Eccoci ritrovati per l’ultimo capitolo di questa Rubrica dedicata
alla Rivoluzione Informatica e al progresso tecnologico, in definitiva. In
questa sede, sulla falsa riga del precedente appuntamento, continueremo le
nostre analisi con i pirotecninci avanzamenti, che hanno caratterizzato il
secondo decennio del 2000, fino ad arrivare ai giorni nostri. Abbiamo, finora,
lasciato un mondo dominato dai computer e pian piano sempre più
colonizzato dagli smartphone, mentre le pieghe del sociale vengono
ricamate dalle fitte reti di connessioni social, creando un nuovo
livello di comunicazione sovrapposto a quello della vita reale, altrettanto
influente su di essa.
Sicché, dal 2010 in poi, vediamo il progressivo sviluppo e
diffusione degli smartphone, che altro non sono dei computer tascabili,
ai quali mancava ancora, fino a qualche tempo addietro, solo una cosa per
divenire un accessorio di uso massificato su scala globale: la connessione
mobile! Fino a poco più di 15 anni fa infatti non era così scontato avere una
connessione internet esterna, senza spendere un patrimonio (va
ricordato, in più, che si usavano ancora le cabine telefoniche in molti comuni
d’Italia). Sotto lo slogan di “mobile first” tutte le emergenti
compagnie tech, hanno velocemente creato una rete sempre in grado di
farti connettere nel mondo virtuale ovunque ti trovi. E così, in brevissimo,
gran parte degli individui del pianeta Terra, hanno oggi a disposizione
un'infinità di Mondi in una sola mano, attraverso lo smartphone.
L’implementazione
di interfacce mobile utilizzabili direttamente da telefoni, combinate con
modalità di iscrizione poco complesse e senza particolari metodi di verifica,
hanno fatto si che i social dilagassero. A partire da Facebook e Twitter,
ma anche Instagram e TikTok. E poi Tinder, Grindr, ma
anche LinkedIn, Anobii, Medium, Flickr e tutti gli altri.
Quando l'infrastruttura di internet,
la rete delle reti, è stata costruita alla fine degli anni Sessanta, nessuno
avrebbe potuto neanche immaginare cosa potesse diventare il web (creato
da Tim Berners-Lee alla fine degli anni Ottanta e reso popolare da Netscape a
metà degli anni Novanta) figuriamoci l'esistenza di reti sociali mediate
dalla potenza digitale. Eppure era facile immaginarlo: la voglia di socialità
è quello che contraddistingue le persone e, non solo; gli stessi mercati sono
conversazioni, come aveva affermato nella prima delle sue 95 tesi il Manifesto
Cluetrain.
E
così, su unica rete si è proceduto a connettere ed interconnettere non solo i computer
e i personal computer, ma anche gli smartphone.
E non solo, anche tutti i tipi di Robot,
che usufruiscono, utilizzano e gestiscono la rete. E ciò a tal punto che,
l’esistenza umana oggi si bipartisce tra esistenza virtuale e esistenza reale,
ma non basta. Esiste una società virtuale e una società reale. Ovviamente, il
confine tra i due Mondi non è netto, ma è sotto gli occhi di tutti che la vita
si svolge sia in presenza sia tramite computer, qualunque esso sia.
Si assiste
nel mondo virtuale a compravendita di like e follower, bolle
informative, manipolazione della pubblica opinione e delle elezioni, privacy,
bullismo online, revenge porn, fake news, deepfakes, odio online
sono tutte conseguenze di questo mix socio-tecnologico, insieme alla
nascita degli youtuber, degli influencer e di categorie ancora
inedite di maître à penser digitali. Come faremmo a vivere senza?
