Può accadere che, per lunghi periodi, la nostra
comunicazione non si allinei sui principi dell’efficienza e dell’efficacia, e
cioè che per dire qualcosa ci profondiamo in panegirici inconcludenti o in
discorsi che non riescono ad approdare ad una conclusione, dove completamente
sgangherate si presentano le nostre abilità di analisi e di sintesi, o per
altro verso ancora, ci esprimiamo in maniera lapidaria o, al più, laconica.
Insomma, non riusciamo ad essere pregnanti nel nostro dire. Da qui, è facile
che riceviamo risposte del tutto insoddisfacenti, inducendoci a pensare che
siamo degli incompresi.
Le cause
di una nostra comunicazione inefficiente ed inefficace sono molte. Tra queste,
quella che assume una rilevanza di non poco conto può ascriversi alla nostra
esposizione eccessiva all’informazione. In altre parole, se si considera che
ogni informazione che acquisiamo deve essere selezionata, elaborata e
metabolizzata, ovvero integrata nel nostro sistema pensante e che tutto ciò
richiede un tempo, si capirà facilmente che se siamo esposti fortemente
all’informazione il nostro cervello può andare in surmenage, o come si dice correntemente, in tilt. Ed ecco che, le capacità espressive sono compromesse. Ma c’è
di più.
Al
riguardo va detto inoltre che, tra il momento di acquisizione dell’informazione
e la sua integrazione nel nostro marchingegno intellettivo, trascorre un
periodo di relativa confusione. Come afferma Hofmannsthall, un noto letterato e poeta austriaco vissuto a tra
Otto e Novecento, ogni conoscenza determina scomposizione e reintegrazione. Va
da sé che è facile comprendere, come constatare, che ogni acquisizione di
informazioni determina uno squilibrio temporaneo del nostro pensiero, come
sistema. Insomma, uno stato di confusione, disorientamento.
Dunque,
una mente sottoposta ad una quantità eccessiva di informazioni viene messa
sotto stress, e ciò a tal punto che può farla giungere a ridurre le sue
capacità espressive e comunicative.
Tale
considerazioni, poi, devono essere integrate di alcune considerazione attinenti
ai recenti sviluppi della nostra società e al suo assetto attuale. Non pare
superfluo ricordare che nel breve volgere di settant’anni siamo passati da una
società contadina, che da sempre aveva caratterizzato l’umanità, ad una
industriale, ad una terziaria, ad una quaternaria dove, quest’ultima, si può
definire ad altissimo livello relazionale e dunque di scambio di informazioni.
In settanta anni siamo passati da una società prevalentemente silente e relativamente
con poche relazioni ad una rumorosissima, dove l’interscambio relazionale si ha
da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. Ma ciò che è più importante
è che ci siamo passati in tempi rapidissimi, dove, come conseguenza, evidenti e
sono i nostri disagi di adattamento, in parte perché lo scenario è
completamente nuovo, e non abbiamo ricevuto un’educazione ad hoc, in parte
perché tale scenario si presenta critico dal punto di vista strutturale della
nostra psiche.
Naturalmente,
tale stato di cosa dipende da soggetto a soggetto. Ogni individuo ha, infatti,
un proprio ritmo di acquisizioni di dati, un proprio ritmo di elaborazione ed
integrazione dei dati, un proprio sistema selettivo delle informazioni, in base
al ventaglio delle sue sensibilità e dei suoi interessi. Ciò però non ci deve
portare ad ignorare la problematica in questione, anche perché, se per noi il
problema non potrebbe sussistere, potrebbe invece interessare il vostro
interlocutore, che voi dovete considerare anche sotto questo aspetto, se
aspirate a che la vostra comunicazione faccia “centro”. Il bravo comunicatore,
infatti, sa valutare il proprio interlocutore nelle sue capacità di
acquisizione ed elaborazione di dati e da qui comunicare con uno, due, tre,
quattro o quarantaquattro pensieri e concetti.
Ecco
quindi che, dosare e dosarsi nei processi comunicativi diventa necessario se
non proprio indispensabile e, in assenza di una grammatica comune e condivisa,
si trasforma in vera e propria arte.
Andrea Tundo
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