Ci
siamo affacciati alla mente esoterica nel senso etimologico dei termini: meus ens, il mio ente; dunque, intanto
una dimensione propria, individuale, intima; di poi, non mera accezione
intellettuale –nel senso comune (vedremo più avanti anche l’accezione
originaria di “Intelletto”)-, bensì un concetto più ampio, comprensivo di
essere individuato e pensiero; infine, meus
ens nascosto, sia perché altro rispetto alla persona apparente, sia perché
ignoto allo stesso soggetto.
Abbiamo
accennato alle condizioni che consentono il retto accesso alla propria
dimensione esoterica: vari percorsi, cercati o occasionali; con i pericoli
conseguenti; con le qualità necessarie che offrono consapevolezza e forza –virtus: ovvero forza scaturente dalla
virtù- per affrontare le prove che via via si presentano sul cammino. Non
esistono, però, regole generali: ciascuno ha la sua struttura e la sua storia,
molte sono le porte di accesso alle dimensioni altre; moltissimi sono i nomi.
Per conoscere le rispettive esperienze occorre colloquiare e comprendere, non
fermarsi ai significati apparenti; evitare le ideologie sia nell’architettare i
propri discorsi, che nell’interpretare e magari giudicare quelli altrui. La
ruota come simbolo, i rosoni delle chiese, rappresentano, appunto, il
convergere di molte e diverse esperienze verso un centro unico. L’ambiente
esoterico, poi, ha logiche diverse da quelle correnti; e spesso può sembrare in
contrasto con i migliori valori: ciò deriva dal fatto che tramite esso si
penetra nel mondo dei Princìpi, dal quale derivano i valori della mondanità
come volgarizzazione di quelli. Un’analogia di questo processo può consistere,
in fisica, nella constatazione della caoticità del mondo quantistico rispetto
alle leggi esatte di quello macroscopico: eppure, è da quel caos,
dall’apparente opposto, che emerge l’ordine che ha generato la meravigliosa straordinaria
complessità dell’essere umano.
Ecco,
a proposito di meraviglia, occorre riacquistare piena consapevolezza di ciò che
si è e di quanto ci circonda; tanto non può che generare stupore, che era un
principio ermetico (“Corpus Hermeticum”, a cura di I. Ramelli, Bompiani, 2005).
I nostri occhi smettano di osservare oggetti –considerando tali anche le
persone- e abbiano l’intelligenza di constatare le meraviglie che si parano
loro davanti; di stupirsi, appunto, per la spettacolarità in cui si è immersi e
di cui si è parte. La mente esoterica penetra l’Amore e la Bellezza artefici
dell’apparizione nel visibile.
Qui
si incontra il tema degli “oggetti
esoterici”, degli elementi occulti che costituiscono la trama della realtà
sensibile; ci si chiede quale sia la rappresentazione mentale dei conseguimenti
esoterici. Tema antico; in particolare, teorizzato durante il Rinascimento
italiano: Marsilio Ficino studiava gli oggetti esterni e quelli interiori,
attribuendo a questi ultimi lo stesso grado di realtà dei primi (P.O.
Kristeller, “Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino”, ed. Le lettere, 2005).
Ma il punto focale consiste nella apparenza degli “oggetti interni”, come si presentano agli occhi della mente. La
nostra mente elabora concetti fondati sulla logica razionale e li esprime in
formule linguistiche o matematiche, o scientifiche in genere; ma come esprimerà
i concetti esoterici, ontologicamente esoterici? Con Simboli. Certo, non stiamo
parlando di quelli che regolano la nostra vita mondana –cartelli stradali, indicazioni
di prodotti e qualità, ecc.-; bensì dei simboli che sgorgano dal profondo, trasmettendo
intuizioni inesprimibili con parole. L’antichissima croce, la ruota, la Tau, il
caduceo, la rugiada (Bibbia, salmo 133), fino all’alchemico Rebis e all’angioletto con squadra e
compasso della basilica leccese di “Santa Croce”. Nella modernità la
psicoanalisi ha trattato gli archetipi e non a caso i loro teorizzatori li
hanno accostati agli studi esoterici (C.G. Jung, “Psicologia e alchimia”, Bollati
Boringhieri, 1981; A. Vitale, “Solve et coagula”, Moretti e Vitali, 2001). In
definitiva, la mente esoterica rivela la propria facoltà immaginativa; incapace
di esprimere in termini alfanumerici i concetti esoterici, ne forma immagini rievocative.
