Sulla scia
degli sviluppi informatici del decennio precedente, ovvero quelli degli anni’50
del secolo scorso, trattati nel pezzo precedente, rispetto ai quali va qui
ricordato che sono stati prevalentemente impiegati e orientati nella creazione
di apparati strategici, militari e amministrativi, ed in ogni caso, sul piano
della sicurezza, sia dal governo Usa e sia dall’Urss, gli anni 60’ -con il boom
economico e lo sviluppo che l’Occidente raggiunse, che contengono l’humus perfetto per nuovi ed inusitati progressi- sono caratterizzati
ancora da un potenziamento non solo delle conoscenze e delle tecniche in campo
informatico, ma sul piano applicativo, da un’azione, avente queste per
strumento, ancora riservata ai massimi organi di governo di un territorio.
In questo
periodo, negli anni ’60 appunto, i computers
non sono più fantascienza e non sono più un fenomeno episodico, essendo
installati in qualche migliaio di esemplari in tutto il mondo. Oltretutto, ne
furono potenziate grandemente le capacità di elaborazione e calcolo. Infatti,
le macchine informatiche fino a quel momento erano in grado di svolgere un
programma alla volta, ma, a partire dai primi anni ’60, attraverso l’introduzione
di un nuovo concetto, il cosiddetto time-sharing,
ovvero la “condivisione di tempo”, esse furono in grado di eseguire diversi
programmi e funzioni contemporaneamente, assegnando cioè a ciascuna macchina
informatica una porzione di tempo e di calcolo. Inizia qui e così quel processo
di cui oggi possiamo osservare i sempre più evidenti sviluppi, e cioè
l’accostamento dell’elaborazione dati di un computer a quella del cervello
umano, per potenza e funzionalità.
Per altro verso, ben
presto i ricercatori e gli esperti di programmazione si resero conto
dell’inadeguatezza del metodo di trasmissione dati. E così, l’ARPA,
ovvero l’Agenzia di Ricerca Avanzata del Pentagono, cercò di sviluppare una
rete di comunicazione in grado connettere un sistema di computers, consentendogli di operare tutti contemporaneamente. Gli
obiettivi dell’ARPA furono resi possibili grazie alle innovazioni tecnologiche
apportate dell’azienda privata IBM, la quale mise a punto una linea di computers compatibili tra loro, aventi
lo stesso sistema operativo.
Inoltre, si
trovò il modo di rendere più resistente la rete attraverso una nuova
impostazione, ovvero il pocket switching,
che in pratica permetteva al flusso dei dati di essere diviso in pacchetti
(piccole unità) trasmessi individualmente seguendo il più rapido percorso in
rete. Questo tipo di rete distribuita, in cui ciascun utente mantiene la sua
autonomia indipendentemente dall’altro, trovò il suo sviluppo pratico in ARPANET
-il vero e proprio antenato di INTERNET- che si sostanziò in una rete digitale
che collegava, almeno in questi anni, gli anni’60 appunto, le università e i
centri di ricerca affiliati all’ARPA.
E proprio
attraverso ARPANET si mise in pratica il primo sistema di difesa militare,
capace di contrastare efficacemente un eventuale attacco nucleare. Si ricorda
al proposito che si è in piena Guerra Fredda, e quindi vi è una corsa non solo
agli armamenti ma anche allo sviluppo dei sistemi informatici, che consentono
una massima efficienza del sistema bellico.
Il lettore più
esperto potrà facilmente notare da sé che il sistema bellico americano viene
portato avanti, gestito e supportato dai privati e da aziende private, ivi
compreso lo sviluppo tecnologico, ma a beneficiarne di questo sono, per il
momento, unicamente gli apparati statali e per lo più militari-strategici. E
qui non è superfluo mettere in evidenza che la rivoluzione informatica, dunque,
non è ancora percepibile a livello popolare e non ha ricadute sulla società, se
non ai suoi massimi livelli. Per questo
tipo di fenomeno, cioè popolare, bisognerà attendere i frenetici anni 70’, con
lo sviluppo dello stimolante e variegato ambiente di Palo Alto in California, dove un ruolo decisivo lo avrà, come si
metterà in luce nel prossimo pezzo, il noto Steve Jobs. Ma ad ogni modo, come
si può facilmente arguire, proprio negli anni ’60 si gettano le basi per un
possibile sviluppo diffuso del mondo informatico e per sostenere la visione
dello stesso Steve Jobs, che si auspicava una “democratizzazione”
dell’informatica, ovvero che ogni cittadino del mondo possedesse un computer. Visione corretta, da momento
che oggi, gran parte della popolazione mondiale possiede il cosiddetto
cellulare, che altro non è che un potente computer
tascabile.
Andrea Tundo
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