Dopo aver esposto i rudimenti
sull’uso del cellulare, fondati su due principi molto semplici, ovvero quello di
evitare di far vedere la propria dipendenza dall'attrezzo informatico, e quello di utilizzarlo, in presenza d’altri, in base al livello d’attenzione che richiede o
richiedono i vostri interlocutori -tutto ciò perché esso non è più uno status symbol, ma l’esatto contrario-
passiamo a valutare le principali regole del buongusto quando si saluta una
persona. Argomento vasto, sul quale tuttavia si offriranno una serie di spunti
utili per ampliare e perfezionare il quadro qui proposto nonché per
perfezionare il vostro incedere.
L’argomento del saluto richiede una
chiarificazione preliminare, e cioè quella che attiene “al maggiore e al
minore” all’interno di una relazione o all’interno di un contesto più ampio. E’
una questione ovviamente che non è legata alle variabili del maschile e del
femminile né tantomeno a questioni concernenti la titolistica, ma ai rapporti
di forza tra le parti nella prospettiva reale. Se proprio si vuole la questione
può essere risolta chiamando in causa il concetto di potere reale, laddove per
potere reale si intende la capacità di far valere la propria volontà su quella
dell’altro o degli altri. Esclusa dalla trattazione è la prospettiva paritaria,
perché nella realtà è caso rarissimo, forse inesistente. Del pari, va da sé che
la persona di stile è colei che sa rendersi conto subito dei rapporti di forza
con i propri interlocutori. Insomma, è difficile che scambi “un leone per un
topo” e viceversa, cosa invece, che è molto frequente, come facilmente ci si
potrà rendere conto.
Ora, il saluto, cha apre e chiude un
incontro, prevede, con un qualsiasi interlocutore, la stretta di mano, che
ovviamente non è obbligatoria, ma è esclusiva concessione del “maggiore”, il
quale, quando lo reputa utile, proietta la propria mano al “minore”. E’ un
gesto di apertura e cordialità. Il “minore”, dal canto suo, dovrà rimanere
immobile fino al cenno del suo interlocutore, che ovviamente può non avvenire.
Al riguardo, si pensi che la Regina Elisabetta, negli ultimi dieci anni, nei
consessi formali, pare che abbia steso al proprio interlocutore la sua mano non
più di otto volte. Ma al di là di ciò, l’attesa del “minore” che gli si porga
la mano indica rispetto, riconoscimento, ed ovviamente una buona educazione.
Certamente, se questo avanza per primo con la mano, il più delle volte non
produrrà alcun effetto immediato, ma è gesto che verrà sicuramente annotato.
Va precisato che nei consessi
convivali e mondani la possibilità di concedere la mano va attribuita al genere
femminile, dove ai più alti livelli l’uomo risponde con il baciamano, che
ovviamente deve essere solo simbolico, e quindi deve essere appena accennato,
come appena accennato deve essere l’inchino.
Ed ancora, quando si riceve nella
propria casa, è colui che accoglie a stendere la mano, tranne nel caso in cui
ricevono persone “potenti”, che ovviamente sono diverse dalle persone ricche,
anche molto ricche. Sulla differenza ci intratterremo in altre parti ed articoli
di Maison Ragosta.
E per concludere, del tutto
cafonesco è un “minore” che in maniera autonoma saluta il proprio interlocutore
con un abbraccio, soprattutto se in pubblico. A tal riguardo, l’abbraccio, fuori dal mondo adolescenziale, è
pratica eminentemente privata e molto intima.
Circa la qualità della stretta di
mano, in linea generale ne possiamo individuare sostanzialmente due. La prima è
quella tipo del venditore, senza nulla togliere al venditore, ovviamente. E’
una stretta vigorosa, calorosa, che indica compiacimento e grande apertura nei
confronti dell’altro. La seconda è quella tipica del prete, appena accennata,
dove la mano è sovente inerte e fredda, morta, che indica molto distacco. E’ la
tipica stretta di mano degli uomini di potere, ma ovviamente non dei potenti né
delle persone di stile, che invece adottano una soluzione intermedia,
equilibrata, bilanciata, e se vogliamo, ragionata.
Dopo la stretta di mano è di rito la
domanda d’apertura dell’incontro, che spetta sempre al “maggiore”. Come
risposta il minore ha due possibilità: o dare una risposta che esclude tutta la
sua vita, o dare una risposta che offre delle aperture su questa. E quindi
risponderà: o bene, grazie e lei? O discretamente, grazie e lei? La seconda
formula può essere modificata a piacimento e, ovviamente, può essere molto più
ricca e corredata dal punto di vista letterario. In ogni caso, la prima pone l’attenzione
in maniera esclusiva sull’oggetto dell’incontro, la seconda apre ad una
possibilità di socializzazione preliminare.
Va segnalato che nei rapporti d’affari
e/o professionali, la prima formula è quella consigliabile, anche perché in
questo caso le parti hanno già preso informazioni sulla vita privata dell’interlocutore,
ovviamente nella misura in cui queste sono decisive per le trattative. E’
chiaro che il momento socializzante non serve, essendo questo teso
fondamentalmente a recuperare informazioni accessorie nelle questioni d’affari.
Circa la seconda formula va usata,
invece, solo nelle circostanze in cui si vuol approfondire una conoscenza sul piano
anche esistenziale, o dare l’opportunità di accostarsi molto alla propria
persona.
Per concludere questa breve dissertazione,
va marcato con forza che si deve lasciare sempre al “maggiore” la possibilità
di chiudere l’incontro, anche nelle occasioni conviviali. In genere, la regola
che il “maggiore” apre e chiude gli incontri o le circostanze, vale in molti ambiti,
situazioni, come vedremo in seguito. E’ grave, in ogni caso, che un “minore”
chiuda un incontro, di qualsiasi genere, se non dietro espressa richiesta al “maggiore”,
cui spetta sempre l’ultima parola.
In ogni caso, l’osservanza di tali
principi indica rispetto e buona educazione, in caso contrario, può marcare, da
un lato, l’assenza di un formazione al buon vivere o, dall’altro, un vero e
proprio affronto al proprio interlocutore.
Mauro
Ragosta
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