Dopo la seconda guerra mondiale,
le economie delle province del Grande Salento presero strade diverse sino a
costituire universi a se stanti, senza alcuna connessione. Dopo più di
sessant’anni di storia e di lavoro, oggi queste trovano ancora pochi punti di
connessione, al fine di alimentare un circuito interconnesso virtuoso e
autopropulsivo. Ed in effetti, i mercati delle tre province riuniti sono
insufficienti per fare decollare attività che dal mercato locale si possano poi
proiettare sul mercato nazionale o internazionale, a parte e per alcuni tratti,
il caso leccese. Questo, infatti, è molto più in avanti in termini di sviluppo
equilibrato, rispetto agli altri due, dove molti progressi si sono ottenuti soprattutto
nell’industria: dopo essersi consolidata sul mercato locale, l’industria
leccese, infatti, ha mosso passi significativi verso scenari regionali,
nazionali ed anche oltre. Non così per le province di Brindisi e Taranto, dove
le rispettive industrie sono collegate esclusivamente ai grandi mercati e
modeste sono le connessioni a livello locale. E questo, se da un lato
garantisce il da vivere alla popolazione, dall’altro si presenta come un forte
elemento di instabilità, al contrario del caso leccese, che soprattutto
nell’ultimo quindicennio si è affrancata da simili dinamiche, producendosi in
un assetto e in incedere più equilibrati, senza inficiare i suoi dati
reddituali, che si presentano tra i migliori delle tre province, dove fanalino
di coda è rappresentato dalla provincia di Brindisi. Non a caso, nel 2016,
la città di Lecce si connota come la città capoluogo più ricca di Puglia.
Certamente,
il potenziale economico leccese, tuttavia, è per lo più non sfruttato: il tasso
di disoccupazione della provincia di Lecce è vicino al 22%, mentre quello
tarantino è intorno al 15% e quello brindisino è circa il 17%. Da qui, inoltre,
se ne può dedurre che la produttività leccese è di gran lunga superiore a
quella delle altre province del Grande Salento.
Sotto altro profilo, v’è da dire che, il leccese soffre di sovrappopolamento,
registrando una densità di abitanti per Kmq pari a 286 contro i 213 di Brindisi
e i 236 di Taranto.
In
particolare, va subito messo in luce che la popolazione delle tre province
salentine sta rapidamente invecchiando. Nello specifico, mentre gli
ultrasessantacinquenni fino a vent’anni fa costituivano pressoché il 15% della
popolazione complessiva, oggi tale percentuale supera abbondantemente il 20%,
dove tale valore arriva al 22% nella provincia di Brindisi e al 23% nella
provincia di Lecce, quella col maggior carico di persone anziane.
E
la popolazione salentina invecchia, ma non si riproduce. A tal riguardo, mentre
vent’anni fa i giovanissimi (quelli da 0 a 19 anni) rappresentavano il 25%
della popolazione, oggi la situazione si presenta drammatica e ribaltata.
Questi non superano il 20%. E qui, sempre la provincia di Lecce ha il primato
negativo, registrando un appena 18%. Fanno meglio le province di Brindisi e
Taranto, ma con scarti del tutto irrilevanti.
In
linea con quanto detto, anche la famiglia ha perso la sua funzione riproduttiva
in maniera importante. Infatti, mentre nel 2001 le tre province registravano un
nucleo familiare intorno a valori di 2,8 persone, questo dato oggi è
precipitato a 2,4, dove anche qui la provincia di Lecce registra la peggiore
performance, con 2,31.
In
sintesi, sotto il profilo demografico, la situazione si presenta preoccupante
soprattutto per la provincia di Lecce, mentre le province di Brindisi e
soprattutto di Taranto presentano dinamiche un po’ più decelerate, all’interno
di un quadro ovviamente depressivo.
Al
riguardo va considerato che la riduzione delle nascite nel Grande Salento è una
soluzione che la popolazione ha dato spontaneamente al problema della
disoccupazione. La nostra economia infatti non è in grado di assorbire tutte le
giovani risorse. Noto è il tasso a due cifre della disoccupazione, soprattutto
giovanile. E non è azzardato dire che il nostro territorio è sovrappopolato e
che naturalmente si sta orientando verso scenari più consoni alla sottostante
economia. Restando così la situazione demografica, infatti, nel giro di
vent’anni il nostro territorio, per effetto della riduzione delle nascite,
dovrebbe presentare tassi di disoccupazione più accettabili e tali che il
sistema produttivo li possa sostenere, con beneficio per tutti.
In
tale direzione, le operazioni di ripopolamento attuate dal governo sono
assolutamente dannose, perché manterrebbero alto il tasso di disoccupazione e
dunque di disagio sociale. E ciò perché il sistema produttivo del Grande
Salento non presenta tendenze espansive, ma stabili e tali da assorbire solo
una quota fissa di popolazione.
Qui,
dunque, in prima battuta va detto che sarebbe auspicabile un’integrazione
economica dell’ex Terra d’Otranto in direzione dell’esempio leccese, dove forse
la vivacità imprenditoriale, in un quadro tuttavia di sostanziale pigrizia,
mostra una maggiore vivacità, rispetto al caso delle province di Brindisi e
Taranto, dove i grandi poli industriali di origine non autoctona, generano
l’indotto e permeano la loro economia, rendendola possibile, ma non stabile e
centrata sulle reali forze locali.
In
definitiva, l’economia leccese, rispetto a quelle tarantina e brindisina, ha
mostrato una maggiore consapevolezza delle sue possibilità, muovendosi in
maniera autonoma, dove invece negli altri casi ci si è aspettato l’intervento
esterno senza mettere in moto le proprie risorse creative ed intuitive.
Certamente, la provincia leccese ha risentito meno dell’intervento statale e
della grande industria multinazionale, che se da un lato ha dato lavoro,
dall’altro ha creato economie deboli e non centrate sulle volontà locali.
Tutto
ciò ha portato ad un ritardo nelle principali forze economiche di gran parte
del Grande Salento, un tempo non lontano area tra le più internazionalizzate e
dinamiche del Paese, che si auspica ri-trovino la forza di ricongiungersi nel
canale leccese, che si presenta il più evoluto, il più focalizzato sulle
proprie risorse e sulla propria inventiva, in un contesto di maggiore autonomia e autopropulsivo.
Mauro Ragosta
Nessun commento:
Posta un commento