Se nella riflessione sulla comunicazione
politica strutturata prevalentemente sullo slogan e sulle frasi superficiali ci
si è soffermati in precedenza, è bene ora meditare su chi li veicola, ovvero i leaders. Per quanto detto, è giunto il
momento di valutare se questi soggetti siano o meno realmente degli
intellettuali trascinatori, o, invece, ci sono soggetti altri dietro le quinte
che manovrano e costruiscono l’informazione politica, lavorando indisturbati e
poco osservati nonché poco citati.
L’Italia del Novecento ha dato i natali a più
e più leaders (veri!), riconosciuti,
nel contesto nazionale e internazionale, per la loro levatura, per il loro carisma
e intelletto. Basta citarne due per rappresentare uomini che si contrapponevano
politicamente e culturalmente: Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Ecco, appunto,
politica e cultura, un binomio inscindibile per la gestione di un territorio e
dello Stato. Due elementi così strettamente legati, che in mancanza della
seconda, la cultura appunto, la politica si trasforma in un teatrino
amatoriale, tra replicanti di idee senza una reale consistenza. Oggi, in
effetti, i grandi produttori di idee politiche sono gli staff dei grandi gruppi bancari, che finanziano l’industria e la
orientano, e i vertici del Gruppo Casaleggio, potentissimo e di caratura
veramente sconcertante, che gestisce il popolo dei pentastellati. E’ qui che si
produce l’idea……
In ogni caso, punto nevralgico è dunque la
cultura. Quella cultura che sosteneva la politica, composta soprattutto da
intellettuali, studiosi ed esperti. Oggigiorno, la cultura, intesa come
soluzione all’esistenza, non è più in politica. Oggigiorno, la cultura del
politico è prodotto commerciale, divertisement,
intrattenimento, schiacciato su logiche diverse e non di vera conoscenza.
Insomma, la cultura non è più strumento personale, politico e di emancipazione.
È più che altro, in molti casi, risultato di lasciti parziali, superficiale e
vuota. Peraltro, non è più strumento di lotta, anzi. La cultura non è più al
potere, in definitiva. E ciò almeno con riferimento a quello visibile dai più.
Nel Novecento i politici erano spesso
intellettuali e soprattutto i leaders.
Ed oggi? Da Renzi a Salvini, da Di Maio alla Meloni, potremmo forse ritenerli
tali? Potremmo definirli trascinatori per le loro idee e la loro cultura o,
forse, più per la loro capacità di parlare ad organi diversi dal cervello?
Ovviamente, no, non sono intellettuali. A loro è deputato solo il parlare, non
produrre idee e strategie. Insomma, non sono neanche dei subleaders. Sono solo dei parlatori, e basta.
Cosa son quindi questi fantomatici leader? I nuovi leaders? Se prima il segretario o il presidente di un partito
rappresentavano la sintesi culturale e politica dell’organizzazione, un
soggetto che ispirava il popolo, oggi gli attori considerati (o magari pure
riconosciuti) leaders sembrano più
che altro dei capo popolo, dove sono loro ad ispirarsi ai subalterni, al
contrario di quanto avveniva prima. Insomma, vi è un ribaltamento dei ruoli
mediatici. Il popolo non guarda più al leader, e non tende e si ispira più a
lui, ma è il leader che guarda il popolo, e a questo ispira il suo intervento. Da
qui, è evidente il vizio. Ovviamente sono soggetti dalla cultura tutt’altro che
raffinata e ampia. Anzi. Spesso sono uomini arroganti, voltafaccia, capaci di
cambiare idea su tutto e tutti in un batter di ciglio, a seconda della
convenienza politica del momento. Ma d’altro canto, cosa possono fare di più?
Ci si può aspettare il colpo di scena intellettuale? Non si va al di là del
tatticismo, perché poi gli strateghi sono altrove, nascosti, silenti,
indisturbati….nei lussuosi salotti italiani, lontani dai centri commerciali e
dagli stadi, lontani dal rumore dei giornali.
Come tutti i rappresentanti in Parlamento e
come tutti i politici sono l’espressione dei cittadini, e lo sono anche, e a
maggior ragione, i leaders delle
organizzazioni politiche, che si definiscano partiti o movimenti. Sembrano tuttavia
tutti uguali tra loro, nelle idee e negli obiettivi…liquidi, una massa
indistinta, senza una forma ben precisa. Se dunque questi personaggi hanno
questo poco spessore culturale e vengono eletti, bisogna allora chiedersi quale
sia il livello degli elettori e seguaci. C’è da preoccuparsi? Forse,
bisognerebbe prendere coscienza di quel che è l’italiano in parlamento? Ma poi,
è necessario che i grossi gruppi economici escano allo scoperto, o ci basta il
leaderuccio su cui scagliare tutte le nostre insoddisfazioni e frustrazioni? Una
volta fatto ciò, bisognerebbe rimettere la cultura nel posto dove deve stare e
dove sempre è stata: che sia il faro e lo strumento per tutti! E non che un
politico qualunque o teatrante di turno, facciano finta di fare cultura, aizzando
le folle contro il nemico, peraltro falso…….Ma forse, è la Civiltà dei Consumi
che vuole tutto questo?
Massimiliano Lorenzo
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