E così siamo al terzo appuntamento di questa nuova rubrica di Maison Ragosta, ovvero Saperi e Sapori. Ai più è apparso chiaro che questa è stata impostata in maniera poco antropocentrica, mentre prevale in essa una visione olistica, e per molti aspetti panteistica, per lo più distante dalle concezioni più materialistiche e di stampo capitalistico occidentale, dell’usa e getta, insomma.
Proprio per questo, il cibo è presentato come parte della cultura e della conoscenza di un popolo, una sorta di linguaggio atto a comunicare tradizioni e saperi. Così come l’uomo impara a parlare, attraverso segni convenzionali, allo stesso modo impara a interagire con l’ambiente che lo circonda, attraverso la scelta e la modalità del nutrirsi. In particolare, le prime esperienze alimentari segnano in maniera indelebile un popolo, come un marchio del territorio nel quale si è nati.
Ed ecco che, noi siamo ciò che mangiamo e come ci approssimiamo a esso, confermando la circolarità inscindibile e indistinguibile tra Natura e Uomo. È in quest’ottica nella prospettiva alimentare, che vorremmo ancora parlarvi questa volta di pasta, cibo dall’altissimo valore in tavola da Oriente ad Occidente. Alimento che si modella e acquista gusti diversi, attraverso il corso della storia.
La pasta, nata come prodotto di principi tradizionali e di costume, finisce col divenire essa stessa elemento influenzante la cultura di un popolo. Ricordare e distinguere, dunque. La storia di questo alimento, prodotto dalla mescolanza di acqua e farina, conduce a capire un po’ di più l’uomo e il rapporto inclusivo con l’ambiente.
La comparsa della pasta, si pensa risalga alla Cina della fine del 1200 e portata in Europa da Marco Polo, al suo ritorno dall’Impero del Gran Khan, ma in realtà, già a metà del 1100, il geografo arabo Edrisi menziona “un cibo di acqua e farina, in forma di fili” la “triyati” preparata a Trobia (attuale Palermo).
Nutrimento, all’origine, dal gusto leggero, costituito di farina di riso e dall’aspetto bianco e sottile, s’imposta in Europa con un colore ed un sapore più intensi dati dalla farina di grano duro e in alcuni casi di uova. Attraverso l’uso dei piedi e a suon di musica, nei primi pastifici, quest’alimento viene prodotto in molte città Italiane e venduto in tutto il mondo, anche perché facilmente trasportabile, in quanto preventivamente essiccato, e quindi senza problemi per la conservazione.
Alla fine del XV secolo, la pasta è già prodotta in larga scala in Sicilia, Liguria, Campania, Puglie ed Emilia, regioni che ne conferiscono nomi e tipologie proprie. È un tempo in cui essa resta destinata solo al consumo del ceto alto, per essere gustata, come dolce, cotta nel latte con zucchero e cannella. La pasta al pomodoro invece era un piatto da poveri e mangiata con le mani, fino all’invenzione della forchetta a quattro rebbi, che ne permetterà l’entrata nell’alta società.
Il piatto oggi più conosciuto al mondo sono ”gli spaghetti con le polpette”, ricetta ricordata anche nel cartone Disney “Lilli e il vagabondo” grazie alla scena tenerissima del bacio. Al riguardo va sottolineato che, mai accostamento poteva essere più centrato come quello tra dei due innamorati e il connubio tra spaghetti e polpette. Quante informazioni si comprendono, infatti, osservando il rapporto di un individuo con il cibo. Se avete dubbi su quanto una data persona possa essere un buon partner per voi, invitatelo a mangiare un piatto di pasta. Così un uomo che mangerà con ingordigia avrà quasi per certo fretta sotto le lenzuola, sarà colui che sovrappone i sapori quasi senza masticare, in pratica un amante “del tutto e subito” poco incline ai preliminari. Il “godereccio” sceglierà orecchiette al sugo e basilico e chiederà di ripetere, l’amante di classe si delizierà con paccheri ai frutti di mare o gamberi e pistacchi, scelte curate mai a caso, gustando lentamente con soddisfazione un piatto da “Nouvelle Cousine”, due ragazzi già in relazione intima divideranno un’unica porzione di pasta, guardandosi negli occhi, complici e uniti.
C’è chi dice, inoltre, che l’ingrediente segreto da mettere in un piatto di pasta sia l’amore: cucinare per qualcuno che si ama rende tutto più bello, perché cibo è comunione. Cibo e sesso, due istinti fondamentali dell’uomo, indirizzati entrambi alla sopravvivenza, il primo in maniera diretta il secondo metaforica spesso, ma ovviamente anche reale nell’atto del concepimento.
Pasta, dunque, non solo come relazione umana, ma anche come tradizione e famiglia, dunque: “Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo, me te se magno” recitava Sordi in un “Americano a Roma”, rappresentando il prototipo di italiano medio, grande consumatore di pasta, perché buona, poco costosa e riempimento di stomaci affamati. Ma c’è di più.
Pietanza che nei secoli ha assunto una valenza cosi famigliare da essere presa in considerazione anche in politica, contestata nel fascismo a favore del consumo di riso e usata, nel 2005, da Bobby Henderson che ne fa, con ironia, una corrente filosofica, per protestare contro le cose irragionevoli fatte e dette in nome della religione. Si tratta infatti del Pastafarianesimo, una filosofia, che, giunta in Italia nel 2014, ha come dio, un mostro creatore, con spaghetti per tentacoli e polpette per occhi…
Antonella Ventura
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