E’
con uno spaccato in cui si narrano e si illustrano una certa Lecce e certi leccesi,
sicuramente quelli più in vista negli anni ’80, che esordisce come scrittrice Manuela
Del Coco, col suo romanzo Poi quando
torno mi metto a lavorare, per le Edizioni Esperidi di Claudio Martino. Un
corposo volume di oltre duecento pagine, pubblicato lo scorso maggio, di una
leccese per i leccesi. Eh sì, perché Manuela è leccese. Ma un libro valido,
molto, anche per chi “straniero” voglia conoscere i costumi e la cultura del
passato recente del capoluogo salentino. Di un passato che con forza si pone a
fondamento dell’attuale società leccese, quale suo naturale sviluppo, sua ovvia
conseguenza.
Magistralmente
Manuela descrive, con maggior vigore e puntualità soprattutto nelle pagine
iniziali, la vita di uno dei giovani leccesi dei primi anni ’80, di quelli che
frequentavano il bar Katia, il bar Poker, il bar Triangolo, Piazza Mazzini, la
cui fontana a forma di mandala, era stata inaugurata qualche anno prima, nel
1975, assurgendo a metafora, icona di una nuova Lecce, nel suo volto e nel suo
ruolo. E qui, in questo e con questo scenario, Manuela descrive la storia di Davide,
il protagonista del racconto, mentre, nella narrazione, fanno da spalla due suoi
amici e una ragazza a lui legata da un rapporto fatto di tenerezze,
condivisioni e complicità. Un Davide, che figlio di professionisti leccesi, è un
giovane bellissimo ed esuberante, sicuro di sé, troppo…..
In Poi quando torno mi metto a lavorare non c’è, da parte della nostra
autrice, una grande ricerca letteraria. E questo perché vi è in lei un’urgenza nel
raccontare -in maniera fitta- la parabola di vita del protagonista della sua
storia. Un’impellenza che si traduce in un lavoro letterario dai ritmi veloci, incalzanti,
pressanti, e che magicamente coinvolgono e travolgono anche il lettore,
portandolo a leggere tutto d’un fiato una storia a tratti mancante di perché,
misteriosa e inspiegabile, dunque. Eppure una storia che sta lì, forse, sempre
lì, ancora lì in una Lecce che, tutt’oggi, assiste impotente a vicende vicine a
quelle del protagonista della nostra Manuela, Davide appunto, e che dunque per
questo Davide stesso diventa simbolo, emblema, rappresentazione di quella
Lecce, che, in definitiva, appartiene a tutti noi, anche se, a volte,
segretamente.
E qui si impone una considerazione
importante e necessaria, obbligatoria, che si sovrappone e si interseca con
quanto detto, e cioè che negli anni ’70 a Lecce, progressivamente e lentamente
si dissolsero gran parte degli schemi culturali, che da sempre l’avevano
connotata. Già nei primi anni ’80, tempo nel quale si sviluppa il racconto
della Del Coco, la sua società si trovò profondamente trasformata e, allo
stesso tempo, drammaticamente impreparata, incerta nell’incedere. E tutto
avvenne rapidamente, troppo rapidamente. Quella degli anni ’80, già agli inizi
è oramai la Lecce dell’opulenza, con tutti i suoi risvolti e i suoi corollari
esistenziali e relazionali, che forse oggi si replicano ancora e, magari si vivono
in maniera amplificata, ma che non colgono più di sorpresa il leccese, come fu
per molti allora, come fu per il Davide della Del Coco.
Ed ecco, quindi, che per il lettore
leccese, magari quello un po’ avanti nell’età, ma ancora giovane o giovanile,
il lavoro di Manuela scatena emozioni a ripetizione, ed in tutte le direzioni.
E ciò in parte per la trama, in parte, e forse soprattutto, per i richiami ai
ricordi personali, a quelle atmosfere, a quei colori, a quei luoghi….i volti,
che non paiono remoti, ma dai quali lo e ci separano quasi quarant’anni. Per
questi lettori il racconto di Manuela rimanda alla propria giovinezza, a
quell’universo di circostanze, sensazioni, respiri che hanno costellato quegli
anni, quel tempo in cui Lecce, ancora chiusa, autoreferenziale in maniera
spiccata e bellissima, costituiva un mondo completo in sé, e per sé.
Un libro importante anche per i più
giovani, dove possono trovare chiare le loro radici, le radici della Lecce
contemporanea, che se per alcuni tratti presenta un’identità forte, per altri
barcolla ancora in misteri come quelli che circondano il protagonista e i suoi
amici nel nostro Poi quando torno mi
metto a lavorare.
E per concludere, anche questa volta
Claudio Martino con le sue Edizioni Esperidi ha realizzato, con il lavoro della
Del Coco, un prodotto editoriale di ottimo profilo, riuscendo a trovare il
giusto equilibrio tra le esigenze letterarie e le esigenze di mercato, dove
queste ultime vengono ad essere proficuamente soddisfatte nelle richieste,
nelle necessità, nella sensibilità, senza alcuna forzatura, in maniera fresca,
senza alcuna lezioncina professorale e autoreferenziale, che molti lettori
leccesi devono sovente sobbarcarsi e tollerare, se non proprio quando, a volte,
rischiano di soccombere, invece, sotto il peso delle banalità. Il tutto in una
sorta di equilibrismo, che di frequente si presenta di alto livello e che,
invece, non è richiesto al lettore per il romanzo della nostra Del Coco, in
quanto va da sé, scorre agilmente, chiaro ed in maniera segnante.
Mauro
Ragosta
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