Sovente, alcuni soggetti in
posizione di vertice, sia nella prospettiva istituzionale sia in quella sociale
ed economica, brandiscono la parola “provinciale, rivolgendosi a chi è in
posizione di inferiorità o subordinazione. Una parola che non viene usata in
termini generalistici, ma è tesa a colpire, invece particolari soggetti o
conglomerati umani che ufficialmente e chiaramente subordinati presentano
specifiche caratteristiche, che forse poco hanno a che fare col periferico o
marginale, col cattivo gusto o con prassi poco evolute.
I destinatari di questo eufemismo,
perché tale è la proiezione nella quale spesso viene usata, di questa parola
che, in sostanza, veste e traveste significati più rozzi, mostrano tutti delle
peculiarità. In genere i destinatari dell’aggettivazione in questione, dunque,
di questa parola che nasconde il grande disprezzo per chi la pronuncia, sono
tutti soggetti che si muovono secondo valori e dinamiche centrifughe, poco
gradite a chi si trova in posizione di vertice, che predilige orientamenti
centripeti. Insomma, alle persone di vertice non sono graditi i soggetti che
non guardano al centro, dove il soggetto di vertice risiede. Ecco, occorre
guardare e soprattutto ispirarsi ai gusti del centro. Di converso, una cultura
periferica, che non ha i suoi orizzonti nel centro, viene bandita e brandita. E
spesso, alla parola “provinciale”, poi e così, se ne abbina un’altra, ovvero
“autoreferenziale”, per dare il colpo di grazia a colui che non guarda al
vertice e dunque al centro.
Ecco che il Potere colpisce,
percuote col termine “provinciale” chi, in buona sostanza, se ne va per fatti
suoi, per la propria strada non curante dello stesso Potere. Chi ama poco
imitare in definitiva trova la sua compiutezza in sé e non trova nello stesso
Potere ispirazione né modelli di riferimento. E così, “provinciale” che
sottintende a qualcosa di molto più rozzo, cafone o qualcosa di molto vicino,
in effetti nasconde un significato altro, più profondo, ovvero quello di ribelle,
non allineato al Potere, che è il Centro per eccellenza.
Provinciale, rifacendoci alle parole
di Baudel è il luogo dove le luci della città sono basse e rade, è il luogo
delle periferie, del sottosviluppo, in definitiva, che appare il disvalore e, di
converso, lo sviluppo diventa il dictat
di chi Governa.
Ma ci si chiede: dobbiamo stare
tutti al Centro? Guardare il Centro? Ispirarci al Centro? In altre parole
dobbiamo necessariamente tutti guardare a Milano, Parigi, Londra, Tokio, New
York, dove queste megalopoli sedi del Centro, del Potere devono ispirare il
nostro incedere? E’ risolutivo di alcunché? Per caso a New York si soffre di
meno? Non esiste il dolore? Per caso, Milano costituirebbe il Paradiso,
l’estasi permanente? La felicità permanente? A Londra, poi, non ci sarebbero i
cretini ed il cretinismo?
In verità, quando il Potere lancia
questa parola, questo aggettivo, mette solo in evidenza la sua incapacità di
essere attrattivo, unificante, di non essere, in definitiva, motore
sociale, dunque. E’ il Padre inferocito nei confronti del figlio, che non
riesce a governare. Certamente, al riguardo vi sarebbe da chiedersi se vi sia
un’effettiva incapacità del Potere, o un’incapacità di subordinazione da parte
delle periferie di seguire le luci del Potere, in una prospettiva unificante.
Di fatto, quando l’uomo di potere
scaraventa questa parola, “provinciale” appunto, bipartisce i sottoposti, le
periferie……..le province. Questa parola, infatti, è come una “spada a due
tagli”. E così, dopo essere stata usata nei confronti del popolo e digerita
dallo stesso, gli effetti sono i più disparati, anche se tuttavia possono essere
ricondotti a due tipi di reazioni. Vi sarà chi si metterà d’impegno ad essere
più cittadino, e si ispirerà al centro, ma vi sarà chi invece comincerà a
coltivare sistematicamente l’odio per il Potere, per il Centro appunto, e la
sua azione sarà con forza sempre più centrifuga fino a risolversi in una
politica antileadership, fino a
chiamare addirittura in sfida il Potere stesso.
E dunque, superata la fase degli
psicologi, che etichetteranno il “provinciale” come soggetto con problemi nei
confronti dell’autorità, egli diventerà un leader
d’opposizione al Potere costituito. Ma non finisce qui.
Da attenta riflessione, il leader,
il Potere nel suo incedere, attraverso le sue qualificazioni, consce o
inconsce, tra le quali rientra l’uso del termine “provinciale”, getta il seme
per la Vita, per la Vita di un avversario, di colui che dovrà raccogliere il
testimone nella gestione del Comando, di colui che dovrà sostanzialmente
sostituirlo nella Centralità. Il Potere, insomma, crea nelle sue dinamiche, i
presupposti per il proseguimento del Potere stesso, generando e creando un antileader, il quale a volte avrà la
meglio sullo stesso Potere costituito, sostituendolo nelle sue funzioni.
Da qui, in definitiva, il Potere, ovviamente quello reale, nelle due versioni del leader e dell'antileader, pare che abbia una coscienza sua propria, naturale si potrebbe affermare, che prescinde nelle dinamiche fondative, dal soggetto che lo interpreta e lo vive
E così si procede, ancora nelle parole di
Braudel, dal centrage al recentrage. La storia dunque, frutto di
una struttura dialogica naturale e spontanea del Potere stesso? E con se stesso? Nessuno può darci
la sicurezza di ciò, potendo il Potere, diciamo di "tipo diurno" scientemente agire per creare un antileader, le cui funzioni sono
moltissime e tra queste la prosecuzione della Vita e della Civiltà stessa.
Si comprende dunque e per concludere che il "provinciale" è una vera e propria necessità di qualsiasi società.
Mauro
Ragosta
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