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sabato 23 novembre 2019

Pensatori Contemporanei (parte terza): Ralf Dahrendorf – di Giuliano Greco


         E siamo al terzo appuntamento della più recente delle rubriche varate quest’anno da Maison Ragosta, centrata su alcuni pensatori, quelli che, in maniera importante, negli ultimi trent’anni, con le loro idee e con le loro costruzioni intellettuali, hanno inciso sulla nostra società. Una società, che non a torto, Bauman ha definito liquida. Ed ecco che, in un certo qual senso, questa rubrica si pone come fine ultimo quello di intercettare quei pensieri e quei pensatori che hanno fatto approdare a questo stato di liquidità la società in cui viviamo. Certamente, la componente ideologica, in tale direzione non è esclusiva, ma si presenta sicuramente come uno dei fattori più che importanti.
         Dopo aver, seppur succintamente dissertato sul pensiero centrale di Karl Popper e sulle sue ricadute sociali, qui ci soffermeremo su Ralf Dahrendorf, il cui pensiero, sebbene molto articolato, in alcuni aspetti si mettono in luce gli ingredienti salienti delle sue formule socio-intellettuali, che, come s’è detto, hanno condotto, come il pensiero di Popper, alla liquidità di Bauman. D’altro canto, poi, Daherndorf, non a caso, succedette a Popper alla direzione della London School of Economics, evidenziandosi cosi una linea di continuità nella gestione del pensiero Occidentale, da parte delle massime istituzioni culturali e accademiche mondiali.
         Ma prima di puntare ad uno dei nodi centrali del pensiero di Ralf Gustav Dahrendorf, ci di deve chiedere, almeno per quanto riguarda i tratti essenziali, chi è questo nostro pensatore. Tedesco, nasce ad Amburgo nel 1929. Qui, tra il 1947 ed il 1952 studia filosofia, filologia classica e sociologia, non mancando di frequentare alcuni corsi speciali a Londra. In Germania è stato un sociologo, politologo e politico di stampo liberale, ai massimi livelli istituzionali negli anni ‘60. Dal 1967 al 1970, peraltro, assume la carica di Presidente della Società Tedesca di Sociologia, succedendo a Theodor Adorno, colui che ha introdotto e definito, in ambito socilogico, il noto concetto di “massa”. Nel 1974, si trasferisce in Inghilterra e, come s’è detto,  gli viene conferita la carica di direttore della London School of Economics, fino al 1984, divenendo, poi, cittadino britannico nel 1988. Nel 1993 la Regina Elisabetta II lo nomina Lord a vita con il titolo di “Baron Dahrendorf of Clare Market in the City of Westminster”. Molte, comunque, sono le onorificenze assegnateli a livello internazionale. Tra queste va segnalata quella italiana conferita dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nel 2002, quale quella appunto di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. La sua esperienza terrena si chiude nel 2009 a Monaco. Inutile dire circa la sua bibliografia, che si presenta decisamente corposa e di grande rilievo internazionale.
E veniamo al punto. Tra le tante, nota è la sua teoria sulla prospettiva del conflitto. Secondo Dahrendorf, il conflitto centrale nella società è tra chi ha il potere e chi non lo ha. E ciò sia a livello individuale, sia a livello di gruppi, sia a livello di ceti sociali. E’, in definitiva, l’esercizio del potere che produce e definisce il conflitto sociale. In tale prospettiva egli appoggia la definizione data da Max Weber sul potere, ossia “la capacità di far fare agli altri ciò che si vuole e farsi obbedire”. Da qui, è il potere che determina, oltre al conflitto, la struttura della società e stabilisce le norme, che tutelano gli interessi delle classi dominanti, e non sono frutto del consenso sociale. Inoltre, crea discriminazione verso chi non vi si conforma, oltre che sanzionare chi non le rispetta.
Tale impostazione, che si è disciolta nella pubblicistica, ha portato negli ultimi decenni a favorire, da noi, il cosiddetto “trasformismo”, termine, questo, coniato da Agostino De Pretis, liberale di sinistra e Capo del Governo nel Regno d’Italia, tra 1881-1887. Ed in effetti, se è vero che l’unico conflitto è tra chi ha il potere e chi non lo ha, l’appartenenza politica e l’esistenza dei vari partiti si presentano irrilevanti. Da qui, è lecito il trasformismo cui abbiamo assistito negli ultimi lustri, come fenomeno crescente e le cui giustificazioni si presentano sempre più stringenti. Ma la conseguenza ultima del pensiero di Dahrendorf si deve rintracciare soprattutto nelle ricadute popolari e sociali, amplificate anche dalla pubblicistica e dall’arte di Sistema, fortemente politicizzate. In Italia, con riferimento all’arte, un esempio vale per tutti: la nota canzone, per nient’affatto casuale, Destra-Sinistra di Giorgio Gaber, dei primi anni ’90, i cui effetti furono e sono tutt’oggi devastanti sulle menti più semplici.
L’uomo comune, infatti, col trasformismo viene privato della sua tradizionale identità politica, che lo ha caratterizzato negli ultimi duecento anni e che gli hanno consentito di esprimere la sua umanità. E quindi, ecco che il pensiero di Dahrendorf, come abbiamo visto anche per Popper, ha contribuito, ponendosi come sorgente prima, ad indebolire le strutture intellettuali “rigide” dell’uomo comune, la sua identità in definitiva, indirizzandolo verso soluzioni più “liquide”, per richiamarci a Bauman.

Giuliano Greco

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