattedre, ha perso molto della sua carica di significati distintivi e non è più indicativo di uno status sociale, culturale ed economico.
         Sull’argomento v’è ancora molto da dire. Qui ci si limitata all’essenziale, e per il resto viene demandato alle capacità deduttive del lettore, che potranno esercitarsi durante la lettura di questo testo, per definire le ovvie implicazioni.
         A quanto esposto, conviene aggiungere che, con riferimento alle circostanze lavorative, qui va solo detto che è decisamente utile e funzionale nelle presentazioni, una volta “scansato” il proprio titolo, qualificarsi facendo riferimento esclusivamente alle funzioni aziendali o professionali o ancora istituzionali. Nel caso, invece, si presenti un terzo, evitare sempre di citare il titolo e quanto più possibile possibile le note curriculari, mentre sarebbe auspicabile esplicitare il vostro legame con la persona che state presentando e i motivi dell’incontro. Al riguardo, le note curriculari sono molto spesso controproducenti, perché l’attento interlocutore sa che sovente sono annacquate e quindi scarsamente indicative. In ogni caso rappresentano una forma di sfoggio decisamente sgradevole. Altamente indicativo sono, invece, il linguaggio utilizzato, e di seguito, le sequenze logiche del proprio dire, la scelta dei contenuti, l’estro e la creatività, che definiscono le vostre e le altrui posizioni in termini economici, culturali e sociali. In tale direzione evitate un linguaggio artatamente aulico e cercate di essere quanto più logici possibile: semplicità e profondità sono le carte vincenti.
L’assenza di caratterizzazione nelle prime battute di una relazione, non solo è chic, ma consente alla relazione stessa di costruirsi in maniera concreta ed efficace, ed anche significativa e soddisfacente per tutti.
Andando avanti negli accorgimenti da adottarsi, particolare attenzione bisogna porre al bigliettino da visita, che in genere va dato o scambiato alla fine dell’incontro, dopo che ci si è conosciuti. Qui, la persona di buon gusto si doterà di due bigliettini da visita, uno per gli incontri di lavoro, sul quale dovrà indicare, oltre al nome e cognome, anche la sua professione o il suo ruolo aziendale o istituzionale, nell’altro, quello per le occasioni conviviali, solo nome e cognome. In entrambi i casi, evitare di adottare i titoli, mentre invece, è di buon gusto, indicare sul bigliettino, in alto a destra, l’università presso la quale si sono compiuto gli studi.
    Di pessimo gusto è, al contrario, dotarsi di un bigliettino da visita costellato di troppe informazioni e magari presentarlo all’inizio dell’incontro, quasi ad avvertire l’interlocutore della propria grander……….
   E per concludere, anche succinte devono essere le informazioni circa i propri recapiti, che devono essere quelli strettamente essenziali. Se una persona vuole mettersi in contatto con voi, troverà il modo di farlo anche senza il vostro bigliettino, che è un fatto solo di pura cortesia e forma.
 
Mauro Ragosta

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