Dopo
aver tracciato un breve quadro circa le dismissioni delle funzioni politiche in
ambito economico da parte dello Stato a favore dei privati ed in particolare
delle grandi famiglie italiane tramite un gruppo di operazioni che si avviarono
con la liquidazione dell’IRI, ora ci si soffermerà su una delle nuove funzioni
dello Stato italiano, che prende corpo a partire dal 1992. Si allude al gioco d’azzardo, che in Italia
diventa fenomeno dilagante con l’avvio della Seconda Repubblica e rispetto al
quale se da un lato lo Stato si erge a controllore del fenomeno dall’altra
mette in moto tutta una serie di provvedimento che hanno portato il gioco
d’azzardo a svilupparsi in maniera ipertrofica, divenendo una piaga sociale,
rispetto alla quale però pare che i costi generati dai malcapitati impegnati in
queste attività “ludiche”, siano inferiori ai profitti e ai benefici per le casse
dello stesso Stato e delle imprese che attorno alla questione vivono.
Ovviamente, né destra né sinistra hanno sollevato alcuna questione sul
fenomeno…..tutto tace, nonostante sia argomento che riguardi le fasce più
deboli della popolazione.
Quella
delle scommesse è un’antica pratica che alcuni fanno risalire a diverse
migliaia di anni fa, giunta fino a noi e regolamentata in maniera diversa, nel
corso del tempo, dai governanti, che si trattasse della Chiesa o dello Stato.
Le autorità hanno sostanzialmente sempre osteggiato le attività che oggi
chiamiamo gioco d’azzardo, anzitutto perché intravedevano una perdita di potere
e controllo. Quando poi nel corso della storia, le organizzazioni territoriali
iniziarono a strutturarsi e ad imporre anche una tassazione, il gioco d’azzardo
venne più o meno regolato.
Venendo
ai giorni nostri e al nostro Bel Paese, i primi interventi indirizzati al gioco
d’azzardo vennero intrapresi nei primi anni ’90 dello scorso secolo e a
qualcuno sfuggirà cosa visse l’Italia in quegli anni. È d’obbligo allora far
presente in quale cornice lo Stato italiano decise di mettere sotto il proprio
controllo scommesse e giochi simili. Il gioco d’azzardo in Italia venne
liberalizzato e sottoposto a tassazione durante la crisi valutaria della lira e
delle speculazioni sui titoli di Stato, che stavano colpendo fortemente le
casse pubbliche. Insomma, la decisione di regolamentare e imporre dei prelievi
sulle giocate ebbe tra i suoi obbiettivi quello di rimpinguare le casse
statali. Praticamente, un “obolo” dei cittadini, convinti di poter incontrare
la “dea bendata” e fare il colpo della vita, che potesse risolvere tutti i
problemi del precario vivere.
Detto
questo, parlando di bilanci statali e di un’autentica industria è necessario
snocciolare qualche dato, per fare una rappresentazione del fenomeno e dare
un’idea di cosa sia il gioco d’azzardo e le scommesse per lo Stato italiano. In
queste attività sono ben 6600 le imprese coinvolte a più livelli, con un numero
di occupati nel settore che si aggira intorno alle 100 mila unità. Parliamo
insomma di una importante fetta dell’occupazione e del bilancio statale. E
ancora. Se nel 2000 la somma scommessa dai giocatori, più o meno incalliti e
patologici, si attestava intorno ai 20 miliardi di euro, dopo vent’anni la
cifra si è quintuplicata, raggiungendo “quota 100” (miliardi).
Si
parlava di tasse e prelievi sulle giocate, ovviamente imposte agli enti che
offrono i servizi scommesse e giochi d’azzardo, scaricate sui giocatori. E qui,
ça va sans dire. Bene, di quella quota 100 circa il 20% si divide tra
entrate per lo Stato e fatturato del settore. Facendo due conti rispetto agli
ultimi dati rinvenuti riguardanti il 2016, sui 96 miliardi di euro che
componevano la somma delle giocate, le entrate per lo Stato corrispondevano a
quasi 10 miliardi l’anno (0,6 % del PIL e l’1,3% delle entrate dello Stato),
contro i 9 miliardi per le aziende di servizio. Il playout - la
percentuale raccolta e restituita ai giocatori sotto forma di vincita o premio
– si aggirava intorno a 77 miliardi. In breve i giocatori esborsano cifre che
gli vengono restituite solo per un 75% e quindi nel complesso i giocatori
mediamente perdono il 25% delle somme scommesse.
La
situazione diviene però più chiara quando si legge invece il dato delle perdite
degli italiani negli ultimi 10 anni, parliamo di una cifra che supera i 180
miliardi di euro. Gli utenti di questi servizi crescono di anno in anno, specie
perché il mercato ha abbracciato ormai da tempo la digitalizzazione e l’online,
così come la possibilità di giocare su piattaforme estere. Purtroppo,
conseguentemente, si sono quadruplicati i ludopatici, con un importante impatto
per gli istituti di salute.
A
conclusione, quindi, cosa sono per lo Stato italiano scommesse e gioco
d’azzardo se non una forma di prelievo indiretto, tra tasse e percentuali sulle
giocate di tanti cittadini? A guardare i dati, infatti, viene da dire che lo
Stato italiano, nonostante gli avvertimenti della scienza sulla ludopatia,
continua a permettere queste pratiche perché gli garantiscano un ulteriore
tesoretto, oltre a quello di tasse ed imposte, per le proprie politiche (solo
in parte di contrasto). È insomma un settore in continua espansione, in termini
di denaro e giocatori, al quale uno Stato con le casse perennemente in deficit
difficilmente contrasterà seriamente, nonostante tutto quello che ne consegue.
Massimiliano Lorenzo
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