Dopo aver offerto alcune delucidazioni sul
processo di concentrazione del potere politico e bancario in Italia, è qui
d’uopo soffermarsi su un altro aspetto importante della Seconda e della Terza
Repubblica: il non-voto o l’astensionismo. Da ormai 40 anni, tale fenomeno è
una costante in Italia, e non solo in Italia, e si sostanzia nella circostanza
che una larga fetta di popolazione, nel momento cardine della democrazia,
ovvero quando deve esprimere il proprio voto nelle urne, non si presenti e
dunque non esprima la sua preferenza e il suo orientamento politico. E ciò con
motivazioni non sempre ascrivibili ad una razionalità.
In Italia, la pratica del non voto e
dell’astensione, dunque, fino a tutti gli anni ‘80 del Novecento non destò
interesse e, di conseguenza, venne tralasciata nelle analisi politiche
post-voto. Ciò perché la percentuale di
astensionismo si presentava veramente irrilevante sui processi elettorali.
Tuttavia quando l’allora segretario del PCI Enrico Berlinguer, nel 1981, portò
all’attenzione di tutti la cosiddetta “questione morale”, sulla corruzione
della politica e dei politici, gli astensionisti cominciarono a far sentire la
loro presenza o assenza alle urne. Ad ogni modo, fu nelle prime votazioni
politiche degli anni 90, infatti, che il partito degli astensionisti iniziò ad
allargare i suoi consensi. Ma cosa creò questa impennata? La questione pare
direttamente ricondursi a quel noto fenomeno che venne definito “Tangentopoli”
o “Mani Pulite”, avviato dalle indagini del giudice Di Pietro e che mise in
luce gran parte del sistema di corruttele che costellavano il mondo della
politica e della vita dello Stato Italiano.
In tale direzione va sottolineato che, la
corruzione è sempre stata connessa alla vita dello Stato, sin dai suoi albori,
sin dalle sue origini, senza conoscere differenze di territorio e di popolo.
Ma, a partire dagli anni ’90 del Novecento qual è lo specifico della novità in
merito, in Italia? Ecco, con Di Pietro la corruzione nella vita dello Stato e
dei partiti assume carattere spettacolare e di spettacolo nonché strumento di
propaganda politica. Non è da escludere che l’attenzione sulla corruzione servì
e forse serve ancora, a nascondere i reali processi di cambiamento del nostro
Paese, ben più dolorosi per la popolazione rispetto ai fatti connessi alla
corruzione stessa. Nello specifico, la propaganda sulla corruzione servì, e
forse serve ancora, per spiazzare l’opinione pubblica e l’attenzione della
gente comune rispetto ai grandi cambiamenti in merito al ruolo dello Stato e al
ruolo del popolo italiano nel nostro Paese.
Il risvolto di tale politica, perseguita dai
vertici della classe dirigente italiana, fu l’astensionismo, anche se su tale
fenomeno gravano anche altre variabili. Tra queste un ruolo importante lo ebbe
la fine della contrapposizione tipica della Prima Repubblica tra Comunismo e
Liberismo, due mondi alternativi, che colpì fortemente le idee alla base dei
partiti, che si trovarono in una sorta di “liberi tutti” e che videro
affievolire sempre di più le loro ideologie, quindi l’orizzonte e le
prospettive da trasmettere agli elettori, i quali rimasero prevalentemente
senza un’identità politica.
Anche i partiti e la politica senza più
un’identità chiara contribuirono, dunque, ad ingrossare le fila
dell’astensionismo. Quella mancanza di ideologie e di fedeltà a questo o quel
partito, di destra o di sinistra che fosse, unite ai perduranti immobilismo e
corruzione, hanno contribuito a far montare la sfiducia e l’avversione nei
confronti delle istituzioni e di chi le occupa. Da qui la conquista di punti
percentuali del “partito” dell’astensionismo: da circa il 13% delle politiche
del 1992 a circa il 28% delle ultime elezioni – secondo partito, dopo i
pentastellati di Di Maio.
Sicché, la lotta alla corruzione, come
strumento di propaganda, e la lotta politica, da un lato e dall’altro i tratti
decisamente sbiaditi del messaggio politico dei vari partiti hanno condotto ad
una disaffezione al voto, che potrebbe essere tradotto anche come una
disaffezione alla democrazia, o al concetto di democrazia, essendo questa
oramai molto rarefatta, come il comune lettore potrà valutare esso stesso
osservando la realtà dei fatti, dipendendo la vita dello Stato come quella del
cittadino comune da decisioni che vengono prese da gruppi ristretti di
soggetti, e non sempre in Italia, e comunque al di fuori dello stesso Stato.
Massimiliano Lorenzo
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