Ma la tana
del “bianconiglio” non finisce qui, l’antro più oscuro nel quale
guardare riguarda l’influenza sociale che questi possenti apparati digitali
posseggono su enormi masse di uomini e le problematiche di sicurezza sociale ed
individuale che questa comporta. In primo luogo, prendendo il caso Cambridge
Analytica già citato nel capitolo precedente, analizziamo lo scandalo più
importante per la storia della privacy e delle fake news, che non
è niente di più che lo stesso. È bastato un quiz con l'app gratuita
"This is your digital life" su Facebook fatto a 270mila persone (una
goccia nel mare dei due miliardi di utenti del social di Mark Zuckerberg) per
consentire a Cambridge Analytica di profilare quasi duecento volte il numero
degli utenti senza che ne se rendessero conto.
È chiaro, dunque, che i grandi
giganti tech hanno per le mani degli strumenti talmente tanto potenti da
minare le logiche su cui si fondano non solo i nostri sistemi sociali Occidentali,
ma la società stessa. Prendendo in prestito le parole di Harari: “Se gli umani
sono animali hackerabili e se le nostre scelte e opinioni non riflettono il
nostro libero arbitrio, quale dovrebbe essere il ruolo della democrazia? Come
vivi quando ti rendi conto che il tuo pensiero potrebbe essere plasmato dal
governo, che il tuo amigdala potrebbe funzionare per Putin, ad esempio,
e che la prossima idea che si affaccia nella tua mente potrebbe essere il
prodotto di qualche algoritmo che ti conosce meglio di quanto tu conosca te
stesso?”
In secondo luogo, ma non per
importanza, ciascuno di noi inserisce regolarmente numerose informazionali
personali, riguardanti ogni sfaccettatura della propria esistenza, sui social
network, fino ad arrivare a rilasciare persino le nostre impronte digitali
ad Apple o la scannerizzazione delle linee del nostro volto a società
che controllano strumenti come FaceApp. È molto difficile avere contezza
di quanto di prezioso gettiamo nel mare del web, lasciando il tutto incustodito
per gli attacchi di malintenzionati siano essi singoli hacker, che
privilegiano un attacco individuale (es. furto d’identità), o grandi società
che sfruttano il calcolo combinatorio dei Big data, per raggruppare
grandi quantità di dati di molte persone per utilizzarli verso i propri fini
commerciali.
Quando parliamo di Big Data
ci riferiamo a computer in grado di operare calcoli molto complessi,
comprendenti un’incredibile quantità di dati e variabili, ed i suoi sostituti
sono già alle porte, i quali promettono applicazioni tecniche che potrebbero
essere devastanti: i computer quantistici. Cosa sono? In breve computer
che non usano i Bit e il classico linguaggio binario, ma Bit quantistici, i
quali possono possedere più valori simultaneamente, non basandosi sulle regole
della meccanica classica ma di quella quantistica.
Un altro grande tema è la robotica
che nell’ultimo decennio ha compiuto degli sviluppi incredibili. In prima
battuta sarà oggetto della nostra trattazione non l’idea di robot umanoide a
cui siamo abituati, che pure hanno fatto passi da gigante, bensì i “robot
da combattimento” ed i soft robot. I primi sono macchine potenziate
che già oggi vengono utlizzate in situazioni di guerriglia, come ad esempio i
droni e i nuovi e sofisticatissimi cyberg-dog, armati fino ai denti. I soft
robot sono invece sono composti di materie prime anche organiche, sono
morbidi, elastici e flessibili. La loro grandezza può variare a seconda degli
scopi perseguiti, possono essere anche grandi quanto un’unghia. Le loro
applicazioni sono numerose nel campo della ricerca scientifica, vengono
utilizzati per esplorare ambienti complessi come il fondo degli oceani, che
della medicina, si possono effetturare operazioni invasive con soft robot in
grado di “navigare” il corpo umano, o ancora essere utilizzati come armature,
una sorta di rinforzo dell’esoscheletro.
