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mercoledì 21 agosto 2019

Lecce? Forse, meglio che non sogni………- di Mauro Ragosta



         Per molti decenni Lecce s’è rifugiata nel posto statale. Ambìti, poi, a partire dagli anni ’90, sono stati gli impieghi negli istituti bancari e presso l’Università. Insomma, Lecce, negli ultimi sessant’anni si è prodotta in una frenetica corsa al posto fisso, alla fissità appunto. La coppia perfetta leccese è, lui alto funzionario dello Stato e lei professoressa di lettere alle superiori.
         Da qui, la naturale tensione di Lecce verso tutto ciò che non si muove, verso tutto ciò che è conservazione. I valori leccesi per eccellenza sono la sicurezza, la sistemazione, l’ordine. Nessuno spazio ai sogni, nessuno spazio alle avventure, se non in un contesto protetto e prevedibile. Non a caso i leccesi, anche nel tempo libero, scelgono vacanze programmate, crociere: tutto in estrema sicurezza e prevedibilità. Forse come allo zoo? E tutto ciò che è incerto e avventura, è bandito, è un disvalore. Guai a parlare di progresso e progressisti. Non a caso, poi, chi esercita un’impresa viene visto con sospetto. Ed è per questo che le imprese a Lecce sono poche: mancano all’appello, rispetto alle medie nazionali, un 20% di imprenditori.
         Lecce ha voluto così, nonostante il prezzo alto in termini di disoccupazione e sacrificando i giovani ad un ingresso nel mondo del lavoro, faticoso, doloroso, drammatico spesso. Peraltro, questi, educati alla fissità, si sono ridotti in uno stato in cui è assente qualsiasi slancio creativo, qualsiasi slancio avventuroso e avventuristico, se non all'interno di un paradigma ludico.
         Scelte queste apparentemente giuste, dal momento che nel 2016 la nostra città ha registrato un dato importante: è il capoluogo e il centro abitato più ricco di Puglia, con un reddito procapite superiore a quello di Bari e che supera, appunto, i 21.000 euro.
         Ma ad un certo punto la ricchezza, acquisita nell’ultimo decennio, ha prodotto uno strano effetto: sempre più Lecce apprezza i sogni e i sognatori, il progresso e i progressisti. Da un momento all’altro, Lecce vuole cambiare, pur non avendo nessuna esperienza in tema di cambiamento. La ricchezza le ha dato sicuramente alla testa. Da qui il disastro. Lecce si abbandona ai sognatori, che non hanno tradizione avventuriera, imprenditoriale, ma solo piccolo-amministrativa, e manageriale di cabotaggio di periferia. Lecce non sa che perseguire un sogno bisogna essere virili e disposti a pagare prezzi altissimi. Ciò lo dimostrano i grandi sognatori!
         Cosicché, oggi, Lecce è sporca, le sue strade sono sporche, infatti, e nella maggior parte dei casi sono dissestate, le sue tasse sono ai massimi livelli, molti dei suoi beni culturali, poi, non sono fruibili, la viabilità non è più comprensibile. Insomma, Lecce da piccolo centro di periferia, benestante, tranquillo ed ordinato, s’è trasformato in quello che non è azzardato definire un piccolo inferno.
         Lecce credeva che bastasse la ricchezza per sognare, per cambiare, per ambire al progresso. Lecce non sa che il sogno è una questione di educazione, è un prodotto culturale, è qualcosa che va seminato nel profondo, nei recessi più nascosti della sua popolazione e in tutto questo il denaro ha una rilevanza minima. E non basta essere uomini di lettere o colti o ancora poeti, per orientarsi verso lo sviluppo, che implica crescita e cambiamento. E non basta andare alla Bocconi………
         Verrebbe da affermare che Lecce, forse, non deve sognare, non è nelle sue corde, non a caso i suoi antenati, i messapi, erano un popolo, che nonostante fosse circondato dal mare non praticava la navigazione, né era un popolo di conquistatori: giocava in difesa.
         Tornare sui propri passi si può? Forse! Certamente, se Lecce vuol proprio sognare, che impari a sognare. E per imparare ci vogliono decenni e grandi sacrifici…ci vuole un’azione che si sviluppi alle fondamenta, nei giovani dunque, da educare, non al posto fisso, ma a guardare all’orizzonte, in un atteggiamento di sfida.

Mauro Ragosta

2 commenti:

  1. Condivido, quasi pienamente. Mi dispiace solo per quell'aggettivo "virili", riferito a coloro che perseguono un sogno. So, invece, di tante donne che, rimboccatesi le maniche, sono diventate imprenditrici e, credendo nel proprio sogno, lavorano duramente per realizzarlo. Ti invito a cercarle... Molta imprenditoria, oggi, è colorata di rosa!

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    1. Penso fosse semplicemente un'espressione delicata per dire che bisogna avere le p. ;)

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