In tutte le democrazie occidentali, la
politica è rappresentata sostanzialmente da due punti di vista contrapposti,
ovvero la destra e la sinistra, anche se oggi non più. Il Novecento ha
conosciuto anni di contrapposizione tra queste due visioni della società, anche
legate ad un contesto internazionale che metteva a confronto il liberalismo
statunitense ed il comunismo sovietico. Il Novecento italiano, da qui, comprese
tra le sue fila il più grande partito comunista d’Europa, che storicamente è
l’antenato dell’attuale sinistra italiana.
Da quando la contrapposizione
occidente-oriente ha visto la fine della sua storia e il contesto
internazionale ha conosciuto un sistema apparentemente più anarchico e meno
schematico, in Italia la sinistra ha iniziato un processo che l’ha condotta
all’attuale condizione di quasi irrilevanza o, meglio, di appiattimento al
sistema, se non assurgendo ad elemento funzionale al sistema capitalistico
stesso, quando invece dovrebbe riformare e proporre una visione alternativa,
sulla linea di quei suoi principi storici fondamentali.
Nella Prima Repubblica italiana, il Partito
Comunista Italiano e la sinistra in generale perseguivano un grande ed ampio obbiettivo,
come quello della lotta al capitalismo, a quel sistema che genera
disuguaglianze per via dell’accumulazione del capitale, della competizione
sfrenata tra soggetti ineguali e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sia in
una prospettiva riformista sia in quella rivoluzionaria. Una prima repubblica
italiana che ha conosciuto conquiste sociali proprio per la competizione
politica e sistemica tra due visioni opposte su come andasse organizzata la
società, su chi dovesse determinare le sorti dell’economia tra i lavoratori e i
padroni, su quali dovessero essere i mezzi per la risoluzione degli scontri
internazionali tra la guerra e la diplomazia. A guardare oggi la sinistra,
viene da chiedersi dove siano finito “il sol dell’avvenire” e gli obbiettivi di
uguaglianza, libertà e autodeterminazione.
Già nella Seconda Repubblica dello Stato
italiano le avvisaglie per quella che sarebbe stata la cultura della sinistra
italiana. Alla caduta del Muro e del PCI, sin da subito sparì, già dal nome,
l’obbiettivo ultimo del socialismo reale e, con questo, via via, gli obbiettivi
di uguaglianza sostanziale, parità di condizioni e trattamento, per lasciare
posto a derive tutt’altro che rivoluzionarie, anzi, particolaristiche e
fuorvianti, perché divisive e individualistiche. Ma c’è di più. La sinistra è
stata usata per abbattere la stessa sinistra storica. Sono stati utilizzati,
infatti, gli uomini di sinistra per abbattere le conquiste della sinistra della
Prima Repubblica ed incanalare le masse verso logiche di destra. Le masse di
sinistra infatti, senza accorgersene, si comportano sostanzialmente come masse
di destra. Ed hanno anche perso la memoria del socialismo. Basti fare accenno a
quelle per i diritti degli animali e le battaglie per l’ambiente, pure
importanti, s’intenda, ma inutili se non inserite in una logica di società e
quindi funzionali al sistema capitalistico. I partiti della sinistra cosiddetta
“di governo”, ovvero i vari discendenti diretti del partito che fu di Gramsci e
Togliatti, come il Partito Democratico infatti, si sono in buona sostanza
adattati al sistema ed hanno fatte proprie le parole d’ordine del “nemico”.
Una cultura sinistroide, ma che di sinistra ha
conservato solo il nome, si è sviluppata sino all’avvento di quel soggetto
politico ed organizzazione giustizialista, composta per gran parte da soggetti
orgogliosi di non aver mai fatto politica prima d’ora, quasi fosse un
disvalore, nella quale l’arrivismo di tanti è stato nascosto sotto
l’enfatizzazione del civismo a tutti i costi e una presunzione di moralità,
degna dei peggiori “talebani”. Per essere chiari, il riferimento è al Movimento
5 Stelle di Beppe Grillo, un comico divenuto capo partito e capo popolo (o
forse perfetto interprete di un copione scritto da altri?), legato alla potente
famiglia dei Casaleggio ed alla sua società. Un’organizzazione grazie alla
quale è divenuto più importante l”apprendista stregone” rispetto al medico, lo
studio tra i blog di “chicchessia” rispetto ai trattati scientifici, la
democrazia del “like” rispetto a quella delle tribune politiche. Insomma, un
populismo dell’ignorante e dell’ignavo, dove prima c’erano i dibattiti tra
esperti acclamati e riconosciuti, che hanno lasciato il passo a un camaleontico
“uno vale l’altro”.
Quindi, una cultura politica di sinistra che
ha abbandonato del tutto ogni e qualsiasi tipo di velleità rivoluzionaria, che
nelle componenti dirigenziali si è votato al padrone, ai grandi capitali e
all’accentramento di potere, sdegnano finanche l’appellativo stesso di
“sinistra”. Una sinistra che si è “venduto”
nel silenzio il popolo di sinistra, trasformandolo in una morfologia adeguata
al sistema capitalistico. Nel tempo delle post ideologia, tutte le compagini
politiche, e soprattutto la sinistra, sostengono che sia anacronistico
dividersi in schermanti, ma nascondono invece l’assenza di capacità in una
visione generale e completa della società. O la rifuggono questa visione
completa di libertà, uguaglianza e giustizia, osteggiandola anche? Una sinistra
che ha abbattuto il concetto di classi sociali, distruggendo la coscienza di classe appunto,per far diventare tutto liquido ed informe……..facilmente
utilizzabile.
Massimiliano Lorenzo
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