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martedì 16 luglio 2019

Recensione n°5 – Manuela Del Coco: una debuttante che irrompe nei cuori dei leccesi – di Mauro Ragosta


E’ con uno spaccato in cui si narrano e si illustrano una certa Lecce e certi leccesi, sicuramente quelli più in vista negli anni ’80, che esordisce come scrittrice Manuela Del Coco, col suo romanzo Poi quando torno mi metto a lavorare, per le Edizioni Esperidi di Claudio Martino. Un corposo volume di oltre duecento pagine, pubblicato lo scorso maggio, di una leccese per i leccesi. Eh sì, perché Manuela è leccese. Ma un libro valido, molto, anche per chi “straniero” voglia conoscere i costumi e la cultura del passato recente del capoluogo salentino. Di un passato che con forza si pone a fondamento dell’attuale società leccese, quale suo naturale sviluppo, sua ovvia conseguenza.
        Magistralmente Manuela descrive, con maggior vigore e puntualità soprattutto nelle pagine iniziali, la vita di uno dei giovani leccesi dei primi anni ’80, di quelli che frequentavano il bar Katia, il bar Poker, il bar Triangolo, Piazza Mazzini, la cui fontana a forma di mandala, era stata inaugurata qualche anno prima, nel 1975, assurgendo a metafora, icona di una nuova Lecce, nel suo volto e nel suo ruolo. E qui, in questo e con questo scenario, Manuela descrive la storia di Davide, il protagonista del racconto, mentre, nella narrazione, fanno da spalla due suoi amici e una ragazza a lui legata da un rapporto fatto di tenerezze, condivisioni e complicità. Un Davide, che figlio di professionisti leccesi, è un giovane bellissimo ed esuberante, sicuro di sé, troppo…..


            In Poi quando torno mi metto a lavorare non c’è, da parte della nostra autrice, una grande ricerca letteraria. E questo perché vi è in lei un’urgenza nel raccontare -in maniera fitta- la parabola di vita del protagonista della sua storia. Un’impellenza che si traduce in un lavoro letterario dai ritmi veloci, incalzanti, pressanti, e che magicamente coinvolgono e travolgono anche il lettore, portandolo a leggere tutto d’un fiato una storia a tratti mancante di perché, misteriosa e inspiegabile, dunque. Eppure una storia che sta lì, forse, sempre lì, ancora lì in una Lecce che, tutt’oggi, assiste impotente a vicende vicine a quelle del protagonista della nostra Manuela, Davide appunto, e che dunque per questo Davide stesso diventa simbolo, emblema, rappresentazione di quella Lecce, che, in definitiva, appartiene a tutti noi, anche se, a volte, segretamente.
            E qui si impone una considerazione importante e necessaria, obbligatoria, che si sovrappone e si interseca con quanto detto, e cioè che negli anni ’70 a Lecce, progressivamente e lentamente si dissolsero gran parte degli schemi culturali, che da sempre l’avevano connotata. Già nei primi anni ’80, tempo nel quale si sviluppa il racconto della Del Coco, la sua società si trovò profondamente trasformata e, allo stesso tempo, drammaticamente impreparata, incerta nell’incedere. E tutto avvenne rapidamente, troppo rapidamente. Quella degli anni ’80, già agli inizi è oramai la Lecce dell’opulenza, con tutti i suoi risvolti e i suoi corollari esistenziali e relazionali, che forse oggi si replicano ancora e, magari si vivono in maniera amplificata, ma che non colgono più di sorpresa il leccese, come fu per molti allora, come fu per il Davide della Del Coco.
            Ed ecco, quindi, che per il lettore leccese, magari quello un po’ avanti nell’età, ma ancora giovane o giovanile, il lavoro di Manuela scatena emozioni a ripetizione, ed in tutte le direzioni. E ciò in parte per la trama, in parte, e forse soprattutto, per i richiami ai ricordi personali, a quelle atmosfere, a quei colori, a quei luoghi….i volti, che non paiono remoti, ma dai quali lo e ci separano quasi quarant’anni. Per questi lettori il racconto di Manuela rimanda alla propria giovinezza, a quell’universo di circostanze, sensazioni, respiri che hanno costellato quegli anni, quel tempo in cui Lecce, ancora chiusa, autoreferenziale in maniera spiccata e bellissima, costituiva un mondo completo in sé, e per sé. 
            Un libro importante anche per i più giovani, dove possono trovare chiare le loro radici, le radici della Lecce contemporanea, che se per alcuni tratti presenta un’identità forte, per altri barcolla ancora in misteri come quelli che circondano il protagonista e i suoi amici nel nostro Poi quando torno mi metto a lavorare.
            E per concludere, anche questa volta Claudio Martino con le sue Edizioni Esperidi ha realizzato, con il lavoro della Del Coco, un prodotto editoriale di ottimo profilo, riuscendo a trovare il giusto equilibrio tra le esigenze letterarie e le esigenze di mercato, dove queste ultime vengono ad essere proficuamente soddisfatte nelle richieste, nelle necessità, nella sensibilità, senza alcuna forzatura, in maniera fresca, senza alcuna lezioncina professorale e autoreferenziale, che molti lettori leccesi devono sovente sobbarcarsi e tollerare, se non proprio quando, a volte, rischiano di soccombere, invece, sotto il peso delle banalità. Il tutto in una sorta di equilibrismo, che di frequente si presenta di alto livello e che, invece, non è richiesto al lettore per il romanzo della nostra Del Coco, in quanto va da sé, scorre agilmente, chiaro ed in maniera segnante.

Mauro Ragosta

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