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sabato 26 ottobre 2019

Dalla Seconda alla Terza Repubblica (parte sedicesima): La corruzione: fenomeno individuale o sistema organizzato? - di Massimiliano Lorenzo

Diversi sono gli aspetti critici dell’attuale scenario politico, che vanno dalla sinistra alla destra. Un elemento è però comune, trasversale e assieme profondamente radicato, culturalizzato, per certi aspetti scontato nel sistema politico italiano, a tutti i livelli,  e al punto che non si dovrebbe inquadralo come fenomeno di tipo individuale, ma come un sistema organizzato e studiato premeditatamente, risultando di fatto uno strumento ordinario della Classe Dirigente per sottrarre in maniera scientifica risorse sociali, e, per certi aspetti, “purificare” il sottostante sistema economico, al fine di conferirgli quella tensione, che permette la governabilità. E quest’elemento è la corruzione, proposta al cittadino italiano dai media, in pillole, a pioggia e in maniera costante, rispetto alla quale con ovvia difficoltà il cittadino stesso non riesce a costruire un quadro di sintesi, se non con motivazioni banali e non del tutto convincenti. Insomma, il cittadino italiano non si spiega la corruzione se non nell’ambito del vizio o della sete di danaro, quando invece le motivazioni potrebbero essere più strategiche, economiche, di ordine sociale, di gestibilità del cittadino. Ma andiamo alla questio nel dettaglio.
Quando all’estero parlano del Bel Paese e guardano al nostro sistema, spesso balza alla mente proprio la corruzione e il clientelismo che legano politica, industria banche e mafie. Non passa giorno che dalle cronache dei media nostrani non venga fuori un nuovo caso di corruzione in questo o quel settore, o non venga pronunciata una sentenza su procedimenti a carico di politici, rappresentanti della pubblica amministrazione coinvolti direttamente (o indirettamente) in casi di clientelismo.
Sin dalla prima Repubblica è stata un’attività che ha coinvolto i partiti italiani, intenti a “rubare” soldi pubblici, attraverso, per esempio, favoritismi in gare d’appalto per amici o gente di potere, incarichi milionari e quantaltro. Come lo stesso Bettino Craxi spiegò, nel suo ultimo discorso alla Camera dei Deputati del 23 aprile 1993, tutti i partiti si servivano di tangenti per l’autofinanziamento, perché alle organizzazioni partitiche non erano sufficienti i trasferimenti statali. Le varie sacche di clientelismo, le varie migliaia di voti comprati e la corruzione nella pubblica amministrazione, servivano, insomma, solo per una più larga e capillare attività di partito. Di fatto Craxi mise in evidenza che la corruzione era un sistema che garantiva alla politica una certa autonomia e forza rispetto ad altre agenzie di potere. Ed oggi invece il sistema e lo strumento della corruzione a cosa serve, dal momento che le Repubbliche scorrono e lei rimane là ferma, inespugnabile, nonostante le lusinghe dei pentastellati, che cavalcano un “cavallo sicuro” che garantisce voti, dal momento che la corruzione non verrà mai estirpata in Italia, e ciò almeno per i prossimi cento anni. Ma poi, la corruzione è nata con lo Stato e con lo Stato probabilmente si dissolverà. Insomma è l’altra faccia della medaglia dello Stato.
Nel parlare di corruzione, tangenti e clientelismo in Italia, non si può certamente tralasciare la prima grande inchiesta con la quale la magistratura scoperchiò il vaso di Pandora circa gli illeciti perpetuati sino al 1992. Fu uno dei procedimenti che annientò tutta, o quasi, l’intera classe politica della prima Repubblica, e che diede i natali alla seconda fase della Repubblica italiana. Quei legami di corruttela e clientelismo tra politici e imprenditoria divennero una questione tutta politica, e venne utilizzata sin da subito da coloro che scamparono alla scure dei magistrati o presero il posto dei politici annientati, per la costruzione di un nuovo consenso elettorale. Insomma, già agli albori della Seconda Repubblica i nuovi politi facevano né più né meno di quello che facevano i corrotti o i corruttori della Prima Repubblica. Uno su tutti fece tesoro di quell’inchiesta, da lui stesso condotta, per entrare in politica e in Parlamento: l’ex magistrato di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Di Pietro sfruttò la sua immagine di ex magistrato “purificatore” della politica italiana, come oggi i seguaci dei Casaleggio, per convincere i cittadini italiani a votare lui e il suo partito Italia dei Valori. Dall’altra ancora, per esempio, si pensi alla svendita dell’IRI che portò a trasferire dallo Stato al capitalismo italiano la fetta più importante del sistema produttivo nazionale, richiedendo a questo un sacrificio quasi inesistente, formale insomma.
Ed anche nella Terza Repubblica i partiti hanno continuato e continuano a farsi corrompere o a corrompere, un’attività che sposta miliardi di euro dalle casse pubbliche alle tasche di potentati economico-finanziari. E però, da questo tipo di corruzione ne sono, in un certo qual senso, apparentemente esclusi i Pentastellati, perché di fatto costituiscono il partito personale dei Casaleggio, i quali, anche attraverso l’opera attoriale di un comico, incidono direttamente e personalmente sul sistema legislativo italiano secondo le loro necessità. Ad ogni modo, di fatto la corruzione sottrae risorse importantissime, miliardarie, al sistema economico nazionale e soprattutto alle classi subalterne, che rimangono di fatto costantemente, economicamente e perfettamente “sottoscacco”. Sarà forse questo il motivo ultimo della corruzione? E’ totalmente insensato, d’altro canto pensare che la corruzione si perpetui per questioni di lucro o arricchimento per la classe dirigente, di fatto essendo questa in possesso di tutta la ricchezza e tutto il potere nazionale. Appare più logico pensare invece, in ciò assistiti da una certa manualistica economica e politica, che il travaso di capitali dal pubblico al privato abbia più ragioni legate al governo del territorio, e solo in minima parte, quasi irrilevante e poco strategica, legate a logiche di arricchimento. D’altro canto, in Italia si combatte sempre più l’evasione fiscale, sulla quale si è costruito un regime poliziesco, ma poco o quasi nulla s’è fatto sul fronte della corruzione, che brucia miliardi, rispetto ai quali le cifre dell’evasione si presentano e si ammantano di ridicolo.
Per concludere, se nella Prima Repubblica la corruzione era uno strumento della politica, per assicurarle forza ed autonomia rispetto soprattutto al capitalismo ed ai capitalisti, oggi questa appare uno strumento dei capitalisti per perseguire certi principi economici, ben conosciuti da certa classe dirigente, necessari al governo del popolo e alla gestione del territorio.
Massimiliano Lorenzo


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