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giovedì 25 luglio 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (parte decima): La dismissione dell’IRI e l’avvio dello smantellamento dello Stato della Prima Repubblica - di Massimiliano Lorenzo


Va subito sottolineato che qui si analizzerà, sia pur succintamente, una delle più grosse operazioni, assieme istituzionali ed economiche, attraverso le quali lo Stato, che nel suo assetto determinatosi in Italia, dopo la crisi del 1929, avvia un cambiamento del suo ruolo e delle sue funzioni, trasformando di rimando anche l’essenza stessa delle Repubblica, sorta nel 1948. Non a caso si parla di Seconda Repubblica. Ma quali i punti essenziali?
In sintesi, a partire dal 1992, tecnicamente si avvia il grande cambiamento con la dismissione dell’IRI, ovvero dell’industria di Stato, cui seguiranno la concentrazione del potere bancario, la privatizzazione delle istituzioni per l’emissione della moneta, lo smantellamento, avvenuto progressivamente dopo il 2000, dello Statuto dei Lavoratori, il Porcellum e la progressiva privatizzazione della sanità, avviata intorno al 2005, ed ancora in corso, che nella sostanza restituisce al capitalismo italiano e, dunque, alle grandi famiglie italiane il controllo dell’economia nazionale in quasi tutti i suoi aspetti e forse in maniera amplificata, con un ritorno alle origini, rispetto ai poteri sul controllo della moneta. Oggi, il ruolo dello Stato Italiano, in termini di capacità di intervento nel sistema produttivo e monetario, è oramai estremamente limitato. Ma del nuovo assetto e ruolo dello Stato italiano emerso dalle purghe della Seconda Repubblica, e caratterizzante la Terza Repubblica, ne parleremo più in là, a partire da novembre.
Nato in epoca fascista, da un tacito accordo tra le grandi famiglie italiane, il Re e Mussolini, l’IRI era una struttura pubblica che ebbe la funzione di sostenere l’industria italiana in un periodo, che, forse, fu uno dei più difficili della recente storia, ovvero quella che seguì alla crisi del 1929. In sostanza, così facendo e come si vedrà, le grandi famiglie italiane scaricarono le perdite delle loro industrie sullo Stato e dunque sui contribuenti. Nel dopoguerra l’IRI, all’interno di uno stato tendenzialmente socialista, divenne lo strumento principale per l’intervento pubblico in economia, prima che si riaffermassero le teorie liberali negli anni ’80, con la decisione di restituire alle grandi famiglie italiane il potere economico nazionale, ed in vista della fine della Guerra Fredda.
            Nella “pancia” dell’IRI e, di conseguenza, in quella dello Stato vi era circa il 40% delle aziende italiane e le più importanti banche della nazione.  Ovvero, l’Istituto era proprietario e gestore di grossi pezzi di diversi settori dell’economia nazionale, da quello siderurgico a quello alimentare, sino a quello automobilistico e bancario, avendo in portafoglio la proprietà, tra le altre, del Credito Italiano, La Banca Commerciale, il Banco di Roma e via dicendo. Insomma, era quell’istituto che dava, da una parte, stabilità e competitività ai settori nei quali agiva, dall’altra parte, invece, fungeva da salvacondotto quando imprenditori o bancari necessitavano di coperture finanziarie. Una funzione, quest’ultima, criticata proprio dagli organismi europei, che, dopo la firma del Trattato di Maastricht, non hanno più accettato tali pratiche, identificate come “aiuti di Stato”.
Le dismissioni del più grande istituto statale, l’IRI appunto, avviate nel 1992, ebbero molteplici motivazioni, attori e prospettive, non solo nazionali. Infatti, l’affermazione delle teorie economiche liberali in Italia ed in Europa, definite negli obiettivi dalle grandi famiglie, prevedevano una presenza dello Stato in economia sempre più contenuta, sino alla sua completa estromissione: tutto doveva ritornare nelle mani dei più potenti gruppi familiari italiani. E così fu, quando nel 2002, la questione fu portata a termine ed archiviata.
Ma chi furono i protagonisti di questa mega-operazione? Il protagonista principale fu Romano Prodi, ex Presidente IRI ed Ex Presidente del Consiglio dei ministri, che guidò, sotto il Governo di Giuliano Amato, l’inizio delle vendite. Tra gli altri, un ruolo importante lo ebbe anche Pierluigi Bersani, con le vendite dell’Enel e dell’Eni.
In tutto questo il ruolo della politica, di destra e di sinistra, fu quello di ammortizzare le eventuali tensioni tra il popolo italiano e le grandi famiglie, nonché quello di occultare la reale portata dell’intera operazione, ché avrebbe creato non poche frizioni sociali. In via accessoria, invece, il ruolo dei politici, tutti, fu quella di rendere conveniente la dismissione dell’Istituto. Infatti, non poche aziende vennero cedute a valori molto al di sotto di quelli reali.

Massimiliano Lorenzo

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