Sabato
scorso, 1° febbraio, nell’aula magna del Palazzo di Giustizia di viale De
Pietro a Lecce, s’è tenuta l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del Distretto
della Corte d’Appello di Lecce, per il 2020. Anche quest’anno il momento
fondante per la vita della Magistratura: il momento da dove tutto parte e dove tutto
ri-torna nel suo diuturno ordine. Non a caso è il frangente rituale più
importante dell’anno per il sistema Togato, perché di momento rituale si parla,
essendo una circostanza preordinata e con procedure fortemente codificate. Un
frangente d’ordine ed ordinatore, rituale dunque, apollineo in cui si dà
l’avvio ai lavori del Mondo della Giustizia, dove l’implementazione
dell’attività sfilaccia questa quadratura del cerchio, fino a sfiorare
dinamiche dionisiache, per ritornare l’anno seguente al nuovo rito, all’ordine
di sempre, dove tutto converge verso l’unità e la coesione, dove ciascuno cita e re-cita la propria parte, in
armonia con questo Mondo, quello della giustizia appunto, volto ad applicare al
caso concreto la legge, soprattutto quando ciò viene richiesto.
Sabato scorso, negli ambienti del
Palazzo di Giustizia di Lecce si respirava un’aria solenne e, assieme, di
grande attenzione, non solo da parte delle 12 toghe rosse di cui una bordata di ermellino,
ma anche nel parterre dell’aula
magna, dove spiccavano le massime autorità civili e militari del nostro
territorio, compreso anche l’Arcivescovo, monsignor Michele Seccia, assieme a
rappresentanze di molte delle componenti della società leccese e salentina, in
genere. Un momento organizzato nei minimi dettagli e dove i “cerimonieri”, con
encomiabile abilità hanno permesso che l’evento si svolgesse nel massimo ordine
e con professionale sincronicità.
Tra gli interventi, quello che più è
da segnalare al grande pubblico è da ascriversi al Presidente
della Corte di Appello di Lecce dott. Lanfranco Vetrone, il quale, oltre a presiedere l’assise, ne ha avviato
i lavori. Nella sua relazione d’apertura, moltissimi i dettagli tecnici, volti
a mettere in luce, sia gli aspetti critici della gestione della giustizia, sia
quelli meritevoli di attenzione e plauso, non mancando di sottolineare, e ciò
con estrema prudenza e ponderazione, alcune eccellenze del Tribunale di Lecce,
dipingendone un quadro degno d’attenzione e di riflessione, anche corale.
Al di là di ciò, nel suo eloquio,
particolarmente interessante è stata la formulazione del concetto di giustizia,
definita dal Presidente Vetrone come “ad ognuno il suo”, richiamando così il
terzo Ordine Romano, uniquique suum,
che si accompagna ai primi due, ovvero honeste
vivere e alterum non laedere.
Principi questi, anche citati da un noto matematico francese, Blasie Pascal,
figlio peraltro di un magistrato, nel suo geniale libro Scommessa su Gesù.
Sebbene l’affermazione del
Presidente Vetrone sia stata minima ed estremamente particolare, rispetto al
suo contesto narrativo, si è presentata tuttavia decisiva e fondante. Una
affermazione basata su un significante, che tuttavia è azzardabile ipotizzare
che abbia trovato il suo significato proprio nell’intera relazione da lui
tenuta e che in sintesi potrebbe arguirsi nella circostanza che vede la posizione
dello Stato, e dunque di rimando della Magistratura, soprattutto come mediatore
nelle criticità sociali ed economiche. Talché “ad ognuno il suo” potrebbe
tradursi come il risultato di un confronto civile tra le parti sociali basato
sul dialogo e in special modo sull’uso intensivo dell’intelletto e della
cultura tout court.
Mauro
Ragosta
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