Diversi sono gli aspetti critici dell’attuale
scenario politico, che vanno dalla sinistra alla destra. Un elemento è però comune,
trasversale e assieme profondamente radicato, culturalizzato, per certi aspetti
scontato nel sistema politico italiano, a tutti i livelli, e al punto che non si dovrebbe inquadralo come
fenomeno di tipo individuale, ma come un sistema organizzato e studiato
premeditatamente, risultando di fatto uno strumento ordinario della Classe
Dirigente per sottrarre in maniera scientifica risorse sociali, e, per certi
aspetti, “purificare” il sottostante sistema economico, al fine di conferirgli
quella tensione, che permette la governabilità. E quest’elemento è la
corruzione, proposta al cittadino italiano dai media, in pillole, a pioggia e
in maniera costante, rispetto alla quale con ovvia difficoltà il cittadino
stesso non riesce a costruire un quadro di sintesi, se non con motivazioni
banali e non del tutto convincenti. Insomma, il cittadino italiano non si
spiega la corruzione se non nell’ambito del vizio o della sete di danaro,
quando invece le motivazioni potrebbero essere più strategiche, economiche, di
ordine sociale, di gestibilità del cittadino. Ma andiamo alla questio nel dettaglio.
Quando all’estero parlano del Bel Paese e
guardano al nostro sistema, spesso balza alla mente proprio la corruzione e il
clientelismo che legano politica, industria banche e mafie. Non passa giorno
che dalle cronache dei media nostrani non venga fuori un nuovo caso di
corruzione in questo o quel settore, o non venga pronunciata una sentenza su
procedimenti a carico di politici, rappresentanti della pubblica
amministrazione coinvolti direttamente (o indirettamente) in casi di clientelismo.
Sin dalla prima Repubblica è stata un’attività
che ha coinvolto i partiti italiani, intenti a “rubare” soldi pubblici,
attraverso, per esempio, favoritismi in gare d’appalto per amici o gente di
potere, incarichi milionari e quantaltro. Come lo stesso Bettino Craxi spiegò,
nel suo ultimo discorso alla Camera dei Deputati del 23 aprile 1993, tutti i
partiti si servivano di tangenti per l’autofinanziamento, perché alle
organizzazioni partitiche non erano sufficienti i trasferimenti statali. Le
varie sacche di clientelismo, le varie migliaia di voti comprati e la
corruzione nella pubblica amministrazione, servivano, insomma, solo per una più
larga e capillare attività di partito. Di fatto Craxi mise in evidenza che la
corruzione era un sistema che garantiva alla politica una certa autonomia e
forza rispetto ad altre agenzie di potere. Ed oggi invece il sistema e lo
strumento della corruzione a cosa serve, dal momento che le Repubbliche scorrono
e lei rimane là ferma, inespugnabile, nonostante le lusinghe dei pentastellati,
che cavalcano un “cavallo sicuro” che garantisce voti, dal momento che la
corruzione non verrà mai estirpata in Italia, e ciò almeno per i prossimi cento
anni. Ma poi, la corruzione è nata con lo Stato e con lo Stato probabilmente si
dissolverà. Insomma è l’altra faccia della medaglia dello Stato.
Nel parlare di corruzione, tangenti e
clientelismo in Italia, non si può certamente tralasciare la prima grande
inchiesta con la quale la magistratura scoperchiò il vaso di Pandora circa gli
illeciti perpetuati sino al 1992. Fu uno dei procedimenti che annientò tutta, o
quasi, l’intera classe politica della prima Repubblica, e che diede i natali
alla seconda fase della Repubblica italiana. Quei legami di corruttela e
clientelismo tra politici e imprenditoria divennero una questione tutta
politica, e venne utilizzata sin da subito da coloro che scamparono alla scure
dei magistrati o presero il posto dei politici annientati, per la costruzione
di un nuovo consenso elettorale. Insomma, già agli albori della Seconda
Repubblica i nuovi politi facevano né più né meno di quello che facevano i
corrotti o i corruttori della Prima Repubblica. Uno su tutti fece tesoro di
quell’inchiesta, da lui stesso condotta, per entrare in politica e in
Parlamento: l’ex magistrato di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Di Pietro sfruttò
la sua immagine di ex magistrato “purificatore” della politica italiana, come
oggi i seguaci dei Casaleggio, per convincere i cittadini italiani a votare lui
e il suo partito Italia dei Valori. Dall’altra ancora, per esempio, si pensi
alla svendita dell’IRI che portò a trasferire dallo Stato al capitalismo
italiano la fetta più importante del sistema produttivo nazionale, richiedendo
a questo un sacrificio quasi inesistente, formale insomma.
Ed anche nella Terza Repubblica i partiti
hanno continuato e continuano a farsi corrompere o a corrompere, un’attività
che sposta miliardi di euro dalle casse pubbliche alle tasche di potentati
economico-finanziari. E però, da questo tipo di corruzione ne sono, in un certo
qual senso, apparentemente esclusi i Pentastellati, perché di fatto costituiscono
il partito personale dei Casaleggio, i quali, anche attraverso l’opera
attoriale di un comico, incidono direttamente e personalmente sul sistema
legislativo italiano secondo le loro necessità. Ad ogni modo, di fatto la
corruzione sottrae risorse importantissime, miliardarie, al sistema economico
nazionale e soprattutto alle classi subalterne, che rimangono di fatto
costantemente, economicamente e perfettamente “sottoscacco”. Sarà forse questo
il motivo ultimo della corruzione? E’ totalmente insensato, d’altro canto
pensare che la corruzione si perpetui per questioni di lucro o arricchimento
per la classe dirigente, di fatto essendo questa in possesso di tutta la ricchezza
e tutto il potere nazionale. Appare più logico pensare invece, in ciò assistiti
da una certa manualistica economica e politica, che il travaso di capitali dal
pubblico al privato abbia più ragioni legate al governo del territorio, e solo
in minima parte, quasi irrilevante e poco strategica, legate a logiche di
arricchimento. D’altro canto, in Italia si combatte sempre più l’evasione
fiscale, sulla quale si è costruito un regime poliziesco, ma poco o quasi nulla
s’è fatto sul fronte della corruzione, che brucia miliardi, rispetto ai quali
le cifre dell’evasione si presentano e si ammantano di ridicolo.
Per concludere, se nella Prima Repubblica la
corruzione era uno strumento della politica, per assicurarle forza ed autonomia
rispetto soprattutto al capitalismo ed ai capitalisti, oggi questa appare uno
strumento dei capitalisti per perseguire certi principi economici, ben
conosciuti da certa classe dirigente, necessari al governo del popolo e alla
gestione del territorio.
Massimiliano
Lorenzo
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