Un’importante
pagina di storia per il Bel Paese fu, senza dubbio, quella scritta da
lavoratori e Governo, nell’ormai lontano 1970. Per gli operai e per i dipendenti
fu l’anno nel quale questi videro riconosciuti vari diritti e libertà, due su
tutti: la possibilità di essere reintegrati in casi di licenziamenti senza
giusta causa e la possibilità di organizzare presidi sindacali nei luoghi di
lavoro da loro vissuti. Ciò di cui parliamo è la legge nazionale numero 300/70,
al secolo definita “Statuto dei
lavoratori”.
Quella
che la Treccani definisce “la fonte normativa più importante dopo la
Costituzione” ha vissuto un lungo e accidentato percorso, prima di potersi dire
compiuta. Fu Giuseppe Di Vittorio, il primo ed il più importante sindacalista a
chiedere una norma che tutelasse i lavoratori, vero motore per un’economia
industriale. Di Vittorio lanciò questa proposta ben 18 anni prima
dell’emanazione dello Statuto, dal palco del Congresso CGIL di Napoli, nel 1952.
Fu
il governo di centro-sinistra Rumor con il Ministro del Lavoro Giacomo
Brodolini, sostenuto tra gli altri da Democrazia Cristiana e Partito
Socialista, a portare a compimento il disegno di una legge a difesa dei
lavoratori e a mettere in pratica il dettato costituzionale, sull’iniziativa
economica a fini di utilità e dignità sociale, contenuto nel secondo comma
dell’articolo 41.
Sebbene
riguardi vari aspetti, come si diceva nell’incipit di questo scritto, lo
Statuto dei Lavoratori è conosciuto e sintetizzato in uno dei suoi articoli più
rappresentativi, ovvero l’articolo 18. Era, insomma, quell’elemento che metteva
al riparo il dipendente dalla possibilità di essere licenziato senza una giusta
causa e di non essere reintegrato. Era, così, poi proprio dalla parte di chi teoricamente si pone al fianco dei lavoratori, che si è pensato che non fosse più
necessaria quale tutela e principio del vivere sociale futuro. Ora, infatti,
qualunque dipendente può essere licenziato per cause economiche (anche solo paventate,
e i casi di delocalizzazione lo dimostrano) o per motivi legati
all’organizzazione interna. Insomma, il cosiddetto padronato ha il coltello
dalla parte del manico, potendo decidere della sua iniziativa economica, anche
in contrasto col fine sociale di questa definito nella Costituzione italiana.
Dopo
44 anni di vita, però, proprio da chi storicamente aveva difeso i diritti dei
lavoratori, arriva la distruzione di questo importante strumento di protezione
per operai e dipendenti. Prima il governo Monti, sostenuto tra gli altri dal
Partito Democratico di Matteo Renzi, con la legge Fornero, e poi il governo
della coalizione Renzi-Alfano hanno praticamente distrutto lo Statuto e
l’articolo 18 con il Jobs Act, tra il 2012 e il 2014. Proprio quel governo a
guida Pd renziano è riuscito a fare ciò che nemmeno ai governi Berlusconi era
riuscito. Il Partito Democratico - figlio legittimo del più grande partito
comunista d’Occidente – ha ribaltato la tutela sui luoghi di lavoro: dal
lavoratore al datore di lavoro. La ratio
era quella di allargare le maglie giuridiche in materia di lavoro, per una
supposta maggior possibilità di investimenti “perché con l’articolo 18 i
manager erano troppo ingessati”. Ad un lavoro già precario, si è sommata,
dunque, la tagliola sui diritti, oramai praticamente inesistenti. Il boom di
assunti, previsto e motivo fondante dell’abolizione dell’art.18, com’è noto,
non c’è stato, come, del pari, anche l’andamento del PIL, segna una grave
depressione, nonostante in Italia il mercato del lusso proprio in questi anni
segna un boom senza precedenti.
A
ben guardare, dunque, la parabola dei diritti a garanzia dei lavoratori ha
conosciuto il suo apice con la legge 300/70, per poi iniziare la sua discesa, a
tratti molto ripida, ma che non ha ancora toccato il fondo, forse. Il
capitalismo continua, insomma, a permeare e conquistare spazi, specie riguardo
alle regole per gli investimenti e le loro dinamiche, che enfatizzano
l’accumulazione di capitale ed i profitti, anziché “distribuire” benessere a
tutti. Gli Stati e le loro istituzioni sono sostanzialmente alleati dei colossi
del commercio e dell’industria, sicché i lavoratori sono stati schiacciati e la
cui ripresa in termini di capacità contrattuale e sociale non si riesce ad
intravedere neanche per i prossimi cinquanta anni.
Massimiliano Lorenzo
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