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martedì 22 ottobre 2019

Stile e buongusto (parte terza): il saluto ed i convenevoli – di Mauro Ragosta


            Dopo aver esposto i rudimenti sull’uso del cellulare, fondati su due principi molto semplici, ovvero quello di evitare di far vedere la propria dipendenza dall'attrezzo informatico, e quello di utilizzarlo, in presenza d’altri, in base al livello d’attenzione che richiede o richiedono i vostri interlocutori -tutto ciò perché esso non è più uno status symbol, ma l’esatto contrario- passiamo a valutare le principali regole del buongusto quando si saluta una persona. Argomento vasto, sul quale tuttavia si offriranno una serie di spunti utili per ampliare e perfezionare il quadro qui proposto nonché per perfezionare il vostro incedere.
            L’argomento del saluto richiede una chiarificazione preliminare, e cioè quella che attiene “al maggiore e al minore” all’interno di una relazione o all’interno di un contesto più ampio. E’ una questione ovviamente che non è legata alle variabili del maschile e del femminile né tantomeno a questioni concernenti la titolistica, ma ai rapporti di forza tra le parti nella prospettiva reale. Se proprio si vuole la questione può essere risolta chiamando in causa il concetto di potere reale, laddove per potere reale si intende la capacità di far valere la propria volontà su quella dell’altro o degli altri. Esclusa dalla trattazione è la prospettiva paritaria, perché nella realtà è caso rarissimo, forse inesistente. Del pari, va da sé che la persona di stile è colei che sa rendersi conto subito dei rapporti di forza con i propri interlocutori. Insomma, è difficile che scambi “un leone per un topo” e viceversa, cosa invece, che è molto frequente, come facilmente ci si potrà rendere conto.
            Ora, il saluto, cha apre e chiude un incontro, prevede, con un qualsiasi interlocutore, la stretta di mano, che ovviamente non è obbligatoria, ma è esclusiva concessione del “maggiore”, il quale, quando lo reputa utile, proietta la propria mano al “minore”. E’ un gesto di apertura e cordialità. Il “minore”, dal canto suo, dovrà rimanere immobile fino al cenno del suo interlocutore, che ovviamente può non avvenire. Al riguardo, si pensi che la Regina Elisabetta, negli ultimi dieci anni, nei consessi formali, pare che abbia steso al proprio interlocutore la sua mano non più di otto volte. Ma al di là di ciò, l’attesa del “minore” che gli si porga la mano indica rispetto, riconoscimento, ed ovviamente una buona educazione. Certamente, se questo avanza per primo con la mano, il più delle volte non produrrà alcun effetto immediato, ma è gesto che verrà sicuramente annotato.
            Va precisato che nei consessi convivali e mondani la possibilità di concedere la mano va attribuita al genere femminile, dove ai più alti livelli l’uomo risponde con il baciamano, che ovviamente deve essere solo simbolico, e quindi deve essere appena accennato, come appena accennato deve essere l’inchino.
            Ed ancora, quando si riceve nella propria casa, è colui che accoglie a stendere la mano, tranne nel caso in cui ricevono persone “potenti”, che ovviamente sono diverse dalle persone ricche, anche molto ricche. Sulla differenza ci intratterremo in altre parti ed articoli di Maison Ragosta.
            E per concludere, del tutto cafonesco è un “minore” che in maniera autonoma saluta il proprio interlocutore con un abbraccio, soprattutto se in pubblico. A tal riguardo, l’abbraccio, fuori dal mondo adolescenziale, è pratica eminentemente privata e molto intima.
            Circa la qualità della stretta di mano, in linea generale ne possiamo individuare sostanzialmente due. La prima è quella tipo del venditore, senza nulla togliere al venditore, ovviamente. E’ una stretta vigorosa, calorosa, che indica compiacimento e grande apertura nei confronti dell’altro. La seconda è quella tipica del prete, appena accennata, dove la mano è sovente inerte e fredda, morta, che indica molto distacco. E’ la tipica stretta di mano degli uomini di potere, ma ovviamente non dei potenti né delle persone di stile, che invece adottano una soluzione intermedia, equilibrata, bilanciata, e se vogliamo, ragionata.
            Dopo la stretta di mano è di rito la domanda d’apertura dell’incontro, che spetta sempre al “maggiore”. Come risposta il minore ha due possibilità: o dare una risposta che esclude tutta la sua vita, o dare una risposta che offre delle aperture su questa. E quindi risponderà: o bene, grazie e lei? O discretamente, grazie e lei? La seconda formula può essere modificata a piacimento e, ovviamente, può essere molto più ricca e corredata dal punto di vista letterario. In ogni caso, la prima pone l’attenzione in maniera esclusiva sull’oggetto dell’incontro, la seconda apre ad una possibilità di socializzazione preliminare.
            Va segnalato che nei rapporti d’affari e/o professionali, la prima formula è quella consigliabile, anche perché in questo caso le parti hanno già preso informazioni sulla vita privata dell’interlocutore, ovviamente nella misura in cui queste sono decisive per le trattative. E’ chiaro che il momento socializzante non serve, essendo questo teso fondamentalmente a recuperare informazioni accessorie nelle questioni d’affari.
            Circa la seconda formula va usata, invece, solo nelle circostanze in cui si vuol approfondire una conoscenza sul piano anche esistenziale, o dare l’opportunità di accostarsi molto alla propria persona.
            Per concludere questa breve dissertazione, va marcato con forza che si deve lasciare sempre al “maggiore” la possibilità di chiudere l’incontro, anche nelle occasioni conviviali. In genere, la regola che il “maggiore” apre e chiude gli incontri o le circostanze, vale in molti ambiti, situazioni, come vedremo in seguito. E’ grave, in ogni caso, che un “minore” chiuda un incontro, di qualsiasi genere, se non dietro espressa richiesta al “maggiore”, cui spetta sempre l’ultima parola.
            In ogni caso, l’osservanza di tali principi indica rispetto e buona educazione, in caso contrario, può marcare, da un lato, l’assenza di un formazione al buon vivere o, dall’altro, un vero e proprio affronto al proprio interlocutore.

Mauro Ragosta

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