Nell’antichità, questo lavorio era più importante, se non preponderante: ne
sono esempi i geroglifici egizi, ma anche gli ideogrammi cinesi e l’alfabeto
ebraico. In seguito, dopo la transizione del greco antico, si passò a precisi
significati fonetici legati ad una mente sempre più esteriorizzata –il latino-,
e ormai privi di sensi intimi. D’altra parte, abbiamo esempi costanti del
potere immaginativo della mente: nei sogni
immaginiamo, vediamo per immagini sentimenti che non hanno nome; o
proviamo in modo del tutto diverso, o più forte sentimenti che conosciamo,
quali amore, nostalgia, terrore, formando immagini e, in esse, anche situazioni
e azioni che li suscitano e li rappresentano, nostri archetipi di essi. Il
raffronto tra il sentimento sognato e quello che si prova nel sensibile, da
conto dell’immiserimento del precipitato mondano rispetto al principio
occulto.
L’immaginazione
non va confusa con la fantasia; questa, essendo mero gioco mentale, bizzarria
di cose irreali. Come detto, è il sogno, invece, esempio d’immaginazione; immagini
che si formano nella mente allorquando la mente stessa si posa sulla propria
zona più intima; nell’ambiente dell’a-strale, del visibile senza luce
sensibile. Al sogno diverse e lontane tradizioni attribuiscono importanza: anticamente
offriva indicazioni terapeutiche e costituiva terapia; il cristianesimo dei
primi secoli, prima che Agostino e Isidoro di Siviglia –“De Tentamentis Somniorum” del VII sec.- lo affermassero diabolico (S.
Delacroix, “Athanor- La scienza segreta del cuore”, iQdB ed., 2019); lo sciismo
musulmano (H. Corbin, “L’immaginazione
creatrice”, Ed. Laterza, 2005). Anzi, può anche essere vero il contrario:
l’immaginazione è sogno, anche ad occhi aperti; ma sogno come espressione di
oggetti e fatti della Realtà occulta quanto vera.
Certo, anche l’immaginazione
esoterica costituisce la modalità della mente umana di rappresentare a se
stessa Pensieri –chiamiamoli così- che di per sé non hanno forma. E se, infine,
non si avesse necessità d’immagini? se si giungesse alla percezione dei
Principi in sé? Salto ardito, perché oltre le capacità della mente umana. Si è
nella dimensione dell’intellezione pura; prima ancora del Logos che parla, il
Nous, il pensiero di pensiero, l’”in Sé” (C.H., cit., “Trattato XII – L’ogdoade
e l’Enneade”, a cura di I. Ramelli, Bompiani, 2005). Descrizioni non ne
esistono; tentativi sarebbero blasfemie: nemmeno sacrilegi, poiché quel Sacro è
intangibile e inattingibile. L’ermetismo dei primi sec. d.C. afferma che
nell’Intelletto, nel Nous, può solo “sprofondarsi”
(C.H., cit.).
Qui
ci si ferma, dunque. Ma c’è ancora un ultimo viaggio da compiere, quello di
ritorno; proprio perché la purificazione, condizione delle acquisizioni
esoteriche, avendo come corollario il fondamento dell’etica nel mondo, non
consente fughe e abbandoni: abbraccia occulto e visibile. Cioè, siamo nella
tradizione occidentale.
Italo Zanchi
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