Va subito sottolineato che qui si
analizzerà, sia pur succintamente, una delle più grosse operazioni, assieme istituzionali
ed economiche, attraverso le quali lo Stato, che nel suo assetto determinatosi
in Italia, dopo la crisi del 1929, avvia un cambiamento del suo ruolo e delle
sue funzioni, trasformando di rimando anche l’essenza stessa delle Repubblica,
sorta nel 1948. Non a caso si parla di Seconda Repubblica. Ma quali i punti
essenziali?
In sintesi, a partire dal 1992, tecnicamente
si avvia il grande cambiamento con la dismissione dell’IRI, ovvero
dell’industria di Stato, cui seguiranno la concentrazione del potere bancario,
la privatizzazione delle istituzioni per l’emissione della moneta, lo
smantellamento, avvenuto progressivamente dopo il 2000, dello Statuto dei
Lavoratori, il Porcellum e la progressiva
privatizzazione della sanità, avviata intorno al 2005, ed ancora in corso, che
nella sostanza restituisce al capitalismo italiano e, dunque, alle grandi
famiglie italiane il controllo dell’economia nazionale in quasi tutti i suoi
aspetti e forse in maniera amplificata, con un ritorno alle origini, rispetto
ai poteri sul controllo della moneta. Oggi, il ruolo dello Stato Italiano, in
termini di capacità di intervento nel sistema produttivo e monetario, è oramai
estremamente limitato. Ma del nuovo assetto e ruolo dello Stato italiano emerso
dalle purghe della Seconda Repubblica, e caratterizzante la Terza Repubblica,
ne parleremo più in là, a partire da novembre.
Nato in epoca fascista, da un tacito
accordo tra le grandi famiglie italiane, il Re e Mussolini, l’IRI era una
struttura pubblica che ebbe la funzione di sostenere l’industria italiana in un
periodo, che, forse, fu uno dei più difficili della recente storia, ovvero
quella che seguì alla crisi del 1929. In sostanza, così facendo e come si
vedrà, le grandi famiglie italiane scaricarono le perdite delle loro industrie
sullo Stato e dunque sui contribuenti. Nel dopoguerra l’IRI, all’interno di uno
stato tendenzialmente socialista, divenne lo strumento principale per
l’intervento pubblico in economia, prima che si riaffermassero le teorie
liberali negli anni ’80, con la decisione di restituire alle grandi famiglie
italiane il potere economico nazionale, ed in vista della fine della Guerra
Fredda.
Nella
“pancia” dell’IRI e, di conseguenza, in quella dello Stato vi era circa il 40%
delle aziende italiane e le più importanti banche della nazione. Ovvero, l’Istituto era proprietario e gestore
di grossi pezzi di diversi settori dell’economia nazionale, da quello
siderurgico a quello alimentare, sino a quello automobilistico e bancario,
avendo in portafoglio la proprietà, tra le altre, del Credito Italiano, La
Banca Commerciale, il Banco di Roma e via dicendo. Insomma, era quell’istituto
che dava, da una parte, stabilità e competitività ai settori nei quali agiva,
dall’altra parte, invece, fungeva da salvacondotto quando imprenditori o
bancari necessitavano di coperture finanziarie. Una funzione, quest’ultima,
criticata proprio dagli organismi europei, che, dopo la firma del Trattato di
Maastricht, non hanno più accettato tali pratiche, identificate come “aiuti di
Stato”.
Le dismissioni del più grande istituto
statale, l’IRI appunto, avviate nel 1992, ebbero molteplici motivazioni, attori
e prospettive, non solo nazionali. Infatti, l’affermazione delle teorie
economiche liberali in Italia ed in Europa, definite negli obiettivi dalle
grandi famiglie, prevedevano una presenza dello Stato in economia sempre più
contenuta, sino alla sua completa estromissione: tutto doveva ritornare nelle
mani dei più potenti gruppi familiari italiani. E così fu, quando nel 2002, la
questione fu portata a termine ed archiviata.
Ma chi furono i protagonisti di questa
mega-operazione? Il protagonista principale fu Romano Prodi, ex Presidente IRI
ed Ex Presidente del Consiglio dei ministri, che guidò, sotto il Governo di
Giuliano Amato, l’inizio delle vendite. Tra gli altri, un ruolo importante lo
ebbe anche Pierluigi Bersani, con le vendite dell’Enel e dell’Eni.
In tutto questo il ruolo della politica,
di destra e di sinistra, fu quello di ammortizzare le eventuali tensioni tra il
popolo italiano e le grandi famiglie, nonché quello di occultare la reale
portata dell’intera operazione, ché avrebbe creato non poche frizioni sociali.
In via accessoria, invece, il ruolo dei politici, tutti, fu quella di rendere
conveniente la dismissione dell’Istituto. Infatti, non poche aziende vennero
cedute a valori molto al di sotto di quelli reali.
Massimiliano
Lorenzo
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