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domenica 14 luglio 2019

Saper Comunicare (parte quarta) – Alcune conseguenze della nostra società, così rumorosa….. - di Andrea Tundo


         Può accadere che, per lunghi periodi, la nostra comunicazione non si allinei sui principi dell’efficienza e dell’efficacia, e cioè che per dire qualcosa ci profondiamo in panegirici inconcludenti o in discorsi che non riescono ad approdare ad una conclusione, dove completamente sgangherate si presentano le nostre abilità di analisi e di sintesi, o per altro verso ancora, ci esprimiamo in maniera lapidaria o, al più, laconica. Insomma, non riusciamo ad essere pregnanti nel nostro dire. Da qui, è facile che riceviamo risposte del tutto insoddisfacenti, inducendoci a pensare che siamo degli incompresi.
         Le cause di una nostra comunicazione inefficiente ed inefficace sono molte. Tra queste, quella che assume una rilevanza di non poco conto può ascriversi alla nostra esposizione eccessiva all’informazione. In altre parole, se si considera che ogni informazione che acquisiamo deve essere selezionata, elaborata e metabolizzata, ovvero integrata nel nostro sistema pensante e che tutto ciò richiede un tempo, si capirà facilmente che se siamo esposti fortemente all’informazione il nostro cervello può andare in surmenage, o come si dice correntemente, in tilt. Ed ecco che, le capacità espressive sono compromesse. Ma c’è di più.
         Al riguardo va detto inoltre che, tra il momento di acquisizione dell’informazione e la sua integrazione nel nostro marchingegno intellettivo, trascorre un periodo di relativa confusione. Come afferma Hofmannsthall, un noto letterato e poeta austriaco vissuto a tra Otto e Novecento, ogni conoscenza determina scomposizione e reintegrazione. Va da sé che è facile comprendere, come constatare, che ogni acquisizione di informazioni determina uno squilibrio temporaneo del nostro pensiero, come sistema. Insomma, uno stato di confusione, disorientamento.
         Dunque, una mente sottoposta ad una quantità eccessiva di informazioni viene messa sotto stress, e ciò a tal punto che può farla giungere a ridurre le sue capacità espressive e comunicative.
         Tale considerazioni, poi, devono essere integrate di alcune considerazione attinenti ai recenti sviluppi della nostra società e al suo assetto attuale. Non pare superfluo ricordare che nel breve volgere di settant’anni siamo passati da una società contadina, che da sempre aveva caratterizzato l’umanità, ad una industriale, ad una terziaria, ad una quaternaria dove, quest’ultima, si può definire ad altissimo livello relazionale e dunque di scambio di informazioni. In settanta anni siamo passati da una società prevalentemente silente e relativamente con poche relazioni ad una rumorosissima, dove l’interscambio relazionale si ha da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. Ma ciò che è più importante è che ci siamo passati in tempi rapidissimi, dove, come conseguenza, evidenti e sono i nostri disagi di adattamento, in parte perché lo scenario è completamente nuovo, e non abbiamo ricevuto un’educazione ad hoc, in parte perché tale scenario si presenta critico dal punto di vista strutturale della nostra psiche.
         Naturalmente, tale stato di cosa dipende da soggetto a soggetto. Ogni individuo ha, infatti, un proprio ritmo di acquisizioni di dati, un proprio ritmo di elaborazione ed integrazione dei dati, un proprio sistema selettivo delle informazioni, in base al ventaglio delle sue sensibilità e dei suoi interessi. Ciò però non ci deve portare ad ignorare la problematica in questione, anche perché, se per noi il problema non potrebbe sussistere, potrebbe invece interessare il vostro interlocutore, che voi dovete considerare anche sotto questo aspetto, se aspirate a che la vostra comunicazione faccia “centro”. Il bravo comunicatore, infatti, sa valutare il proprio interlocutore nelle sue capacità di acquisizione ed elaborazione di dati e da qui comunicare con uno, due, tre, quattro o quarantaquattro pensieri e concetti.
         Ecco quindi che, dosare e dosarsi nei processi comunicativi diventa necessario se non proprio indispensabile e, in assenza di una grammatica comune e condivisa, si trasforma in vera e propria arte.

Andrea Tundo

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