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lunedì 9 settembre 2019

Saper Comunicare (parte sesta): Circa il lessico – di Andrea Tundo


Nell’articolo precedente si sono date alcune delucidazioni sui meccanismi fondamentali dell’ascolto fra due o più soggetti, all’interno di una dinamica comunicativa ordinaria, soffermandoci su quella che potremmo definire la parte “passiva” dell’atto, ovvero il momento in cui tutta la nostra attenzione dovrebbe essere canalizzata verso l’individuazione delle necessità comunicative del nostro interlocutore e il suo livello di coscienza e conoscenza. L’ascolto, insomma. E’ questo un tipo di lavoro che una mente sveglia e ben organizzata compie in maniera automatica; è propedeutico per la scelta delle argomentazioni e la selezione del lessico che si adottano e con cui ci esprimiamo, ovvero gli strumenti che adoperiamo e sono a disposizione per i nostri scambi dialettici o, talvolta, per i confronti e, se necessario,  per lo scontro verbale. Qui, meglio sapremo selezionare le parole, attraverso un ragionamento rigoroso e che prenda in considerazione non solo il significato del termine, ma anche la sua musicalità, la sua storia e, come si accennerà, la sua portata, maggiore sarà la nostra efficacia comunicativa. In tale prospettiva, raramente non riusciremo ad ottenere i risultati cercati. 
Il nostro scopo, in un assetto ordinario di scambio di informazioni, dovrebbe essere quello di “lanciare” le parole giuste al momento giusto, e tali da avere un significato e una comprensibilità capaci di attivare un’adeguata risposta dal nostro interlocutore.  Per riuscire in questo intento è bene considerare che le parole non hanno tutte lo stesso raggio d’azione e portata. Sicché, termini che innescano più collegamenti intellettivi in un individuo potrebbero non accendere nessuna “luce” in un altro. Si comprenderà facilmente che un conto è comunicare con un soggetto che abbia nel suo vocabolario non più di 500-1000 parole a disposizione, un conto è comunicare con un interlocutore che abbia a disposizione 20-30.000 termini.
 Al riguardo, va fatto notare che, una delle caratteristiche della società dei nostri giorni è, di fatto, l’analfabetismo funzionale, cioè l’incapacità di comprendere a pieno ciò che si legge e si ascolta. L’uomo comune dispone di pochissimi vocaboli, quelli essenziali per una comunicazione pragmatica e spesso commerciale e mercantile. E’ un uomo che difficilmente utilizza parole con significati astratti. Va da sé che, l’Uomo colto, istruito quindi, o per lo meno chiunque si prefigga di aumentare la qualità e l’efficacia della propria comunicazione, deve utilizzare di norma un lessico di base. Un’attività questa, molto spesso di una certa complicazione, perché per essere semplici nel proprio dire si devono avere chiari i propri obiettivi comunicativi e la natura profonda delle argomentazioni che andiamo ad affrontare. E non solo, anche il ventaglio di significati di ogni parola. Ad esempio, un esperto in materie economiche può non essere chiaro nelle sue proposizioni, e ciò avviene spesso, perché il soggetto non ha chiare le dinamiche e i meccanismi profondi dell’economia. Ed ecco, che la sua comunicazione, spesso, risuterà incomprensibile, banale se non confusionaria. E ciò accade anche ad un esperto di filosofia, e anche spesso, perché sovente non si conoscono gli argomenti nella loro reale essenza, utilizzando così il lessico in maniera scarsamente efficace. In conclusione, la comprensione profonda delle argomentazioni proposta e conoscenza profonda del significato dei termini che si usano sono i presupposti della giusta comunicazione, oltre alla comprensione della geografia ricettiva del proprio intelocutore.
Va da sé che l’uso del lessico dipende, in un contesto di reale comunicazione, dalla situazione in cui si esercita la parola. Se si vuol realmente comunicare in un ambiente popolare occorre adottare un lessico di base, ovvero parole che sono di comprensione generale. Non così in contesti più evoluti, in cui un lessico di base è poco efficace, perché poco preciso e, dunque, inefficace. E qui bisogna utilizzare un lessico “colto”
A latere, va considerato che, sovente  una delle principali cause di una cattiva comunicazione, che innesca quindi dinamiche di incomunicabilità, è dovuta all’utilizzo spasmodico e insensato di virtuosismi lessicali o gerghi specialistici. E qui siamo nella variante psicologica dell’uso del lessico. I virtuosismi lessicali si realizzano sovente perché -esattamente come nei problemi d’ascolto- l’interlocutore non ha intenzione di effettuare uno scambio di informazioni e non utilizza la parola come mezzo di comunicazione, dunque, ma come mezzo in sé, fine a se stesso, forse, sovente, come strumento di autogratificazione, o altre, più spesso, per far pesare all’interlocutore il proprio status culturale e lessicale. In quest’ultimo caso, la comunicazione reale è sublimata, mentre quella esplicitata attraverso la parola è solo la scusa, l’occasione per “comprimere e contundere l’interlocutore”, innescare in lui sensi di minorità, ed indurlo, in qualche modo, alla subordinazione.
Al di là di ciò e per concludere questo breve spaccato sulle problematiche del lessico nella comunicazione, che non è certo esaustivo, ma utile per trarre ulteriori spunti di riflessioni in merito, va segnalato un esercizio pratico: si provi a fare una selezione del proprio lessico, scegliendo poche ma essenziali parole e si provi ad esprimere diversi e sempre più articolati concetti, cercando di non aggiungerne ulteriori; in altre parole, si provi a sperimentare come con un certo numero di parole, anche molto piccolo, i concetti esprimibili sono pressoché infiniti. Ed anche se può sembrare un banale esercizio, gli esiti e i miglioramenti sono assicurati, e non solo a livello di chiarezza espositiva, ma anche creativo e logico; oltretutto con le tempistiche comunicative dei giorni d’oggi che sempre di più si restringono, il rigore espositivo e la sintesi son virtù fondamentali, non solo se si vuole essere compresi, ma anche per comprendere.

Andrea Tundo


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