Quando si parla di robotica,
tuttavia, è innegabile il riferimento all'imitazione dell’umano e
all’intelligenza artificiale. In sintesi, al giorno d’oggi siamo dominati dagli
algoritmi, i quali sovente hanno l’ultima parola tanto sulle nostre scelte come
singoli (è google maps che sceglie quale percorso prenderò, Tinder con chi mi
accoppierò) tanto sulle nostre scelte collettive (chi voterò nelle prossime
elezioni?). Per tanto oggi l’intelligenza artificiale ad oggi si configura per
lo più come macchine e strumenti in grado di riconoscere volti, e voci, giocare
ai videogame, compiere operazioni come guidare un autoveicolo. Negli aeroporti
di Tokio le assistenti sono donne-robot, che danno indicazioni di vario genere
ai viaggiatori. Ma c’è di più. È già attiva una giornalista-robot, in grado di
leggere un testo, fare una recensione scritta e provvedere anche all’intervista
in presenza... Sono però ancora molto esigui i casi di sviluppo di
un’intelligenza emotiva o addirittura di quella che si potrebbe chiamare
“coscienza”, come nel celebre caso dell’ex ingegnere di Google, il quale aveva
avuto un profondo dialogo con un AI.
L’ultima tappa di questo nostro
percorso è l'ingegneria genetica, la quale lancia segnali di distopismo verso
il futuro. L’ingegneria genetica infatti è quella branca che si occupa di
isolare, clonare ed inserire geni in un nuovo ambiente in modo tale da
modificare le caratteristiche delle cellule riceventi. Sicché oggigiorno,
granparte degli elementi con cui abbiamo a che fare ogni giorno, compresi noi
stessi, sono modificati geneticamente. In linea generale, oramai appare tutto
geneticamente modificato, da ciò che mangiamo a noi stessi…..
In
conclusione, a termine di questi capitoli, attraverso i quali abbiamo percorso
l'evoluzione della materia regina del nostro secolo, l’informatica, possiamo in
maniera più lucida distaccarci dai tecnicicsmi e dai discorsi specialistici e
lasciarci con’immagine di più ampio respiro.
Quello che
potenti progressi tecnologici, foraggiati prima da un’organizzato apparato
burocatico militare-statale e da un feroce concorso capitalista tra grandi
società poi, è un mondo frastagliato e confuso nelle sue fondamenta,
all’apparenza così diverso da ciò che prima d’ora si era visto all’interno
delle organizzazioni umane, eppure... facciamo qualche passo indietro, quando
gli uomini, ancora, credevano ai miriadi di dei nascosti nel cielo:
Quando gli
uomini credevano a potenti Dei nascosti nel cielo, essi costruivano templi per
la loro divinità preferita, organizzavano celebrazioni in suo onore, offrivano
sacrifici e tributi, donavano terre. Presso i Sumeri, quindi circa 6000 anni
fa, i templi non erano soltanto luoghi di devozione, ma anche i più importanti
centri politici ed economici. Le divinità sumere assumevano compiti simili a
quello dei moderni marchi di successo e delle grandi società per azioni. Oggi,
quest’ultime, sono soggetti di diritto che posseggono proprietà immobiliari,
prestano denaro, assumono impiegati, danno il via ad imprese economiche. Ecco,
nell’antica città di Uruk o Lagash le divinità ricoprivano la funzione di
entità legali che possedevano campi e schiavi, davano e ricevevano prestiti,
pagavano salari e costruivano dighe e canali. Poichè gli dei non litigano e
non lasciano eredità, essi accumularono una quantità crescente di beni e
potere, sempre più sumeri si trovarono impiegati in professioni connesse alla
divinità. Proprio come nella San Francisco di oggi, Frank fa l’ingegnere per
Google e Jessica la designer per Apple, mentre nell’antica Uruk una persona era
impiegata presso il grande Dio Enki. I templi di Enki o di altri dei
sovrastavano le città, e i loro divini loghi campeggiavano su edifici,
prodotti e abiti. Per i sumeri Enki e Inanna erano reali proprio come per noi
lo sono Apple e Google. Non sembra, in fin dei conti, essere cambiato nulla.
Andrea Tundo